ARTE CRISTIANA - Giacomo Berra

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ARTE CRISTIANA ANNO CI 874 GENNAIO FEBBRAIO 2013 Scuola Beato Angelico Viale S. Gimignano, 19 20146 Milano UN MATRIMONIO MISTICO DI FRANCESCO FRACANZANO NELL’ORATORIO DEI BUONOMINI DI S. MARTINO A FIRENZE ORIGINE E VALENZA DI SIMBOLI OSCURI ICONOGRAFIA TRINITARIA DELLA BASILICA DI CIMITILE ANCORA SULLA SIMBOLOGIA CARAVAGGESCA ARTE TESSILE E LITURGIA MERAVIGLIE DI CARTA DELLE CLAUSTRALI 2013 - VOLUME CI - FASCICOLO 1-2 “Poste italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46 art. 1, comma 1, DCB Milano)”

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2013

Scuola Beato AngelicoViale S. Gimignano, 19

20146 Milano

UN MATRIMONIO MISTICO DI FRANCESCO FRACANZANO

NELL’ORATORIO DEI BUONOMINI DI S. MARTINO A FIRENZE

ORIGINE E VALENZA DI SIMBOLI OSCURI

ICONOGRAFIA TRINITARIA DELLA BASILICA DI CIMITILE

ANCORA SULLA SIMBOLOGIA CARAVAGGESCA

ARTE TESSILE E LITURGIA

MERAVIGLIE DI CARTA DELLE CLAUSTRALI

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La mensa ‘eucaristica’ della Cena in Emmaus del Caravaggioe la simbologia del pavone arrosto

Giacomo Berra

Nella sua Cena in Emmaus (oranella National Gallery di Londra) ilCaravaggio ha rappresentato Gesùimberbe seduto accanto ai suoi duediscepoli pellegrini attorno ad unatavola ‘imbandita’ per la cena (fig.1)1. Su questo ripiano l’artista lom-bardo ha raffigurato degli oggetti edelle vivande che hanno ovviamentela funzione di ambientare l’episodiodel riconoscimento di Cristo nelmomento della fractio panis narratonel vangelo di Luca (Lc 24, 13-32), esolo accennato in quello di Marco(Mc 16, 12). Ma la raffigurazione diquesti elementi ha anche il fonda-mentale scopo di evidenziare visiva-mente alcuni simbolismi religiosiattinenti allo specifico tema dellamanifestazione di Cristo come ilMessia risorto. Il testo di Luca, inrealtà, non si sofferma ad indicare illuogo nel quale Gesù e i suoi duediscepoli sostarono per cenare unavolta giunti a Emmaus, e neppure,ovviamente, si preoccupa di specifi-care come era imbandita la lorotavola. Ma gli artisti, che nel passatohanno affrontato tale soggetto, perpoter meglio raffigurare la scena,hanno spesso scelto di ambientaretale episodio evangelico all’internodi ricchi ambienti o anche di osterieo di locande2. I pittori si sono quindisbizzarriti nel riprodurre varietà divivande o di oggetti posti sulla tavo-la, o anche attorno ad essa, e talvoltahanno pure aggiunto animali e altripersonaggi neppure indirettamentecitati dal testo evangelico. L’illustra-zione di un particolare ambiente eraspesso anche un modo per venireincontro alle richieste più o menoesplicite dei ricchi committenti.Alcuni studiosi, analizzando i diversidipinti cinquecenteschi con la raffi-gurazione della Cena in Emmaus,hanno avuto modo di evidenziare laricchezza evocativa delle simbologieadottate dagli artisti nel dipingere

gli oggetti o i particolari cibi sistema-ti sulla tavola preparata per la cena3.

Il Caravaggio ha seguito questatradizione pittorica (in particolarequella veneta) e quindi ha fatto pro-pria l’esigenza di valorizzare anche ilsignificato simbolico dei singoli ele-menti disposti sulla tavola diEmmaus. Ma in realtà il Merisi,rispetto a diversi altri pittori, è statoin qualche modo più sobrio. Hainfatti concentrato la sua attenzionesu un numero tutto sommato ristret-to di elementi, eliminando del tuttociò che avrebbe potuto essere consi-derato il contorno fastoso dellascena principale, ovvero altri perso-naggi, animali vivi, strutture architet-toniche, oggetti come ripiani, piatti,vasellame, sfondi naturalistici eccete-ra. In questo caso il Caravaggio, adifferenza di quanto erroneamenteci saremmo aspettati, ha proprio evi-tato di accentuare quegli aspettidella pittura ‘quotidiana’ che noimoderni ora chiamiamo ‘pittura digenere’. Si tratta di una voluta sem-plificazione che è però pregna diconnotazioni simboliche e in qual-che modo anche liturgiche. Alcunistudiosi, infatti, proprio in riferimen-to alla Cena in Emmaus del Caravag-gio conser vata a Londra, hannoinfatti correttamente parlato di‘mensa eucaristica’, proprio perindicare che essa è stata raffiguratain modo da evidenziare una serie dirimandi al tema eucaristico, cheovviamente è il soggetto principaledel dipinto4. Gerhald Wolf e HannahBaader hanno inoltre sottolineatocome il Merisi abbia contrapposto lafigura di Cristo a “un mondo di‹cose›”, e come quindi il pittoreabbia apparecchiato la tavola comeun ‘palcoscenico’5.

In questo lavoro vedremo inmaniera dettagliata il significato deisingoli elementi posti sulla tavolaattorno alla quale il Caravaggio ha

The Supper at Emmaus, which isnow in London, was painted byCaravaggio for the Marquis CiriacoMattei and for his brother CardinalGerolamo. It shows a table coveredwith an oriental carpet and a lumi-nous white tablecloth on which someobjects and food have been artfullyplaced.These had the task of creating thescene of the meal, during which Jesusmanifested Himself as the resurrectedSaviour or Messiah to the two disci-ples. That table can certainly be consi-dered as the true “Eucharistic Altar”,as each element suggests a symbolicand religious aspect, expressingstrong affinity to the fundamentaltheme of the painting: Christ’s resur-rection and therefore the Sacrament ofthe Holy Eucharist. On the table thereis also a remarkable basket of fruit aswell as roasted poultry placed on adish. Almost all the examiners thou-ght that Merisi had painted a roast“chicken”, but this article hypothesi-zed that it is instead a “peacock”. Onthe tables of the rich commissioners,whom Caravaggio frequented, it wasnot unusual to see a roast peacockrichly cooked. The Lombard painterfollowing the pictorial tradition whichprivileged certain food which hadstrong symbolical characteristics. The-refore on the Supper table atEmmaus he chose to place a peacock,as that kind of poultry had been con-sidered since paleo christian times thesymbol of the resurrection. Its meatwas considered to be incorruptible (asSaint Augustine also wrote), so it wellrepresented the incorruptibility of thebody of Jesus by His resurrection.During the breaking and blessing ofthe bread he had manifested Himselfto His two disciples, who were stillincredulous, and now saw Him asthe conqueror over death.

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Amos (Am 8, 1-2)19. Questo profetaparla appunto della visione di “uncanestro di frutta matura” che è l’im-magine eloquente del presagio dellacondanna e della fine, e quindi dellacaduta, del popolo di Israele a causadel suo allontanamento da Dio. E lacesta dipinta dal Merisi, che contienefrutti maturi e autunnali (non prima-verili), alcuni dei quali già caratteriz-zati da segni di decomposizione, sem-bra proprio sul punto di cadere. Conquesto rimando biblico il Caravaggio,certamente anche su suggerimentodei committenti, ha voluto inserireun elemento legato al tema dellanecessaria conversione degli ebrei. Siriteneva infatti che la maggior diffi-coltà al ravvedimento degli ebreiconsistesse nella loro incapacità diintravedere e riconoscere nel testodell’Antico Testamento quei passi,come quelli appunto del profetaAmos, che avevano predetto e prefi-gurato la venuta di Gesù come Mes-sia. Infatti Amos, dopo le sue visioni,parla della speranza del ristabilimen-to della “capanna” di Davide (Am 9,11), la quale era interpretata dai cri-stiani (come ad esempio dal cardina-le Federico Borromeo) come unchiaro riferimento alla venuta e allaresurrezione di Cristo. L’episodio diEmmaus era quindi considerato unadelle più importanti testimonianzaevangeliche della resurrezione, per-ché ad esso si associava anche il temadella rivelazione delle Sacre Scrittu-re. Luca, infatti, nel narrarne la sto-ria, scrive proprio che Cristo, duran-te l’andata a Emmaus, rivelò ai duediscepoli pellegrini, che ancora nonlo avevano riconosciuto, il sensodelle scritture veterotestamentarie:“E, cominciando da Mosè e da tutti iprofeti, spiegò loro in tutte le Scrittu-re ciò che si riferiva a lui” (Lc 24, 27).

Sulla tavola ‘eucaristica’ raffigura-ta dal Merisi compaiono inoltre trepani, un bicchiere in ceramica posto

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raffigurato Gesù che benedice ilpane e i due discepoli che manifesta-no il loro profondo stupore nelmomento in cui riconoscono nelloro commensale Cristo risorto. Inparticolare, però, mi soffermerò sulvalore simbolico del gallinaceo arro-sto posto al centro, che qui propon-go di identificare con un pavone(fig. 2).

Il tavolo è apparecchiato con unatovaglia bianca posta sopra un tappe-to anatolico. Alfred Moir scrive che,forse, tale tappeto orientale indica ilfatto che l’avvenimento si svolse nelvicino oriente, ma ammette pureche l’inserimento di simili tappeti(spesso ricoperti da una tovagliabianca) era frequente nei dipintirealizzati nel corso del Cinquecentonell’Italia del nord6. In particolare, iltappeto utilizzato dal Merisi nellasua Cena in Emmaus è stato ricono-sciuto come un tappeto anatolicodel tardo XVI secolo: è il cosiddetto“double-keyhole”, varietà originariadell’Anatolia centrale7. I tappetiorientali comparvero nell’arte occi-dentale nella prima metà del Tre-cento ed erano considerati dei veri epropri status symbol in quanto presen-ti nei palazzi delle famiglie più agia-te8. Essi erano particolarmente inuso in area veneta e lombarda allafine del Cinquecento e quindi ilMerisi, durante la sua formazione‘padana’, ha certamente avuto mododi vederli e apprezzarli9. Natural-mente il Caravaggio, per quanto ènoto, non possedeva alcun tappeto equindi, con ogni probabilità, ne uti-lizzò uno presente nel palazzo deisuoi committenti, cioè il marcheseCiriaco Mattei e fratello cardinaleGirolamo Mattei10. La famiglia Mat-tei, infatti, possedeva diversi tappeti.Lo sappiamo perché in un inventa-rio del 13 luglio 1624, relativo aibeni del marchese Giovan BattistaMattei (morto il 6 giugno di quel-l’anno), presenti nel palazzo di fami-glia (ora Palazzo Caetani in via delleBotteghe Oscure), sono registratiben 28 tappeti, alcuni dei qualiespressamente definiti “da tavola”11.Anche il cardinale Francesco Mariadel Monte, un altro importante com-mittente del Caravaggio possedevadue “tappeti da tavola”12.

