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Rivista semestrale di Museologia Giornale ufficiale del Comitato Italiano dell’International Council of Museums sped. in abb. post. 70% Milano M U S E O L i A o g N U O VA N o v e m b re 2003 - N° 9

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Rivista semestrale di Museologia

Giornale ufficiale del Comitato Italiano dell’International Council of Museums

sped. in abb. post. 70% Milano

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N U O VA

N o v e m b re 2003 - N° 9

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Nuova Museologian. 9, Novembre 2003

Direttore ResponsabileGiovanni Pinna

Redazione e impaginazioneClaudia SavoiardoVia V. Foppa 16 - 20144 MilanoTelefono e fax 02.4691589 E-mail [email protected]

Comitato ScientificoGianluigi Daccò, Maria Camilla De PalmaEnric Franch, Maria Laura Tomea Gavazzoli,Agnese Visconti

ICOM ITALIA Via San Vittore 19/21 - 20144 MilanoTelefono 02.48555338Fax 02.43919840E-mail [email protected] internet www.icom-italia.org

Promozione e sviluppoCarlo TeruzziVia V. Foppa, 16 - 20144 MilanoTelefono e fax 02.4691589 E-mail [email protected]

Relazioni esterneDonatella LanzeniVia Chiossetto, 16 - 20122 MilanoTelefono e fax 02.76004870E-mail [email protected]

Progetto graficoAntonia Pessina

StampaBine Editore s.r.l.C.so di P.ta Vittoria, 43 - 20122 MilanoTelefono 02.55025312

Nuova M u s e o l o g i a è aperta allacollaborazione di quanti si interessanoalla problematica dei musei. Gli articoliproposti vanno inviati alla Redazione.Nuova Museologia è consultabile on-linesul sito www.nuovamuseologia.org.

Registrazione del tribunale di Milanonumero 445 del 18.06.1999

Salvo indicazione contraria i singoli autori sono proprieta-ri del copyright dei testi.Nessun articolo può essere riprodotto, anche parzialmen-te, senza l'autorizzazione dell'autore.

La Redazione declina ogni responsabilità in merito allenotizie contenute nelle inserzioni pubblicitarie.

Sommario

pag. 1 Uscita o ingresso?Giovanni Pinna

pag. 2 Comunicazione integrata al Museo Nazionale del CinemaSara Monaci

pag. 5 Musei funerariMarinus Schouten

pag. 7 Il Museo Nazionale di BeyrouthIntervista di Maria Laura Parma a Susi Hakmian

pag. 10 Visitatori, pubblico, comunitàMaurizio Maggi

pag. 12 Tra memoria e attualitàElena Cao

pag. 14 Il web del museo: proposte per uno standardClaudia Lamberti

pag. 17 Il cantiere museale: strategie di comunicazioneVittorio Falletti

pag. 19 Il gusto della luceFabio Scirea

pag. 21 “Oggetti di religione”: l’intangibile patrimonio YorubaAnna Catalani

pag. 25 Il museo è un luogo di mistificazione?Giovanni Pinna

pag. 27 Libri

pag. 33 Eventi

pag. 36 Spazio ICOM

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Due soli esempi possono dare l’idea della qualità e della portata intellettuale delleazioni svolte oggi dai grandi musei, e dello spessore del dibattito museologico in atto.

Nel 2002 fu presentato fuori concorso al Festival di Cannes il film di Alexander SokurovArca Russa. Il film è un grande affresco sulla storia della Russia prerivoluzionaria ed èinteramente girato all’interno dell’Ermitage, che è appunto l’Arca Russa, scrigno e testimone diquesta storia. Il film, prodotto in collaborazione con il Ministero della Cultura della FederazioneR u s s a e con il Museo Ermitage, ha proprio l’Ermitage come protagonista principale.

Più recentemente, nel corso del 2003, il British Museum ha realizzato la mostra “TheMuseum of the Mind”, in occasione del 250° anniversario della fondazione. La mostra, cheha come sottotitolo “Art and Memory in World Cultures”, non è solo celebrativa, ma ha lafunzione di ribadire il concetto del valore universale di alcuni musei, già espresso neldicembre 2002 nell’ormai nota Declaration on the importance and value of universalmuseums (Nuova Museologia n. 8, p. 34). Che cosa sia un museo universale è chiaramenteespresso nella prefazione al catalogo della mostra a firma di Neil MacGregor, direttore delmuseo: è un istituto che raccoglie testimonianze di tutte le civiltà del mondo ed è autorizzatoa possederle in quanto “they are displayed, uniquely amongst the museums of theworld, in a single building accessible free to visitors seven days a week”. Certamentequesta interpretazione britishmuseumcentrica non piacerà al Governo greco che chiededa tempo la restituzione dei marmi del Partenone; un problema che viene affrontato nellastessa prefazione, ove si sostiene che il British Museum, fondato nel 1753, era una realtàquando molti stati-nazione non esistevano ancora. Tuttavia non ho citato la mostra “TheMuseum of the Mind” per discutere del problema delle restituzioni.

I miei due esempi hanno un altro scopo: rendere evidente l’immobilismo dei museiitaliani in rapporto a quanto avviene fuori dai nostri confini. Mentre l’Ermitage e ilBritish Museum si affiancano, assieme a poche altre istituzioni museali, per imporreall’attenzione dell’intero pianeta la natura universale del museo quale teatro dellamemoria, e si propongono come scrigni dell’identità globale dell’umanità, i nostri musei,cristallizzati nel passato, sono esclusi dal circuito intellettuale dei grandi musei delmondo. Brera è ancora napoleonica, mentre gli Uffizi sono ancora collezioni medicee.I grandi dibattiti non li coinvolgono; essi sono incapaci di ingrandirsi, di modificarsi,di modernizzarsi, di riproporsi, pur conservando le loro tradizioni storiche. Mentre il V&Amette in cantiere una nuova estensione con un ardito progetto architettonico di DanielLibeskind, e mentre gli architetti italiani costruiscono musei in tutto il mondo, da noi sipolemizza su dettagli, non si costruisce e non si crea. A Firenze è in atto da tempoimmemorabile una discussione sull’uscita degli Uffizi. Una polemica sul progetto architettonicoche non entra però nel merito di quello che dovrebbe essere il punto principale: è veramentenecessaria un’uscita monumentale per gli Uffizi? Non sarebbe meglio ripensare un nuovoingresso che superi la tristezza di quello attuale? Un atrio d’ingresso ampio e accogliente,degno dell’importanza delle collezioni che il museo conserva? Chi esce da un museo nonsi volge indietro, mentre chi entra ha di fronte a sé l’immagine che il museo vuole daredi se stesso. Se un museo ha uscita e ingresso separati, allora è meglio dedicarsi all’ingresso,e ripensare il percorso di visita in funzione di quest’ultimo.

Giovanni Pinna

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Uscita o ingresso?

MUSE

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Nato da un sogno di Maria Adriana Prolo, collezionistae storica, il Museo Nazionale del Cinema di Torino diven-ta una realtà istituzionale nel 1958 nella sede di Palazzo Chia-blese e nel 1992 diviene Fondazione grazie al sostegno del-la Regione Piemonte, del Comune di Torino, della Pro v i n-cia, della Cassa di Risparmio e dell’Associazione Museo Na-zionale del Cinema. Oggi il museo è ospitato all’interno del-la Mole Antonelliana, il monumento simbolo della città. Ilsuo spettacolare allestimento, inaugurato nel luglio 2000, hat r a s f o rmato la Mole in unmuseo verticale unico alm o n d o .

A due anni dall’aperturail Museo Nazionale del Ci-nema inaugura MultiMuseo:per il museo inizia un im-portante percorso di speri-mentazione e ricerca nell’am-bito dei nuovi media e del-le reti telematiche avanzate.

Concepito come solu-zione innovativa di comu-nicazione, il progetto rap-p resenta, in particolare, unostrumento di divulgazioneper il patrimonio culturale delMuseo Nazionale del Cine-ma. MultiMuseo off re infatti, al visitatore in loco e al pub-blico virtuale su Internet, innovative opportunità di cono-scenza, interazione e condivisione di esperienze: consen-te infatti di accedere alle informazioni sulle collezioni delmuseo, sui film proiettati, sulle attività istituzionali e amolto altro.

Le partnership definite dal Museo Nazionale del Cinemae la collaborazione sviluppata per la realizzazione del pro-getto fra CSP, Telecom Italia, Hewlett Packard e Netbrain re n-dono inoltre MultiMuseo un riferimento esemplare di siner-gia fra mondo dell’arte e tecnologia, cultura e innovazionesul territorio urbano e nazionale, un modello di comunica-zione adattabile a molteplici scenari e che può coinvolgeredifferenti attori politici e culturali fra i quali musei, aziendeprivate, università, centri di ricerca e soggetti della PubblicaAmministrazione.

