Non siete il futuro ma l’adesso di Dio...della Gioventù di Panama futuro ma l’adesso di Dio»...

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PERIODICO D’INFORMAZIONE DELLA DIOCESI DI RAGUSA MARZO 2019 ANNO XXXV - N. 636 «Non siete il futuro ma l’adesso di Dio» Sped. Abb. Post. - D.L. 353/2003 (cov. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCBRagusa Pubbl. inf. 45% CAMPIONE GRATUITO # giovani # giovani

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PERIODICO D’INFORMAZIONEDELLA DIOCESI DI RAGUSA MARZO 2019

ANNO XXXV - N. 636

«Non siete il futuro ma l’adesso di Dio»

Sped. Abb. Post. -D.L. 353/2003 (cov. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, com

ma 2, DCBRagusa Pubbl. inf. 45% CAMPIONE GRATUITO

# giovani# giovani

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# Giovani3 Educare con la sapienza dell’amore

Mario Cascone4 La Giornata della Gioventù di Panama

M. Michela Nicolais6 Una Chiesa giovane per i giovani

Riccardo Spatola7 L’aiuto dei padri e maestri di vita

Luca Farruggio 8 In cammino al fianco dei giovani

Graziano Martorana10 I giovani e la Sicilia: tempo di resilienza

Paolo La Terra12 Il coraggio di chi resta a Ragusa

Eleonora Pisana13 Vivo a Trento e vi spiego perché

Elisabetta Migliore14 Quale rapporto tra università e lavoro

Martina Occhipinti15 Resto al Sud o scappo al Nord?

Emanuele Occhipinti16 L’emozione del servizio civile

Salvatore Schininà17 La San Vincenzo ha un cuore giovane18 Da Ragusa all’Istituto di astrofisica

Silvio Biazzo19 La festa dei ragazzi di Azione Cattolica

Raffaella Refano20 L’oratorio Spazio ricorda Adelia21 Il teatro come sistema educativo

Lorenzo Bertolone22 Le difficoltà di una quindicenne

Sarah Ines SavastaIn Diocesi24 Che bella la Giornata per la vita

Carlo e Maria Moltisanti25 «Così Dio mi ha indicato la sua strada»

Luca Roccaro26 Gli esercizi spirituali del clero diocesano

Giuseppe Di Corrado27 Il Gen Rosso entusiasma Ragusa

Carmelo La Porta28 Santa Croce onora San Giuseppe

Luisella LoreficeChiesa e società31 «Sfruttare le persone è una bestemmia»32 Il lavoro che prova a cambiare il mondo

Elisa GulinoAttualità33 Sul palco con la lingua dei segni

Cettina Divita 34 In pensione con quota 100

Vito Piruzza

Reg. Trib. RG n.71 del 6.12.1977ROC n. 1954

Direttore ResponsabileMario Cascone

CondirettoreAlessandro Bongiorno

In redazione, segreteria e amministrazione

Gabriella ChessariVia Roma, 109 RagusaTel. 0932646419

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Tel. e Fax 0932621130Impaginazione a cura di Gabriella Chessari

Numero chiuso il25 Febbraio 2019

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Nonostante tutte le minacce, checontinuamente imperversano

contro di essa, si può dire che ancorala famiglia “tiene”. Certo, non igno-riamo i mille problemi che la attana-gliano, ma grosso modo possiamoaffermare che la famiglia è dura amorire… In un’ottica di fede, che cifa guardare i problemi sempre consperanza, possiamo dire che “leforze degli inferi non prevarranocontro di essa”. La famiglia infattinasce nel cuore stesso di Dio, che hacreato l’uomo a sua immagine e so-miglianza, facendolo perciò come unessere aperto alla comunione e aldialogo. È Lui che ha voluto la fami-glia, e l’ha voluta come icona dellaTrinità, ossia come “luogo” in cuiregna l’amore in tutte le sue forme:coniugale, paterno, materno, fra-terno, filiale.Alla luce di queste considerazioni,

possiamo dire che la famiglia rimaneancora l’ambiente più idoneo allaformazione della persona. L’influssoeducativo che i genitori esercitanosui figli è sicuramente di grande ef-ficacia. Ogni persona porta impressein sé, nel corpo e nello spirito, letracce indelebili dei propri legamicoi genitori. Ogni uomo è in gran

parte, anche se non totalmente, il ri-sultato di quest’eredità biologica ededucativa.Decisivi sono i primi anni di vita

del bambino, specialmente grazie aimeccanismi di imitazione e di iden-tificazione che si innescano tra lui ei genitori. Fondamentale è inter-pretare il processo educativo comeun itinerario teso a far emergere ilmeglio della persona. Questo av-viene soprattutto nella misura in cuiognuno si sente accolto, accettatonella sua diversità, orientato con pa-zienza e fiducia verso i valori, senzavenire mortificato per gli insuccessio le cadute. “Non sai fare niente!”,“Non combinerai mai nulla dibuono!” sono frasi che penalizzanol’autostima e forse producono lachiusura in se stessi, inducendo apensare: “Sono così e basta, nonposso più cambiare!”.Educare vuol dire invece espri-

mere se stessi in pienezza, mettere afrutto tutte le proprie potenzialità,tendere sempre al massimo. Per que-

sto motivo il processo educativo nonsi limita ad un fatto di tecnica peda-gogica. Esso si fonda su una solidabase valoriale, indicando di volta involta e con la necessaria gradualitàciò che veramente “vale”, ossia qualisono i criteri che devono guidare lescelte di vita, quali devono essere lemotivazioni del nostro agire. Nonesiste neutralità morale in campoeducativo, perché ogni processo for-mativo è sempre trasmissione di va-lori, anche quando ci si imponesse dinon trasmetterne nessuno: anchequesta sarebbe una scelta etica…Nessuna scienza pedagogica può

sostituire la sapienza dell’amore chei genitori possiedono in modo natu-rale, anzi… soprannaturale! Diostesso dona loro una capacità unicadi conoscenza e di guida dei figli.Nessuno come loro sa come com-portarsi con il frutto del loro amore,come orientare i figli, come condurlifino alla fonte stessa dell’amore, cheè Dio!

Mario Cascone

Educare con la sapienza dell’amoreIl ruolo insostituibile della famiglia

Il processo formativo è sempre trasmissione di valoriÈ Dio che dona ai genitori la capacità di guida dei figli

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Quattro abbracci con i giovani,tre parole d’ordine ricorrenti:

amore, passione, concretezza, perrealizzare insieme un sogno co-mune chiamato Gesù. Questa, insintesi, la Gmg di Panama, in cuiFrancesco ha esortato i giovani aprendere coscienza di un’urgenza:«Voi non siete il futuro, sietel’adesso di Dio». L’esempio da se-guire è quello di Maria, la piùgrande “influencer” della storia al-l’insegna del primato della concre-tezza del reale sul mondo spessoillusorio e fuorviante del digitale.Ma anche quello di Oscar ArnulfoRomero, il suo “sentire con laChiesa” come bussola per testimo-niare da cristiani nelle sfide postedal mondo. Dalla città-istmo tra dueoceani, definita “hub” della spe-ranza, Francesco sprona i giovani adessere protagonisti di «una nuovaPentecoste» per la Chiesa e il

mondo, facendo sedimentare l’espe-rienza vivificante del Sinodo sui gio-vani e mettendosi in cammino perLisbona, sede nel 2022 della 37.Giornata mondiale della gioventù.Dal Sinodo a Panama. Nella messa

al Metro Park, occasione per ilquarto e ultimo abbraccio con i gio-vani (erano circa 700mila), il Papaha tracciato un “filo rosso” tra il Si-nodo sui giovani e la Gmg da lui for-temente voluta in questa piccola, mastrategica periferia che fa da cer-niera alle due Americhe. «La ric-chezza dell’ascolto tra generazioni,la ricchezza dello scambio e il valoredi riconoscere che abbiamo bisognogli uni degli altri, che dobbiamosforzarci di favorire canali e spazi incui coinvolgerci nel sognare e co-struire il domani già da oggi»,l’elenco di Francesco di cui i giovanie la Chiesa, in relazione reciproca,sono chiamati a far tesoro: «Ma non

isolatamente, uniti, creando unospazio in comune. Uno spazio chenon si regala né lo vinciamo alla lot-teria, ma uno spazio per cui anchevoi dovete combattere».«Non siete il futuro, ma l’adesso di

Dio». L’appello del Papa: «Lui viconvoca e vi chiama nelle vostre co-munità e città ad andare in cerca deinonni, degli adulti; ad alzarvi inpiedi e insieme a loro prendere laparola e realizzare il sogno con cuiil Signore vi ha sognato. Non do-mani ma adesso. Sentite di avereuna missione e innamoratevene, eda questo dipenderà tutto», la con-segna al popolo giovane: «Potremoavere tutto, ma se manca la passionedell’amore, mancherà tutto. La-sciamo che il Signore ci faccia inna-morare!».«Dio è reale perché l’amore è

reale, Dio è concreto perchél’amore è concreto», la tesi di Fran-cesco, che chiede ai giovani un “sì”per «una nuova Pentecoste almondo e alla Chiesa». Non domani,ma adesso, perché per Dio non c’è

Il Papa detta tre parole d’ordine: amore, passione, concretezza

La Giornata Mondiale Papa Francesco: «Non siete

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un “frattanto”: nel “frattanto” isogni perdono quota e diventano«illusioni rasoterra», piccole e tristi.«Senza lavoro, senza istruzione,

senza comunità, senza famiglia”:sono i quattro “senza” che “ucci-dono». Li elenca il Papa rispon-dendo alle domande dei giovani,durante la veglia al Metro Park:«Senza istruzione è difficile sognareil futuro; senza lavoro è molto diffi-cile sognare il futuro; senza famigliae comunità è quasi impossibile so-gnare il futuro. Perché sognare il fu-turo significa imparare a risponderenon solo perché vivo, ma per chivivo, per chi vale la pena di spendere

la vita». Come aveva già fatto nel suoprimo giorno a Panama, Francescotorna sul primato del reale sul vir-tuale, di cui la “testimonial” più ce-lebre è Maria: «Non basta stare tuttoil giorno connessi per sentirsi rico-nosciuti e amati. Sentirsi conside-rato e invitato a qualcosa è piùgrande che stare nella rete».«Ognuno di noi è molto di più

delle sue etichette», il monito dalcarcere minorile di Pacora, esempiodi eccellenza nell’inclusione, nelreinserimento e nell’integrazione:«Una società si ammala quando nonè capace di far festa per la trasforma-zione dei suoi figli: una comunità si

ammala quando vive la mormora-zione che schiaccia e condanna,senza sensibilità». Ritornano allamente le parole pronunciate nelprimo abbraccio di Pietro al popologiovane di Panama: «Siete veri mae-stri e artigiani della cultura dell’in-contro». Ancora una volta, come alSinodo, i giovani salgono in catte-dra. È da loro che gli adulti devonoimparare: per una «politica autenti-camente umana» che dica “no” allacorruzione, per accogliere, pro-muovere, proteggere e integrare imigranti, molti dei quali hanno unvolto giovane.

M. MichelaNicolais (Sir)

della Gioventù di Panama futuro ma l’adesso di Dio»

«Bisogna ritornare a far sognare i giovani. Non possiamo essere icontrollori dei loro sogni. Devono sognare con intelligenza, con amore,con grazia. Dobbiamo essere i custodi dei loro sogni. Anche i vecchihanno i sogni e quando i vecchi e i giovani sognano insieme diventano laforza di Dio».

Sono parole del presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, alrientro dalla Giornata mondiale della Gioventù di Panama.