Sopra il tappeto orientale, il Meri-si ha dipinto una tovaglia biancadella quale appaiono anche i segnidella piegatura. Dante Bernini hamesso in relazione questa tovagliacon un aneddoto, relativo al Cara-vaggio, narrato dal suo biografo

1. Caravaggio, Cena in Emmaus, 1601,Londra, National Gallery. © TheNational Gallery, London.

secentesco Giovan Pietro Bellori:“Era negligentissimo nel pulirsi;mangiò molti anni sopra la tela di vnritratto, seruendosene per touagliomattina, e sera”13. Secondo il Berniniil biancore della tovaglia – investitada una luce folgorante come da“lampo improvviso” – richiama pro-prio una tela bianca preparata dalpittore per essere dipinta. Infatti,secondo lo studioso, il bianco spec-chiante, del tutto insolito, è dovutoal fatto che il Caravaggio ha ripro-dotto una tela preparata con colla egesso, la quale, a causa della sua rigi-dità, non si dispiega in maniera mor-bida sulla tavola. Anche i segni delbordo inferiore dimostrerebberoche si tratta di una tela staccata daltelaio per farne una sorta di “tova-glia liturgica”14. Per Janis C. Bell ilbianco della tovaglia appoggiata sultappeto evita che il rosso della vestedi Gesù avanzi troppo: in tal modo ilbianco ha il ruolo di coordinare l’il-lusione dello spazio dato dal colorecon la spazialità creata dall’effettoprospettico15. La tovaglia bianca – hascritto Wolfram Pichler – ha una talesuperficie riflettente che sembra illu-minare anche il volto del personag-gio dipinto a sinistra16. John Moffittha invece sottolineato come la lucebrillante emanata dalla tovaglia,sulla quale appaiono le ombreprofonde degli elementi posti su diessa, dia proprio l’impressione cheCristo appaia “in un lampo di luce,come se fosse improvvisamente illu-minato da un flash, poiché questo èil preciso momento in cui Egli spez-za il pane eucaristico, in tal modosvelando (o ‘discoprendo’) agli apo-stoli il pieno significato delle Scrittu-re [...]”17. È probabile che l’accesaluminosità della tovaglia bianca siastata simulata dal Merisi proprio perconnotare emblematicamente l’inte-ra superficie come un altare simboli-co sul quale si ‘celebra’ l’eucaristia.La tovaglia, con le pieghe e con glioggetti collocati su di essa, ricordaanche quella posta sul tavolo delCenacolo di Leonardo18.

Tra gli elementi disposti sullatavola quello che attira di più l’atten-zione dell’osservatore è certamentela stupefacente canestra ricolma difrutti maturi. Essa è posta propriosul bordo del tavolo, quasi in bilico,e sembra che stia per cadere. Questocesto è stato variamente interpreta-to. In un mio specifico saggio ho svi-luppato l’ipotesi che tale canestra difrutta costituisca un chiaro rimandovisivo al testo veterotestamentario di

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sulla destra, un boccaletto di cerami-ca sulla sinistra, un contenitore tra-sparente con dell’acqua e un bic-chiere trasparente, a calice, con delvino bianco. Questi tre ultimi conte-nitori sono disposti in modo daaccentuare una linea obliqua checoincide sostanzialmente con lastruttura prospettica del tavolo. Alcentro della tavola, di fronte allafigura di Cristo, il Caravaggio hadipinto un volatile arrosto (sul qualemi soffermerò in particolare piùavanti). Il piccolo bicchiere in cera-mica, quello posto di fronte al disce-polo di destra che allarga le braccia(come a simulare una croce) insegno di stupore per l’inatteso rico-noscimento di Gesù, è stato definitoun “coccio vuoto” da Crispino Valen-ziano, il quale scrive che esso alludeallo “scombussolamento nella mentee nel cuore” di quel discepolo. Infat-ti – secondo lo studioso – si potrebberavvisare un riferimento al salmo 22(21) nel quale si dice “Arido comeun coccio è il mio vigore” (Sal 22,16)20. Dobbiamo inoltre immaginareche anche un altro bicchiere in cera-mica sia da intendersi posizionatosul lato sinistro del tavolo, non visibi-le in quanto nascosto dal corpo del-

l’altro discepolo visto di spalle.Sul tavolo sono posti tre pani, per-

ché tre sono i personaggi della scenache partecipano all’evento. Laforma del pane usata dal Merisi èsimile a quella che Annibale Carrac-ci dipinse nei suoi Mangiatori di fagio-li (Roma, Galleria Colonna)21. Ilpane che Gesù ha davanti a sé è deltutto integro. Egli non lo ha ancoraspezzato perché in quel momento sista apprestando a recitare la specifi-ca preghiera di benedizione per laconsacrazione eucaristica. Luca scri-ve che Gesù, a tavola, “prese il pane,recitò la benedizione, lo spezzò e lodiede loro” (Lc 24, 30). Anche gliesegeti moderni hanno evidenziatocome il gesto dello spezzare delpane (fractio panis) fosse stato utiliz-zato da Luca nel senso ormai codifi-cato di ‘rito eucaristico’, significatoche presupponeva l’identificazionecon la “cena del Signore”22. Il ritoconosciuto con le espressioni ‘cenadel Signore’ o ‘spezzare del pane’,prenderà in seguito, nella Didachè (oDottrina dei dodici apostoli), il nuovonome di ‘ευ′ χαριστι′α’ ‘eucaristia’(‘ringraziamento’), ovvero specifica‘preghiera di ringraziamento’, termi-ne che non è appunto dedotto dallo

specifico ‘gesto’ dello spezzare,bensì dalla oralità della ‘preghie-ra’(epiclèsi)23. Nella tradizione inter-pretativa medievale il gesto dellafractio panis era stato spesso associatoal tema della scrittura. Ad esempioIldeberto (1056 ca - 1133) si eraposto la domanda “Quid significatquod discipuli cognoverunt Domi-num in fractione panis (Lc. XXIV,35)” e aveva poi risposto con questiversi: “Panis significat Scripturam,frangere panem, / Est exponereScripturas, cognoscitur inde / Chri-stus cum sensus aperitur spiritua-lis.”24. In sostanza, il frazionamentodel pane allude alla separazionedella lettera dallo spirito ad essaintrinsicamente legato25. Si esprimein tal senso anche il cappuccino Ber-nardino Ochino da Siena nella suaPredica predicata in Vinegia il lunedì diPasqua M.D.XXXIX: “Appresso sonoalcuni che studiano le Scritturesacre, e Vecchio e Nuovo Testamen-to, ma superficialmente e secondo lalettera, non considerando se nonalle istorie. Ma bisogna anco che turompi, che tu spezzi e che tu frangiquelle figure, quelli accidenti, quellesimilitudini, e considerar che Cristoè stato quello il quale in lui è stato

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adempito ogni cosa, e che alloratutto era in ombre e similitudini; maa noi è stata dimostrata e aperta laverità”26. L’episodio della ‘Cena inEmmaus’ era inoltre citato comeesempio della liceità della comunio-ne sotto la sola specie del pane, unatesi contrastata dai protestanti. NelConcilio tridentino, ovviamente, siera anche parlato espressamente del-l’eucaristia e dei problemi ad essaconnessi. Paolo Sarpi ci ha dato que-sta sintesi della complessa discussio-ne su tale tema: “[...] se ben sessantateologi parlarono, non fu detta cosadegna di osservazione, atteso che[…] non avevano altro da studiareche quanto dopo scrissero nelli pros-simi quaranta anni alcuni pochi,eccitati per le proposte di Lutero;imperò furono tutti concordi chenon vi fosse necessità né precetto delcalice”. Per prova della conclusioneallegavano luoghi del novo Testa-mento, dove il pane solo è nomina-to, come in san Giovanni: ‘Chi man-gia questo pane, viverá perpetua-mente’. Dicevano che sino neltempo degli apostoli era in frequen-te uso la sola specie del pane, comein san Luca si legge, che li discepoliin Emaus conobbero Cristo nel fran-ger il pane, e del vino non ci è men-zione; e san Paulo in mare naufra-gante benedice il pane, nè si parla divino [...]”27.

Nel Canones, et Decreta SacrosanctiOecvmenici et Generalis Concilii Triden-tini del 1564 si legge che nella XXIsessione (del 16 luglio 1562) fudiscussa la “Doctrina de Communio-ne sub utraque specie, & paruulo-rum”. In particolare, nel I canone siprecisava: “Si quis dixerit, ex Deipraecepto, uel necessitate salutisomnes, & singulos Christi fidelesutramque speciem sanctissimi

Eucharistiae Sacramenti sumeredebere; anathema sit.”, mentre nelIII canone, con evidente riferimentoall’eresia protestante, si ribadiva taleprincipio: “Si quis negauerit, totum,& integrum Christum, omnium gra-tiarum fontem, & auctorem, sub unapanis specie sumi, quia, ut quidamfalso asserunt, non secundum ispiusChristi institutionem, sub utraquespecie sumatur, anathema sit.”28. NelCatechismvs pubblicato nel 1566 etradotto in volgare nel 1568 si leggeche ai fedeli è vietato ricevere l’euca-ristia sotto entrambe le specie, senon con espressa autorizzazionedelle autorità ecclesiastiche. Tra lemotivazioni sono indicate in manie-ra succinta alcune questioni prati-che: intolleranza di alcune personeper il vino, difficoltà di reperimentoecc., ma soprattutto la necessità dicontrastare l’eresia protestante. Cosìinfatti troviamo scritto: “Dipoi (ilche piu che altra cosa importa) biso-gnaua stirpare l’heresia di coloro, liquali negauano sotto ciaschedunaspetie esser tutto Christo, ma solo ilcorpo senza sangue sotto la spetiedel pane, & sotto quella del uinoaffermauano solo contenersi il san-gue”29. Inoltre, nel Catechismo dellafede cattolica scritto e pubblicato nel1584 dal gesuita Achille Gagliardi(su esplicita richiesta di san CarloBorromeo) si pone la questione sesia lecito che un fedele riceva lacomunione sotto la specie del solopane o anche sotto quella del vino.Così risponde il gesuita, con un epli-cito riferimento anche al gesto diCristo nella ‘Cena di Emmaus’: “A iSacerdoti egli è ben necessario,accioche non resti il sacrificio imper-fetto; mà a i laici non hà lasciato pre-cetto il Signore per il quale sianoobligati a far il medesimo; Anzi si

legge nell’Euangelio, che CHRISTON. Signore lo diede sotto la spetie dipane a i discepoli ch’andauano inEMAVS; & nelli atti delli Apostoli,che in questo medesmo modo lo fre-quentaua la primitiua Chiesa [...]”30.Il gesuita spagnolo Gerolamo Nadal(Natalis), commentando il branoevangelico della ‘Cena in Emmaus’,scrive in un suo testo del 1595: “vndeperspicuum voluit esse EcclesiaeChristus suum exemplum, sub panissola specie Eucharistiam ministran-di”31. Dunque la Cena in Emmaus delCaravaggio poteva essere anche inte-sa come un dipinto connotato dauna forte polemica antiprotestante.E il cardinale Gerolamo Mattei siera, tra l’altro, distinto nella lottacontro l’eresia, svolgendo un’intensaattività contro la riforma luterana.Non a caso, tutte le allegorie che eglifece dipingere alla fine del Cinque-cento in alcuni ambienti del suopalazzo fanno diretto riferimentoalle funzioni che il cardinale svolseal ser vizio della Chiesa romana,basate sulla lotta contro il “falsocredo protestante” e a favore dell’or-todossia cattolica32.

La fractio panis era dunque consi-derata come un gesto metonimicoche indicava le diverse azioni presen-ti nel sacramento dell’eucaristia. Ciòspiega il motivo per cui noi possia-mo, senza alcun ombra di dubbio,considerare la Cena in Emmaus delCaravaggio, che ora si trova a Lon-dra, la stessa che viene citata in undocumento del 7 gennaio 1602,nonostante le parole in esso usatenon riflettano il gesto della benedi-zione del pane da parte di Gesù.Questa carta d’archivio riguarda ilpagamento al pittore lombardo, daparte del committente marcheseCiriaco Mattei, di 150 scudi per unquadro descritto appunto come “deNostro Signore in fractione panis”33. Evi-dentemente, chi aveva steso il docu-

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2. Caravaggio, Cena in Emmaus, 1601,particolare, Londra, National Gal-lery. © The National Gallery, Lon-don.