Contenuti e servizi di MultiMuseoMultiMuseo è un modello di comunicazione pensato per

un museo virtuale fruibile da più luoghi, in diff e renti momentitemporali e con media diversi. Priorità del progetto è conce-p i re soluzioni tecnologiche innovative e contenuti orientatiad ampliare il museo e la sua esperienza al pubblico dei vi-sitatori, ai potenziali utenti e in particolare alla città. L’espe-rienza del museo infatti, non si declina solo in senso spazia-le all’interno di un luogo fisico, ma anche in senso tempora-

le prima e dopo la visita. MultiMuseo mira ad am-

p l i a re e arricchire l’esperienzadei visitatori attraverso tec-nologie di comunicazioneubique e portatili: il web,che permette un accesso co-stante a informazioni e ser-vizi, una canale per PDA(Personal Digital Assistants)pensato per un accesso mo-bile attraverso una tecnolo-gia senza fili, un canale al a rga banda dedicato alla frui-zione in loco di applicazio-ni multimediali attraverso R e -s e a u, un network sperimen-tale ad alta velocità. Le tec-

nologie rappresentano strumenti strategici del progetto Mul-tiMuseo anche se i contenuti e i servizi sono i fattori deter-minanti per ampliare l’esperienza degli utenti ad ambiti spa-zio-temporali diff e renti e a diverse modalità d’interazione.

L’ambiente web mira principalmente a evocare l’atmo-sfera del museo coinvolgendo l’utente in un percorso vir-tuale attraverso immagini, filmati e animazioni interattive. Iltour virtuale del museo si sviluppa attraverso animazioni fla-sh e filmati ipermediali che descrivono l’allestimento alla Mo-le Antonelliana. L’utente può seguire, attraverso le metafo-re grafiche del sito web, un percorso di visita che si snodalungo le diverse aree espositive del museo: l’area di Acco-glienza al Livello Zero, l’Archeologia del Cinema, la Macchinadel Cinema, la Galleria dei Manifesti e l’Aula del Tempio, ilc u o re del museo, circondata da dieci c h a p e l l e s dedicate aitemi della Settima Arte.

Comunicazione integrata alMuseo Nazionale del CinemaSara Monaci

L’Aula del Tempio. (Foto Laura Cantarella)

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Molto ricche sono le informazioni pratiche per org a n i z z a reuna visita e la presentazione delle attività per il pubblico eper le scuole che, attraverso la sezione del sito dedicata al-le attività didattiche, possono pianificare un programma dilaboratori per alunni e insegnanti.

Alla dimensione pre- e post-visita appartengono inol-t re le informazioni promozionali sugli eventi in corso e i ser-vizi di n e w s che l’utente può ricevere via mail, consultaresul sito o dal proprio dispositivo portatile (PDA) attraver-so il canale Avant-GO. Grazie a questa tecnologia le infor-mazioni rapide del museo possono essere memorizzatesulla memoria del palmare e aggiornate sincronizzando ilPDA col Personal Computer: ogni utente può avere così sulPDA il proprio “Museo in tasca”, un museo portatile e im-mediatamente accessibile ovunque.

Attraverso la tecnologia senza fili, MultiMuseo si declinai n o l t re sul presente e off re agli utenti modalità di intera-zione che si sviluppano nello spazio delmuseo e simultaneamente all’esperienzadella visita: all’interno della Mole An-tonelliana è infatti disponibile una re-te WI-FI progettata per l’utilizzo delPDA come guida multimediale all’Au-la del Tempio. Ogni visitatore dotato diPDA può quindi seguire un itinerario per-sonale attraverso le c h a p e l l e s e con-s u l t a re la “guida su palmare” che spie-ga le suggestioni dell’allestimento e ar-ricchisce l’esperienza della visita con con-tenuti audio-video, testi e contributioriginali.

Dedicato ai visitatori della Mole è in-fine l’ambiente R e s e a u, il canale fruibi-le da postazioni multimediali nell’are adi accoglienza per il pubblico che pre-senta il Laboratorio sul cinema del fu-t u ro: un’opera multimediale sulle tecnichedel cinema in codice binario.

Mobilità e personalizzazioneAccanto ai canali tradizionali quali

il catalogo, la visita guidata con Cicero n e ,i materiali presenti in mostra, è oggicosì possibile immaginare una sorta diMultiMuseo, un museo virtuale che si de-clina su diverse dimensioni temporali ele cui modalità di fruizione sono sem-p re più nelle mani degli utenti. Alla visita si accompagnal’accesso via rete che, attraverso tecnologie senza fili, è ingrado di mantenere il visitatore in contatto con il contenu-to informativo presente sul sito anche durante la visita; per-

mette di sovrapporre allo spazio fisico del museo uno spa-zio virtuale, accessibile grazie a un dispositivo palmare, unasorta di assistente digitale personale (un PDA appunto)che il visitatore può portare sempre con sé. Questo spaziovirtuale è indipendente dal luogo in cui il visitatore si tro-va; costituisce un flusso, uno spazio dei flussi, costantementedisponibile, cui l’utente può accedere in ogni momento. Latecnologia w i re l e s s consente infatti di integrare lo spazio dii n f o rmazione del web con lo spazio fisico della visita al mu-seo: lo spazio del museo virtuale ubiquo e speculare rispettoal museo fisico, con lo spazio dell’esperienza attiva di unv i s i t a t o re alla Mole Antonelliana.

P ro g ressivamente il modello di comunicazione w i re l e s ssi integra e si sostituisce al modello del network; a una re-te fatta di cavi e terminali fissi si può sovrapporre la tec-nologia leggera e senza fili delle reti WI-FI che si adatta inmodo del tutto trasparente all’ambiente in cui è collocata

e all’utilizzo di dispositivi portatili sem-p re più leggeri.

Pensiamo agli edifici storici e ai vin-coli strutturali e architettonici che con-dizionano non solo l’accessibilità fisicadelle persone, ma anche l’intro d u z i o n edi tecnologie telematiche mirate ad apri-re un accesso virtuale al patrimonio deinostri musei; il modello di comunicazioneWI-FI rappresenta una soluzione inno-vativa e soprattutto non intrusiva ri-spetto a monumenti o edifici di intere s s estorico. La rete allestita alla Mole Anto-nelliana ne è un esempio significativo:un cablaggio strutturato e integrato a unarete WI-FI consente di avvolgere unmonumento di 167 metri in un flusso dii n f o rmazioni raggiungibile da ogni pun-to attraverso postazioni fisse, PC porta-tili o PDA. Ciò significa non solo off r i-re ai visitatori servizi e strumenti per-sonalizzati di comunicazione, ma so-prattutto consentire un accesso ubiquoalle informazioni del museo, senza te-n e re conto dei vincoli architettonici e strut-turali dell’edificio.

Il cablaggio senza fili permette di pre-v e d e re diversi servizi e contenuti secondoi diff e renti terminali o secondo gli spa-zi espositivi del museo: contenuti au-

dio e video a larga banda su desktop-PC multimediali peri visitatori dentro la Mole, p u s h i n g i n f o rmativo sull’allesti-mento per i dispositivi mobili a supporto della visita nell’Au-la del Tempio, servizi informativi e multimedialità per i vi-

Dall’alto in basso, home page, paginainterna e sezione PDA del sito webM u l t i M u s e o .

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sitatori virtuali del museo attraverso il sito web. Alla sug-gestione del sito web si associa così la possibilità di ave-re gli stessi contenuti su un dispositivo mobile (PDA) e ad-dirittura su un telefono cellulare d’ultima generazione: colp roprio “Museo in tasca” ogni visitatore può accedere al-la Mole Antonelliana e riperc o r re re un proprio itinerario per-sonale o seguire i collegamenti ipertestuali della guida suPDA del museo.

La comunicazione senza-fili non rappresenta di per séuno scenario rivoluzionario: ogni genere di media di mas-sa, a partire dalla radio fino al notiziario in televisione, ès e m p re stato “w i re l e s s”. L’aspetto assolutamente innovati-vo del più recente “new media” è che, per la prima volta,gli individui possono accedere solo all’informazione chevogliono, quando e dove vogliono, e attraverso term i n a l itascabili. Questa trasformazione è stata resa possibile, daun lato dalla pro g ressiva convergenza dei media a un for-mato digitale, dall’altro dalla ricerca tecnologica nel cam-po delle reti per la comunicazione mobile che hanno fa-vorito la penetrazione di dispositivi portatili sempre più po-tenti in termini di capacità d’elaborazione dati e funzionalitàm u l t i m e d i a l i .