“Tornare a far sognare i giovani con intelligenza e amore”

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Si è da poco conclusa la GiornataMondiale della Gioventù di Pa-

nama, ma le parole pronunciate daPapa Francesco durante la messaconclusiva, risuonano ancora dalcampo “San Juan Pablo II” e giun-gono fino al cuore della Diocesi diRagusa, una Chiesa che gode dimolte risorse umane e spirituali cheè chiamata adesso a mettere a dispo-sizione delle nuove generazioni. I giovani, infatti, oggi chiedono

alla Chiesa ragusana di essere ac-compagnati nella ricerca del sensodella vita; hanno bisogno di porsiun’autentica domanda vocazionale:«Signore, cosa vuoi che faccia? Doveposso applicare me stesso, le miedoti e i miei interessi? Dove vuoi in-viarmi, in quale sofferenza?». Perquesto abbiamo bisogno di adultiche non mostrino la pretesa di cono-

scere già tutto, ma che siano compa-gni di viaggio nel cammino dell’esi-stenza terrena, che sappianoascoltare e che siano esempi edifi-canti ai quali poter guardare con am-mirazione, come un modello daseguire. Occuparsi dei giovani è unamissione troppo importante che nonpuò essere demandata solo a qualchegiovane educatore, ma è un compitoche deve stimolare e mettere in crisitutta la comunità cristiana. Questo èsicuramente un cammino impegna-tivo, perché si tratta di far incontraregenerazioni diverse, per cui tale ini-ziativa può realizzarsi solo in unclima di fiducia reciproca, che pre-suppone una richiesta d'aiuto deigiovani verso gli adulti, ma anche vi-ceversa, degli adulti verso i giovani.I giovani sognano una “Chiesa Si-

nodale”, che cammina insieme verso

un fine comune: «in pratica la “sino-dalità” comporta il dialogo e la co-municazione tra i diversi soggettiecclesiali e la partecipazione aun’opera comune secondo il propriostato di vita nella Chiesa». La ChiesaSinodale è, pertanto, capace digioire della presenza dei ragazzi alproprio interno, è capace di amare igiovani e di ritenerli un tesoro pre-zioso da valorizzare e non come unaminaccia alla logica atrofizzante del“si è fatto sempre così”. I giovani, inoltre, non sognano una

Chiesa che offra una spiritualità sen-sazionalistica, che ricerchi l’emo-zione del momento ma che poisvanisce nella quotidianità; essi vo-gliono vivere un’esperienza di Fedeincarnata, che consenta loro di per-cepire che non si è soli nel camminodella vita, ma che il Dio di Gesù Cri-sto vive e cammina con l’uomo per lestrade del mondo, nelle occupazionicomuni e ordinarie. Essi chiedonouna spiritualità che renda abili a vi-vere da cristiani credibili, ma hannobisogno di testimoni autentici chetrasmettano la bellezza della fede.Essi sognano comunità nelle quali èbello vivere insieme, lontane dallelogiche pessimistiche del mondo edalla chiusura alla novità del Van-gelo. I giovani della Chiesa ragusanavogliono gridare al mondo: noi nonsiamo il futuro, noi siamo il pre-sente, l’adesso di Dio!. Crediamopertanto, che un vero cammino si-nodale, un cammino di rinnova-mento, con l’aiuto di Dio, possadivenire realtà… crediamo unaChiesa Giovane per i giovani.

Riccardo Spatola

Da Panama alla nostra RagusaUna Chiesa giovane per i giovani

Una spiritualità per vivere da cristiani credibiliin comunità lontane dalle logiche pessimistiche

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Fino a che età si può dire di esseregiovani? Tra chi si offende se

non viene definito tale e chi non lovorrebbe più essere perché sosta nel-l’incertezza, oggi è difficile com-prendere e definire il significatodella giovinezza. In tale confusione ivalori spesso si invertono; ad esem-pio ci sono madri che si mettono incompetizione con le figlie in que-stione di bellezza, o figli che preten-dono di insegnare la vita ai propripadri pur portando a casa una pagellapiena di due e di tre.È evidente che ormai esiste poca

oggettività su questo “vivo con-cetto”. Si potrebbe fare una sana ri-cerca e leggere opere sullagiovinezza. Di certo, in altre epoche,c’era sicuramente più chiarezza! Maciò che intendo sottolineare, oggipiù che mai, è qualcosa di stabile:ogni giovane (reale o immaginario)ha un grande bisogno di una guida edi un maestro. In tutte le tradizionidegne di rispetto il giovane crescesempre sotto la guida di un maestro,per diventare egli stesso un saggiocapace di essere maestro di altre per-sone in ricerca.Per questo voglio ricordare le pa-

role che Rilke scrisse a un giovane

poeta: «Lei domanda se i suoi versisiano buoni. Lo domanda a me.Prima lo ha domandato ad altri. Liinvia alle riviste. Li confronta conaltre poesie, e si allarma se certe re-dazioni rifiutano le sue prove. Ora,poiché mi ha autorizzato a consi-gliarla, le chiedo di rinunciare a tuttoquesto. Lei guarda all’esterno, ed èappunto questo che ora non do-vrebbe fare. Nessuno può darle con-siglio o aiuto, nessuno. Non v’è cheun mezzo. Guardi dentro di sé. Si in-terroghi sul motivo che la intima discrivere; verifichi se esso protenda leradici nel punto più profondo delsuo cuore; confessi a se stesso: mo-rirebbe, se le fosse negato di scri-vere? Questo soprattutto: sidomandi, nell’ora più quieta dellasua notte: devo scrivere? Frughi den-tro di sé alla ricerca di una profondarisposta. E se sarà di assenso, se leipotrà affrontare con un forte e sem-plice “io devo” questa grave do-manda, allora costruisca la sua vitasecondo questa necessità. La suavita, fin dentro la sua ora più indiffe-rente e misera, deve farsi insegna etestimone di questa urgenza».

Rilke, come ogni grande maestro,non esalta e non idolatra il giovaneammiratore, ma lo mette di fronte“alla cosa stessa”. Proprio di talimaestri abbiamo bisogno, prima chela crisi dei valori ci immetta in uncaos poco raccomandabile. Per que-sto, nel non lontanissimo 1983, unaltro grande maestro come FrancoBattiato cantava in Tramonto Occi-dentale: “L’analista sa che la famigliaè in crisi da più generazioni per man-canza di padri”. Sì, abbiamo ungrande bisogno di padri e di maestriche ci possano invitare con costanzaalla ricerca della “profonda risposta”rilkiana.

I giovani hanno bisogno di adultiche sappiano essere significativi

Imparare a guardare dentro di sécon l’aiuto di padri e maestri di vita

Luca FarruggioDocente di filosofia

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«La nostra gioventù ama illusso, è maleducata, si burla

dell'autorità e non ha alcun rispettodegli anziani. I bambini di oggi sonodei tiranni. Non si alzano quando unvecchio entra in una stanza, rispon-dono male ai genitori. In una parolasono cattivi».Iniziare un articolo con queste pa-

role produce due distinti e distantiatteggiamenti: il lettore più “adulto”si rispecchia in questo messaggio eplaude perché in esso vede un fonda-mento di verità; il lettore più gio-vane, invece, non continuerebbeoltre la lettura perché questo mes-saggio se lo sente ripetere sempre esi sentirà vittima di un luogo co-mune. Ma non forse tutti sanno che que-

ste parole non sono state scritte oggio cinquanta o cento anni fa; risal-gono al 470 avanti Cristo e sono delfilosofo Socrate e quindi vuol direche accompagnare i giovani è stata,è e sarà una sfida che appartiene algenere umano di ogni tempo e diogni spazio. Non a caso Papa Francesco, dopo

il sinodo sulla famiglia, ha voluto for-temente il sinodo sui giovani, perchéanche al Chiesa possa affiancare igiovani nel loro cammino di discer-nimento e di fede. I padri sinodali,infatti, hanno cercato di cogliere isegni dei tempi, con lo sguardo pro-teso al futuro che si intravede nelpresente dei giovani: non dunquedestinatari di progetti e programmipastorali, ma protagonisti dal di den-tro a partire dalla capacità degliadulti di mettersi in paziente ascolto

e in paziente attesa dei loro passi, avolte veloci da frenare, a volte lentida spronare. La realtà giovanile,sempre mutevole e mai statica, è in-vitata, assieme alla famiglia, a viverequell’ “Evangelii gaudium” cheporta alla testimonianza della “Gau-dete et exultate” della vita cristiana:è chiaro allora il progetto pastoraledel Santo Padre per tutta la Chiesache partendo da una fede che è gioiadel Vangelo, produce frutti di santitànella vita quotidiana, scuotendociprima di tutto dai nostri salotti co-modi per correre, perché no, il ri-schio di essere ospedali da campo enon musei. Questo i giovani lohanno capito molto bene e ce lochiedono, anche perché loro sonodisposti a scommettersi.La citazione con cui ho aperto

questo articolo non serve dunque acadere nei piagnistei e nei rimpianti,serve invece a rimboccarci le mani-che e a scuotere noi adulti a non la-mentarci dei giovani, ma aincontrarli, a dialogare a interessarcialle loro vite. Questo ci porta a rive-dere la nostra prassi e il nostro agirepastorale, perché se un tempo le no-stre parrocchie e i nostri oratorierano luoghi di aggregazione e di in-contro per i giovani, oggi non losono più, lo sono forse per i bambinie i preadolescenti, ma sicuramentenon per i giovani. Re-inventare la pa-storale giovanile vuol dire capire econoscere i nuovi “riti sociali” inuovi spazi di incontro, i loro inte-ressi e i loro gusti, i loro nuovi modidi comunicare: capire e conoscereper poter essere sullo stesso piano

#giovani

in 8 Mettiamoci in cammino, insieme,

con la gioia del Vangelo come

Re-inventare la pastorale giovanile vuol dire capire e conoscere i nuovi “riti sociali” i nuovi spazi di incontro, i loro interessi e i loro gusti, i loro nuovi modi di comunicare

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dialogico, consapevoli che sono piùi nostri esempi a parlare che le no-stre parole. E i giovani che hanno fiuto capi-

scono quando gli adulti facciamo lecose per servizio o per interesse esanno fiutare bene. La vivacità di al-cune realtà ecclesiali della diocesi ri-mandano a questa “artedell’educatore” che facendosi com-pagno di viaggio, riesce ad entrare indialogo con il giovane e lo aiuta aleggere la propria vita in Dio e Dionella propria vita: sono le esperienzedi primo annuncio come il Tlc, ilCampo Base, il 12X12 che rispon-dono a questi bisogni del cuore deigiovani, ma anche percorsi e cam-mini strutturati come gli oratori,l’Azione Cattolica e lo scautismo chemirano alla formazione personale,umana, sociale e cristiana di ogni in-dividuo. Un bel ruolo gioca purel’esperienza del Servizio Civile chetramite la Caritas Diocesana e laFondazione San Giovanni Battistaaccompagna i giovani per un anno inun’occasione di servizio.Certo molto ci sarebbe da fare per

proporre alle parrocchie e alle asso-ciazioni dei percorsi di crescita:penso a una scuola per educatori, auna scuola di formazione politica, apercorsi per educare i teenagers al-l’affettività e all’amore, a incentivareil progetto Policoro, a “caffè teolo-gici” nei luoghi di ritrovo dei gio-vani: tutte occasioni, che insieme aquelle esistenti, potrebbero essereuna nuova opportunità perché laDiocesi di Ragusa si faccia compa-gna di viaggio dei giovani.E l’idea dei compagni di viaggio è

l’idea che sottostà al documento fi-

nale dei vescovi a conclusione dei la-vori sinodali: il camminare insieme,il fare la stessa strada, il portare lostesso zaino mette educatore ededucando sullo stesso piano, apre icuori e le menti all’incontro e al con-fronto, ed evita gli atteggiamenti dimaestro/alunno: questo lo sannomolto bene gli scout; questo ab-biamo vissuto con alcuni giovani loscorso mese di agosto percorrendoinsieme gli ultimi 100 chilometridella Via Francigena; questo inse-gna ogni cammino; questo ha fattoGesù con i suoi discepoli. I giovanisono in cammino e mettono ilmondo e l’umanità in continui cam-biamenti, ai tempi di Socrate e ai no-stri tempi. A noi adulti non resta cheiniziare a metterci in cammino: e ilprimo cammino da fare è il cambia-mento di mentalità, l’uscire fuoridalle nostre abitudini e dalle nostreesperienze che seppur belle ebuone, rischiano di chiuderci e difossilizzarci, privandoci di ardori, dislanci e di entusiasmo che solo i gio-vani sanno darci. Sì, abbiamo biso-gni di riscoprire nella nostra azionepastorale l’entusiasmo nel senso eti-mologico del termine: con Dio den-tro di sé, ognuno può riprendere ilcammino e tracciare una strada la-sciando un segno del suo passaggio.