3. Tiziano, Cena in Emmaus, 1535 ca,Parigi, Louvre.

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mento inventariale aveva utilizzatol’espressione “in fractione panis” nelsuo significato complessivo dimomento eucaristico della ‘Cena inEmmaus’, episodio di cui il gestodella benedizione, raffigurato dalMerisi nel quadro londinese, era,come abbiamo visto, uno deimomenti essenziali. Nell’elaborare ilsuo dipinto, il Caravaggio sembraaver seguito in particolare la tradizio-ne dei pittori veneti, i quali, nello svi-luppare tale soggetto, avevano accen-tuato con maggior frequenza ilmomento della ‘benedizione’ rispet-to a quello della fractio panis34. Adesempio, uno dei dipinti veneti che siavvicina maggiormente al dipintolondinese del Caravaggio è la Cena inEmmaus eseguita da Tiziano (oraconser vata al Louvre) (fig. 3)35.Lorenzo Pericolo ha scritto che ilgesto della mano benedicente raffi-gurato dal Caravaggio, che sembraincongruo, in quanto non precisa-mente diretto sull’oggetto del pane,è in realtà una ripresa del gesto uti-lizzato da molti artisti per rappresen-tare Cristo risorto: si tratterebbe cioèdi un modo per associare la benedi-zione eucaristica al trionfo dellaresurrezione36. É possibile che laCena in Emmaus del Caravaggio siastata collocata in una sala da pranzodel palazzo Mattei e che quindi essapotesse ricordare il rito di benedizio-ne della mensa prima della cena, ilBenedicite (Ante coenam)37.

Va infatti ricordato che diversetele con la raffigurazione della Cenain Emmaus realizzate in area venetaavevano pure lo scopo di ornare lesale da pranzo di ricchi patrizi equindi di mettere in evidenza il valo-re dell’ospitalità dei membri dellafamiglia, i quali, talvolta, si facevanopure ritrarre in tali quadri. Ad esem-pio, nella Cena in Emmaus posta nellachiesa di San Salvador a Venezia, undipinto del 1513 attribuito alla scuoladi Giovanni Bellini, il committente,cioè il banchiere Girolamo Priuli, si èfatto raffigurare alla sinistra di Cristo(fig. 4)38; mentre nella Cena inEmmaus di Tiziano del Louvre, del1535 circa, è stato riconosciuto, sem-pre a sinistra di Gesù, il ritratto delcommittente Nicola Maffei (fig. 3)39.In fondo, il tema della Cena inEmmaus era in qualche modo ancheconnesso a quello dell’ospitalità. Éstato infatti osservato come non dirado il motivo della ‘Cena inEmmaus’, che presupponeva anchela raffigurazione dei discepoli chetrattengono premurosamente il ‘pel-

legrino’, fosse stato utilizzato peraffreschi o per dipinti collocati neipressi delle foresterie dei conventi40.

Sulla tavola della Cena in Emmausdel Merisi è posto anche, sulla sini-stra, un boccale di terracotta decora-ta che, ovviamente, doveva contene-re il vino. John Varriano ha eviden-ziato che il Caravaggio ha utilizzatoun boccaletto di produzione romanadel tardo Cinquecento ornato condelle decorazioni basate sullo stiledella produzione originaria di Mon-telupo (vicino a Firenze). Di solito –precisa lo studioso – sul fronte di taliboccaletti era presente un tondo conun motivo figurale o con uno stem-ma araldico. Invece il Caravaggio hatralasciato tale tradizione e vi hadipinto il tema ornamentale dell’e-dera41. Anche questo motivo, insoli-tamente raffigurato sul boccaletto, èun altro piccolo indizio della pre-gnanza simbolica degli oggetti pre-senti sulla tavola ‘eucaristica’ ideatadal Merisi. Infatti l’edera, comepianta sempre verde, allude anchealla vita eterna: è simbolo di amore(l’amore di Cristo per gli uomini) edi immortalità/eternità (la resurre-zione di Cristo)42. Il Varriano ha inol-tre osservato che in un casa nobilein cui si usava un tappeto orientale,come quello raffigurato dal Merisi,non si sarebbe mai usato un boccaledi ceramica, cioè un contenitore rea-lizzato con un materiale non partico-larmente pregiato43. E anche questopuò essere considerato un indiziodel fatto che il pittore non ha ripro-dotto una reale tavola apparecchia-ta, ma ha operato una ricostruzione

il più possibile simbolica, individuan-do solo alcuni significativi elementi.

La brocca vitrea posta sulla sini-stra contiene dell’acqua. Anche l’ac-qua ha un’ovvia valenza eucaristica.Secondo Philip H. Pfatteicher, quel-la raffigurata nella Cena in Emmausdel Merisi può riferirsi all’acquasgorgata dalla roccia che dissetò gliisraeliti (Es 17, 1-7), o anche allenozze di Cana durante le quali Cri-sto trasformò l’acqua in vino (Gv 2,1-11), mostrando come il vino (ilnuovo patto) sorpassi l’acqua (il vec-chio patto)44. Il Concilio di Trentoaveva ribadito che l’acqua era ele-mento fondamentale del sacrificioeucaristico: nel VII canone dellaXXII sessione si legge che nel miste-ro eucaristico, con la combinazionedi acqua e vino, si commemora lamescolanza di sangue e acqua uscitidal costato di Cristo durante la croci-fissione45. E infatti, in funzione anti-protestante, nel canone IX del Desacrificio Missae si ribadiva: “Si quisdixerit [...] aquam non miscendamesse uino in Calice offerendo, eoquod sit contra Christi institutio-nem; anathema sit”46. Il concetto èripreso dal Catechismo romano del1564; nella traduzione in italiano del1568 si legge: “ha poi sempre laChiesa di Dio mescolata l’acqua conil uino: [...] perche con questomescolamento si rinuoua la memo-ria del sangue, & de l’acqua, cheuscirono del suo costato aperto[...]”. Inoltre si precisa che, sebbeneil sacramento senza tal ‘mescolamen-to’ rimane ‘perfetto’, il sacerdoteche non operi in tal senso incorre

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nel “mortal peccato”47. La brocca conl’acqua è uno degli esempi dellastraordinaria abilità del Caravaggiodi raffigurare i riflessi degli oggettivitrei. Colin Wiggins ha sottolineatocome il fascio di luce che, passandoper il vetro, si riflette sulla tovagliasimboleggi, nel dipinto del Merisi, lavenuta di Cristo: si tratterebbe cioèdi un’allusione alla nascita verginalein quanto la luce trapassa il vetrosenza infrangerlo48. La specifica bra-vura del Merisi nell’elaborare i rifles-si vitrei era stata evidenziata anchedal Bellori, il quale aveva scritto chel’artista lombardo “Dipinse vna caraf-fa di fiori con le trasparenze dell’ac-qua, e del vetro, e co’ i riflessi dellafenestra d’vna camera, sparsi li fioridi freschissime rugiade, & altri qua-dri eccellentemente fece di simileimitatione”49. Con ogni probabilitàegli acquisì tale abilità durante la suaformazione lombarda. Il pittore eteorico milanese Giovan PaoloLomazzo, in alcuni capitoli del suoTrattato dell’arte de la pittvra, dato allestampe a Milano nel 1584, lo stessoanno in cui Michelangelo entrò nellabottega del maestro Simone Peterza-no (un artista che si dichiarava allie-vo di Tiziano), aveva esaminato lavarietà fenomenologica dei riflessiluminosi. In uno dei suoi capitoli, ad

esempio, il Lomazzo così scrive, sof-fermandosi sugli effetti del ‘lume’che attraversa i ‘corpi aquei’: “Maancora che la luce non abbia colore,però ha questa proprietà, & virtùche manifesta, & dimostra i coloridoue sono. E cosi quando la lucepassa per il vetro verde scuopre ilcolor verde, & lo dimostra all’oc-chio, sembrando che la luce, & iraggi siano verdi. E cosi discorrendosi può addurre l’essempio quando laluce passa per vna carrafa piena devin Vermiglio”50. Inoltre, il pittoreGiovan Ambrogio Figino (allievo delLomazzo), uno tra i più noti artistimilanesi attivi durante il periododella formazione lombarda del gio-vane Michelangelo, aveva disegnato(rendendo luci e ombre con l’acque-rello) diversi contenitori vitrei con iriflessi luminosi simili a quelli poidipinti dal Caravaggio nella Cenalondinese51. Probabilmente il Merisitenne anche conto del celeberrimoCenacolo di Leonardo visto a Milano:nella sua opera murale il pittore fio-rentino dipinse dei contenitori vitreiche il recente restauro ha reso piùleggibili evidenziandone il sottilegioco di trasparenze, come nellabrocca di vetro posta vicino allamano sinistra di Cristo52. Il Caravag-gio, inoltre, può aver visto anche la

Cena in Emmaus (ora in collezioneprivata) di Giovanni Agostino daLodi, eseguita verso il 1495-1498. Inquest’opera sono raffigurati bicchie-ri e brocche di vetro, parzialmenteriempite di vino, la cui trasparenza èresa magnificamente da illusionisticiriflessi luminosi che esaltano lerispettive ombre colorate (fig. 5)53.

Accanto alla brocca con l’acqua, ilMerisi ha dipinto un bicchiere condel vino bianco. La forma del conte-nitore vitreo è simile a quella di uncalice: è una accentuazione del valo-re sacramentale del vino presentesulla tavola. Non a caso davanti aGesù non troviamo il bicchiere diceramica utilizzato invece dal disce-polo raffigurato a destra. Nella Cenain Emmaus di Londra del Caravaggiocompare il vino bianco e non quellorosso, inserito invece nell’altra suaversione della Cena ora a Brera.Secondo Susanne J. Warma, il coloredel vino bianco alluderebbe allamescolanza di vino con l’acqua, laquale fuoriuscì dal costato di Cristodurante la crocifissione54. È statoinoltre notato che l’uso del vinobianco si diffuse a partire dalla finedel Quattrocento e venne poi, apoco a poco, preferito al vino rossoin quanto evitava la confusione trop-po seducente tra il colore del vino

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rosso e il sangue di Cristo come realesostanza eucaristica55. A parere delVarriano, però, il Caravaggio si èspinto a tingere “il vino del bicchieredi un rosso pallido, a indicazione cheè stato diluito in precedenza” condell’acqua56. Il Merisi ha certamentecopiato dal vero gli oggetti vitrei raf-figurati sulla tavola della Cena inEmmaus. In un inventario del 6 ago-sto 1605 relativo ai suoi beni sonoregistrati “undeci pezzi de vetro, cioèbicchieri, carafe, et fiasche di paglia[…]”: è dunque probabile che alcunidi questi ‘vetri’ siano stati specifica-mente utilizzati dal Caravaggio nelsuo dipinto con la Cena in Emmaus57.

Al centro della tavola, parzialmen-te nascosto dalla melagrana e da unpampino del cesto di frutta, spiccaun volatile arrosto posto sopra unpiatto decorato (fig. 6). Di che tipodi volatile si tratta? Gli studiosi, tran-ne qualche rarissima eccezione chevedremo più avanti, nell’analizzaretale particolare hanno parlato esplici-tamente di ‘pollo’58, con tutte levarianti del caso: ‘invitante pollo’59,‘cooked fowl’60, ‘chicken’61, ‘capponearrostito’62, ‘roasted fowl’63. Coloroche hanno considerato il volatilecome un ‘pollo’ hanno ovviamenteanche tentato di interpretarne ilsenso. In particolare RudolfWittkower nota che le articolatemani di Cristo si contrappongono“alle zampe inerti del pollo che èsulla tavola”64. Catherine Rose Puglisiscrive che si tratta di un ‘pollo’, cioèdi un volatile morto, inserito comecontrasto alla figura di Cristo risortoche promette la vita eterna65; mentreCharles Scribner III ritiene che ilpollo arrosto rappresenti il cibo ordi-nario contrapposto al cibo sacramen-tale66. Maurizio Calvesi scrive che ilCaravaggio ha dipinto un ‘pollo arro-stito’ perché esso è allusivo dellamorte e della resurrezione67. Inoltre,in un altro suo testo, egli evidenzia