L’innovazione risiede, quindi, non tanto nella tecnolo-gia quanto nel modello di comunicazione che enfatizza lepotenzialità del terminale-utente: nella possibilità di per-s o n a l i z z a re, inform a re i contenuti presenti nell’etere se-condo bisogni individuali, o percorsi mentali originali e ac-cessibili in ogni luogo, attraverso dispositivi leggeri comei computer portatili o i Personal Digital Assistant. Ci tro v i a m ooggi di fronte all’avvento dell’i n f o rmation on demand, do-ve gli individui possono emanciparsi sia dai vincoli delleistituzioni (editori, enti di formazione, mass media), sia dailuoghi fisici della fruizione o del commercio di contenuticulturali. Le modalità e i processi di produzione e distribuzionedella conoscenza sono irrevocabilmente mutati e con essiil concetto di libro, catalogo, rivista o audioguida.

Mai come oggi è stata così elevata la richiesta per le isti-tuzioni culturali, soprattutto per i musei, di rispondere al-le esigenze e agli interessi degli individui che rappre s e n-tano il loro pubblico.

Così come si possono divulgare singole opere d’arte piut-tosto che intere esposizioni, le informazioni sulle singoleo p e re possono essere distribuite attraverso un modello dicomunicazione integrato che include diversi canali e dif-f e renti servizi, grazie ai quali i visitatori possono elabora-re un’edizione personale dei testi, degli audio e dei videoriguardanti un oggetto o un allestimento. Sempre di più,infatti, i turisti desiderano appro f o n d i re il catalogo e le al-t re risorse d’informazione in base ai propri interessi e pre-feriscono seguire un proprio percorso personale all’inter-no di un museo. Per la prima volta, i turisti culturali pos-

sono ottenere una guida rielaborando i contenuti di fontidiverse, erogati con media diff e renti ma unificati dal co-mune formato digitale.

Ciò costituisce per i musei un’importante opportunitàper off r i re ai propri visitatori, reali e potenziali, risorse d’infor-mazione diverse secondo i diff e renti t a rg e t di riferimentoe per inserire i propri contenuti culturali all’interno di unnetwork a livello locale e cittadino. Vogliamo immagina-re, infatti, il progetto MultiMuseo come un modello di co-municazione replicabile ad altre realtà cittadine o re g i o-nali: avremo così lo scenario di una rete di Multi... doveogni singolo nodo comunica e off re servizi al suo inter-no, e all’esterno, ai turisti e ai cittadini e presenta conte-nuti diversi ma fra essi integrati (informazioni sui traspor-ti della città, musei aperti, ristoranti, negozi ecc.), disegnandouno spazio denso d’informazione sospeso sulla città e ac-cessibile da qualsiasi terminabile mobile e che parli un lin-guaggio digitale.

Sara Monaci è responsabile del settore Digital Media al MuseoNazionale del Cinema di To r i n o.

BibliografiaKotler N., Kotle P., 1998 - Marketing dei musei: obiettivi, traguardi, risorse.Edizioni di Comunità, Torino.Castells M., 2002 - La nascita della società in rete. Università Bocconi,M i l a n o .Lariani E. (a cura di), 2002 - Museo sensibile. Franco Angeli Editore,M i l a n o .Bodo S. (a cura di), 2000 - Il museo relazionale. Riflessioni ed esperienzeeuropee. Fondazione Giovanni Agnelli, Torino.Fahy A., 2000 - Leggibilità e accesso: le tecnologie dell’informazione e del -la comunicazione al servizio del museo d’arte. In: Bodo S. (a cura di), Ilmuseo relazionale. Riflessioni ed esperienze europee. Fondazione Gio-vanni Agnelli, Torino, pp. 81-100.Hooper-Greenhill E., 1992 - Museum and the shaping of knowledge. R o u-tledge, London.Semper R., Spasojevic M., 2002 - The electronic guidebook. Using portabledevices and a wireless web based network to extend the museum experience.In: Bearman D., Trant J. (a cura di), Museum and the web 2002 Procee -dings. CD ROM. Archives & Museum Informatics.Woodruff A., Aoki P.M., Grinter R.E., Hurst A., Szymansky H.M., Thorn-ton J.D., 2002 - Eavesdropping on electronic guidebooks: observing lear -ning resources in shared listening environments. In: Bearman D., Trant J.(a cura di), Museum and the web 2002 Proceedings. CD ROM. Archives& Museum Informatics.Kirk J., 2001 - Accessibility and new technology in the museum. In: Bear-man D., Trant J. (a cura di), Museum and the web 2001 Proceedings. CDROM. Archives & Museum Informatics.Tellis C., Proctor N., 2001 - In the wireless economy, the world is li -stening to what it wants to hear. In: Bearman D., Trant J. (a cura di),Museum and the web 2001 Proceedings. CD ROM. Archives & MuseumI n f o r m a t i c s .

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Un museo specialistico nasce spesso da un hobby, mapuò cre s c e re e trasformarsi in un’istituzione professionale chesi dedica alla ricerca e allo sviluppo di un determinato cam-po del sapere, assumendo compiti che vanno ben al di là del-la gestione di una collezione e dell’organizzazione di mostre .

I musei con collezioni il cui carattere rimanda a una spe-cifica professione, a una precisa disciplina o a un settorep roduttivo circoscritto sonon u m e rosi. Accanto a museifamosi, quali lo Spoorweg-museum (Museo Ferro v i a-rio di Utrecht), l’Av i o d o m e(Museo dell’Aviazione, pre s-so l’Aeroporto Schipol diAmsterdam) o il MaritiemMuseum (Museo Marittimo diRotterdam), esistono innu-m e revoli piccoli musei spe-cialistici, fra i quali, per esem-pio, il Ve r p l e e g s t e r s m u s e u m(Museo delle Inferm i e re diU t recht), il Kaasmuseum(Museo del Formaggio diGouda) e il Belastingmu-seum (Museo delle Tasse diRotterdam). Tra questi occupaun posto ragguardevole ilNederlands Uitvaartmuseum(Museo Funerario Olandesesito ad Amsterdam), la cui co-struzione dura da più di undecennio, e dovrebbe apri-re le porte al pubblico nelcorso del 2003.

Negli anni scorsi diver-si musei hanno dedicato at-tenzione al tema della mor-te e ai diversi aspetti della cul-tura funeraria, a cominciaredalla discussa mostra “Dood en begraven” (La morte e lasepoltura) del Centraal Museum di Utrecht. Negli anni no-vanta seguirono, tra le altre, le mostre “Postume Portre t-ten” (Ritratti postumi) al Teylers Museum di Haarlem, “Le-

ven na de dood” (La vita dopo la morte) e “De weg naarde hemel” (La via al cielo) del Museum Catharijneconventdi Utrecht, “De Vo e l b a re leegte” (Il vuoto percepibile) delMuseon dell’Aia e “Leven met de dood” (Convivere con lamorte) del Historisch Museum Apeldoorn di Apeldoorn. Seb-bene queste mostre si basassero in gran parte sull’esposi-zione di opere d’arte, non mancavano oggetti che in pas-

sato avevano avuto una fun-zione in quel processo cheva dall’esalazione dell’ulti-mo re s p i ro alla sepoltura oalla cremazione del defun-to, o che appartengono al-la cultura della commemo-razione dei morti.

Il pre s t a t o re di molti de-gli oggetti presentati allem o s t re citate è il collezionistaHenk Kok di Enschede. Ingioventù Kok lavorò comer a p p resentante di un com-m e rciante del ferro, che, tragli altri articoli, vendeva an-che maniglie per cofani fu-nerari ai fabbricanti e agli im-p renditori di onoranze fu-nebri. Subendo il fascino diquesto mondo, Kok iniziò ac o l l e z i o n a re oggetti mor-tuari di ogni tipo: vestiti,atti di morte, decorazionitombali. Negli ultimi de-cenni la sua collezione si èarricchita di stampe, libri edocumenti che contempla-no tutto il sapere in campofunerario, e anche di og-getti di grandi dimensioni,come carrozze e auto fu-

nebri. Nel form a re la propria collezione Kok è divenuto unesperto nel campo della cultura funeraria.

Per assicurare un futuro alla sua collezione, Kok si è im-pegnato ormai da più di un decennio nella costituzione di

Musei funerariMarinus Schouten

La Guida del Cimitero Monumentale di Milano, a cura di GiovannaGinex e Ornella Selvafolta, Silvana Editoriale 2002.