#giovani

in 9 al fianco dei giovani

compagna di viaggio

Graziano MartoranaDirettore del Servizio Diocesanoper la Pastorale dei Giovani

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Piero Messina, in un articolo pub-blicato sul numero dello scorso

maggio di Limes, la rivista italiana digeopolitica, afferma con crudo reali-smo: «Per gli analisti la ripresa eco-nomica della Sicilia potrà avveniresoltanto a partire dal 2030».Michele Guccione, dal canto suo,

in un recente articolo pubblicato suLa Sicilia dello scorso 8 febbraio, ri-portando i recenti dati dell’Istat, af-ferma: «I siciliani continuano inmassa a cambiare residenza per mo-tivi di lavoro. Infatti, nel 2018 l’isolaha perso ben 25.000 dei suoi “figli”.In quattro anni abbiamo perso90.000 cittadini, in media 22.500l’anno». A scuro coronamento diquesto quadro demografico, va ag-giunto che il saldo tra nati e deceduti,nella nostra Isola, è negativo per10.600 unità.In Sicilia, a quanto pare, non c’è

spazio per i giovani; o, meglio, c’èspazio solo per la loro crescita finoalla fine delle scuole superiori: giustoil tempo di investire energie familiari,valoriali ed economiche nella loroformazione umana e scolastica di

base,peraltro molto apprezzata espesso prossima all’eccellenza. Poiandranno via, e qualcun altro – per-sona, luogo, istituzione, impresa, etc.– se li godrà, campando di renditasulle risorse investite da noi a fondoperduto. Sì, torneranno per le va-canze, ma spesso per poco tempo einsofferenti per la differenza di situa-zione e stile di vita, che ritroverannoa casa e in cui non si ritroveranno più,ormai assuefatti a stili di vita e menta-lità “forestiere”.E l’università in Sicilia? È senz’al-

tro presente, in alcuni casi, una qua-lità rilevante nella formazione e nelladidattica, ma i contatti con imprese eopportunità professionali di alto li-vello non ci sono; ma la presenza deibaroni continua ad imperversare, gat-topardescamente adeguatasi alle mu-tate situazioni legislative; ma glisbocchi lavorativi e professionali nonsi vedono; ma c’è anche la moda diandare a studiare fuori della Sicilia.Alla fine, nella gran parte dei casi,resta a studiare in Sicilia chi non puòpermettersi di andare a studiare fuori;e il sistema di finanziamento pubblico

delle università, dal canto suo, basatosoltanto sul numero di iscritti, pena-lizza ulteriormente una situazione giàprecaria di suo.Potrei continuare ad aggiungere ul-

teriori elementi a questo quadro de-pressivo, ma preferisco fermarmi qui.Cosa fare, dunque? Come bloccare

– o quantomeno contrastare – questodrammatico trend?Il cardinale Bassetti, nella sua prima

prolusione al consiglio permanentedella Cei, ha caldeggiato la presenzadi un “pensiero lungo”, da attivareprincipalmente nell’ambito della ri-flessione su lavoro e Mezzogiorno, la-voro e famiglia, lavoro e giovani. Il “pensiero lungo” di cui parla il

cardinale Bassetti necessita dell’eser-cizio – nella nostra Isola – della virtùdella resilienza. La resilienza è moltopiù della semplice resistenza: la resi-lienza è la capacità di resistenza deimetalli alle violente sollecitazioni cuisono sottoposti.La resilienza, a livello ecclesiale,

sociale e politico, si esprime attra-verso la speranza e la profezia.Se la ripresa della Sicilia inizierà nel

#giovani

in 10 I giovani e la Sicilia: tempo ovvero tempo di speranza e

Paolo La TerraCancelliere, assistente nazionale scoutd’Europa -FSE, assistente Fuci e Meic

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Un segnale potrebbe essere l’apertura in Siciliadi alcune facoltà strategiche dell’Università Cattolica

2030, è fondamentale uno sforzoeducativo e formativo che permetta aigiovani, che in quell’anno finirannol’università o si approcceranno almondo del lavoro, di farsi trovarepronti. Ciò vuol dire curare al megliola crescita dei ragazzi e degli adole-scenti che oggi frequentano la scuolamedia e superiore, e che magari sonoancora inseriti nei percorsi di cate-chesi parrocchiale o nei gruppi eccle-siali; e questo nonostante le recentiparole, ostili ed insipienti, del mini-stro dell’istruzione, che lo scorso 9febbraio ha lasciato intendere chiara-mente che per lui Sud è una terra dilavativi e parassiti.Occorrono adulti significativi, che

esercitino la resilienza in questo pe-riodo così pesante, facendosi caricodell’educazione, della formazione,dell’animazione sociale e di un ritro-vato impegno politico, di profondorespiro valoriale e culturale, ma

anche lungimirante e accorto.E sul versante universitario? Un

grande segnale di speranza e profeziasarebbe l’apertura di alcune facoltàstrategiche dell’Università Cattolicain Sicilia. Non è giusto che moltissimigiovani siciliani siano costretti ad an-dare a Milano o a Roma per studiarealla Cattolica, sradicandosi dalla loroterra. Non è giusto che la Cattolica, avocazione nazionale, si stia svilup-pando soltanto in Lombardia – e inogni caso vicino a Milano: la deserti-ficazione generazionale e culturaledel Sud non può essere alimentataproprio da una realtà “cattolica”, chedovrebbe assicurare presenza e re-spiro nazionale. Ma su questo temapreciso, sarà opportuno tornare inmodo più disteso in seguito.Tutto ciò richiede la resilienza di

comunità che alimentano la speranzae la profezia; di fedeli che non ab-biano paura di caricarsi di un impe-

gno a livello sociale e politico; di unepiscopato che – in modo compatto– crei le condizioni per l’implanta-zione dell’Università cattolica in Si-cilia, senza far mancare attenzionealle istituzioni universitarie già pre-senti nella nostra Isola.E se questa resilienza inducesse

una inversione di tendenza? E se laSicilia, da alcuni immaginata e pro-gettata come la Florida dell’Europa,luogo di turismo e di amene resi-denze assistite per anziani, si riap-propriasse del suo ruolo storico dicentro del Mediterraneo, crocevia dipopoli e ponte culturale tra Europa,Africa e Medio Oriente? E se…?“A Muntagna brucia, eppuri a nivi

è sempri ddà!”, canta Carlo Mura-tori: è questa la resilienza di cuisiamo debitori alla nostra Terra, dicui siamo debitori verso i nostri gio-vani. Nella speranza e nella profezia.

di resilienza di profezia

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Se sei un giovane a un certo puntodella tua vita ti trovi per certo a

chiederti: “Vado o resto?”. Una do-manda obbligata sia se decidi di con-tinuare gli studi dopo il diploma, siase preferisci buttarti subito nelmondo del lavoro. L’antifona ri-torna: restare o andare? Se sei giovane, vivere a Ragusa è

un atto di coraggio. Come spiegaVincenzo, di 27 anni, che, dopo unperiodo di studio al Nord Italia, hascelto di tornare: «Dietro lo sce-gliere tra stare o andarsene c’è unvero e proprio conflitto continuo do-vuto alla forza un po’ insulare, all’at-taccamento alla propria terra chetrattiene. Dall’altro però c’è la con-sapevolezza che quello che il territo-rio può offrire sia poco, ma c’è anchela voglia di riscatto di persone che vi-vono in una realtà ancora incantata,poco propensa a cambiamenti che sidiscostano un po’ troppo dalle sueabitudini tipiche».Un elemento importante è l’atteg-

giamento che assumono i giovani nelvivere a Ragusa. C’è chi resta, quasi“parcheggiato”, nell’attesa di potertrovare un’alternativa, con un farequasi disfattista. E poi c’è chi ri-mane, come spiega ancora Vin-

cenzo, «perché la più difficile dellesfide è quella di apportare dei cam-biamenti. Se si ama la propria città,il minimo che si possa fare è di rea-lizzare qualcosa per essa. Ciò che tispinge a restare è lo stesso motivoche un po’ ti porterebbe ad allonta-narti, cioè quello che non piace: permigliorare quello che non piace siresta».È bene tenere però conto che,

come sottolinea Elisabetta, una ra-gusana 26enne che ha vissuto al-l’estero per conoscere e studiarenuove culture, ma che attualmente èritornata nella sua città natale:«L’amore per una città dipende dallostato d’animo e dalle esperienze per-sonali». A Ragusa le opportunità bi-sogna saperle creare e quest’otticaancora non è insita nel nostro retag-gio culturale, troppo spesso il lavorolo si cerca e non lo si crea, proprioperché mancano le competenze ne-cessarie nell’inventare qualcosa. Vincenzo, Marzia, Federico, Elisa-

betta, Carmelo: sono solo alcuni deiragazzi che lottano per amore dellapropria città. Affrontano con orgogliole difficoltà perché un domani Ragusapossa tornare a riempirsi di giovani.L’appello che lanciano non riguarda

tanto ciò che manca in città: «Vorreiche i ragusani si accorgessero di quelpiccolo gioiello che hanno tra le mani,c’è arte, c’è tradizione, c’è natura, manessuno ne sa sfruttare le potenzialitàal meglio, preferiscono piuttosto la-mentarsi piuttosto che essere fattivi(ma non tutti)».«Dalla mia città vorrei un’apertura,

una presa di consapevolezza del pro-prio valore. Bisognerebbe investiredel tempo ad ascoltare chi proponequalcosa di diverso, vedere conocchi nuovi. Una città che investasulla diversità come valore, in un pe-riodo di conformismo. Si dovrebbepuntare alla valorizzazione del terri-torio, della storia. Confronto, aper-tura, dialogo: isola, ma non chiusa!».

#giovani

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Migliorare la città dove ci sono le radicipuntando alla valorizzazione del territorio

Il coraggio di chi resta a Ragusanella più difficile delle sfide

Eleonora PisanaVolontaria Servizio Civile

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#giovani

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[…] Il Mezzogiorno sembra si stiaspegnendo. Dal Sud in 15 anni sene sono andate via 800mila persone,perlopiù giovani […]. Giorni fa ho letto un articolo

dell’Huffington Post, e davanti aqueste parole mi sono detta: traquelle migliaia di persone adesso cisono anche io. Sono sempre stata legata alla mia

terra, al mio paese, orgogliosamentefiera delle tradizioni e della bellezzache da sempre colorano la Sicilia.Cresciuta tra piazze e campanilidelle valli “viscarane”, felicementeancorata ai pranzi domenicali a casadei nonni, quando vedevo i mieiamici o familiari che per motivi distudio o lavoro si trasferivano alnord, ripetevo a me stessa: “io nonriuscirei mai a lasciare tutto questo”. Così, tre anni fa, ho scelto di stu-

diare Scienze del Servizio socialeall’Università di Catania; una “laureadebole” di fronte ad altri corsi chedanno maggiore possibilità di tro-vare l’agognato posto di lavoro; maio ho sempre avuto una passione perl’essere umano, una predilezioneper coloro che sono considerati “almargine” e che per questo necessi-tano di un supporto maggiore da

parte dei servizi. Durante la stesuradella mia tesi di laurea mi sono tro-vata a dover fare i conti con il mio fu-turo prossimo e con le scelte cheavrebbero dato una nuova rotta allamia vita: così, su consiglio dei mieidocenti, ho deciso di continuare glistudi a Trento, considerata da moltila patria della Sociologia e del Servi-zio Sociale. Da qualche mese vivo in Trentino

e ho iniziato a conoscere il territorioe le sue opportunità; ho scopertouna qualità superiore del mondo deiServizi alla persona: lavorare qui, nelsettore che ho scelto, è possibile. Leimprese sociali, le cooperative, svi-luppano progetti all’avanguardia, inperenne movimento e sviluppo,tanto che nel piano di studi è stato dapoco inserito il corso di “Servizi So-ciali Innovativi”. Da studenti siamobombardati di opportunità forma-tive, corsi e aggiornamenti sulmondo del sociale, stimolati a cono-scere di più e a metterci in gioco inmaniera appassionata e competente.Non dimenticherò mai il saluto delpresidente del corso di laurea all’ini-zio dell’anno accademico: “Quasi il100% degli studenti che studianopresso questo corso di laurea tro-

vano in poco tempo lavoro; i servizi,qui, hanno bisogno di voi”. Era la prima volta che percepivo il

mio lavoro come necessario alla so-cietà. Come me, molti altri giovani della

mia generazione hanno scelto di la-sciare la Sicilia alla ricerca di quel “dipiù” che purtroppo la nostra terrasembra non riesca a dare. Perchéquesto evidente divario di opportu-nità deve continuare a esistere neltempo? E se i giovani come me (perforza di cose) decidono di portare leloro competenze altrove, chi riusciràa ricostruire bellezza al sud? Me lo chiedo, spesso. E chissà,

forse un giorno tornerò anche io.