come sulla mensa-altare della Cenain Emmaus sia solitamente presenteun animale morto (pesce, agnello),allusivo al sacrificio di Cristo, o,come nel caso del dipinto del Cara-vaggio, “un pollo o una gallina, cheè figura evangelica di Gesù”68. Fran-cesco Saracino scrive che il ‘pollo’(gallina) rimanda al testo di Matteonel quale vengono riferite le seguen-ti parole di Gesù: “Gerusalemme[...] quante volte ho voluto racco-gliere i tuoi figli, come una chiocciaraccoglie i suoi pulcini sotto le ali, evoi non avete voluto!” (Mt 23, 37)69.In realtà la gallina in questo contestoevangelico ha un significato diverso.Infatti, nel manuale iconografico diLouis Charbonneau-Lassay un capi-tolo è espressamente intitolato “LaGallina, emblema della bontà vigi-lante del Salvatore”, con un significa-to dunque decisamente differenterispetto a quello della resurrezione70.Mina Gregori sottolinea che il “vola-tile arrostito”, con il suo essere stec-chito e inerte, si contrappone algesto sacramentale di Cristo, il qualeesprime il “suo potere traumaturgicoe vivificante”; e, in un altro contesto,precisa che il “pollo allude allamorte e al sacrificio”71. Cesare Bran-di nega invece ogni possibile simbo-logia e scrive: “c’è proprio bisognodi rincarare la dose del pane e delvino facendo del pollo arrosto ilcorpo di Cristo?”72. Anche per LauraLaureati “la canestra di frutta, la bot-tiglia e il pollo” alludono semplice-mente al “pasto che Cristo divide

con i discepoli”73. Sybille Ebert-Schif-ferer, pur senza accennare a possibilisignificati, sostiene che nel dipingereil ‘pollo’ sembra che il Caravaggio sisia divertito ad adeguarsi alla culturanordica in quanto polli simili non sitrovano nella pittura italiana74.Michael Fried parla di ‘dead bird’specificando che esso allude alla pas-sione di Cristo75. Anche Dante Berni-ni non identifica il volatile arrosto,ma scrive che tra i diversi simboli deldipinto di Londra compare “l’anima-le ucciso cioè la vittima da consuma-re”76. Maurizio Marini ritiene che sitratti di un “uccello morto (cadave-re), simbolo gnostico, neoplatonico ecattolico del peccato” e propone diinterpretarlo come un ‘gallo’, ipotesipoi però successivamente rivista dallostesso studioso77. Invece Philip Pfat-teicher sostiene con convinzione chesi tratti proprio di un gallo, il quale –egli scrive – è un simbolo tradiziona-le della passione, legato al tradimen-to di Pietro. Il gallo, dunque, suggeri-rebbe l’infedeltà di Pietro, ma nellostesso tempo evidenzierebbe il ribal-tamento della situazione in quanto ildiscepolo di destra (che secondo lostudioso potrebbe essere appuntoidentificato con Pietro) riconoscenella figura di Gesù il Cristo risorto.Inoltre – continua lo studioso – ilgallo nel folklore è stato usato comecapro espiatorio, e Cristo, secondoGiovanni (Gv 1, 29), è “colui chetoglie il peccato del mondo!”. Per-tanto il gallo morto posto sul tavolo“may signify the eschatological

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4. Giovani Bellini (scuola di), 1513,Cena in Emmaus, Venezia, Chiesa diSan Salvador.

5. Giovanni Agostino da Lodi, 1495-1498 ca, Cena in Emmaus, Collezioneprivata.

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theme of the harvest of the nationsgathered by the dying and risingSavior”, e quindi la Cena in Emmausrappresenterebbe il compimentodella promessa dell’Antico Testamen-to. Tale studioso suggerisce pure cheil Caravaggio nel dipingere il pane eun ‘uccello’ avrebbe voluto far riferi-mento al testo dell’Esodo (Es 16, 13-15) e dei Numeri (Nm 11, 1-35) incui si parla della manna (prefigura-zione dell’eucaristia) e delle quagliedate agli israeliti che si erano lamen-tati durante la traversata deldeserto78. Il gallinaceo arrostito èstato anche identicato con una farao-na. Se ne accenna in un libro divul-gativo sulla cucina e in un recentetesto del Varriano, il quale scrive cheil “piatto principale” del dipinto delMerisi “è faraona al forno”79.

Ma l’arrosto che il Caravaggio hadipinto al centro della sua ‘mensaeucaristica’ è davvero quello di unpollo (gallina o gallo)? C’è veramen-te da dubitarne. Se osserviamo conattenzione la sua forma, ed in parti-colare le zampe, ci accorgiamo cheesse rimandano di certo ad un altrogallinaceo. Potrebbe essere un tac-chino (ma il volatile dipinto dalMerisi non ha la grossezza di un tac-chino), oppure potrebbe essere,come abbiamo appena visto, unafaraona. Ma l’ipotesi più convincen-te, esaminando con cura soprattuttola sagoma complessiva e la strutturadelle sue zampe, è che si tratti di unpavone. In realtà, al giorno d’oggisiamo abituati ad immaginare il pavo-ne come un bellissimo volatile dalle

stupende piume che possiamoammirare in qualche giardino o fat-toria. In fondo, lo consideriamoessenzialmente come un uccello‘decorativo’ che, di solito, non vienecucinato arrosto per essere posto suuna tavola imbandita. In realtà, nelpassato, il pavone era spesso prepa-rato come prelibatezza dai cuochipiù raffinati. Ad esempio in un cele-bre manuale di cucina di Piero Cre-scenzi (scritto tra Due e Trecento,ma pubblicato nel 1490) si parlaespressamente della carne “de pago-ni” e si sostiene con convinzione chele “loro carni assai buone sono. Maasmaltire son dure”80. In un famosotesto di Vincenzo Cervio (al serviziodi casa Farnese), edito a Venezia nel1581 e poi a Roma nel 1593, intitola-to Il Trinciante (cioè colui che èaddetto a “trinciare”, cioè a tagliarela carne), tra le poche illustrazionipresenti raffiguranti gli attrezzi dilavoro una è particolarmente inte-ressante perché presenta, associati,due volatini arrosto: un “Gallo d’In-dia” (così era chiamato in Italia iltacchino) e un “Pauone”, ciascunocon l’indicazione precisa dei nomidi alcune delle parti da ‘tranciare’.Sul pavone sono segnalati il ‘Codiro-ne’, la ‘Punta d’ala’, l’’Ala’, la‘Cossa’ (coscia) e la ‘Sopra cossa’(fig. 7)81. Uno specifico capitolo ècosì intitolato: “Il modo che deuetenere il Trinciante, nel imbroccare[cioè colpire, infilzare con precisio-ne] et trinciare tutti li animali volati-li; ma prima diremo come s’imbroc-ca, et come si trincia il pauone. Cap.

XI”, o ancora: “Come si trincia vnpauoncino ò gallo d’India giouanipollastrelli. Cap. XVIII”82. Nel capito-lo XI il Cervio sottolinea che “grandifferenza si troua da vn pauonegiouane frollo, & ben acconcio, davno vecchio, duro & mal cotto, l’unoper la bontà sua [il trinciante] lopotrà con molta facilità imbroccare ètrinciare, ma l’altro per la sua durez-za, malamente lo potrà trinciare, nediuidere [...]”. E infatti nel capitoloXVIII il Cervio scrive che “Il pauonci-no giouane è vccello eccellentissimo,& assia migliore del pauone vecchio,& si cosiumano molto alla tauola degran signori [...]”83. E, naturalmente,anche i Mattei erano “gran signori”.É molto probabile che il pavonearrosto raffigurato dal Caravaggio siastato un pavone “giouane” perchéquelli giovani non presentavanoancora il tipico sperone della zampache contraddistingue invece il pavo-ne vecchio (o la pavona). E in effettinell’arrosto raffigurato dal Merisi,come pure nell’incisione inserita neltrattato del Cervio, le zampe sonoprive di sperone.

Dunque è testimoniato che aRoma alla fine del Cinquecento eranormale presentare in tavola unpavone arrosto. In una casa comequella dei Mattei non doveva di certomancare una cucina ben fornita. Esulla tavola sarà stato presentato piùvolte anche un pavone arrosto, uncibo che il Caravaggio ha quindipotuto raffigurare con precisione,dipingendolo magari in cucinaprima che venisse portato sulla tavoladei signori ‘committenti’. Natural-mente ci possiamo chiedere perchémai il Merisi tra i diversi gallinaceiabbia scelto proprio il pavone. Larisposta è in qualche modo ovvia:perché sopra la tavola ‘eucaristica’,imbandita per la Cena in Emmaus, lasimbologia era indispensabile. E ilpavone aveva una fortissima connota-zione simbolica, molto più del pollo,della faraona o di altri volatili. Giàdall’antichità il pavone era conside-rato “il simbolo dell’eternità, del rin-novamento e dell’immortalità”84. Pli-nio il Vecchio, ad esempio, scrive cheil pavone era ritenuto un cibo lussuo-so e che, come uccello, ha la caratte-ristica di perdere la coda “al caderdelle foglie”, sino a che “non glienerinasce un’altra insieme con la fiori-tura primaverile”85. Per questo, riba-disce Mirella Levi d’Ancona, riferen-dosi al testo pliniano, tale “mutazio-ne divenne simbolo di Risurrezione,e specialmente della Risurrezione di

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Cristo”86. La simbologia antica dirigenerazione e immortalità è infattipoi passata anche nell’arte paleocri-stiana: ad esempio due magnificipavoni in bronzo dorato con la codachiusa che decoravano, come allego-ria paradisiaca e simbolo di immorta-lità, il mausoleo di Adriano (CastelSant’Angelo) furono poi reimpiegaticon la stessa valenza simbolica nellabasilica di San Pietro, dove rimaserofino al 1608 (ora sono nei Musei Vati-cani)87. Il pavone, inoltre, venne spes-so raffigurato sui sarcofagi e nellecatacombe con un preciso significatodi allusione “alla vittoria sulla morte,alla Resurrezione”88. Riprendendoanche una tradizione orientale, ilpavone con la coda aperta a venta-glio (simbolo solare) poteva assume-re la simbologia della “gloria di Cri-sto”, mentre il pavone con la codachiusa poteva essere usato come“emblema dell’Immortalità, dell’Eu-caristia e della Vita Eterna”. Spessogli artisti paleocristiani raffiguraronoil pavone a coppia, a fianco del caliceeucaristico o di una croce con ilmonogramma, in modo da sottoli-neare che si accede alla vita eternaattraverso il sacrificio di Cristo.

Abbiamo visto sopra dalle paroledel Cervio che il pavone aveva spessola carne dura. La caratteristica delladurezza della carne del pavone avevafatto sì che nel passato ad esso fosseassociato il significato simbolico del-l’incorruttibilità e quindi della resur-rezione. Sant’Agostino nel De civitateDei associa esplicitamente il pavoneall’incorruttibilità, e in un branoparla addirittura della sua esperienzapersonale relativa alla degustazionedi un pavone “arrosto”. “Nell’eter-nità la costituzione della carne avràtale proprietà [di non consumarsi]innestata da colui che nei vari oggettiche vediamo ne ha innestate moltecosì stupende e diverse che non leammiriamo perché sono molte. Sol-

tanto Dio ha concesso alla carne delpavone morto di non imputridire.Sembra una cosa incredibile a udirsiquel che ci capitò a Cartagine. Ci fuimbandito questo uccello arrosto.Demmo ordine che fosse conserva-to, quanto sembrò opportuno, unostacco di magro dal petto. Consegna-to e portato a tavola dopo un perio-do di giorni tale che qualsiasi altracarne arrosto sarebbe imputridita,quella non offese affatto il nostroodorato. Messo da parte, dopo piùdi trenta giorni fu trovato qual era ecosì dopo un anno, salvo che era dimole più secca e ridotta”89.

Sant’Antonio da Padova, invece,associa il pavone all’albero-Cristoper via delle sue penne che ricresco-no in primavera e che quindi simbo-leggiano l’“abiezione della gloriatemporale”: “Nei pavoni si designal’abiezione della gloria temporale.Onde si deve notare che il pavonegetta via le sue penne insieme colprimo albero che getta via le suefoglie; e gli nasce poi la piuma quan-do gli alberi principiano a mettere lefoglie.

Primo albero fu Cristo che fupiantato nell’orto della voluttà, cioènell’utero della Vergine beata.Foglie di tale albero son le sue paro-le; quando il predicatore le getta, ilpeccatore le raccoglie e butta via lesue penne, cioè le ricchezze.

Ma nella generale risurrezione,nella quale, tutti gli alberi, cioè tutt’iSanti principiano a verdeggiare; allo-ra quello che buttò via le penne deibeni temporali riceverà la piuma del-l’immortalità.