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una fondazione che porti alla nascita di un nuovo museo. Iresponsabili di questa Fondazione (Stichting Nederlands Uit-vaartmuseum) si sono adoperati negli anni per individuareuna sede adatta ad accogliere la collezione di Kok. Tra le di-verse opzioni, risultate tutte inadeguate per motivi di spazio,fra cui vi era quella di un antico monastero nel Quartiere deimusei di Utrecht, è stata finalmente individuata una sede ditutto rispetto, che risponde alle ambizioni e all’impostazio-ne politica della Fondazione. Si tratta del parco della memoria,cimitero e crematorio Nieuwe Ooster di Amsterdam.

Il nuovo Museo Funerario verrà collocato in quella cheera la casa del dire t t o re del Nieuwe Ooster. La scelta di que-sta sede per il museo è stata effettuata per favorire gli in-t e ressi del mondo imprenditoriale del settore funerario, ilche ha permesso di pro m u o v e re una campagna di raccol-ta fondi che ha fruttato le risorse necessarie all’allesti-mento degli spazi museali e ha permesso di elaborare unpiano quadriennale di ampliamento dell’attuale edificio.

Nell’ottobre 2002 i responsabili della Fondazione per ilMuseo Funerario Olandese hanno compiuto un viaggio a Kas-sel per visitare il Museum für Sepulkralkultuur (Museo del-la cultura sepolcrale) che senza dubbio rappresenta un mo-dello di riferimento nel ristretto circolo dei musei funerari eu-ropei. Questo museo dispone non soltanto di un meravigliosoedificio circondato da giardini, ma anche di uno staff multi-disciplinare e di una biblioteca specialistica assai fornita. Ilsuo successo si basa sul fatto che esso non si limita a gesti-re le collezioni e a organizzare mostre, svolge tutta una se-rie di attività che vanno dalla ricerca, alla consulenza, all’or-ganizzazione e gestione di servizi educativi. Lo staff del mu-seo è competente in diverse discipline, fra cui sociologia, di-ritto, teologia e progettazione, e fin dal 1992 svolge attivitàdi consulenza per conto delle amministrazioni pubbliche edel mondo imprenditoriale nel settore degli articoli funera-ri, per la costruzione di nuovi cimiteri, per l’elaborazione dimateriale didattico o di ricerca nell’ambito della salute pub-blica o dei servizi sociali.

Anche il Nederlands Uitvaartmuseum si preoccupa giu-stamente di non limitare la propria azione alla gestione e all’espo-sizione della collezione Kok. Non vi è dubbio infatti che an-che nei Paesi Bassi vi sia l’esigenza di ricerca, di educazio-ne e di informazione sul mondo funerario. Se il museo po-trà dotarsi di personale scientifico competente, sarà in gra-do di offrire gli stessi servizi del museo di Kassel. Vi sonopochi settori così in movimento come quello funerario: le con-cezioni tradizionali stanno velocemente lasciando il posto auna vera e propria cultura funeraria, multiforme e creativa,basata sull’attenzione alle esigenze della clientela e sulla ric-chezza dell’offerta. Tuttavia la formazione di personale delsettore funerario è ancora molto carente, soprattutto in con-f ronto ad altri settori, per esempio al settore ospedaliero, coni suoi corsi post-diploma per infermieri.

Il futuro del Nederlands Uitvaartmuseum dipende dal-la sua capacità di interagire con le istituzioni pubbliche econ il mondo dell’imprenditoria privata: se il museo riu-scirà a imporsi come centro di conoscenza e di studio inquesto particolare settore il pubblico affluirà numeroso al-le sue mostre e le istituzioni pubbliche e i rappre s e n t a n t idelle imprese funebri e delle società assicurative busserannoalla sua porta per usufruire dei suoi servizi.

Ora è urgente però garantire le prime risorse per la ge-stione della collezione del museo e per aprire il servizio alpubblico: lo Stato olandese e il mondo imprenditoriale da-rebbero un giusto segnale sostenendo l’avviamento di que-sto museo specialistico; l’esempio di Kassel dimostra che unmuseo funerario è gestibile e ha motivo di esistere.

O l t re a quello di Kassel, musei funerari esistono a Ba-silea, Budapest, Amburgo, Londra e Vienna; essi si sonoriuniti nella European Federation of Funeral Museums.

Traduzione di Laura Ronzon.

Marinus Schouten è dire t t o re amministrativo del MuseumM e e rmanno dell’Aja (Olanda).

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È all’amore per l’arte di un ufficiale francese di stanza inLibano, il comandante Raymond Weill, che si deve il primonucleo di quello che sarà il futuro Museo Nazionale di Bey-routh, un insieme di antichità da lui raccolte e depositate, nel1919, in un edificio provvisorio di proprietà tedesca.

Un comitato di fondatori, creatosi nel 1923, raccoglierài fondi necessari per costruire un edificio adeguato a ospi-t a re tutti i reperti trovati sul territorio nazionale, la cui inau-gurazione avverrà nel maggio del 1942. Il museo succes-sivamente verrà chiuso nel 1975, all’ini-zio delle ostilità che sconvolgerannoil Libano per diciassette lunghissimi an-ni. Riviviamo attraverso le parole di Su-si Hakmian, direttrice del museo, ild i fficile percorso che ha portato allasua riapertura a fine guerra.

DO M A N D A Parlando del Museo Naziona -le di Beyrouth si parla in parallelodella vostra storia tormentata. È il luo -go emblematico delle atrocità che hasubito la città e della sua successiva ri -s u r rezione. Che ricordi ha degli annip recedenti la riapertura?RI S P O S T A Il museo nazionale di Beyro u t hconserva reperti che si riferiscono a tut-ti gli aspetti delle nostre civiltà. Per suadisgrazia era situato esattamente suquel tratto della linea di demarc a z i o-ne fra le fazioni rivali (la tristemente fa-mosa Green line) che ancora chia-miamo la linea del museo. Non vi è sta-ta perciò alcuna possibilità di lasciarlo aperto. Tutta la suastoria degli ultimi vent’anni è stata una storia di guerra. Unalotta estenuante per cerc a re di tro v a re le soluzioni per pro-t e g g e re gli oggetti. Penso che lei abbia visto il film che ab-biamo prodotto al riguardo. Forse per il pubblico possonor i s u l t a re indiff e renti i mezzi scelti per pro t e g g e re il patri-monio. Bisogna però cerc a re di mettersi nei panni del pre-cedente dire t t o re generale nel momento in cui si prese ladecisione di coprire gli oggetti archeologici con colate dicemento. Nelle immagini del film si vede bene la soluzio-ne adottata: mettere del cemento su cassoni di legno co-

struiti intorno alle singole opere per evitare il contatto di-retto. Questa fu l’ultima decisione, una decisione estre m a ,poiché all’inizio si era pensato di utilizzare semplicemen-te casse di legno coperte con sacchi di sabbia; ma ci si re-se conto che con questa soluzione si rischiava ugualmen-te la rottura degli oggetti; in effetti furono molti i reperti fra-cassati dalle bombe.

Quando la guerra finì, il museo non aveva finestre ,non aveva porte, tutto il tetto era pieno di crepe e nei mu-

ri vi erano le tracce delle raffiche di mi-tragliatrice. Ma, incredibilmente, la co-struzione era rimasta in piedi. Questoè uno dei vantaggi degli edifici co-struiti negli anni trenta, con una buo-na architettura. È un bellissimo mo-numento, ed è per questo che lo ab-biamo restaurato in maniera identica,senza aggiungere nulla a quella che sipuò chiamare un’architettura accade-mica degli anni trenta. Avevamo duea l t e rnative possibili: ricostruire il mu-seo in un altro luogo, oppure re s t a u-r a re l’edificio preesistente. La secondascelta è stata un omaggio alla nostra iden-tità nazionale. Vo r rei ancora sottoli-n e a re come l’edificio del museo, indi-pendentemente dall’importanza deglioggetti che vi sono custoditi, sia in sestesso un bellissimo monumento.

D . Avete avuto perdite gravi?R . Sì, purtroppo ne abbiamo avute.

Naturalmente ciò è stata la conseguenza degli avvenimenti.Se lei oggi mi chiedesse il numero degli oggetti perduti nons a p rei darle un dato preciso. Prima della guerra i sistemidi archiviazione non erano come quelli di oggi e gli inventarinon erano completi. Oggi invece abbiamo un pro g r a m m acomputerizzato che ci permette un’archiviazione totale.