Tante opportunità e la sensazionedi sentirsi importanti per la società

Vivo a Trento, cercando quel di piùche la nostra terra non può dare

Elisabetta MiglioreStudentessa universitaria a Trento

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La questione della percezione delrapporto fra università e lavoro

tra gli studenti ragusani è estrema-mente eterogenea e il quadro che nerisulta è coerente, anche se nonmolto positivo. In termini occupazionali, si rileva

una limitata domanda di lavoro qua-lificato nel nostro territorio: la con-trazione del mercato, ancheragusano, a seguito della crisi del2008, si è accompagnata a una mag-giore mobilità dei ragazzi in uscitaverso centri cittadini più dinamici ericchi di opportunità lavorative eprofessionali. Non indifferente, a talproposito, è il peso del fattore sala-riale: la retribuzione, infatti, è unelemento non determinante ma in-fluente nella scelta dei ragazzi. Tra i fattori endogeni della Strut-

tura Didattica di Lingue a Ragusa,che favoriscono l’inserimento pro-fessionale dello studente, sono daannoverare le maggiori occasioni diformazione postlaurea (con la re-cente predisposizione di un master)e il miglioramento qualitativo delprocesso di progettazione dei corsidi studio nei confronti dell’adegua-mento degli sbocchi professionali,tra cui l’insegnamento per l’accessoai concorsi e quello turistico, orien-tato verso il patrimonio culturale e

paesaggistico di cui il nostro territo-rio è molto ricco. A tal proposito, èstato aperto anche un tavolo Mast(Management per lo Sviluppo Terri-toriale) ed è stata ampliata la collabo-razione con il Con (CentroOrientamento e Formazione). È indubbio che l’Università di Ibla

stia attraendo risorse umane qualifi-cate: funzione che, come nota Gian-franco Viesti, «si aggiunge alle altreormai note (accumulazione di capi-tale umano, creazione e trasferi-mento della conoscenza,miglioramento della qualità delleeconomie locali e dei sistemi poli-tici). Ma i dati relativi all’occupa-zione dei laureati risentono di unanotevole distorsione legata alla situa-zione ambientale».Infatti, esclusi alcuni laboratori in

ambito culturale, quali, ad esempio,gli incubatori d’impresa come BassiComunicanti, le realtà esterne al-l’Università risultano insufficientisotto tutti i profili: dai fattori di con-testo che non incontrano le aspetta-tive di benessere dei laureati, aidiversissimi sbocchi professionali,cui prepara la Facoltà di Ibla (nel-l’area dei trasporti, del marketing,comunicazione, mediazione lingui-stica, etc.), che si scontrano con unbassissimo tasso di occupazione per

le condizioni del mercato del lavorolocale, malgrado siano con essocompatibile. E tutto questo, per di più, in un

quadro di politiche nazionali che pa-ventano nuovi tagli all’istruzione eche pongono a rischio la mediazioneculturale e l’insegnamento della lin-gua ai non comunitari. La strada è senz’altro in salita: è

auspicabile una maggiore assun-zione di consapevolezza da parte ditutti gli attori coinvolti – a livello so-ciale, economico, politico ed eccle-siale – orientata ad imprimere unadiscontinuità significativa a questotrend, che, se continuasse, provo-cherebbe una penalizzazione semprepiù forte della nostra realtà accade-mica e un impoverimento del nostrotessuto sociale ed economico.

Il rapporto studi universitari-lavoroRipensare la facoltà di Lingue di Ibla?

#giovani

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Martina OcchipintiPresidente Fuci Ragusa

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Restare o partire? Intere genera-zioni, non solo i giovani di que-

sti nostri anni, hanno lasciato le lorocittà ed i loro paesi per trovare la-voro al nord Italia o all’estero. Il fe-nomeno è oggi lievitato causa la crisieconomica che aggredisce le econo-mie più deboli e che stenta a tra-montare.A chi ha un’idea di business e

vuole avviare un’impresa, a chi vuolecimentarsi nella libera professioneed avviare uno studio, a chi vuoletornare in un sud a misura d’uomo eprovare, pur nelle difficoltà, a fareimpresa, viene in soccorso un’age-volazione particolarmente interes-sante per le semplici modalità con lequali avanzare le istanze e soprat-tutto per la certezza dei tempi diconcessione del contributo.È la misura Resto al Sud, l’incen-

tivo che sostiene la nascita di nuoveattività imprenditoriali avviate dagliunder 46 nelle regioni del Mezzo-giorno, affidata alla gestione di Invi-talia e che si muove su unapiattaforma web e su un’app parti-colarmente gradita ai giovani desti-

natari. Interessa tutti i giovani,anche chi lo è meno, basta avereun’età inferiore a 46 anni, residentinelle regioni del Sud, che non hannoun rapporto di lavoro a tempo inde-terminato o non sono già titolari diun’attività d’impresa; e pure chivuole esercitare una libera profes-sione.Cosa si può fare? Si può aprire un

bed&breakfast, una bottega artigia-nale o un panificio, si possono fareconserve di marmellata o di sottoli,si può aprire un asilo o si può fareuna software house; cioè tuttoquanto rientra nei settori della pro-duzione di beni nei settori industria,artigianato, trasformazione dei pro-dotti agricoli, pesca e acquacoltura,fornitura di servizi alle imprese e allepersone e turismo. Purtroppo non sipuò aprire un negozio, né produrrefiori in serra poiché sono escluse dalfinanziamento le attività agricole e ilcommercio. Quali sono i numeri che contano?

Il finanziamento copre il 100 percento delle spese e consiste in con-tributo a fondo perduto pari al 35

per cento dell’investimento com-plessivo e un finanziamento banca-rio a tasso zero per il restante 65 percento. Ciascun aspirante imprendi-tore o professionista può riceverefino a 50mila euro e, se costituisceuna società o una cooperativa,50mila euro per ogni socio cheabbia i requisiti, fino ad un massimodi 200mila euro.Si possono spendere le somme ri-

cevute per l’acquisto di impianti,macchinari, attrezzature e pro-grammi informatici oltre che, condelle limitazioni, per le spese di ri-strutturazione degli immobili e perle principali voci di spesa correnteutili all’avvio dell’attività. Verificati i requisiti, subito sul

web, sito di Invitalia, per predi-sporre l’istanza esclusivamente on-line. Il resto vi sarà svelato poco apoco, come in un libro giallo, ma chiè curioso fin d’ora può trovarlo sulsito citato.Per chi volesse un’opportunità in

più, presso la fondazione San Gio-vanni Battista di Ragusa([email protected]) si svolgono i corsi“Yes I start up”, iniziative di forma-zione per l’avvio d’impresa e di pre-sentazione di ulteriori opportunitàdi finanziamenti e agevolazioni.

Emanuele Occhipinti

Resto al Sud o scappo al nord? Ecco l’opportunità per restare o tornare

#giovani

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Un incentivo statale sostiene la nascita di nuove attività avviate dagli under 46 nelle regioni del Mezzogiorno

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Incontro Giovanni al bar, siamoamici da anni, è sempre la stessagiornata ma qualcosa di diverso èsuccesso: da un mese ho iniziato ilservizio civile. Giovanni ha fatto ilservizio l’anno scorso in un centrod’accoglienza gestito dalla fonda-zione San Giovanni Battista. I nostrisono progetti differenti, ma accomu-nati dalla stessa voglia di mettersi aservizio della comunità.So bene quello che erano i suoi

compiti al centro, ne abbiamo par-lato tante volte, e tante volte mi haconvinto, parlandone, di attivarmi edi iniziare anch’io questo percorso.Ma qualcosa è appunto differente,

e quindi gli chiedo cosa ha provatodurante il suo anno. Mi risponde chele sue aspettative erano quelle diun’esperienza a metà tra lavoro e for-mazione, e che, pronto ad assorbireogni lezione di vita e di professio-nale, era curioso di inserirsi in ungruppo di lavoro, misurandosi in unambiente fin lì conosciuto solo dalontano. E di quell’ambiente conosciuto da

lontano iniziamo a parlare. Glichiedo quale sia stato l’impatto equali fossero le sue emozioni laprima volta che è entrato nel centro

a cui era stato assegnato, e mi ri-sponde che c’era preoccupazione,ovviamente, e che il timore di nonriuscire ad aiutare i beneficiari delcentro e non saper dar nessun soste-gno era concreto. Ma l’entusiasmo ela voglia di fare gli hanno permessodi inserirsi velocemente e capire finda subito la sua reale possibilità diservire la comunità. Ma, una volta ca-pita la reale possibilità di incidere equindi trasformare responsabilità inopportunità, l’esperienza è diventatanon solo crescita professionale e co-gnitiva ma anche e soprattutto per-sonale: un’emozione.I beneficiari del centro hanno co-

minciato a consideralo una figura diriferimento per le loro vite dentro efuori la struttura. I consigli, le richie-ste e i racconti dei ragazzi hanno per-messo, col passare dei mesi, lacreazione di un rapporto non soloformale ma anche amichevole. Im-provvisamente si rese conto che nonsolo lui poteva dare tanto a loro mache anche loro potevano dare tantoa lui. E se la prima presa di coscienzaera stata subito chiara e fa parte diquel processo di formazione profes-sionale, la seconda è la chiave essen-ziale per capire quanto il servizio

civile non solo sia dare ma anche ri-cevere. Gli faccio un’ultima domanda:

cosa ha provato finendo il suo annodi servizio. La risposta immediata èstata tristezza, ma tutto passa in se-condo piano rispetto all’emozione diaver contribuito con impegno equindi sentirsi un cittadino attivo diuna comunità unica e vitale.Perché questo è il fine ultimo del-

l’anno di servizio civile: dare unamano e riceverne cento, prenderecoscienza di vivere all’interno di ununico organismo, che necessita diimpegno e partecipazione, di profes-sionalità e di energie, ma capace direstituire emozioni e gratificazione,crescita e coscienza. Mi chiedo se sarà così anche per

me, e mentre vado via mi rispondo:certamente sì.

Dare una mano e riceverne centoL’emozione del servizio civile

#giovani

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Salvatore SchininàVolontario servizio civile

Un’esperienza tra lavoro e formazione che aiuta a crescere anche a livello umano

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Proprio così, ci sono dei giovaniin San Vincenzo, anche nella vo-

stra città, se c’è la Società di SanVincenzo De Paoli. Vi chiederete“cosa è”, “dove è” e soprattutto“cosa fa” questa San Vincenzo? Ebbene, basta cercarla e vi accor-

gerete che è tutt’intorno a voi anchese non ve ne accorgete; cosa è puòessere descritto da questa espres-sione di San Vincenzo: “Dobbiamoamare Dio e i poveri, ma a spesedelle nostre braccia e col sudoredella nostra fronte” e possiamoanche aggiungere: “perché dare unamano colora la vita”; ciò che fa è cosìsemplice ed umile, che per moltiquasi non è degna di nota. A questopunto potete sostenere di non avermai letto la frase: “dare una manocolora la vita” con il logo che necompleta il messaggio?Cercatelo.Potremmo parlare di tante attività

della San Vincenzo, ma oggi vo-gliamo raccontare l’esperienza chenoi ragazzi vincenziani delle provin-cia di Ragusa, ed in particolaredell’Associazione Consiglio Cen-trale di Vittoria, abbiamo vissuto aBergamo, il 12 e 13 gennaio scorso.Un incontro che è stato il prosieguodel campo Ozanam, tenutosi in ago-sto, nel quale si è fatta esperienza di-retta del servizio. A Bergamo ci si èsoffermati sulle due colonne del Ca-risma vincenziano: la missione (an-nunciare la misericordia del padre)e la carità (testimoniare l’amore diDio nelle opere concrete), il tuttocon l’umiltà tanto amata dal nostrofondatore, il beato Federico Oza-nam. Sì, umiltà e carità insieme! Fede-

rico Ozanam sostiene che: “un’alte-

razione del nostro spirito fa sì che lacarità senza l’umiltà si riduca a filan-tropica e verbosa; si parla di caritàsenza farla”, riflettendoci possiamorenderci conto di come il messaggiodi Ozanam ,espresso alla fine del1800 sia così attuale, anzi così pre-sente nella realtà di questo nostromondo.Proprio di questo si è parlato a

Bergamo, dell’incontro-scontro conle povertà, tutte le povertà quelle vi-sibili e quelle nascoste, anche dellenostre povertà di giovani del terzomillennio. Sono tante, tantissime enon possiamo permetterci il lusso dirimanere ancora fermi con le manisu uno smartphone se veramentesogniamo ed esigiamo un “mondomigliore”. Allora è tempo di rimboc-carsi le maniche e dare il proprio

contributo, forti della fede e del-l’amicizia, che ci permettono di so-stenerci l’un l’altro nelle difficoltàindicando la strada da percorrere,per poter poi affermare come PinoDaniele: Yes I know my way”!Abbiamo scoperto che è vero che

“dare una mano colora la vita”; bastaricordarsi sempre che proprio perquesto ne abbiamo due, con una aiu-tiamo e con l’altra ci aiutiamo,dando spazio a tutte le altre esigenzeche ci appartengono. Aiutiamo coloro che, intorno a

noi, si trovano in difficoltà e riusci-remo anche noi a trovare il nostroposto nella vita. Venite a cono-scerci! Un abbraccio.