Come il pavone ha bellezza nellepenne e turpitudine nei piedi, consi-derando i quali, dirò così, si reprimela sua bellezza; così i penitenti,ricondandosi della loro viltà e inci-nerazione, buttano via la gloria diquesto secolo”.

In un altro passo, sant’Antonioscrive: “[...] i pavoni, la cui carne sidice che, dopo seccata, rimaneincorrotta, i quali si vestono con bel-lezza di penne, significano i perfetti,cotti a fuoco di tribolazione, tantoda decorarsi di varie virtù”90.

Giovanni Boccaccio nel suo Trat-tatello in laude di Dante attribuisce alpavone alcune “propietà”. Ad esem-pio, scrive che “la sua carne è odori-fera e incorruttibile”. Lo scrittore,perciò, basandosi proprio su questecaratteristiche peculiari, proponeaddirittura di paragonare l’‘incorru-tibilità’ della carne del pavoneall’“incorruttibile” senso morale o

teologico della Divina Commedia:“Dico che il senso della nostra Come-dia è simigliante alla carne delpaone, perciò che esso, o morale oteologo che tu il dèi a quale partepiù del libro ti piace, è semplice eimmutabile verità, la quale non sola-mente corruzione non può ricevere,ma quanto più si ricerca, maggioreodore della sua incorruttibile soavitàporge a’ riguardanti”91. Si può inoltreanche ricordare che il monaco bene-dettino Jerónimo Lloret (GerolamoLaureto) nella sua Sylva allegoriarvmTotius Sacrae Scripturae, pubblicatanella seconda metà del Cinquecento,annota che la carne “siccata” delpavone “imputribilis permanere dici-tur”, e che i pavoni, “quia pennarumpuchritudine vestiuntur, designarepossunt perfectos”92.

Nel corso dei secoli, il pavoneassunse anche altri significati, com-preso quello puramente decorativo.Tuttavia, è stato sottolineato, gliaspetti simbolici più diffusi rimasero“quelli dell’Immortalità, ovvero la vit-toria sulla morte tramite l’operadella Salvazione”93. Proprio con que-sto significato è stato spesso usato neidipinti quattrocenteschi nelle scenecon la Natività, l’Adorazione dei Pastorio i Magi. Il pavone è presente, perfare solo un esempio tra i tanti, allabase di una finestra collocata a destranell’Ultima cena eseguita nel 1480 daDomenico Ghirlandaio per il refetto-rio della chiesa fiorentina di Ognis-santi94.

È probabile che la simbologia delpavone sia stata recuperata in modoparticolare in ambiente romanoverso la fine del Cinquecento sullascia della riscoperta e della rivaluta-

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6. Caravaggio, Cena in Emmaus, 1601,particolare, Londra, National Gal-lery. © The National Gallery, Lon-don.

7. Anonimo, “Gallo d’India” e “Pauo-ne”, in V. Cervio, Il Trinciante, Roma1593, rist. anastatica, Bologna 1980,p. 10.

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zione della cultura paleocristiana95. Etale passione per l’archeologia cri-stiana derivò anche dalla necessità dicontrobattere gli attacchi protestantialla tradizione cattolica96. Uno deitesti più famosi dedicati alla ricercaarcheologica delle radici della Chiesaprimitiva fu certamente la Roma sot-terranea [...] Nella quale si tratta de’sacri Cimiterii di Roma di AntonioBosio (1575 ca - 1629), uno studiosoche aveva dedicato tutta la sua vitaallo studio delle catacombe. In que-sto testo, stampato postumo con ladata 1632, ma preparato anni prima,egli si sofferma anche sulla simbolo-gia del pavone in quanto uccello nondi rado rappresentato nei “sacriCimiterij”, cioè nelle catacombe97. IlBosio ripropone l’immagine delpavone come allusiva anche dellaresurrezione, e si sofferma, di conse-guenza, sulla “proprietà della suacarne cotta, la quale è incorruttibi-le”. Lo studioso segnala pure il passodi sant’Agostino che aveva sperimen-tato personalmente l’incorruttibilitàdella carne di pavone arrosto e ibrani di sant’Antonio da Padova sutale tema (che abbiamo visto sopra).In particolare, il Bosio, citando ilpasso del santo francescano sullepenne di pavone che cadono, cosìriassume scrivendo a lato del testo:“Pavone simbolo della resurrettio-ne”98.

Il Caravaggio, ovviamente, puòessere venuto a conoscenza in piùmodi della ricchezza del simbolismopaleocristiano e quindi anche deisignificati attribuiti al pavone. Laconnessione pavone-resurrezione, adesempio, gli può essere stata suggeri-ta dallo stesso cardinale GirolamoMattei (fratello di Ciriaco), il qualedoveva di certo conoscere tutte lepossibili raffinate simbologie cristia-ne. E sebbene, come si è visto, ilpagamento per la Cena in Emmaus fuversato il 7 gennaio 1602 al pittoredal fratello Ciriaco Mattei, un docu-mento del 14 giugno 1601 testimoniache il Merisi alloggiava in quel perio-do proprio nel “Palatio” del cardina-le Girolamo99. Si deve inoltre tenerconto che il Caravaggio può averricevuto alcune informazioni sullesimbologie paleocristiane pure dal-l’amico Marzio Milesi, il quale era ungiureconsulto romano appassionatoanche di archeologia cristiana equindi attento studioso della Chiesaprimitiva e delle sue immagini simbo-liche100.

Dunque il pavone arrosto, postosul piatto al centro della tavola della

Cena in Emmaus, contribuisce adaccentuare simbolicamente il signifi-cato dello straordinario evento dellamanifestazione di Gesù risorto agliocchi dei due discepoli increduli.D’altra parte, anche nell’ambitodella tradizione pittorica, e in parti-colare di quella veneta, il piattoposato sulla tavola preparata aEmmaus conteneva cibi dalla forteconnotazione simbolico-religiosa.Era talvolta raffigurato l’agnello,usato nella pasqua ebraica, ma che icristiani identificavano con Cristoche “è stato immolato” (1 Cor 5, 7).Un esempio in tal senso si trovanella Cena in Emmaus di sapore bas-sanesco attribuito al fiammingo Pie-tro Mera e ora conservato presso leGallerie dell’Accademia di Venezia:al centro del tavolo è disposto unvassoio sul quale compare un agnel-lo arrosto101. Lo stesso Caravaggionella sua successiva Cena in Emmaus,ora a Brera, ha dipinto, sulla destra,un’anziana serva nell’atto di portarea mensa un piatto con delle carniche possono essere certamente iden-tificate come costolette di agnello102.

Più frequentemente era inveceriprodotto il pesce che era un notosimbolo di derivazione paleocristia-na allusivo alla divinità di Gesù Cri-sto103. Il pesce ‘arrostito’ era inoltreconsiderato il cibo tipico del perio-do post resurrezione perché essorinviava al pesce che Cristo mangiòalcune volte dopo la sua resurrezio-ne (Lc 24, 42-43 e Gv 21, 12-13). Diesempi di pesci inseriti nei quadricon la Cena in Emmaus ce ne sonodiversi, anche tra le miniaturemedioevali104. Ad esempio, un pesce ècollocato al centro della tavola dellaCena in Emmaus nel Salterio di Sant’Al-bano (Hildesheim, St. Godehard)105.Anche nella Cena in Emmaus (EmmausDemidoff) attribuita a Tiziano o allasua scuola (ora si trova presso laNational Gallery of Ireland di Dubli-no) – un dipinto che per alcuniaspetti presenta una struttura compo-sitiva che troviamo anche nel quadrodel Caravaggio – è raffigurato un“pesce cristologico” disposto su uncontenitore106. Un pesce ‘arrostito’collocato su un piatto al centro dellatavola nella scena della Cena inEmmaus si trova pure in un dipintopresente nella chiesa di Notre-Damedi Bruges che è stato dubitativamen-te attribuito (ma senza alcun fonda-mento) allo stesso Caravaggio107. Trepesci su un piatto sono invece raffi-gurati – oltre al pollame arrosto e auna quaglia viva che razzola sul pavi-

mento – nella già citata Cena inEmmaus della scuola di Giovanni Bel-lini, presente nella cappella dellaCustodia Eucaristica della chiesa diSan Salvador a Venezia (fig. 4). Unodei tre pesci è più grande degli altri equindi essi sono stati problematica-mente interpretati come allusivi aGesù e ai suoi due discepoli108. Inte-ressante, in particolare, è la Cena inEmmaus di Jacopo Bassano, del 1538,che si trova nel duomo dei Santi Pro-sdocimo e Donato di Cittadella (inprovincia di Padova). In questodipinto, al centro, è posto un piattocon un pesce di evidente connotazio-ne eucaristica. Quest’opera è peròricca anche di diverse altre simbolo-gie: ad esempio, in alto sulla destra,sulla corda in ferro dell’arco è posatauna rondine che è stata interpretatacome “simbolo dell’incarnazione diCristo” perché compare nei cieli nelperiodo pasquale109.

Il Bassano, in una sua variante(datata 1538) della stessa Cena inEmmaus, ora conservata presso ilKimbell Art Museum di Fort Worth(Texas), ha però sostituito il pescecon un piatto contenente cinqueuova che sono state interpretate siacome le cinque ferite della passionedi Gesù, sia come riferimento “allaquotidianità delle festività pasqua-li”110. Lo stesso numero di uova sonocollocate su un piatto e poste sullatavola della Cena in Emmaus dipintada Jacopo Chimenti da Empoli nel1609111. Le uova sono un evidentesimbolo di immortalità, di rinascita equindi di resurrezione, un simbolopresente anche nel contesto funera-rio greco-romano come segno appun-to di eternità e come segno di rigene-razione112. Anche altri cibi potevanoavere una connotazione simbolica. Èstato ad esempio osservato che nellaCena in Emmaus di Tiziano del Lou-vre, davanti alla figura di Cristo, com-pare un piatto con foglie di lattuga, lacui amarezza “rinvia simbolicamenteall’amarezza della penitenza”, eanche una mela cotogna che è statainterpetata, in questo caso, come“simbolo della resurrezione” (fig.3)113.

Si può quindi sostenere che il gal-linaceo arrosto dipinto dal Caravag-gio, ben evidenziato al centro del suodipinto londinese, raffiguri proprioun pavone, cioè un volatile – spessoutilizzato sulle mense dei signori deltempo – che la tradizione riconosce-va senza alcun dubbio come simbolodella resurrezione. In questo modo ilCaravaggio, seguendo in maniera

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creativa la tradizione pittorica cheattribuiva al cibo posto al centrodella tavola della Cena in Emmaus unafunzione simbolico-teologica, havoluto introdurre un alimento chepotesse contemporaneamente allu-dere sia alla concreta cena preparataper i tre viandanti di Emmaus, siaall’inaspettata manifestazione diGesù come Cristo risorto non corrot-to dalla morte. Il pavone arrosto èinoltre posizionato in modo danascondere parzialmente il pane

eucaristico. Si tratta, con ogni proba-bilità, di una sovrapposizione evoca-tiva voluta dallo stesso Caravaggio.Entrambi gli alimenti alludono infat-ti al corpo risorto di Cristo: il pavonecome carne sacrificale apparente-mente morta, ma in realtà conside-rata incorruttibile, mentre il panecome cibo eucaristico che simboleg-gia la reale presenza di Gesù nell’eu-caristia. Il pavone arrosto, la cane-stra di frutta matura che sembracadere dal bordo e gli altri oggetti

visti sopra – tutti elementi che contri-buiscono a ‘costruire’ la simbologiadella ‘mensa eucaristica’ della Cenain Emmaus del Caravaggio – furonocertamente apprezzati dal cardinaleGirolamo Mattei e dal fratello Ciria-co, i committenti del dipinto. Essi neavranno di sicuro colto l’illuminantesimbologia religiosa resa ancor piùevidente e pregnante dalla maestriapittorica con la quale il pittore lom-bardo rese mimeticamente la loroforma materiale.

Questo saggio fa parte di un testo più ampiodedicato interamente alla Cena in Emmaus diLondra, che spero di concludere e pubblicare alpiù presto.