D . Il museo fa parte di una rete museale ?R . Il Museo Nazionale non è un museo privato ma è govern a t i v oe dipende in tutto dalla Direzione delle Antichità, il cui di-re t t o re è Frédéric Husseini. Non abbiamo personale speci-

Il Museo Nazionale di Beyro u t hIntervista di Maria Laura Parma a Susi Hakmian

Veduta interna del Museo Nazionale diBeyrouth. (Foto Edizione Museo Nazionaledi Beyrouth)

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fico. Io ho l’incarico di occuparmi del Museo Nazionale edi altri musei archeologici, fra cui quelli di Byblos, di Baal-beck e di Betteidine. Prima eravamo in tre a lavorare al mu-seo, ora sono sola. I miei colleghi sono andati a lavorarein altri luoghi critici. Cerchiamo di tenere tutti i musei aper-ti a dispetto dei problemi di personale, di budget e di ma-nutenzione. Te n e re aperto un museo è facile, più complessoè garantirne tutte le sue molteplici funzioni.

D . Da chi ricevete i finanziamenti?R . Siamo finanziati dal Governo ma sostenuti anche da spon-sorizzazioni private. Inoltre abbiamo un comitato degliAmici del Museo che ci aiuta. La gestione della b o u t i q u ei n t e rna al museo è totalmente autonoma anche se fa par-te della Fondazione Nazionale del Patrimonio. Tutti gli in-t roiti sono devoluti al Museo Nazionale per finanziare pro-getti specifici inerenti al funzionamento dell’istituto comel’illuminazione, gli allestimenti, alcuni restauri ecc. Noinon possiamo accedere direttamente a questi fondi, ma pos-siamo utilizzarli solo a seguito di richieste finalizzate a in-terventi specifici.

D . Mi sembra che alla riapertura abbiate cambiato l’impiantoespositivo dichiarando di aver privilegiato due linee guida:il tempo e il luogo. In termini più specifici per luogo aveteinteso i reperti divisi per aree geografiche e per tempo la lo -ro cronologia. È così?R . A p p a rentemente è così. In realtà è stato molto diff i c i l es c e g l i e re questa disposizione museografica, proprio perc h ésiamo un Museo Nazionale. Infatti non potevamo trattaresolo le regioni con i reperti più numerosi e importanti adiscapito di altre. Proprio per la nostra vocazione nazio-nale abbiamo ritenuto che il pubblico dovesse vedere og-getti che provengano da tutte le regioni del Libano, natu-

ralmente tenendo sempre conto della cronologia arc h e o-logica del nostro paese. Forse l’aspetto filologico è quellopiù penalizzato; vi sono aree sottorappresentate rispetto ada l t re. Mi riferisco per esempio all’insieme del patrimoniodi Byblos la cui importanza non ha potuto essere espre s-sa nella sua totalità. È proprio quello che cerchiamo di spie-g a re al pubblico. Non possiamo esporre molti oggetti di unadata area geografica perché sono state fatte delle scelte chetengono conto anche della casualità dei rinvenimenti ar-cheologici. Il Libano è un paese che è stato abitato fin dall’ori-gine della civiltà e poiché è un paese piccolo è stato abi-tato dappertutto, e si è continuato a costruire sulle antichitàp reesistenti. Quello che stiamo cercando di dare al pub-blico all’interno del museo è una sensazione di pace, an-che attraverso una nuova linea espositiva. Ho cercato die s p o r re molti meno oggetti che in precedenza, privile-giando l’eleganza dell’esposizione rispetto al numero deireperti. Questa scelta ha sollevato qualche polemica, maio sono dell’idea che un museo non sia un deposito e chequindi non vi sia bisogno di esporre numerosi oggetti del-lo stesso tipo, ma che un solo oggetto possa essere suff i-ciente per fare una giusta museografia. Le persone che silamentano di più sono gli archeologi, ma il nostro non ènecessariamente solo un museo arc h e o l o g i c o .

D . Entrando nel museo, l’eleganza e l’equilibrio sono im -mediatamente avvertiti. L’illuminazione che avete scelto dàla sensazione di poter vedere il grande sarcofago del re diByblos Ahiram, la tribuna del tempio di Echmoun, i tro n idedicati alla dea Astarte, la grande statua faraonica o i mo -saici romani, immersi nella luce mediterranea dei loroluoghi di provenienza, e, nello stesso tempo, permette di as -s i m i l a re tutte queste civiltà in un’unica totalità perc e t t i v a .R . Il Libano è stato sempre un paese con una forte voca-

La facciata del Museo Nazionale di Beyrouth. (Foto EdizioneMuseo Nazionale di Beyrouth)

Sarcofago del re di Byblos Ahiram, Byblos Tombe reali, X secoloa.C. (Foto Edizione Museo Nazionale di Beyrouth)

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zione per gli scambi culturali e per le relazioni commer-ciali. La sezione egizia del museo espone reperti che pro-vengono dalla comunità egizia che abitava in Libano, nonda reperti che il museo ha acquisito in Egitto. Vi erano re-lazioni continue fra le comunità che abitavano il Libano ele loro terre di origine. Una storia che continua tutt’ora. Vierano scambi intellettuali molto forti. Byblos aveva dei edee che erano adorate non solo dagli abitanti del luogo.Parte del materiale votivo dei templi proveniva dire t t a m e n t edall’Egitto a dimostrazione che gli egiziani effettuavano pel-legrinaggi nei templi fenici. E questo fa del Libano unpaese composto dall’insieme di molte civiltà.

D . La Bibbia narra che verso il 200 a.C. il re Salomonechiedesse per la costruzione del suo trono e del suo tempioil legno di cedro al re di Ti ro Hiram. Quando si entra nelmuseo, il primo incontro è con l’enorme ceppo di cedro chedata al 41 a.C. Si ha quasi l’impressione che quel gro v i g l i oannerito di fibre voglia rappre s e n t a re un codice geneticocollettivo, la matrice mitica del popolo libanese, il simbolodella vostra identità nazionale. È così?R . È il punto forte ed è il simbolo delle nostre relazioni. Sto-ricamente nella nostra terra non vi sono state dominazionimilitari, e la forza delle genti che abitavano il nostro terri-torio derivava dagli scambi commerciali e intellettuali. I Fe-nici hanno avuto un impero commerciale e non militare, ba-sato sugli scambi internazionali. I re di Byblos sono stati se-polti con corredi funerari ricchissimi, questo è segno del fat-to che vi erano fortissime relazioni con altri popoli; il legnodel cedro può anche spiegare il legame che vi era fra i fa-raoni e i re di Byblos. L’influenza fenicia sul Libano è statasolo un episodio di una storia molto più lunga che, secon-do quanto determinato da Sabatino Moscati, è durata dal 1200all’arrivo di Alessandro il Grande nel 333 a.C. In realtà il Li-bano è stato abitato da così tante popolazioni diverse cherisulta impossibile ascrivere ai libanesi solo una radice fe-nicia. Si potrebbe forse parlare di una globalizzazione a n -te litteram, un modello che ha resistito fino alla guerra. An-che la dominazione romana è stata fondamentale per la sto-ria del Libano. È iniziata nel 64 a.C. e ha rappresentato unperiodo di stabilità, testimoniato dalle ricchezze che gli sca-

vi archeologici hanno portato alla luce. In epoca romana Bey-routh era una città molto importante. I romani stessi l’ama-vano molto e chiamarono Beyrouth “madre delle leggi” inquanto essi vi avevano fondato una prestigiosa scuola di di-ritto che rappresentò, con quella di studi greci e latini, unpolo di interesse per tutta l’area mediterranea.

D . In una vetrina del museo è esposta una Murex, la con -chiglia dalla cui lavorazione i Fenici traevano la porpora,la cui commercializzazione portò a un enorme intre c c i odi relazioni. Avete cercato di ripro d u r re la fabbricazionedella porpora?R . Sono stati fatti alcuni tentativi basati sugli scritti di Pli-nio e alcune delle stoffe prodotte in tempi recenti sono oraesposte nella stessa vetrina.

D . Mi sembra di capire che vi sia un aumento di intere s s eda parte del pubblico. È così?R . I cittadini di Beyrouth stanno imparando a venire al museoper ritro v a re le proprie origini; noi riteniamo che il nostro com-pito sia quello di cerc a re di fare ogni sforzo per instillare nel-le persone il desiderio di venire al museo per riappro p r i a r s idelle proprie radici e riscoprire l’identità nazionale.