I Giovani Vincenziani della Diocesi di Ragusa

#giovani

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Quando la solidarietà colora la vitaLa San Vincenzo ha un cuore giovane

Missione, carità e umiltà le parole chiave di un impegno al servizio dei più poveri

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Una missione nei misteri del-l’Universo della quale va orgo-

gliosa l’Italia anche per ildeterminante apporto dell’inge-gnere aerospaziale Michele Zusi,originario di San Martino Buon Al-bergo in quel di Verona, marito diuna nostra concittadina KatiaBiazzo, ricercatrice laureata in Fisicaall’Università di Catania: la meta è ilprimo pianeta del nostro sistema so-lare, Mercurio. Dopo diversi anni digestazione si è finalmente arrivati alvia, avvenuto alle 3.45 della notte travenerdì 19 e sabato 20 ottobre 2018.Gli ultimi preparativi si sono svolti aKourou, la base di lancio europeanella Guyana Francese da cui è poipartito il satellite della missione “Be-piColombo” a bordo del vettoreAriane 5. «La missione – spiega l’in-gegnere Zusi – è frutto della collabo-

razione tra Esa (Agenzia SpazialeEuropea) e Jaxa (Agenzia SpazialeGiapponese). Prevede un viaggio in-terplanetario di sette anni per un to-tale di nove miliardi di chilometriprima di raggiungere Mercurio, ilpianeta di tipo terrestre più piccoloe meno esplorato del Sistema So-lare».L’ingegnere Michele Zusi, in col-

laborazione con molteplici colleghianche internazionali, ha lavorato conscrupolo, costanza e tanta professio-nalità per mettere a punto Simbio-SYS, uno degli strumenti dellamissione collocati a bordo dellasonda, e deputato all’investigazionechimica e geomorfologica della su-perficie di Mercurio. «Si tratta inpratica di una macchina fotografica atre occhi – ha dichiarato ancora Zusi– uno spettrometro per identificarela composizione chimico-mineralo-gica della superficie, una camera ste-reoscopica la ricostruzione in 3Ddella topografia e infine una cameraad alta risoluzione spaziale studiataper ottenere immagini della superfi-cie con un livello di dettaglio e niti-dezza prima d’ora impensabile nelleesplorazioni spaziali». La sondacome già sopra accennato impie-

gherà circa sette anni prima di giun-gere a destinazione.La consorte Katia da anni alterna

la sua vita di moglie e madre conquella di scrupolosa ricercatrice,professione che l’ha portata ad effet-tuare le sue ricerche focalizzate prin-cipalmente su stelle in formazionenella nostra Via Lattea e in galassieesterne e sui pianeti extrasolari,ossia pianeti al di fuori del nostro Si-stema Solare. Autrice di molteplicipubblicazioni apparse su prestigiosetestate scientifiche internazionali, lesue ricerche l’hanno portata in mol-tissimi istituti ed osservatori astrofi-sici esistenti in Europa e nel mondo.È proprio il caso di dire che la gio-

vane famiglia Zusi-Biazzo (entrambifanno parte dell’Istituto Nazionale diAstrofisica) è una di quelle eccel-lenze italiane che vive con la “testatra le stelle”: le ricerche della coppiaZusi-Biazzo sono tra quelle chestanno arricchendo la conoscenzadello sconfinato e tutto da scoprireuniverso che ci circonda e che noncessa mai di stupirci grazie al lavoroe all’abnegazione anche di tantiscienziati italiani che come lorofanno parte dell’Istituto Nazionale diAstrofisica. S.B.

Da Ragusa all’Istituto di astrofisicaE ora via alla scoperta di Mercurio

#giovani

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La giovane famiglia Zusi-Biazzo è una eccellenza scientifica italiana

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La sveglia di domenica 17 febbraionon ha mai suonato! L’adrena-

lina scorre nelle vene, il buon umorescopre un sorriso smagliante. Anchequest’anno l’Azione Cattolica deiRagazzi festeggia la Pace, con una ta-vola apparecchiata e con un menù daleccarsi i baffi. Nessun particolare èstato trascurato, dalla tovaglietta perospitare i piatti, alle ricette più gu-stose. Mancano gli invitati. Ancorapoche ore al loro arrivo! Sono 776anime colorate e saporite che aspet-tano solo di essere accolti. Tutto èpronto! Un suono di tromba e iniziala giornata. Tra una classificazione dipaste e di calorie e un giro di pizza,ci si ferma a giocare con gli amicidella lontana Africa, che propon-gono il gioco “Samanachighel”, ti-pico della loro infanzia, detto tra noiuna rivisitazione africana del cono-sciutissimo gioco “pugno-cutugno”,perché in fondo, la voglia di mettersiin gioco e di divertirsi non diversificama solo accomuna. Anche la chia-mata al servizio dei piccoli è stata ac-colta da insegnanti, genitori,educatori, medici, dirigenti di bancae persino il presidente dell’ordinedei dottori commercialisti, perché infondo i piccoli ci stanno a cuore.

“Sono loro il nostro futuro!” non èsolo un motto da tirare fuori nellegrandi occasioni ma diventa obiet-tivo di un progetto che va accompa-gnato e tutelato. Ma la mattinariserva tantissime sorprese, a comin-ciare dalla scoperta che la parola èstrumento importante da utilizzarecon consapevolezza, perché siamobulli e non ce ne rendiamo conto einfine un sano e corretto utilizzo deisocial network, ha visto i nostri cari12/14 alle prese con la ricerca delpost migliore da condividere.Arriva l’ora del pranzo e “con stu-

pore provo la ricetta, l’assaporo afondo, senza fretta”; ci siamo nutriti,insieme al vescovo Carmelo ed ai no-stri assistenti, con il Pane che forti-fica e abbeverati con il Sangue cherallegra. Recuperate le forze si partemarciando per le strade di Ragusa,verso villa Margherita. Un impasto dicolori, un coro di voci all’unisono,rendeva visibile la Pace; e pensareche la Pace è sempre presente e ne-anche la vediamo. I nostri piccolisoci di A.C. ci hanno preso propriogusto a marciare per la Pace, hannosuperato ostacoli, hanno incontratopersonaggi insoliti e finalmente sonoarrivati a destinazione. La gioia, la

commozione del sindaco PeppeCassì, nel vedere la città che rappre-senta con un nuovo volto, allegro emotivato. La gratitudine del diret-tore della Caritas, Domenico Leggioe del cappellano del carcere, donCarmelo Mollica, nel ricevere i tantidoni raccolti dai ragazzi. Tra uncanto e un ballo la festa volge al ter-mine e i ragazzi ringraziano il buonGesù per aver vissuto una giornataricca di emozioni. Grazie ragazzi,grazie Acr e, come un bambino a cuitrema la voce, grazie a Te che non tistanchi mai di prenderti cura di me,di prenderti cura di noi.

Raffaella Refano

##ggooooddnneewwss

Durante la mattinata i ragazzi dai 12 ai 14 anni si sono cimentati in un gioco che li ha visti diventare giornalisti e divulgatori di #goodnews sui social network. Hanno sperimentato l’importanza di selezionare con cura tra le tante notizie che riceviamo giornalmente quelle vere ed attendibili, di scegliere le parole più adatte al contenuto e di evitare le diffusione di fake news.Nella retro copertina abbiamo pubblicato alcune delle notizie che hanno catturato la loro attenzione e che vogliono raccontare.

#giovani

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La festa dei ragazzi di Azione CattolicaIn marcia verso un futuro di pace

La giovane famiglia Zusi-Biazzo è una eccellenza scientifica italiana

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Anche dopo 20 anni dalla sua scomparsa terrena perla vita beata del cielo, il ricordo di Adelia Melilli

splende per noi dell’oratorio Spazio e per la città di Ra-gusa. I dati. Adelia nasce a Ragusa il 13 giugno 1985. Il15 ottobre 1998 si iscrive a Spazio. Il 3 febbraio 1999Adelia ci lascia per il cielo. Nel ricordo di un’educa-trice. 8 ottobre 1998: un gruppo festante di ragazzi si ri-versa in oratorio, tra di loro Adelia; non ha bisogno ditante informazioni, Spazio è già nel suo cuore ed ha giàun progetto: vuole imparare a disegnare, lavorare l’ar-gilla, fare teatro. Vuole fare un cammino formativo, tro-vare amici, capire cos’è Spazio e si impegna afrequentare le attività e a tenere costantemente informatii genitori. È simpatica a tutti. Alla festa del 14 novembre,Adelia supera alcune prove di abilità e dopo un’esibi-zione canora viene eletta “superwoman”. Commentandole foto dirà: “mi hanno fatto vincere, ma non lo meritavo;è stato più bravo Stefano”. Interviene la mamma: “Ri-cordati che può vincere la simpatia”. Creatura lumi-nosa. Adelia ci insegna a cominciare dalle coseordinarie, ad accorgerci di chi ha bisogno di noi, adamare la vita, a vivere sempre alla presenza di Dio che ciama e ci vuole felici, sempre, nonostante i fatti della vitapossono dirci il contrario. Riconoscimenti. Il 18 giugno1999 Adelia viene proclamata “Alunna più buona d’Italia1998” (riconoscimento postumo) da parte dell’Associa-

zione Nazionale “Ex alunniNazareno” con la seguentemotivazione: “Di Adelia sipuò ben dire che “brevi vi-vens tempore explevit tem-pora multa”. Adelia inEcuador. Per ricordare edare continuità alla sensibilità e all’amore di Adelia peri deboli e gli emarginati, nasce il “Progetto Esmeraldas”.L’oratorio Spazio ha realizzato due pubblicazioni suAdelia e ha devoluto l’intero ricavato dalle offerte liberealla ricostruzione del Centro di riabilitazione “JuanPablo II” in Esmeraldas (Ecuador). La collaborazionecontinua: l’oratorio Spazio ha finanziato il parco giochie ha contribuito all’acquisto di ausili ortopedici per lariabilitazione dei bambini disabili. Viale Adelia Melilli.Il 29 aprile 2003 il Comune di Ragusa le dedica un vialedella città. Presenti all’inaugurazione gli alunni dellascuola media “Vann’Antò”, gli educatori e i ragazzi diSpazio, le autorità civili, religiose e militari. Modellodella gioventù. Adelia è stata additata quale modellodella gioventù dagli Uffici di Pastorale Giovanile di Sici-lia ed inserita nel “libro bianco” che è stato donato aPapa Benedetto XVI (ottobre 2010, Palermo). Il libro“Adelia”, scritto da don Salvatore Mercorillo, ha otte-nuto il plauso della Commissione.

L’oratorio Spazio ricorda Adeliaa venti anni dalla sua scomparsa

#giovani

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Nel mondo moderno è necessa-rio riscoprire e valorizzare un

sistema educativo in grado di farciapprendere ciò che per definizioneè impossibile insegnare: sentimentied emozioni. Uno strumento attra-verso cui esteriorizzare efficace-mente gli aspetti più irrazionali eprofondi dell’animo umano è, dasempre, il teatro. Lo sapevano gliantichi per cui l’opera teatrale rap-presentava un rituale di grande rile-vanza religiosa e sociale, unostrumento di educazione nell’inte-resse della comunità. I più profonditemi sociali hanno attraversato tantola tragedia quanto la commedia, gliiconici eroi tragici come Aiace,Medea, Antigone, con le loro vitetormentate rendevano possibile ri-flettere sui problemi della società,fornendo un punto di partenza perriflessioni psicologiche profonde ededificanti. Le commedie erano in-vece un mezzo attraverso cui spin-gere il pubblico a riflessioni sulmondo contemporaneo delle poleisgreche, sulla storia politica delmondo, sulle disuguaglianze sociali,sulle contraddizioni dell’epoca,pensieri che accompagnano ancoraoggi il nostro inquieto mondo. Ilteatro è sempre stato un valido al-leato della cultura, tramandando ilsapere nel corso dei secoli e renden-

dolo accessibile a tutti, una fonte diconoscenza eterna, un continuo ar-ricchimento della consapevolezzapersonale che ha contribuito ad edi-ficare la moralità della nostra so-cietà, il nostro essere uomini.Rispetto, onestà, impegno, sono

alcuni dei valori morali che il teatroriesce ancora oggi a trasmettere congrande efficacia, rivestendo unoscopo educativo di formazioneumana e di orientamento.Il teatro supporta la persona nella

presa di coscienza della propria in-dividualità, nella riscoperta del biso-gno di esprimersi credendoincondizionatamente nelle propriepotenzialità, allena gli individui adaffrontare con maggior sicurezza ilreale, li aiuta a comprendere la diffi-cile realtà sociale in cui vivono e lisostiene nel loro lavoro di crescita.L’atteggiamento creativo stimolatodalle attività teatrali aiuta a realiz-zare se stessi, sviluppa la fiducianella possibilità di accettarsi e rin-novarsi, il ritenersi in grado di tra-smettere contenuti, e l’aspirazionea migliorasi costantemente. L’attocreativo è legato all’identificazioneemotiva dell’attore con il personag-gio, un passaggio fondamentale cherichiede l’aiuto della memoria emo-tiva, la facoltà che permette all’at-tore di recuperare dal proprio

passato sensazioni ed emozioni; i ri-cordi evocati vengono poi combinatiper consentire l’emergere dei senti-menti atti creare lo stato d’animo delpersonaggio. In seguito, durante larappresentazione, l’attore dovrà rin-novare continuamente la proprialinea di azioni e rielaborare il pro-prio modo di agire in base alla situa-zione contingente, tenendo peròfisso il suo riferimento al ricordo. Lasituazione teatrale diventa un prete-sto attraverso cui riflettere sulla pro-pria esperienza e, partendo da essa,generare qualcosa di nuovo edunico: nuovo perché reinterpretaelementi del passato e unico perchéfa riferimento a qualcosa di sogget-tivo e personale; spingendoci a cre-scere e conoscere meglio noi stessi.