(1) Sul dipinto si vedano in particolare(con bibliografia precedente): M. CINOT-TI, Caravaggio. Le opere, in M. CINOTTI -G.A. DELL’ACQUA, Michelangelo Merisidetto il Caravaggio. Tutte le opere, in I pittoribergamaschi dal XIII al IX secolo. Il Seicento,Bergamo, 1983, I, pp. 450-453, n. 25; M.MARINI, Caravaggio “pictor praestantissi-mus”. L’iter artistico completo di uno dei massi-mi rivoluzionari dell’ar te di tutti i tempi,Roma, 1987, IV ed. rivista e aggiornata2005, pp. 222-223, n. 47, e pp. 456-458, n.47; J.T. SPIKE (con l’assistenza di M.K.Spike), Caravaggio, New York-London(2001) 2010, pp. 115-118, e scheda n. 25nel CD allegato; S. DANESI SQUARZINA,Cena in Emmaus, in C. STRINATI (a curadi), Caravaggio, cat. della mostra, Milano,2010, pp. 116-123.

(2) Sull’iconografia della Cena inEmmaus, si veda in particolare il ricco appa-rato iconografico in L. RUDRAUF, Le repasd’Emmaüs. Etude d’un thème plastique et de sesvariations en peinture et en sculpture, Paris,1955-1956, voll. 2 (sono pubblicate 273immagini). Un corposo elenco di più dimille opere relative alla Cena in Emmaus(purtroppo, però, senza immagini), elabo-rato da Leif Osvold (Oslo), si trova alseguente indirizzo web: http://home.on-line.no/~logl/emmaus/index.html. Si vedanoinoltre le opere pubblicate in G. MARIANICANOVA - A.M. SPIAZZI - C. VALENZIA-NO (a cura di), Incontrarsi a Emmaus, cat.della mostra, Padova, 1997.

(3) Cfr., ad esempio, G. REBECCHINI,Tiziano e Mantova: la Cena in Emmaus perNicola Maffei, in “Venezia Cinquecento.Studi di storia dell’arte e della cultura”, V,10, 1995, pp. 41-68; e R.W. SULLIVAN,Cracking the Egg: Jacopo Bassano’s Supper atEmmaus, in “Source. Notes in the Historyof Art”, 13, 3, 1994, pp. 27-35.

(4) Sulla ‘mensa eucaristica’, si vedano,ad esempio, J. VARRIANO, Caravaggio andthe Decorative Arts in the Two Suppers atEmmaus, in “The Art Bulletin”, LXVIII, 2,1986, p. 219; Marini, 2005, p. 457; L.

AMIRA STRADA, Il Vangelo della Cena diEmmaus secondo Caravaggio tra spiritualità deltempo e vissuto personale del pittore, elaboratoper il diploma di Spiritualità, Centro Studidi Spiritualità Facoltà Teologica dell’Italiasettentrionale, Milano, 2008, p. 14 (testopresente presso la Biblioteca Ambrosianadi Milano); R. VODRET, Caravaggio aRoma. Itinerario. Guida storico-artistica, Cini-sello Balsamo (Mi), 2010, p. 136.

(5) G. WOLF - H. BAADER, Vino biancoo vino rosso: una tavola apparecchiata per gliocchi. Considerazioni intorno alle due cene inEmmaus di Caravaggio, in V. MADERNA - A.PACIA (a cura di), Caravaggio ospita Cara-vaggio, cat. della mostra, Milano, 2009, p.40.

(6) A. MOIR, Caravaggio, New York,1982, tr. it. Caravaggio, Milano, 1982, p.102.

(7) Cfr. Varriano, 1986, p. 218.

(8) Varriano, 1986, p. 219.

(9) Varriano, 1986, pp. 218-219. Secon-do H. POTTERTON, The Supper at Emmausby Caravaggio, London, 1975, p. n.n., il tap-peto orientale era più frequentementeusato in area veneta. Sulla diffusione deitappeti orientali nella pittura veneta, si vedain particolare C. SCHMIDT ARCANGELI,Fra rito e potere. Il tappeto nella pittura venezia-na del XV secolo, in M. TABIBNIA - T. MAR-CHESI - E. PICCOLI (a cura di), Crivelli el’arte tessile. I tappeti e i tessuti di Carlo Crivelli,Milano, 2010, pp. 97-117. Sulla formazionegiovanile del Caravaggio, si veda, da ultimo(con bibliografia precedente), G. BERRA, IlCaravaggio nel ducato di Milano. “Questo pitto-re... al parlare tengo sia milanese... mettete lom-bardo, per che lui parla alla lombarda”, in V.SGARBI (a cura di), Gli occhi di Caravaggio.Gli anni della formazione tra Venezia e Milano,cat. della mostra (Milano), Cinisello Balsa-mo (Mi), 2011, pp. 26-45.

(10) Cfr. la nota 99 e, per una sintesi, G.BERRA, Il “canestro di frutta matura” nellaCena in Emmaus del Caravaggio e la visionedel profeta Amos, in corso di pubblicazione.

(11) Cfr. E. SCHRÖTER, Caravaggiound die Gemäldesammlung der Familie Mattei.Addenda und Corrigenda zu den jüngsten For-

schungen und Funden, in “Pantheon”, LIII,1995, p. 86, doc. n. 5 (ff. 11r-11v). Si vedaanche J. VARRIANO, Caravaggio. The Art ofRealism, University Park (Pennsylvania),2006, p. 124.

(12) Cfr. Varriano, 1986, pp. 219 e 222;e J. VARRIANO, Caravaggio’s Carpets, in“The Burlington Magazine”, CXXXIV,1069, 1992, p. 505.

(13) G.P. BELLORI, Le Vite de’ Pittori, Scvl-tori et Architetti moderni, Roma, 1672, p. 214.

(14) D. BERNINI, Asterischi caravaggeschi,in “Studi di Storia dell’Arte”, 8, 1997, pp.319-320. Si veda anche W. PICHLER, DieEvidenz und ihr Doppel. Über Spielräume desSehens bei Caravaggio, in V. BEYER - J.VOORHOEVE - A. HAVERKAMP (a curadi), Das Bild ist der König. Repräsentation nachLouis Mari, München, 2006, p. 126, ripubbli-cato in W. PICHLER, Il dubbio e il doppio: leevidenze in Caravaggio, in S. EBERT-SCHIF-FERER et al. (a cura di), Caravaggio e il suoambiente. Ricerche e interpretazioni, CiniselloBalsamo (Mi), 2007, p. 9; e M. KOOS, Hautals mediale Metapher in der Malerei von Cara-vaggio, in D. BOHDE - M. FEND (a cura di),Weder Haut noch Fleisch: das Inkarnat in derKunstgeschichte, congresso (Frankfurt amMain, 2003), Berlin, 2007, p. 77.

(15) Cfr. J.C. BELL, Light and Color inCaravaggio’s Supper at Emmaus, in “Artibuset Historiae”, 31, XVI, 1995, p. 150.

(16) Pichler, 2006, p. 134, ripubblicatoin Pichler, 2007, p. 15.

(17) J.F. MOFFITT, La fusione tra scienzae simbolismo nel chiaroscuro del XVI secolo, inLa luce del vero. Caravaggio, La Tour, Rem-brandt, Zurbarán, cat. della mostra (Berga-mo), Cinisello Balsamo (Mi), 2000, p. 55.In realtà Cristo non sta spezzando il pane,ma lo benedice, come vedremo meglio piùavanti.

(18) Ottime foto, dopo il restauro, sipossono trovare in P. BRAMBILLA BARCI-LON - P.C. MARANI, Leonardo. L’ultimaCena, Milano, 1999, pp. 307 ss.

(19) Cfr. G. BERRA, Il “canestro di fruttamatura” nella Cena in Emmaus del Caravag-

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gio e la visione del profeta Amos, in corso dipubblicazione (con bibliografia preceden-te).

(20) C. VALENZIANO, Emmaus (Lc24,13-35). Icone del vespro pasquale e iconedella celebrazione eucaristica, in Mariani Cano-va - Spiazzi - Valenziano, 1997, pp. 74-75.

(21) Cfr. Varriano, 2006, p. 124 e ill. 93.

(22) Cfr., rispettivamente, J. DUPONT,Les disciples d’Emmaüs (Lc 24, 13-35), in LaPâque du Christ Mystère de salut. Mélanges offertsau P. F.-X. Durrwell pour son 70e anniversaire.Avec un témoignage du jubilaire, Paris, 1982, p.192 (“rite eucharistique”); e L. MARSILI,Teologia della celebrazione dell’eucaristia, in L.MARSILI et al., Anàmnesis. 3/2 La liturgia,eucaristia: teologia e storia della celebrazione,Casale Monferrato, 1983, p. 12. Erronea-mente, dunque, H. WAGNER, Michelangeloda Caravaggio, Bern, 1958, p. 189, nota 209,sostiene che il Caravaggio non ha seguito iltesto di Luca poiché non ha rappresentato ilmomento dello spezzare del pane.

(23) Cfr. Marsili, 1983, p. 14 e p. 15.

(24) ILDEBERTO, Diversorum SacraeScripturae locorum. Applicatio moralis ex VeteriTestamento ab ispo excogitata et metrice redditain J.P. MIGNE (a cura di), Patrologia Latina,Paris, 1893, CLXXI, col. 1278B, § XVIII.

(25) Cfr. H. DE LUBAC, Exégèse médiéva-le. Les quatre sens de l’Écriture, Paris, 1959-1964, tr. it. Esegesi medievale. I quattro sensidella Scrittura, Roma 1962, p. 720.

(26) B. OCHINO DA SIENA, Predica pre-dicata in Vinegia il lunedì di PasquaM.D.XXXIX, in C. CARGNONI (a cura di), IFrati Cappuccini. Documenti e testimonianze delprimo secolo, Perugia, 1991, III/1, p. 2258.

(27) P. SARPI, Istoria del Concilio Tridenti-no, a cura di G. Gambarin, Bari, 1935, II, p.407 (libro VI, cap. VI).

(28) Canones, et Decreta Sacrosancti Oecv-menici et Generalis Concilii Tridentini svb PavloIII, Ivlio III, et Pio IIII, Pontificibvs Max. IndexDogmatum, & Reformationis, Roma, 1564,rispettivamente pp. 129, 132, 132.

(29) Catechismo, cioe istrvttione, secondo ildecreto del Concilio di Trento, a’ parochi, Publi-cato per comandamento del Santiss. S.N. PapaPio V. & tradotto poi per ordine di S. Santità inlingua volgare dal Reuerendo Padre frate AlessoFigliucci, de l’ordine de’ Predicatori, Venezia,1568, pp. 256-257. Il testo in latino è ilseguente: “Deinde, quod maxime omniumad rem pertinet, conuellenda erat eorumhaeresis, qui negabant sub utraque specietotum Christum esse, sed corpus tantumexangue sub panis, sanguinem autem subuini specie contineri asserebant.” (Catechi-smvs, Ex Decreto Concilii Tridentini, ad paro-chos, Pii Qvinti Pont. Max. ivssv editvs, Roma,1566, p. 155).

(30) A. GAGLIARDI, Catechismo della fedecattolica, Con vn Compendio per Fanciulli. Com-posto dal R.P. Achille Gagliardi della Compa-gnia di GIESV, per commissione dell’Illvstriss. EtReverendissimo Monsig. Il Cardinale di Santa

Prassede [Carlo Borromeo], Milano, 1584, p.71.

(31) G. NADAL, Adnotationes et medita-tiones in Evangelia qvae insacrosancto Missaesacrificio anno legvntur, Anversa, 1595, p.441. Si veda anche C.E. GILBERT, Caravag-gio and His Two Cardinals, University Park(Pennsylvania), 1995, p. 149.

(32) Si veda Gilbert, 1995, p. 150; esoprattutto P. TOSINI, La decorazione traCinquecento e Seicento al tempo dei Mattei, inL. FIORANI (a cura di), Palazzo Caetani sto-ria arte e cultura, Roma, 2007, p. 160 (ancheper la citazione).