D . Quali sono i vostri programmi didattici?R . Abbiamo un programma per le visite scolastiche e nonci limitiamo a pro p o r re visite guidate. Collaboriamo con laFacoltà del Turismo dell’Università di San Giuseppe per da-re una preparazione tecnica agli studenti. Non posso an-cora dire che il Museo Nazionale abbia un programma spe-cifico per i bambini. Il problema attuale è lo spazio, in quan-to all’epoca della costruzione del museo nessuno avre b b epotuto supporre che sare b b e ro stati necessari spazi diver-si rispetto a quelli destinati alle esposizioni permanenti, pre-disposti per esposizioni temporanee, per attività didattichee integrative. Per il momento abbiamo creato uno spazionel sottosuolo, e, in futuro, se ne avremo la possibilità, cer-c h e remo di cre a re spazi altern a t i v i .

Maria Laura Parma è giornalista e operatore museale nelcampo didattico-culturale.

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L’obiettivo del “visitatore al centro” del museo è emersonegli anni ottanta come reazione a determinati atteggiamenticonservatori presenti nel mondo dei musei e che concentra-vano l’attenzione verso le collezioni. Secondo questo puntodi vista, le collezioni, pur essendo ciò che di più peculiare haun museo, nel senso che lo distingue da altre istituzioni, nonsono né l’unico né forse il più importante dei suoi attributi.P o r re l’attenzione in primo luogo sui reperti, si traduceva in-fatti nell’assegnare priorità alla tutela, trascurando le altre fi-nalità del museo: la comunicazioneverso il pubblico e, in un paese conuna certa vocazione monopolisticanella produzione di conoscenza co-me l’Italia, anche la ricerca.

Questa aff e rmazione “mettiamoil visitatore al centro del museo” par-tiva dunque da motivazioni legittimee in fondo ammissibili per chiunquefaccia parte dell’ICOM. Tuttavia, ne-gli ultimi dieci anni di attenzionedei media e dei politici verso i mu-sei, questo concetto ha subito unad e f o rmazione inaccettabile, perdendoil suo carattere metaforico e trasfor-mandosi in una sopravalutazionedell’importanza del numero dei visitatori come indicatore di suc-cesso dei musei. Questa distorsione, alla quale non è eviden-temente estraneo l’interesse verso il ruolo potenziale dei mu-sei come macchine di consenso, non è accettabile né sul pia-no scientifico né su quello etico.

Sul primo vale la pena di sottolineare come la valutazio-ne delle organizzazioni e delle politiche sia oggi una discipli-na consolidata, con pratiche e metodologie strutturate, e sul-la base della quale il numero di visite potrebbe forse essereconsiderato, insieme ad altri indicatori, un indice di successoper politiche nazionali e sul medio-lungo periodo, non certoper singole istituzioni e in un orizzonte di tempo limitato. Sitratta di un’osservazione rilevante perché le attuali scienze del-la valutazione assegnano grande importanza alla considerazionedelle missioni delle istituzioni che studiano. Questo accade inbase a una considerazione elementare: valutare il successo diun’iniziativa o di un’istituzione equivale a domandarsi se si siaarrivati dove si desiderava. Ancor prima occorre dunque do-

mandarsi dove si volesse arrivare e la risposta a questa domandadeve essere condivisa fra valutatori e valutati.

Forse proprio il grande interesse verso i numeri dell’uten-za è interpretabile come un’implicita dichiarazione delle fina-lità che si vorre b b e ro attribuire ai musei, legate alla re d d i t i v i t à ,sul mercato economico o su quello del consenso politico.

Sul piano etico si deve invece osservare come da tempoassociazioni e singoli operatori dei musei, ricercatori e museologisiano sempre più orientati a sostituire al concetto di “visitato-

ri” quelli di “pubblico”, di “società”o di “comunità”. “Pubblico” è di-verso da “visitatori”, soprattutto per-ché è una nozione più inclusiva e nonsi limita all’utilizzo attuale dei mu-sei, ma include quello potenziale. Sitratta di una diff e renza fondamentaleper un’organizzazione che opera incampo culturale e la cui azione,quindi, può e deve andare molto aldi là delle mura del museo. Il con-cetto di “visitatore al centro” va dun-que riportato al suo significato ori-ginale e legato alla missione del mu-seo, che non è ovviamente quella dio p e r a re come semplice vetrina.

Tuttavia anche il riferimento al concetto di pubblico,spesso utilizzato nel senso ancora più esteso di comunità osocietà, non è privo di aspetti ambigui. La Nouvelle Muséo-logie ha fatto riferimento in modo esplicito al museo socialee ha definito l’ecomuseo “specchio della comunità”, all’epo-ca la realizzazione più vistosa dei concetti ipotizzati. Eppureanche questa aff e rmazione è stata travisata e i risultati si pre-sentano con tale chiarezza, nel campo ecomuseale ma noncerto limitati a quello, che proprio da qui conviene partire .Lo “specchio della comunità”, in questa deformata traduzio-ne contemporanea, sarebbe un’istituzione nella quale, dal ter-ritorio di riferimento alle componenti del discorso museale,ogni parte della società locale sia equamente rappre s e n t a t a .Si tratterebbe insomma di una specie di “media” aritmetica del-la società, una comunità priva di contraddizioni, con una fun-zione rassicurante e puramente didascalica nei confronti delv i s i t a t o re medio, che vi tro v e rebbe proprio quello che siaspetta di tro v a re, semplicemente raccontato con un lin-

Visitatori, pubblico, comunitàMaurizio Maggi

Museo della Mezzadria a Buonconvento. (FotoNuova Museologia)

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guaggio adeguato al livello culturale dell’istituzione. Le pos-sibilità di cre a re consenso di una simile macchina sono evi-denti e forse spiegano in buona parte il grande e cre s c e n t eentusiasmo dei politici italiani per gli ecomusei. Si tratta di unfenomeno già verificatosi in Francia e denunciato dalla Nou-velle Muséologie oltre quindici anni or sono e che riguarda,anche se forse in modo meno trasparente, tutti i musei.

Le comunità reali sono diverse da quelle mitizzate raccontatenegli ecomusei di questo tipo e sono fatte anche di punti divista che tutti noi definiremmo arretrati, ma soprattutto di con-trastanti punti di vista. I conflitti di idee, al contrario di quellifisici, richiedono spesso scelte di parte o comunque interpre-tazioni che riescano a spostare il contrasto su livelli più avan-zati. Nasconderli, invece, all’interno di rappresentazioni con-solatorie e celebrative della realtà, che li negano o li appiananoin modo apparente, non costituisce un contributo culturale im-portante del museo nei confronti della società, è una rinunciaal suo ruolo educativo, che eviden-temente non si riduce alla didatticaper i più piccoli, ed è anche incoe-rente con gli obiettivi a suo tempodefiniti nella celebre tavola ro t o n d adi Santiago del Cile del 1972.

Ogni museo dovrebbe infattie s p r i m e re un punto di vista “terzo”,rispetto a collezioni e pubblico, per-ché proprio dallo “scontro” fra ilsuo punto di vista e quello del visi-t a t o re può mettersi in moto quelp rocesso di confronto di idee che èalla base di ogni produzione cultu-rale. Senza questo punto di vista, sen-za questa interpretazione “di parte”,i musei, oltre a diventare poco produttivi dal punto di vistaeducativo, sono destinati a subire un pro g ressivo processo diomologazione che li porterà a essere sempre più simili fra lo-ro. Le società, sia locali che nazionali, infatti, pur pre s e n t a n-do caratteristiche legate alla loro specifica storia e pro f o n d a-mente diverse da svariati punti di vista, possono sempre es-s e re descritte in modo analogo, magari replicando discorsi chea l t rove hanno avuto successo. La letteratura informativa delturismo ne è un esempio chiaro, essendo riuscita a omologa-re anche la tipicità locale, ormai descritta ovunque con term i n i ,f i g u re, immagini ideali del tutto simili fra loro. Tuttavia anchesocietà fra loro affini o che presentano problemi analoghi pos-sono essere interpretate in molti modi fra loro diff e renti, ed èin questa rappresentazione autonoma che gli ecomusei, cosìcome tutti i musei, devono tro v a re uno degli elementi su cuib a s a re la propria identità come istituzioni. Questo non per ne-g a re l’importanza di un rapporto stretto con la comunità so-ciale di riferimento, ma al contrario per integrarlo.

L’identità collettiva, di un’organizzazione o di una comu-nità, è un concetto che la letteratura contemporanea consideracomunemente legato alla relazione fra singolo soggetto e so-cietà e, in analogia alla identità individuale della psicanalisi,definibile come un processo di continua ricerca di equilibriofra integrazione e individualità, fra senso di appartenenza aun contesto più ampio e necessità di autoaff e rmazione dellap ropria specificità.