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Il teatro sistema educativo che veicolavalori, cultura, sentimenti ed emozioni

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Lorenzo BertoloneStudente del liceo classico

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La scuola di oggi, rispetto a quelladel passato, ha attraversato di-

versi cambiamenti, sia sul piano for-mativo che didattico. Nel passato lascuola era un privilegio di pochi: co-loro che la frequentavano impiega-vano energie e interesse maggiori,che finalizzavano al raggiungimentodi un ampio bagaglio culturale; i do-centi del passato, dal canto loro, ave-vano solo il compito di trasferire leloro conoscenze a coloro che eranointeressati ad apprenderle. La scuola di oggi, invece, vede

come protagoniste persone che,spesso, mi sembra la frequentino sol-tanto in obbedienza alla legge del-l’istruzione obbligatoria di diecianni: questo comporta una differentepercezione della scuola.A questo si aggiunga che, in un

contesto segnato dalla scarsa motiva-zione degli studenti, i docenti sonospesso costretti a rallentare il ritmodella didattica, per mantenere ilpasso di coloro che sono meno moti-vati. Al momento, la scuola mi sem-bra un mezzo di realizzazioneprofessionale, che permette, di con-seguenza, di trovare un lavoro per vi-vere in maniera dignitosa. Un’alunna di una scuola a Barcel-

lona afferma: «La scuola è il luogodove passo la maggior parte del mio

tempo; penso che questa ci aiuti acrescere e con il tempo migliorare ecambiare punti di vista su alcunecose. Però, poi arriva la parte dell’ob-bligo e la vedo diversamente: peresempio, nella scuola dove vado ora(scientifica/linguistica), sembra chetutto debba essere un obbligo peravere un semplice scopo, cioè pas-sare con dei bei voti. Non c’è un mi-nimo indirizzo che ti aiuti magari ad“aclarar” (chiarirti) le tue idee». Naturalmente devi essere tu stessa

a decidere cosa fare con la tua vita, edè anche giusto avere una cultura ge-nerale; ma se noi facciamo un espe-rimento, e chiediamo agli adulti unadomanda di storia, per esempio, cosaci rispondono? Quindi è questo ciò che mi dà fasti-

dio: ci saranno i pochi fortunati nellavita che – anche senza scuola – hannoil futuro già tracciato, mentre pernoi, invece, penso valga un’altra con-statazione: “O finisci la scuola o nonandrai da nessuna parte”. Invece, un’alunna di una scuola a

Milano dichiara: «Allora, io credoche la scuola sia fondamentale nelprimo decennio di vita – magarianche qualche anno in più – per dueragioni. La prima è che non puoi ri-manere un analfabeta: è il momentogiusto in cui insegnare ad un bam-

bino a leggere e a scrivere, le basid’inglese, di scienze, di geografia, eperciò a darti un’idea del mondo.Credo sia il momento giusto in cuiun bambino è aperto alle cono-scenze. La seconda ragione è che sifrequenta la scuola anche per impa-rare a relazionarti con altre persone,a conoscere te stesso e gli altri, a for-mare la tua personalità».Un altro alunno, di una scuola in

Sicilia sostiene: «Secondo me inmolti credono che i più bravi a scuolasiano i più intelligenti; tuttavia, quellicon voti più alti hanno, spesso, solouna buona memoria e tanta passioneper lo studio. I voti delle materie nondefiniscono il quoziente intellettivodi qualcuno. Parecchie persone nonstudiano per imparare, ma per otte-nere un buon voto e, di conse-guenza, non imparano nulla perché adistanza di tempo non ricordanoniente».

I ragazzi di oggi, la scuola, il futuroLe difficoltà di una quindicenne

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Sarah Ines Savasta Studentessa Umberto I di Ragusa

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Domenica 3 febbraio “Giornata Na-zionale della Vita”, come ogni

anno, all’ospedale Maria PaternòArezzo, abbiamo vissuto un momentodedicato alla vita: la vita che nasce e checresce, la vita che ci viene donata, èfonte di carità. Ammirare le giovanimamme portare in grembo i loro piccolie le mamme che godono già del caloredelle loro splendide creature è stata unagioia immensa.Il miracolo della vita è per eccellenza

la vera espressione di amore e dob-biamo rendere grazie a Dio per questogrande dono. Siamo chiamati come po-polo della vita ad accogliere, difenderee promuovere la vita in tutte le sue fasie soprattutto aiutare, sostenere, ognigiorno tante mamme e papà che vivonotante difficoltà e sofferenze, a dire “Sìalla vita”.Quest’anno prima della consueta vi-

sita alle neo mamme e ai loro bimbi, ilnostro vescovo, monsignor Carmelo

Cuttitta, ha celebrato la santa messa nelreparto maternità dell’ospedale MariaPaternò Arezzo. Riprendendo nel-l’omelia il bellissimo messaggio dellaCei per questa 41. Giornata Nazionaleper la Vita: “È Vita, è futuro”, ha chia-ramente espresso che «l’aborto è ilsegno della non continuità della vita, ungesto da condannare perché si parlachiaramente di uccisione del bambino,anche se molti non sanno». Tanti bam-bini ogni giorno non vedono la luce peruna verità celata e offuscata, bambininon nati a cui è stato negato il dono piùgrande che Dio ci ha regalato: la vita!Un ringraziamento al nostro vescovo,

a padre Pippo, ai cappellani ospedalieripadre Giorgio, padre Salvatore, allesuore del Sacro Cuore che hanno ani-mato la liturgia nella celebrazione euca-ristica, agli operatori sanitari, alla caposala del reparto e a tutti i volontari, e aquanti di sono impegnati per la riuscitadella Giornata della Vita e un grazie spe-

ciale a tutte le mamme e papà che hannodetto “sì” alla Vita. Viva la Vita!Il giorno prima eravamo andati con

padre Giorgio, responsabile dall’ufficiodella Pastorale della Salute a visitare ilungo degenti del Rsa e di Villa SanGiorgio. Un’ esperienza molto commo-vente, i nostri anziani che vivono la sof-ferenza, tanti volti di personeconosciute un tempo grandi donne,grandi uomini adesso come bambini te-neri, fragili che ci hanno accolti congioia. Tanta accoglienza, ma anchetanta commozione e gioia nei loroocchi, i loro sguardi, impressi nel no-stro cuore.Padre Giorgio con il suo carisma di

animazione, ha strappato anche neivolti più sofferenti un accenno di sor-riso. Tanta comunione tra di noi, glioperatori sanitari e la cappellania ospe-daliera. Abbiamo donato una coroncinadi rosario: un piccolo segno. Abbiamoricevuto tanto, siamo tornati a casa ar-ricchiti del grande valore della vita, vitavissuta nella sofferenza, ma vissuta inpienezza come dono.

Carlo e Maria Moltisanti

Dagli anziani ai piccoli appena natiChe bella la Giornata della Vita!

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Il vescovo monsignor Carmelo Cutitta ha ricordatocome l’aborto sia l’uccisione di un bambino

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Ciao a tutti! Sono Luca Roccaro, ho24 anni, sono seminarista di primo

anno della Diocesi di Ragusa e faccio imiei studi e la formazione a Palermo. Sono figlio di Giovanni e Maria Con-

cetta, fratello di Fabio (gemello) e Se-bastiano, cognato di Clara e Stefania,nonché zio di Giovanni e Giulia. Lorosono parte integrante del mio camminoe quindi come conoscerete me cono-scerete anche loro, non a caso ho volutomettere i loro nomi. Provengo dalla parrocchia San Do-

menico Savio di Vittoria. Qui è il postodove la mia vocazione è nata, cresciutae con il tempo maturata. Nella mia par-rocchia ho svolto il servizio di mini-strante, educatore ministranti,educatore giovanissimi, coordinatore eanimatore grest. Diciamo che non misono fatto mancare niente, ma io sonoquesto! Quando mi dicono di fare qual-cosa non riesco a dire di no, figuriamociquando a chiedermi qualcosa è il nostroSignore Gesù Cristo! Come si può diredi no a Lui? Anche se a dire il vero qual-che no da parte mia Dio lo ha ricevuto

ma alla fine lo sappiamo tutti, vincesempre Lui. Tanto ha insistito che nonho potuto fare a meno di dirgli di sì. Sì, Dio è così, se ti vuole te lo fa ca-

pire in tutti i modi, te lo dice attraversole persone più vicine, ti lascia libero dicadere ed imparare tuoi errori, tichiude porte, entra un passo alla voltanella tua vita con molta delicatezza.Molti scherzando mi hanno chiesto: macome ti ha chiamato? Con il cellulare?No, Dio fa di meglio. Dio chiama attra-verso la Sua Parola, attraverso le per-sone che frequenti, avvenimenti,cadute, esperienze; Dio ti fa capire chela vita che stai vivendo non è quella chetu vuoi veramente, non è quella che tidà la vera gioia ma è solo un vivacchiareaspettando che arrivi qualcosa che tirenda felice. Dicevo che volevo una fa-miglia e dei bimbi e mi diceva che avròuna grande Famiglia e perché no, tantibambini da seguire; dicevo che volevovivere una vita normale come tutti e luimi rispondeva dicendo che avrei vissutouna vita normale come tutti ma con unacarica in più, l’Eucarestia quotidiana;

dicevo che non volevo studiare e mi fa-ceva capire che lo studio della Parola diDio serve per conoscere meglio mestesso. Oggi sono al primo anno di seminario

dopo aver frequentato l’anno prope-deutico. Anno per me molto impor-tante. Qui ho fatto un discernimentopiù accurato, sono cresciuto nel-l’ascolto e nella lettura della Parola, horiscoperto l’importanza della pre-ghiera, fonte vitale per ogni cristiano.Dopo questi primi quattro mesi in se-minario posso confermare che sonosempre più convinto di intraprendere econtinuare questa strada verso il sacer-dozio.Certo che la vostra vicinanza attra-

verso la preghiera non mancherà, vichiedo di pregare per tutti i seminaristie sacerdoti affinché possano essere veriimitatori di Cristo e possano vivere ilsacerdozio in santità. Infine voglio direun grazie particolare a tutti coloro chestanno investendo su di me, ne sonoloro molto grato. Un abbraccio, Dio vi benedica.

I nostri seminaristi: Luca Roccaro«Così Dio mi ha indicato la sua strada»

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La sua vocazione è nata, cresciuta e maturatanella parrocchia San Domenico Savio di Vittoria

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Proprio agli inizi di questo 2019, lacommissione diocesana per la For-

mazione permanente del clero ha of-ferto ai sacerdoti la possibilità dipartecipare agli esercizi spirituali, dal21 al 25 gennaio.Si sono tenuti a Caltagirone, a Villa

Sturzo, e sono stati guidati da monsi-gnor Antonio Pitta, noto biblista e pro-rettore della Pontificia UniversitàLateranense. Trenta i sacerdoti parte-cipanti, insieme con il vescovo monsi-gnor Carmelo Cuttitta.Da ottima guida spirituale e illustre

specialista di San Paolo, con le sue me-ditazioni monsignor Pitta ci ha riportatialla sorgente della vocazione e del no-stro ministero pastorale, dialogando sultema: “Rivestirsi di Cristo nel mini-stero. La Chiesa nell’evangelo diPaolo”.Inoltre, introducendo il clima degli

esercizi, ha raccomandato vivamente ilsilenzio, l’ascolto orante della Parola di

Dio e soprattutto la ricerca della con-formazione a Cristo: sono i pilastri por-tanti di un presbiterio che riscopre lapeculiarità della chiamata del Signore. Ricchissimo il panorama teologico

paolino sul quale don Pitta ha intessutole sue splendide meditazioni: dall’ec-clesiologia del “Corpo” e dell’Agàpe,della Prima Lettera ai Corinti alle solidedirettrici cristologiche dell’ “Imita-zione” e della “Conformazione” a Cri-sto, della Lettera ai Romani; dalladignità ricevuta dallo Spirito Santo diesercitare il sacro ministero, della Se-conda Lettera ai Corinti all’esempiosommo di Paolo di assumere in sé, intutto e per tutto, la medesima umiltà eobbedienza di Cristo, della Lettera aiFilippesi. Uno speciale focus sulla Let-tera agli Efesini, particolarmente sulruolo dei sacramenti nell’edificazionedella Chiesa, ha aperto le vaste prospet-tive delle conclusioni che, ovviamente,ogni presbitero dovrà calare nella sua

vita personale e nell’esercizio del pro-prio ministero. Gli esercizi spirituali si rivelano ogni

anno un momento di intensa preghierae gioiosa fraternità fra i sacerdoti. Levarie giornate, infatti, erano scanditedall’immancabile richiamo della salmo-dia cantata, dell’adorazione e della ce-lebrazione eucaristica, del silenziopersonale e orante; tuttavia, la seradopo cena ci si intratteneva, spesso in-sieme col vescovo, a confrontarci suqualcuna delle tematiche affrontate op-pure sui tanti argomenti pastorali di cuiè intrisa la vita del presbitero. Ogni anno non possono mancare gli

esercizi spirituali! Se il chiamato daCristo vuole portare solidi frutti nel suoministero pastorale, non deve mai farsimancare questa ricca e vigorosa espe-rienza spirituale, appuntamento impre-scindibile con Cristo e col presbiterio.