(33) Il documento è stato trascritto in F.CAPPELLETTI - L. TESTA, Il trattenimentodi virtuosi. Le collezioni secentesche di quadrinei Palazzi Mattei di Roma, Roma, 1994, p.139, n. 31; e anche in Schröter, 1995, p. 66(ho ripreso la trascrizione del documentoda questo studio).

(34) Cfr., in particolare per il legametra la pittura del Caravaggio e quella vene-ta, Wagner, 1958, p. 53; R. WITTKOWER,Art and Architecture in Italy: 1600 to 1750,Harmondsworth (Middlesex), (1958)1971, tr. it. Arte e architettura in Italia 1600-1750, Torino, 1972, p. 33; Potterton, 1975,p. n.n.; e anche, tra gli altri, Moir, 1982, p.102; e H. HIBBARD, Caravaggio, London,(1983), 1985, p. 75. Sui dipinti veneti siveda G. MARIANI CANOVA-A.M. SPIAZZI,Il tema di Emmaus nella pittura veneziana eveneta, in Mariani Canova-Spiazzi - Valenza-no, 1997, pp. 117-143.

(35) Cfr. Rebecchini, 1995, pp. 41-68,ill. 1; Mariani Canova-Spiazzi, 1997, p. 128,ill. 11; F. PEDROCCO, Tiziano, Milano,2000, p. 157, n. 97; e anche D. ASCOLI, Ilpatrizio e il pellegrino. La Cena in Emmaus diAlvise Contarini “Millecroci”, in “Venezia Cin-quecento. Studi di storia dell’arte e dellacultura”, XVIII, 35, 2008, pp. 13, 15, ill. 2.

(36) L. PERICOLO, Visualizing Appea-rance and Disappearance: On Caravaggio’sLondon Supper at Emmaus, in “The ArtBulletin”, LXXXIX, 3, 2007, pp. 533-534;ripubblicato con modifiche in L. PERICO-LO, Caravaggio and Pictorial Narrative. Dislo-cating the Istoria in Early Modern Painting,London-Turnhout, 2011, p. 285.

(37) Cfr. A. GALLO, Alla cena della glo-ria, in E. MERKEL (a cura di), La Cena inEmmaus di San Salvador, Milano, 1999, p.45: lo studioso ha parlato del Benedicite aproposito della Cena in Emmaus dipinta nel1513 riferita a Vittore Carpaccio (ma daaltri attribuita alla scuola di Giovanni Belli-ni: cfr. la nota 38). Per il testo completo delBenedicite si veda P. CANISIO, Manualecatholicorum in usum pie precandi collectum,Anversa, 1841, pp. 353, 355.

(38) Si veda R. GOFFEN, scheda Gio-vanni Bellini (car tone di) 38. Cena inEmmaus, in R. GOFFEN - G. NEPI SCIRÈ (acura di), Il colore ritrovato. Bellini a Venezia,cat. della mostra (Venezia), Milano, 2000,pp. 120-121, 166-167 (la studiosa ritieneche il dipinto vada attribuito ad un artistadella scuola di Giovanni Bellini, che si è

basato su un cartone o modello dello stessoBellini, il quale aveva dipinto nel 1490 unasimile Cena in Emmaus).

(39) Cfr. Rebecchini, 1995, p. 52; F.SARACINO, Vincitore e Pellegrino. I pittoriveneziani e l’immaginazione del Risorto, in G.MORALE (a cura di), La Cena di Tiziano,Immagini del Risorto tra Louvre e Ambrosiana,cat. della mostra, Milano, 2006, p. 64; R.ECHOLS - F. ILCHMAN, The Supper atEmmaus and the Biblical Feast, in F. ILCH-MAN (a cura di), Titian, Tintoretto, Veronese.Rivals in Renaissance Venice, cat. della mostra(Boston-Paris), Farnham (Surrey, UK),2009, pp. 148-149. Si veda anche Pericolo,2007, p. 527.

(40) Cfr. W. FRIEDLÄNDER, CaravaggioStudies, (Princeton [N.J.], 1955), New York,1969, p. 164.

(41) Cfr. Varriano, 1986, p. 222.

(42) Cfr. M. LEVI D’ANCONA, The Gar-den of the Renaissance. Botanical Symbolism inItalian Painting, Firenze, 1977, pp. 189-193,n. 80.

(43) Varriano, 2006, p. 124.

(44) Cfr. P.H. PFATTEICHER, Caravag-gio’s Conception of Time in His Two Versions ofthe Supper at Emmaus, in “Source”, VII, 1,1987, p. 12.

(45) Canones, et Decreta, 1564, p. 142:“Monet deinde sancta Synodus, praecep-tum esse ab Ecclesia sacerdotibus, ut aquamuino in calice offerendo miscerent; tumquod Christum Dominum ita fecisse creda-tur; tum etiam quia e latere eius aqua simulcum sanguine exierit: quod Sacramentumhac mixtione recolitur: [...].”

(46) Canones, et Decreta, 1564, p. 145.

(47) Catechismo, 1568, p. 226; testo inlatino: Catechismvs, 1566, p. 135. Si vedaanche Amira Strada, 2008, p. 14.

(48) C. WIGGINS, Caravaggio’s Supper atEmmaus, in S. BENEDETTI - C. WIGGINS,Caravaggio and His Followers in the NationalGallery of Ireland, cat. della mostra, Dublin,1992, p. 9. Questo aspetto è stato sottolinea-to anche da M. GREGORI, Le due cene diEmmaus a confronto, in V. MADERNA - A.PACIA (a cura di), Caravaggio ospita Cara-

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vaggio, cit., 2009, p. 33.

(49) Bellori, 1672, p. 202.

(50) G.P. LOMAZZO, Trattato dell’arte dela pittvra [...] Ne’ quali si contiene tutta laTheorica, & la prattica d’essa pittura, Milano,1584, p. 229.

(51) Cfr. A. PERISSA TORRINI, Disegnidel Figino, Milano, 1987, p. 183, n. 49, e p.195 n. 109; M. GREGORI, Riflessioni sulle ori-gini della natura morta. Da Leonardo al Cara-vaggio, in A. COTTINO (a cura di), La natu-ra morta al tempo di Caravaggio, cat. dellamostra (Roma), Napoli, 1995, p. 19, nota46; M. GREGORI, Il Caravaggio e la Lombar-dia: nascita di un genio, in M. GREGORI - A.BAYER (a cura di), Pittori della realtà. LeRagioni di una Rivoluzione da Foppa e Leonar-do a Caravaggio e Ceruti, cat. della mostra(Cremona), Milano, 2004, pp. 44-45; L.WALK-SIMON, Giovanni Ambrogio Figino:Foglio di studi, in M. GREGORI - A. BAYER(a cura di), Pittori della realtà, cit., 2004, p.261; G. BERRA, Il Caravaggio a Milano: lanascita e la formazione artistica, in M. CALVE-SI - A. ZUCCARI (a cura di), Da Caravaggioai Caravaggeschi, Roma, 2009, pp. 35-36. Sultema della ‘caraffa’ caravaggesca si vedaanche M. CALVESI, La “caraffa di fiori” e iriflessi di luce nella pittura del Caravaggio, in S.MACIOCE (a cura di), Michelangelo Merisida Caravaggio. La vita e le Opere attraverso iDocumenti, convegno (Roma 1995), Roma,1996, pp. 227-247; e F. PALIAGA, Sulle traccedella perduta ‘caraffa di fiori’ del Caravaggio, in“Paragone” (La Natura Morta), 65-66, 2006,pp. 49-58; e F. PALIAGA, Natura in vetro.Studi sulla caraffa di fiori di Caravaggio,Roma, 2012.

(52) Si vedano le foto in Brambilla Bar-cilon - Marani, 1999, p. 258. Cfr. anche P.C.MARANI, Una natura morta di Leonardo nellaMilano di fine Cinquecento, in A. COTTINO(a cura di), La natura morta al tempo di Cara-vaggio, cit., 1995, pp. 27-34.

(53) Cfr. V. SGARBI, Giovanni Agostinoda Lodi, in “FMR”, 35, 1985, pp. 56-64; A.MAGNANI, scheda n. III.42, in F. CAROLI(a cura di), Il Cinquecento lombardo. Da Leo-nardo a Caravaggio, cat. della mostra, Mila-no, 2000, pp. 154-155; e D.A. BROWN,scheda n. 104, in P.C. MARANI (a cura di),Il genio e le passioni. Leonardo e il Cenacolo.Precedenti, innovazioni, riflessi di uncapolavoro, cat. della mostra, Milano-Firen-

ze, 2001, pp. 280-281 (con bibliografia pre-cedente).

(54) S.J. WARMA, Christ, First Fruits, andthe Resurrection: Observations on the FruitBasket in Caravaggio’s London “Supper atEmmaus”, in “Zeitschrift für Kunstgeschich-te”, 4, 1990, p. 385.

(55) Cfr. Wolf - Baader, 2009, p. 42.

(56) Secondo J. VARRIANO, Wine. ACultural History, London 2010, tr. it. Vino.Tra storia e cultura, Bologna, 2011, p. 166.

(57) Per questo documento si veda M.MARINI - S. CORRADINI, Inventariumomnium et singulorum bonorum mobi-lium di Michelangelo da Caravaggio “pittore”,in “Artibus et Historiae. An Art Antho-logy”, XIV, 28, 1993, pp. 162-163.

(58) Cfr., ad esempio, P. ROBB, M. byPeter Robb, Sydney, 1998, tr. it. M. L’enigmaCaravaggio, Milano, 2001, p. 221, il qualeparla di “pollo scarno con le zampe all’a-ria”; Amira Strada, 2008, pp. 11, 14; F. SCA-LETTI, Caravaggio. La vita del grande artistaraccontata attraverso i suoi quadri, Milano,2008, p. 57; A. DUSIO, Caravaggio. WhiteAlbum, Roma, 2009, p. 141; e R. VODRET,Caravaggio, Cinisello Balsamo (Milano),2009, p. 136.

(59) Cfr. G. DE VITO, Due annotazioneper Caravaggio, in Ricerche sul ’600 napoleta-no. Saggi e memoria di Oreste Ferrari 2007,Napoli, 2008, p. 53.

(60) Cfr. Hibbard, 1985, p. 75.

(61) Cfr. Friedländer, 1955 ed. 1969, p.166; e anche J. JANICK, Caravaggio’s Fruit:A Mir ror on Baroque Hor ticulture , inhttp://www.hort.purdue.edu/newcrop/caravaggio/caravaggio.html, s.d. (ma dopo il2002), p. 3; e R. LAPUCCI, Caravaggio andthe Alchemy of Painting, in D. HOCKNEY etal., Painted Optics Symposium. Re-examiningthe Hockney-Falco Thesis 7 Years on, simposio(Firenze 2008), Firenze, 2009, p. 48, secon-do la quale la direzione perpendicolaredella luce che colpisce l’arrosto è diversadall’illuminazione più inclinata che dàforma agli altri elementi posti sulla tavola.

(62) Cfr. Valenziano, 1997, p. 74.

(63) Cfr. Pericolo, 2007, p. 530.

(64) Wittkower, 1958/1971, tr. 1972, p.33.

(65) C.R. PUGLISI, Caravaggio, Lon-don, 1998, tr. it. Caravaggio, London, 2003,p. 213.

(66) Rudrauf, 1955-1956, I, p. 190, n.172; II, ill. n. 172.

(67) M. CALVESI, Caravaggio o la ricercadella salvazione, in “Storia dell’arte”, 9/10,1971, p. 97, in seguito ripubblicato in M.CALVESI, Le realtà del Caravaggio, Torino,1990, p. 11.

(68) M. CALVESI, Caravaggio, Firenze,

1986, p. 21. Le tesi del Calvesi sono stateriprese anche da Amira Strada, 2008, p. 14.

(69) Saracino, 2006, p. 85, nota 75.

(70) L. CHARBONNEAU-LASSAY, LeBestiaire du Christ. La mystérieuse emblématiquede Jésus-Christ. Mille cent cinquante-sept figuresgravées sur bois par l’auteur, Bruges, 1940, tr.it. Il Bestiario del Cristo. La misteriosa emblema-tica di Gesù Cristo. Millecentocinquantasettefigure incise su legno dall’Autore, Roma, 1994,II ed. 1995, II, pp. 249-253.