I musei dovre b b e ro allora integrarsi, da un lato nella co-munità dei musei sulla base di metodi e finalità comuni edi valori fondanti condivisi – per esempio la conoscenza co-me confronto fra diversità e come comparazione fra idee ereale –, e dall’altro nella società locale sulla base dell’ap-partenenza a un territorio o a una storia – quella racconta-ta dal museo – condivisa. Nello stesso tempo dovre b b e rod i ff e renziarsi come entità individuali, capaci di una pro p r i aspecificità e di un proprio punto di vista.

Tutto ciò ha conseguenze im-portanti. Innanzitutto la capacitàdi esprimere un’interpre t a z i o n eautonoma da parte del museo ri-chiede competenze adeguate especifiche, non riducibili all’ambitomanageriale. La capacità di ascol-t a re il punto di vista del pubbli-co senza per questo ridursi a unasua registrazione passiva, ma al con-trario per alimentare una pro p r i aautonoma interpretazione, richie-de competenze che vanno al di làanche delle conoscenze scientifi-che di merito e coinvolgono l’es-senza della professione museale.

Una seconda importante conseguenza è che la missio-ne del museo viene chiamata in causa in modo decisivo.Se il museo non vuole limitarsi a conservare e a mettere inmostra, ma intende farlo in modo selettivo, deve dotarsi diuna “bussola” che statuisca in modo trasparente e dichia-rato le finalità e i limiti entro cui quella selezione si muo-ve. La missione non è dunque un ornamento retorico maun contratto fra un’istituzione culturale, fatta di persone conspeciali competenze, e una collettività di riferimento (glis t a k e h o l d e r), le cui finalità hanno con tutta evidenza ca-ratteristiche di bene pubblico e sono perciò incompatibilicon un’attività di lucro.

Missione non pro f i t del museo, competenze di coloro checi lavorano e attenzione dialettica e non passiva verso il pub-blico sono perciò tre assi strettamente interc o n n e s s i .

Maurizio Maggi è responsabile dell’area di ricerca ambiente eterritorio dell’IRES - Regione Piemonte.

Ecomuseo di Pino d’Asti in Piemonte. (Foto NuovaM u s e o l o g i a )

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“Hanno rubato un tasto della pianola di Verdi” iro n i z-zava con indulgenza Giampiero Tintori, seduto alla scriva-nia all’ultimo piano del Museo Teatrale alla Scala, quandoquesto ancora si trovava nell’edificio del Piermarini. “Chis-sà cosa se ne fanno...”. Incredulo e divertito il maestro –d i re t t o re del museo dal 1964 al 1997 – sorrideva indugian-do con affetto sui cimeli accumulati in oltre ottant’anni inquelle storiche sale. Tutti i giorni le attraversava, lanciavauna sbirciatina al ridotto del teatro, scambiava qualche pa-rola con Marco, il cu-stode, e con chiunque– turisti, studiosi, stu-denti, attori, composi-tori, cantanti o sempli-ci curiosi – aveva lafortuna di incontrarlo edi sperimentare quelguizzo di umanità ve-ra e di generosità cheemanava la sua perso-na. E con quale entu-siasmo accompagnavai suoi ospiti al ridottodel teatro per assisterealle prove e – questa eral’esperienza più esal-tante – a visitare la sto-rica sala macchine, perpoi mostrare i re p e r t iesposti o suggerire lalettura di qualche te-sto conservato nellap reziosa Biblioteca Li-via Simoni (un patri-monio di più di 140 mila volumi, oltre agli archivi di stam-pe, bozzetti, lettere autografe, libretti e fotografie). Oggi ilm a e s t ro Tintori non c’è più e con lui si è persa un po’ diquella magia che ancora si conserva nello storico palazzos c a l i g e ro, finalmente in re s t a u ro dopo annose discussionitra enti, tecnici e pubblica amministrazione. Per metterlo an o rma, fondamentalmente, ma anche per risolvere una se-rie di nodi che con il passare degli anni sono andati via viafacendosi sempre più fitti. Tra questi il Museo Teatrale. Inau-

gurato nel 1913 per illustrare la storia dello spettacolo, piùche come museo della Scala, il legame con l’istituzione mi-lanese si è consolidato negli anni attraverso acquisti e do-nazioni fino a divenire inscindibile.

Di fronte alla nuova sede inaugurata a maggio in Pa-lazzo Busca, magnifico edificio cinquecentesco della Fon-dazione Collegio San Carlo, sono certa che con lo stessospirito bonario Tintori direbbe: “Se non altro adesso c’è l’ascen-s o re!”. Ma quali ragioni e quali principi sottendono la de-

cisione di lasciare unasede e un allestimentostorici? “Con questa ope-razione si evita la mes-sa in magazzino delmuseo con le sue rac-colte e si espongonole medesime con nuo-ve modalità” aff e rm aVittorio Pessina, pre s i-dente del museo. Mad a v v e ro si è sfruttataappieno un’occasionequasi unica, che ha tro-vato la convergenza dii n t e ressi e di impegnodi molti, i fondi neces-sari e un luogo pre s t i-gioso legato alla me-moria storica milane-se? Certamente la mes-sa a norma del museoè imprescindibile dal-la sopravvivenza del-lo stesso, che si è inol-

t re arricchito con la prestigiosa collezione di strumenti mu-sicali d’epoca, dal 1989 al Palazzo dei Giureconsulti, l’alle-stimento della straordinaria raccolta Contini di grammofo-ni e fonografi, circa sessanta pezzi dal 1877 al 1920, e duesezioni dedicate alla storia della scenografia e del costumeteatrale. Un’occasione felice, dunque, per re s t a u r a re, inte-g r a re ed esporre i reperti in uno spazio che ne garantiscela conservazione – e quale spazio! –, ma che non può de-finirsi più funzionale in senso assoluto, se la funzionalità è

Tra memoria e attualitàElena Cao

Sala “Le origini del museo e le sue collezioni”, Palazzo Busca. (Foto MuseoTeatrale alla Scala, per gentile concessione)

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relativa a un pensiero, a un progetto che, nonostante ivantaggi detti e la buona volontà di chi l’ha operato, è po-co leggibile. O quantomeno poco chiari risultano i criteridel nuovo allestimento qualora questo risultasse definitivoe non temporaneo come dichiarato.

La sensazione di casualità, che negli spazi originari si stem-perava in una logica di sviluppo “cronologico” e “affettivo”più che scientifico, legato alla specifica architettura – che cer-tamente ha influito sui criteri di acquisizione –, si è accen-tuata nelle sale del nuovo museo, preziosamente decorate,ma prive di quella componente di memoria storica che ca-ratterizzava l’antica sede. Il nuovo allestimento, rispettoso del-le caratteristiche architettoniche dell’edificio, appare disper-sivo laddove risulta difficile individuare un criterio che ac-compagni il visitatore in un itinerario attraverso la storia delt e a t ro. “Le opere più belle e significative sono state distribuitenelle sale tenendo conto soprattutto dei frangenti storici neiquali sono entrate a far parte delle collezioni stabili del Mu-seo [...]. Ecco perché [...] alcune sezioni possono apparire aprima vista lacunose. I tasselli mancanti andranno ricercatinelle altre sale”, afferma il direttore Matteo Sartorio. Se pu-re integrati dalle nuove collezioni, molti tasselli sono peròscomparsi – in Palazzo Busca è esposto circa il 30% del ma-teriale in origine alla Scala: sono ritornate al museo archeo-logico la collezione di antichità, alla casa di Verdi la sala ver-diana, nei depositi della Bicocca il rimanente materiale non

esposto. E le caratteristiche decorative della nuova sede nonne favoriscono la rotazione. Il numero dei reperti di alcunesezioni, inoltre, risulta, in un’ottica definitiva, esuberante ri-spetto allo spazio e lacunoso dal punto di vista didattico escientifico.

Il Museo come “narratore dell’identità scaligera”, scriveil Sovrintendente del Teatro alla Scala Carlo Fontana nel ca-talogo. Ma quanto si perderebbe di questa identità qualoranon ritornasse nella sua sede originaria, a restauro conclu-so (previsto nel 2004)? Come sarebbe altrimenti recuperabi-le quel rapporto simbiotico e vitale, così prezioso per attua-lizzare il museo attraverso l’attività del teatro e per storiciz-zare il teatro attraverso il confronto diretto con la sua me-moria storica? Il trasloco del museo teatrale è legittimo e op-portuno – pure nella precarietà e nella discutibilità di alcu-ne scelte – a condizione che veramente sia temporaneo e chegli si restituisca, in uno spazio museograficamente rinnova-to e ampliato, quella peculiarità, preziosa e quasi unica nelpanorama europeo, di contiguità fisica e funzionale con il tea-tro. Vorremmo rivedere la pianola di Verdi – in realtà un for-tepiano a tavolo donato al compositore nel 1832 da AntonioBarezzi – nelle storiche sale del teatro, viva della memoriadei suoni che un tempo le appartenevano.