Giuseppe Di Corrado

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Rivestirsi di Cristo nel ministeroEsercizi spirituali del clero diocesano

DIOCESI

Quattro giorni intensi a Caltagirone con la guida di monsignor Antonio Pitta

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Ci piace cantare la vita, l’amore, lapace, l’unità! Con queste semplici

parole Michele, uno dei componentidel gruppo presenta il concerto “Life”del Gen Rosso, storico gruppo musi-cale internazionale, ai circa mille stu-denti dell’istituto “Galileo Ferraris”che sabato 7 febbraio hanno gremito ilteatro Tenda di Ragusa.Il Gen Rosso nasce nel 1966 a Lop-

piano (Firenze) da un’idea di ChiaraLubich, fondatrice del Movimento deiFocolari, che regala una batteria rossaa un gruppo di ragazzi per comunicare,attraverso la musica, i messaggi di pacee fratellanza universale e concorrerecosì alla realizzazione di un mondo piùunito. Le parole giungono al cuore dei gio-

vani che cantano, ballano danzano iritmi positivi che sprigiona la musica, eche scandiscono con la voce e con ilcuore le frasi di speranza dei testi mu-sicali, come “making space for love”(“facciamo spazio all’amore”).Il concerto è l’epilogo del progetto

“Sicilia ponte di solidarietà” realizzatodagli studenti del “Ferraris” di Ragusa,su proposta degli stessi artisti del GenRosso. Cantanti, ballerini, musicisti emanager del gruppo hanno animato iworkshop proposti agli studenti, coa-

diuvati da un pool di docenti dellastessa scuola, capitanati dalla professo-ressa Giovannella Licitra. I laboratoriartistici hanno rappresentano un’occa-sione originale per crescere, insieme apersone di culture e età diverse, nellearti performative come canto, danza,musica, percussioni, documentazione.Gli studenti hanno partecipato con at-tenzione, coinvolgimento, entusiasmo,esibendo anche buone qualità artisti-che, tanto da meritarsi il bel commentodella dirigente scolastica, GiovannaPiccitto : «Fantastici i nostri ragazzi!».Cosa ha reso fantastici gli studenti nei

tre giorni di intenso lavoro nei wor-kshop? Forse il desiderio di ascoltaremessaggi positivi, che a volte sembranonote stonate nel rumore e nella tristezza

di una società mai felice. Forse la vogliadi sentirsi capiti, stimati, ascoltati.Forse semplicemente la voglia di rice-vere uno sguardo amorevole o di vivereuna vita più ricca non di cose, ma di af-fetti. Dai laboratori sono nati un video, una

coreografia ritmica, un ballo di danzastile “broadway” e uno stile “hip hop”,l’esecuzione corale del brano Hopes ofpeace – Semina la pace. Il tutto ese-guito assieme al Gen Rosso nello spet-tacolo offerto alla scuola, grazie alpatrocinio del Comune di Ragusa edella Diocesi di Ragusa.Lo spettacolo serale ha fatto regi-

strare il tutto esaurito al Teatro Tendaalla presenza del vescovo monsignorCarmelo Cuttitta, con giovani, adulti,famiglie, bambini uniti nel canto di spe-ranza: “la pace è un dono che la vita tidarà, un sogno che si avvererà!”. Neiragazzi il Gen Rosso ha lasciato il segnoe un grande desiderio, come loro stessihanno cantato: “c’è bisogno di so-gnare! c’è bisogno di un amore vero!”Il messaggio si fa poi invocazione e

preghiera nella messa animata daglistessi Gen Rosso in cattedrale. Perchétutto nasce da una profonda spiritualitàe una forte convinzione: “Dio ti ama!”.

Carmelo La Porta

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La musica e la danza diventano preghierae lasciano un segno nel cuore dei giovani

Il Gen Rosso entusiasma Ragusa

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Arriva marzo, primavera alle porte;un tiepido sole illumina le vie di

Santa Croce dove si avverte l’eco di untempo che fu e che rivive puntualmenteogni anno: a marzo. Già dai primi giornidel mese comincia l’attesa dei festeg-giamenti in onore di San Giuseppe. Glianimi sono in fermento: tutti, adulti,anziani e giovani, nessuno escluso, par-tecipano attivamente ai preparativi dellafesta che racchiude in sé fede, spiritua-lità, devozione. Ogni anno piccole no-vità, segno che menti nuove e giovani sicoinvolgono nel clima dei festeggia-menti. Sono i giovani, infatti, che, af-fiancando i più anziani, si impegnanonel comitato, in parrocchia, nell’orga-nizzazione, nella raccolta porta a portae, non per ultimo, nella comunicazionesocial di una festa che travalica i confinidel paese.Nel ricordo del santo Giuseppe,

padre putativo di Gesù e sposo diMaria, l’uomo che con le sue virtù inse-gna l’importanza della carità, della fa-

miglia e della bontà, tutto il paese rivivela tradizione delle tavole imbandite,note col nome di “Cene di San Giu-seppe”. Tramandate di padre in figlio enei racconti delle nonne ai nipoti, l’al-lestimento delle “Cene” impegna l’in-tera famiglia con l’aiuto di amici evicini, nel rispetto di un rito che tra-manda il senso di carità e gratitudineper una grazia ricevuta o un voto fatto.Al di là dei significati che oggi possonoessere travisati, alla base della “Cena”c’è il sentimento di solidarietà e di con-divisione che abbraccia tutti gli abitantidi Santa Croce. Su quella tavola, allaquale siederà la Sacra Famiglia, non c’èricchezza solo di pietanze: c’è ricchezzadi simboli e significati; c’è la ricchezzadella fede, presente nella lampada adolio accesa e nel quadro della Sacra Fa-miglia; c’è l’acqua che rappresenta lagrazia purificante e il vino, la benedi-zione divina del lavoro umano; e l’acquaunita al vino segno che solo Dio liberadal male. Ed ancora c’è la fatica, l’amore

l’esperienza di esperte mani lavoratriciche preparano “u pani pulitu” e i “uc-ciddati”, le varie forme di pane, mentreinsegnano l’arte ai più giovani. Ed an-cora, le fritture di baccalà, le frittate diasparagi e di “lassini”, i “pastizzi” dispinaci e le polpette di riso, piatti cherispettano i precetti del periodo quare-simale; limoni e arance amare, che ri-chiamano le amarezze e i dolori umani;le primizie e “u lauri”, cioè le spighe digrano, simboli del lavoro umano.Quella “Cena” lauta e simbolica, ri-chiama l’uomo, i segni della sua fede, lasua relazione di amore con il Santo e lasua relazione filiale col Dio di GesùCristo. Rinnovare è allora lasciarsi coinvol-

gere dai significati antichi e originari,tornare a sentire l’intero paese comecomunità cittadina unita anche dallafede e dalla festa. Tradizione è sentirsiparte, riconoscere le radici. Cambie-ranno alcuni modi, avremo nuovi po-veri, faremo fatica a vivere unatradizionalistica devozione, ma ci piace,come nuova generazione, sentirci inve-stiti da genuini sentimenti di fede e diamore. Luisella Lorefice

Fede, spiritualità, devozione, festaSanta Croce onora San Giuseppe

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La tradizione ogni anno si rinnovae coinvolge sempre più anche i giovani

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in 29BREVI DALLA DIOCESI

Il Vicariato foraneo di Vittoria or-ganizza due incontri formativi inQuaresima, incentrati sul docu-mento “Gaudete et exsultate” diPapa Francesco. Il primo incon-tro sarà mercoledì 20 marzo alle20 presso la parrocchia S. MariaGoretti, sul tema “Chiamati allasantità. Le Beatitudini”, trattatoda don Andrea La Terra. Il se-condo incontro avrà luogo merco-ledì 27 marzo presso la parrocchia

S. Domenico Savio e sarà imper-niato sul tema “Alcune carateristi-che della santità nel mondoattuale”, sarà presentato da donSalvatore Cannata. Venerdì 5aprile si svolgerà la tradizionalevia crucis cittadina, con la parte-cipazione delle 16 parrocchie diVittoria. Quest’anno il percorsosi snoderà nel territorio delle par-rocchie S. Giovanni Battista e S.Francesco di Paola.

Vicariato foraneo di VittoriaVicariato foraneo di VittoriaGli incontri quaresimaliGli incontri quaresimali

Gli incarichi del vescovo Gli incarichi del vescovo per la Consulta delle per la Consulta delle aggregazioni laicaliaggregazioni laicali

Don Antonino Puglisi èil nuovo delegato vesco-vile nella Consulta delleAggregazioni Laicali.Lo ha nominato il ve-scovo, monsignor Car-melo Cuttitta, che haproceduto anche al rin-novo della presidenza.A questo incarico sonochiamati in solido i coniugi Vittorio e Rina Schi-ninà. È la prima volta che il ruolo di presidenteviene svolto da una coppia di sposi. Succedono aSebastiano Distefano che ha ricoperto questo in-carico negli ultimi anni.

Il vescovo, monsignor Carmelo Cuttitta, ha no-minato don Riccardo Bocchieri vice direttoredell’Ufficio Liturgico diocesano. Don RiccardoBocchieri è parroco della parrocchia SantaMaria di Portosalvo a Marina di Ragusa.

Ufficio liturgico, Ufficio liturgico, vice direttore vice direttore

don Riccardo Bocchieridon Riccardo Bocchieri

Volontari in ospedale: corso AvoVolontari in ospedale: corso AvoNel mese di febbraio si è svolto,nei locali della parrocchia S.Cuore di Vittoria, il 34. corso diformazione dell’Avo (Associa-zione Volontari Ospedalieri), alquale hanno partecipato sia i vec-chi soci che coloro i quali per laprima volta si affacciano a questarealtà associativa. Sono stati te-

nuti diversi incontri formativi neiquali sono stati trattati i diversiaspetti del volontariato ospeda-liero. Tra i relatori sono stati pre-senti anche Giuseppe Drago,direttore sanitario dell’ospedale“Guzzardi” di Vittoria, e CettyMoscatt, presidente regionaledell’Avo.

A Vittoria collaborazioneA Vittoria collaborazionetra Chiesa e commissaritra Chiesa e commissariIl 30 gennaio scorso si è tenutoun incontro fra i commissari stra-ordinari di Vittoria, i sacerdotidella città e il consiglio pastoralecittadino, con lo scopo di trovarealcune forme di collaborazione trale parrocchie e l’ente comunale.L’incontro si è rivelato proficuo,perché è emersa la volontà di ope-rare in sinergia, mirando al con-seguimento del bene comune. Unprimo risultato è stato già otte-nuto, perché subito dopo l’incon-

tro è sorto un tavolo di collabora-zione sul tema dei servizi sociali edel sostegno alle famiglie biso-gnose. Alcuni funzionari dei ser-vizi sociali del Comune e alcuniesponenti delle parrocchie e dellaCaritas cittadina lavoreranno in-sieme per mettere “in rete” lo sta-tus delle famiglie meno abbienti eper decidere come intervenire. Sista lavorando ora per far decollarealtri tavoli di dialogo e di collabo-razione.