(71) Cfr. M. GREGORI, scheda: 78. Cenain Emaus, in Caravaggio e il suo tempo, cat.della mostra (New York-Napoli), Milano,1985, p. 271; e Gregori, 2009, p. 33.

(72) C. BRANDI, L’“episteme” caravagge-sca, in Colloquio sul tema Caravaggio e i cara-vaggeschi, convegno (Roma, 1973), Roma,1974, p. 15.

(73) L. LAUREATI, Natura morta: frutta,fiori e ortaggi, in B.L. BROWN - C. STRINA-TI - R. VODRET (a cura di), Il genio di Roma1592-1623, cat. della mostra (London-Roma), Milano, 2001, p. 71.

(74) Cfr. S. EBERT-SCHIFFERER, Cara-vaggeschi nordici “avant la lettre”, in L. SPEZ-ZAFERRO (a cura di), Caravaggio e l’Europa.L’artista, la storia, la tecnica e la sua eredità,convegno (Milano, 2006), Milano, 2009, p.171; e anche S. EBERT-SCHIFFERER, Cara-vaggio. Sehen-Staunen-Glauben. Der Maler undsein Werk, München, 2009, p. 144; tr. ingleseCaravaggio. The Artist and His Work, LosAngeles, 2012, p. 104. Va però segnalata lapresenza di un arrosto nella Cena inEmmaus di Agostino da Lodi: cfr. Sgarbi,1985, e la bibliografia indicata alla nota 53.

(75) M. FRIED, The Moment of Caravaggio,Princeton (N.J.)-Oxford, 2010, p. 133.

(76) Bernini, 1997, p. 319. Si vedaanche R. PAPA, Caravaggio. L’ar te e lanatura, Firenze, 2008, p. 140, il quale parlagenericamente di ‘cacciagione’ posta sullatavola.

(77) M. MARINI, Io Michelangelo da Cara-vaggio, Roma, (1973) 1974, p. 26: “trattasi diun gallo, che allude alla luce trionfantesulle tenebre, ma, in quanto morto, indica,all’opposto, la non volatilità, cioè l’impossi-bilità di raggiungere il cielo, d’altra partemai avuta”. Questa tesi è stata però negatadallo stesso studioso in M. MARINI,“Michael Angelus Caravaggio Romanus”. Rasse-gna degli studi e proposte, Roma, 1978, p. 36,nota 1.

(78) Pfatteicher, 1987, pp. 10-11.

(79) Cfr., rispettivamente, L. MARIANI -A. PARISELLA - G. TRAPANI, La pittura incucina, Palermo, 2003, p. 122, dove si parladi “faraona arrosto” e dove viene sottolinea-to, senza altre indicazioni, che “la faraona[è] simbolo della resurrezione” (p. 123); eVarriano, 2010, tr. 2011, p. 166.

(80) P. CRESCENZI, Libro della agricvltvra,Vicenza, 1490, f. 7r (libro IX, cap. LXXXII).

(81) V. CERVIO, Il Trinciante, Roma,

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1593, rist. anastatica Bologna, 1980, p. 10.Per il “Gallo d’India”, si veda C. GESNER,Historiae animalium Liber III qui est de Auiumnatura, Zurigo, 1555, pp. 464-465.

(82) Cervio, 1593, rist. 1980, pp. 18-25 ep. 35.

(83) Cervio, 1593, rist. 1980, rispettiva-mente p. 18 e p. 35.

(84) Cfr. G.B. LADNER, Handbuch derfrühchristlichen Symbolik, Stuttgart-Zürich, Ied. 1992, 1995, tr. it. Il simbolismo paleocristia-no. Dio, Cosmo, Uomo, Milano, 2008, p. 164.

(85) PLINIO IL VECCHIO, Naturalishistoria, tr. it. Storia naturale, Torino, 1983,II, pp. 437-438 (X, 22).

(86) Cfr. M. LEVI D’ANCONA, Lo zoo delRinascimento. Il significato degli animali nellapittura italiana dal XIV al XVI secolo, Lucca,2001, pp. 172-173, n. 121.

(87) Cfr. G. SPINOLA, scheda ‘24. Pavo-ne in bronzo dorato’, in F. BISCONTI - G.GENTILI (a cura di), La rivoluzione dell’im-magine. Arte paleocristiana tra Roma e Bisanzio,Cinisello Balsamo (Mi), 2007, p. 150.

(88) Cfr., anche per le osservazioni cheseguono, F. RAVERA, Il simbolismo del pavonee i suoi sviluppi in epoca tardogotica, in “ArteCristiana”, LXXVII, 735, 1989, pp. 427-428.Si veda anche Charbonneau-Lassay, 1940,tr. 1995, II, pp. 214-216, § “V. Il Pavone el’Eucaristia”, il quale sintetizza i diversisignificati del pavone: gloria trionfale,incorruttibilità, resurrezione, immortalità,giustizia (p. 216); e F. PIERI, voce Pavone, inNuovo dizionario patristico e di antichità, diret-to da A. Di Berardino, Genova-Milano,1983, II ed. aggiornata e aumentata 2006-2008, 2008, III, coll. 3978-3981.

(89) SANT’AGOSTINO, De civitate Dei,dopo il 410, tr. it. La città di Dio, Roma,1991, III, pp. 216-217 (XXI, 4.1) (con testolatino a fronte). In un altro passo dello stes-so testo Agostino scrive: “della carne delpavone che non imputridisce, sebbene siaimputridita anche quella di Platone […]”(III, 1991, XXI, 7.2), pp. 232-233 (con testolatino a fronte). La parole di sant’Agostinocirca la durezza della carne del pavone,sono state riprese, in associazione ad altriautori, anche da Gesner, 1555, p. 636 (nelcap. “De Pavone”, pp. 630-639, dove è inse-rita anche una bellissima immagine delpavone).

(90) S. ANTONIO DI PADOVA, Le predi-che. Opera omnia, a cura di P.C. Varotto,Siena, 1964, II, “V Domenica dopo Penteco-ste”, rispettivamente: pp. 264-265 e p. 262.Per il testo latino si veda S. ANTONIO DIPADOVA, Sermones Dominicales MoralissimiSuper Euangelia totius anni, Venezia, 1574,rispettivamente p. 359 e p. 357.

(91) G. BOCCACCIO, Trattatello in laudedi Dante, 1351-1355 circa, a cura di P.G. Ricci,in Tutte le opere di Boccaccio, a cura di V. Bran-

ca, Milano, 1974, III, p. 493, § 220-221.

(92) J. LLORET, Sylva allegoriarvm TotiusSacrae Scripturae. Mysticos eivs sensvs, &magna etiam ex parte litterales complectens, syn-cerae Theologiae candidatis perutilis, ac necessa-ria, (Barcellona, 1570) Venezia, 1587, II, p.688r.

(93) Ravera, 1989, pp. 427-450. Cfr.anche M. VLOBERG, L’eucharistie dans l’art,Grenoble-Paris, 1946, I, p. 23.

(94) J.K. CADOGAN, Domenico Ghirlan-daio. Artist and Artisan, New Haven-Lon-don, 2000, scheda n. 13, pp. 218-220, ill.210.

(95) Si vedano, in particolare, P. FRE-MIOTTI, La Riforma Cattolica del secolo deci-mosesto e gli studi di Archeologia Cristiana,Roma, 1926; e B. AGOSTI, Collezionismo earcheologia cristiana nel Seicento. Federico Bor-romeo e il Medioevo artistico tra Roma e Milano,Milano, 1996.

(96) Gilbert, 1995, p. 155.

(97) A. BOSIO, Roma sotterranea operapostvma [...] Nella quale si tratta de’ sacriCimiterii di Roma, Roma, 1632, rist. anastati-ca Roma, 1998, pp. 642-643: “Del Pauone”.

(98) Bosio, 1632, rist. 1998, p. 643 (a p.531 è presente un’incisione dell’immaginedi un pavone trovata nella catacombaromana di Priscilla).

(99) Per questo documento, si vedaN.R. PARKS, On Caravaggio’s ‘Dormition ofthe Virgin’ and its Setting, in “The BurlingtonMagazine”, CXXVII, 988, 1985, p. 441.

(100) G. FULCO, “Ammirate l’altissimopittore”: Caravaggio nelle rime inedite di MarzioMilesi, in “Ricerche di Storia dell’arte”(Roma nell’anno 1600. Pittura e giubileo, Ilrevival paleocristiano, Roma sotterranea, Cara-vaggio “pittore di storia”), 10, 1980, pp. 68 ss.

(101) Cfr. E. NOÈ, scheda n. 13, inMariani Canova-Spiazzi-Valenziano, 1997,pp. 175-176.

(102) Per il dipinto si veda, da ultimo,S. BANDERA, Cena in Emmaus, in Strinati,2010, pp. 184-193.

(103) Cfr. L. WEHRHAHN-STAUCH,Christliche Fischsymbolik von den Anfängen biszum hohen Mittelalter, in “Zeitschrift für Kun-stgeschichte”, XXXV, 1/2, 1972, pp. 1-68.

(104) Si veda in particolare il riccoapparato iconografico in Rudrauf, 1955-1956; e sulla simbologia del pesce postosulla tavola della cena in Emmaus, si vedaValenziano, 1997, pp. 68-69.

(105) Cfr. Valenziano, 1997, p. 67.

(106) Saracino, 2006, pp. 67-68, ill. 24.

(107) P. SOMVILLE, Un Caravage

oublié?, in “Art & Fact: revue des historiensd’art, des archéologues, des musicologueset des orientalistes de l’Université de l’Etatà Liège”, XIX, 2000, pp. 57-59.

(108) Cfr. Valenziano, 1997, pp. 70-72.Sul dipinto si veda anche Goffen, 2000, pp.166-167, n. 38.

(109) Cfr. B. AIKEMA, Jacopo Bassanoand His Public Moralizing Pictures in an Age ofReform ca. 1535-1600, Princeton (New Jer-sey), 1996, pp. 7-14; e soprattutto G. ERICA-NI, scheda n. 6, in Mariani Canova-Spiazzi-Valenziano (a cura di), Incontrarsi aEmmaus, 1997, pp. 158-161.

(110) E. GIULIANA scheda n. 4, in B.L.BROWN - P. MARINI (a cura di), Jacopo Bas-sano c. 1510-1592, cat. della mostra (Bassa-no del Grappa-Fort Worth, Texas), Bolo-gna, 1992, pp. 14-15; Sullivan, 1994, pp. 27,30. Il Merisi può aver visto le opere di Jaco-po Bassano durante il suo periodo di for-mazione. Recentemente è stato osservatocome la testa del discepolo di sinistra dellaCena in Emmaus del Merisi si avvicini a undisegno del Bassano con uno Studio per unatesta maschile (Vienna, Graphische Samm-lung Albertina), un foglio che l’artista avevapreparato per un apostolo della sua Penteco-ste ora nel Museo Civico di Bassano delGrappa: cfr. P. CARETTA, Disegni lombardo-veneti in relazione a Caravaggio, in M. FRA-TARCANGELI (a cura di), Intorno a Cara-vaggio dalla formazione alla fortuna, Roma,2008, p. 19, ill. 1c-1d.

(111) Cfr. A. MARABOTTINI, Jacomo diChimenti da Empoli, Roma, 1988, pp. 88-90,129, tavv. XXXII, LVI; 222, scheda n. 63; eM. BIETTI, scheda n. 19, in Mariani Cano-va-Spiazzi-Valenziano, 1997, pp. 185-186.

(112) Cfr. Sullivan, 1994, p. 31.

(113) Cfr. Rebecchini, 1995, p. 49. Dellefoglie di lattuga sono presenti anche al cen-tro della Cena in Emmaus dell’artista fioren-tino Matteo Rosselli (1578-1650): cfr. E.STEINGRÄBER, “Christus in Emmaus” vonMatteo Rosselli. Eine Neuerwerbung für die Bay-rischen Staatsgemäldesammlungen , in“Pantheon”, XXXVII, IV, 1979, pp. 383-390.

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