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in 31CHIEA E SOCIETÀ

«Quando ho visto le condizioni in cui vivevano uomini,donne e bambini ho pianto e non me ne vergogno»:

lo ha rivelato il vescovo di Ragusa, monsignor Carmelo Cut-titta, ricordando la sua visita tra gli insediamenti serricoli diMarina di Acate. Un territorio dove vivono centinaia di brac-cianti in condizioni di estrema precarietà e sfruttamento. Loha ricordato nel corso della presentazione di “Vite sottoco-sto”, il report di Caritas Italiana che parte dall’esperienza di“Progetto Presidio”. Il vescovo ha ricordato l’impegno deglioperatori («Il lavoro portato avanti è stato tanto») e ha invi-tato alla coerenza la comunità ecclesiale, anche liberandosida una devozione che rischia di essere solo di facciata: «Par-tecipare all’eucarestia e poi sfruttare le persone – ha sotto-lineato – è una bestemmia».La situazione dei lavoratori agricoli nelle campagne della

provincia di Ragusa è preoccupante. Emerge una forma disfruttamento diversa dal caporalato ma non meno degra-dante. A esserne vittima sono sia lavoratori e famiglie prove-nienti dall’Unione europea (che forse pagano il prezzo piùalto) che braccianti provenienti da altri Paesi. Il lavoro neroriguarda almeno il 30 per cento dei casi, ma sale al 50 percento tra i cittadini romeni che, essendo comunitari, nonhanno bisogno del contratto di lavoro per beneficiare delpermesso di soggiorno. Le paghe sono al di sotto di ognistandard di dignità (dai 10 euro al giorno per i rom, ai 20euro per i romeni, ai 30 per gli extracomunitari). Paghe chescendono ancora se a lavorare sono i ragazzi ospiti dei Cas,

in attesa del riconoscimento della loro istanza di asilo. Ulti-mamente, si è registrato un lieve incremento delle paghe,dovuto all’emigrazione dei lavoratori e delle famiglie romeneverso i Paesi del Nord Europa dove le condizioni di vita e dilavoro sono migliori. Al loro posto, si assiste da qualche meseall’arrivo di lavoratori di nazionalità albanese.A preoccupare sono anche le condizioni abitative (alloggi

di fortuna senza luce, acqua e servizi igienici), sanitarie, lamancanza di istruzione per i bambini, i ricatti cui spessosono sottoposte le donne. Una situazione sulla quale ha acceso i riflettori “Progetto

Presidio”. In Italia sono tredici le Caritas impegnate su que-sto fronte e la Caritas di Ragusa rappresenta un precisopunto di riferimento per l’attenzione con la quale affronta ilfenomeno, provando – come ha detto il direttore DomenicoLeggio – a «dare speranza ai lavoratori e sicurezza al terri-torio». Piera Campanella, che ha curato la pubblicazione, ha evi-

denziato la complessità del fenomeno dello sfruttamento ele tante criticità che rendono debole la filiera agricola nel no-stro Paese. «Un’economia che è costretta – ha evidenziato –ad abbassare i costi del lavoro, è un’economia destinata a nonavere prospettive». Due le vie d’uscita: puntare sulla qualitàin agricoltura e attuare politiche che aiutino le imprese a es-sere competitive senza dover penalizzare la dignità dei lavo-ratori.

Le lacrime del vescovo a Marina di Acate«Sfruttare le persone è una bestemmia»

La presentazione del report di “Progetto Presidio”ha evidenziato la complessità del fenomeno

Maurilio Assenza, Rosanna Mallemi, Domenico Leggio, Caterina Boca, Piera Campanella , Monsignor Carmelo Cuttitta

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Sin da piccoli spendiamo gran partedel nostro tempo a studiare, for-

marci per un lavoro, fare esperienze la-vorative e quant’altro, ma la società cipropone solo modelli economici pocosostenibili in cui l’uomo è esclusiva-mente un mezzo di produzione, con-sumo, profitto. Per molti anni ho subitoquesti modelli e sono stata mezzo diproduzione senza alcuna occasione divalorizzare i miei talenti e la mia dignitàdi creatura di Dio. Il guadagno econo-mico era cospicuo e costante, un con-tratto di lavoro regolare e ogni singolaora di straordinario regolarmente retri-buita; le prestazioni richieste esatta-mente coerenti con la mia formazione;l’etica un vano ricordo dello scoutismoadolescenziale. Arriva un momento in cui ti rendi

conto che la ricchezza economica nonti riempie ma ti svuota ogni giorno dipiù. Papa Benedetto XVI nell’enciclicaCaritas in Veritate scrive: “L’amore diDio ci dà il coraggio di operare e pro-seguire nella ricerca del bene di tutti.

Lo sviluppo ha bisogno di cristiani conle braccia alzate verso Dio”. È così chead un certo punto della carriera da ar-chitetti io Elisa e la mia collega Ilaria,oggi appena trentenni, decidiamo di li-cenziarci, rinunciando ad uno stipen-dio di oltre duemila euro, lasciareMilano, che di offerte lavorative ab-bonda, e andare in cerca di un modoper “cambiare le cose”. Volevamounire le nostre passioni – l’inclusionesociale, la sostenibilità ambientale, l’ar-tigianato e la progettazione – in ununico progetto che mettesse al primoposto l’etica e l’essere umano. Ab-biamo sentito l’esigenza di dedicaretempo, energie e competenze a per-sone svantaggiate, oggetti scartati eforme di artigianato in estinzione. Cosìl’idea di fondare una cooperativa so-ciale a cui abbiamo dato il nome Rinart– Rinascere Artigiani. Vogliamo acco-gliere persone che difficilmente tro-vano lavoro altrove a causa di problemifisici, psichici o di errori commessi inpassato. Ma ci occupiamo anche di

scarti materiali, portoni, tavoli, sedie,che in realtà sono di una bellezza disar-mante ma nascosta da riportare alla lucecurandone le ferite. Ci piace lasciare vi-sibili i segni del tempo perché raccon-tano la storia.Ma non è tutto poesia. Esattamente

dopo tre mesi dalla nostra costituzioneabbiamo subito un furto totale dell’at-trezzatura, dai macchinari più piccoli aquelli più grandi. Potevamo abbando-nare e in un certo senso accettare lasconfitta ma non ci siamo fermati nean-che per un giorno. Ci siamo rimboccatele maniche sin da subito e piano pianostiamo ripartendo, anche se la strada èlunga. È stato veramente bello vederel’impatto sociale che abbiamo avuto el’affetto della gente. Oggi il nostro stipendio non si avvi-

cina minimamente a quello precedente,ma la ricchezza raggiunta è infinita-mente più grande e ci fa sentire al postogiusto per cambiare anche solo ad unapiccola parte di questo mondo.

Elisa Gulino

Il lavoro che prova a cambiare il mondoL’esperienza di Elisa e Ilaria a Rinart

in 32 CHIESA E SOCIETÀ Etica e passione al servizio della persona

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in 33ATTUALITÀ

Riflettori accesi sulle meraviglie delsilenzio. Dimensione in cui echeg-

giano aspirazioni e talenti pronti a cal-care il palcoscenico. L’esordio deigiovani dell’Ente Nazionale Sordi (Ens)di Ragusa in teatro e sugli schermi diRai 1 al programma “Italia Sì”, ha regi-strato un successo senza precedenti.Gli artisti iblei si sono distinti in bra-vura partecipando alla prima edizionedella “Rassegna Teatrale e Cinemato-grafica del Sordo Sicilia 2018” che si èsvolta al teatro Don Bosco di Ragusa.Organizzato dal Consiglio regionaleEns Sicilia, con la collaborazione dellasezione provinciale di Ragusa, il grandeevento ha attirato un numerosissimopubblico proveniente da ogni parted’Italia. Una rassegna unica nel suo ge-nere, in cui spettacoli, sketch, monolo-ghi, poesie, balletti e cortometraggihanno dato spazio ad emozioni auten-tiche ed inconsuete. Ad arricchire l’evento, che ha avuto la

direzione artistica di Antonio Bottari,anche diverse riprese cinematograficherealizzate da sordi e con protagonisti

sordi. Alle due giornate della rassegnahanno partecipato anche il presidenteed il consigliere del comitato Giovanisordi italiani, Gianluca Grioli e Anto-nino Brunetto, il vicepresidente e ilconsigliere nazionale Ens, FrancescoBassani e Giuseppe Corsini. Soddisfatto dell’iniziativa il presi-

dente provinciale Ens Giuseppe Ra-niolo. «La rassegna teatrale –commenta – è stata una grande rivela-zione, con numerosi spettatori e oltrequattrocento persone sorde prove-nienti da tutta Italia. Un’esperienza im-portante per comprendere che anchenoi possiamo esprimerci artisticamenteattraverso la lingua dei segni». La lunga scia di eventi che ha avuto

per protagonisti i ragazzi non udentidell’Ens di Ragusa, li ha portati ad esi-birsi per la “Festa della salute” alla pa-lestra Basaki, dopo la popolaritàconquistata in tv con la partecipazioneal programma di Rai 1 “Italia Sì” con-dotto da Marco Liorni. Il gruppo ha in-terpretato in Lis la canzone di Mengoni“Esseri umani” a fianco dei Black out,

giovanissima band rivelazione del mo-mento.«Tutto è iniziato – continua Raniolo

– con l’esibizione di una canzone in lin-gua dei segni tre anni fa in parrocchia.Siamo soddisfatti del lavoro svolto inquesti anni, le iniziative di apertura ecoinvolgimento del territorio si sonomoltiplicate: dal corso di lingua deisegni per operatori della Polizia e dellaProtezione Civile, all’esperienza con iragazzi dell’istituto “Galileo Ferraris”di Ragusa che hanno svolto un corso dilingua dei segni settoriale per ristora-zione e accoglienza turistica finalizzatoa tradurre in realtà il sogno di un auten-tico turismo accessibile. Adesso stiamocercando di promuovere corsi ancheper gli insegnanti di sostegno. Resta,purtroppo, il nodo cruciale del ricono-scimento della Lis come lingua. In Eu-ropa soltanto il nostro Paese attende daormai da venticinque anni che vengaapprovata una legge a riguardo»

Cettina Divita

Sul palco e in tv con la lingua dei segniLe conquiste dell’Ens di Ragusa

Di recente anche la partecipazione su Raiunoalla trasmissione “Italia sì” di Marco Liorni

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Come da programma il 28 gennaio è stato pubblicato ildecreto legge che ha reso più elastico l’accesso alla pen-

sione. È stato battezzato “Quota 100” e prevede la possibi-lità di accesso alla pensione pubblica per tutti coloro che alcompimento di 62 anni di età abbiano almeno 38 anni di con-tribuzione. Andiamo a vedere cosa cambia.

Intanto va detto subito che la normativa è “sperimentale”e valida solo per tre anni; un altro elemento assolutamenteimportante da premettere è che questa normativa non scal-fisce le normative precedenti che restano tutte in vita: dallaFornero all’Ape social, all’opzione donna ai lavoratori pre-coci. Di fatto, quindi, non è una riforma, ma un correttivo.

Essendo rimasto intatto l’impianto della normativa pensio-nistica, compreso il meccanismo di calcolo della pensioneche rimane “contributivo” (cioè “spalma” sugli anni di aspet-tativa di vita i contributi accumulati durante il periodo lavo-rativo), si è alimentato un vivace dibattito riguardoall’importo dell’assegno pensionistico atteso che, andandoprima in pensione, i contributi accumulati sono minori e ilperiodo su cui spalmarli aumenta.

Anche se è formalmente corretto ciò che dice il governoche la pensione derivante da “quota 100” non sconta nes-suna “penalizzazione” (ed in effetti non ne è prevista nes-suna), è giusto evidenziare che è il meccanismo stesso dicalcolo della pensione con il metodo “contributivo” a ren-dere più esiguo l’assegno pensionistico se si va in pensioneprima. Pertanto c’è comunque una corposa riduzione ri-spetto all’assegno pensionistico che verrebbe erogato con la

Fornero. Bisogna però dire che, in questa fase, chi puòfruire di “quota 100” avendo 38 anni di contribuzione neglianni 2018/2020, per effetto della riforma Dini (che ricono-sce fino al 31/12/2015 il mantenimento del metodo “retri-butivo” nel calcolo della pensione), fruisce di una buonaquota (da 15 a 12 anni) di pensione calcolata in modo più ge-neroso e soprattutto non dipendente ne dall’età ne dai con-tributi versati.

Comunque l’entrata in vigore della normativa è stata salu-tata da un grande favore con la presentazione di migliaia didomande e, in effetti, ha rappresentato una risposta al biso-gno di chi ha difficoltà a reggere un lavoro usurante, o haperso il lavoro in età avanzata ed è disponibile a una ridu-zione di assegno pur di fruirne subito.

Questo ovviamente non significa che il provvedimentonon presti il fianco a critiche (oltre quella accennata dell’as-sottigliamento dell’assegno pensionistico); per primo l’ec-cessiva enfasi posta dal governo sui posti di lavoro che sirenderanno disponibili: in effetti soprattutto nei servizi pri-vati il turnover alla pari è un mito cui nessuno crede.I sindacati poi criticano che questa normativa taglia fuori

tutte quelle categorie come i lavoratori dell’agricoltura,dell’edilizia e del turismo, spesso lavori molto usuranti, chequasi mai fruiscono di continuità contributiva e quindi hannodifficoltà a raggiungere i 38 anni di contributi.Saranno questi tre anni di sperimentazione a dirci i van-

taggi e gli svantaggi di questa normativa.Vito Piruzza

In pensione con quota centoI pro e i contro di questo decreto

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L’importo da percepire sarà più ridottoma per molti rimane un’occasione

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