Elena Cao è architetto pubblicista e si occupa di arte em u s e o g r a f i a .

Sala “Il sipario teatrale e i grandi cantanti”, Palazzo Busca. (Foto Museo Teatrale alla Scala, per gentile concessione)

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I n t e rnet è al momento uno dei mezzi di comunicazione piùutilizzati e importanti. Lo sviluppo delle tecnologie multime-diali e di realtà virtuale e la veloce diffusione sociale dell’usodella rete sono interessanti opportunità per la divulgazione on-line del patrimonio culturale. Su Internet si trovano ormai mi-gliaia di pagine dedicate all’arte e ai musei. Alcuni siti sono espre s-sione di musei reali e svolgono una funzione informativa cheva dalle semplici notizie su orari e costi, all’appro f o n d i m e n t ostorico-scientifico. Un buon medio livello, confacente alla na-tura ipertestuale del web, è raggiunto quando nel sito di unmuseo sono presenti immagini e documenti relativi al conte-sto storico, culturale e ambientale delle opere e degli artisti in-clusi nelle collezioni. Accanto ai siti Internet facenti capo a mu-sei e gallerie reali, in questi ultimi anni è emerso anche il con-cetto di museo virtuale, ovvero una collezione di immagini dio p e re d’arte conservate in luoghi diversi e raggruppate con cri-teri cronologici o biografici. Esistono poi sterminate web gal -l e r i e s tematiche e raccolte enciclopediche che ambiscono a il-l u s t r a re tutti i grandi capolavori, dall’antichità a oggi.

In questo articolo concentre remo l’attenzione sui web mu-seali, per ricerc a re le ragioni per cui essi vengono creati e peri n d i v i d u a rne gli obiettivi minimi.

S t a n d a rd museali e nuove tecnologie di comunicazioneL’utilizzo di nuove tecnologie nella comunicazione museale

è al centro del dibattito sulla gestione e valorizzazione dei be-ni culturali italiani. Convegni, tavole rotonde, corsi di form a-zione e forum on-line si occupano da tempo del tema, nell’ot-tica di definire il ruolo di Internet nella promozione dei mu-sei. Il sito di una galleria rispecchia il programma della dire-zione del museo, si compone di sezioni numerose e diverse aseconda del pubblico che si è interessati a raggiungere edell’obiettivo che ci si propone: aumento del flusso di visita-tori e delle entrate, formazione dei cittadini, educazione degliscolari, informazione scientifica per gli studiosi.

L’ipertesto off re di per sé alcune interessanti opportunità,quali la contestualizzazione di un’opera d’arte nel tempo, nel-lo spazio, nella storia dell’autore, nelle sue relazioni culturali.Tale approfondimento può avvenire prima, durante o dopo lavisita effettiva del museo. Questo guadagna in notorietà se ap-p a re con le sue collezioni sul web, davanti a un’utenza potenzialedi milioni di persone: il numero degli utenti virtuali è infatti su-p e r i o re a quello dei visitatori reali. La crescita degli utenti te-

lematici incrementa anche il numero dei visitatori reali, lei n f o rmazioni offerte dai siti museali possono pro v o c a re il de-siderio della visione diretta delle opere, e aprire così conside-revoli prospettive di ritorno economico.

Il pubblico è pronto ad accogliere l’offerta museale on-li-ne, ma non sempre i musei sono pronti a comunicare attra-verso Internet. Non bastano schede o testi simili ai cataloghi astampa; per attirare l’attenzione dei navigatori occorrono iper-testi e percorsi virtuali appositamente studiati. Il catalogo on-l i n e delle opere non si addice a un’efficace comunicazione cul-turale nei confronti dell’utente medio.

Per la stesura della struttura di un sito museale e dellepagine relative alle opere è opportuna la collaborazione tradiverse professionalità: storici dell’arte, esperti di comunica-zione ipertestuale, informatici. Le linee di indirizzo sullo svi-luppo di web museali italiani non potranno che venire dalMinistero per i Beni e le Attività Culturali, che dovrà defini-re sia i percorsi di formazione e di aggiornamento del per-sonale dei musei, sia i compiti degli Istituti centrali, per im-piegare proficuamente le nuove tecnologie. Se i primi ten-tativi sperimentali sono stati condotti autonomamente dalleistituzioni museali, con risultati più o meno apprezzabili, aquesto punto è auspicabile la redazione di standard per lastrutturazione di siti Internet museali. Un aiuto importante verràsicuramente dal mondo della ricerca universitaria in campotecnologico e umanistico.

Al momento, dopo l’atto di indirizzo sui criteri tecnico-scien-tifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei(art. 150, comma 6, D.L. n. 112/1998) promulgato dal Ministe-ro per i Beni e le Attività Culturali, non vi sono che limitati cen-ni alle nuove tecnologie per la comunicazione museale neglielaborati del relativo gruppo di lavoro (D.M. 25.7.2000), di cuisi riportano alcuni passi.

N o rme tecniche / Politiche di ricerca e studio“La ricerca che ogni museo compie a partire dalle sue col-

lezioni costituisce una sua finalità primaria, cui devono esserededicate risorse – umane e finanziarie – interne o esterne almuseo, assicurando l’accessibilità per motivi di studio delle col-lezioni, della documentazione e delle conoscenze acquisite ecurandone la comunicazione attraverso i mezzi più opportuniper re n d e rne partecipi il più largo numero di persone ad es-se intere s s a t e . ”

Il web del museo:proposte per uno standardClaudia Lamberti

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Rapporti del museo con il pubblico e relativi servizi“Ogni museo è tenuto a garantire adeguati livelli di servizi

al pubblico. In particolare dovranno essere assicurati: l’acces-so agli spazi espositivi; la consultazione della documentazioneesistente presso il museo; la fruizione delle attività scientifichee culturali del museo; l’informazione per la miglior fruizione deiservizi stessi. Per tutti gli aspetti comunicativi e informativi è dat e n e re presente la rilevanza pro g ressivamente assunta dalla co-municazione remota, specialmente tramite Internet, atta a re n-d e re disponibili informazioni scientifiche e pratiche di ogni ge-n e re in anticipo e successivamente rispetto alla visita eff e t t i v a . ”

Linee guida / Promozione e pubblicità sulle collezioni perm a n e n t ie le attività del museo

“Nel sistema odierno delle comunicazioni non è raro in-c o n t r a re difficoltà a far circ o l a re, re c e p i re e diff o n d e re in mo-do corretto i “messaggi” solitamente colti ed equilibrati che pro-vengono dal museo e dalle sue attività, e cui spesso i mass me-dia dedicano attenzioni marginali. Un impegno costante dei re-sponsabili del museo in tal senso sembra la miglior strada dap e rc o r re re. Ove possibile, la formazione di un apposito servi-zio di comunicazione (di singolo museo o di rete) affidato apersonale interno, idoneo per formazione o attitudine, contri-buisce ad aumentare lo scambio d’informazioni dal museo ver-so gli interlocutori esterni, anche considerando che l’automa-tizzazione di certi processi tramite w e b s i t e s e posta elettro n i c aagevola una rapida diffusione dei dati.”

Il pubblico museale e le risorse Internet: domanda e off e r t aIl sito Internet di un museo reale viene consultato da due

principali categorie di utenti: il turista/fre q u e n t a t o re occasio-nale e lo studioso. Il primo cerca sia una presentazione deicontenuti del museo che lo aiuti a decidere se pro g r a m m a reuna visita, sia informazioni pratiche per organizzarla (orari diapertura, costi dei biglietti, possibilità di prenotazione on-linedei biglietti e di un servizio di guida). Il secondo utente, chepuò anche aver già visitato il museo, cerca servizi qualificati( r i p roduzioni fotografiche digitali di buon livello, possibilitàdi acquisto on-line di diapositive e foto delle opere della col-lezione, informazioni storico artistiche e museografiche accessibilitramite database o sezioni speciali del sito). Accanto a questedue categorie di utenti, vi è il pubblico in età scolare, che sem-p re di più, grazie all’introduzione di Internet nell’attività didattica,i m p a rerà a conoscere l’arte mediante basi di dati e di imma-gini, a fianco delle classiche gite di istruzione. Il museo, chia-mato a svolgere una funzione di supporto alla formazione deigiovani, potrà esercitarla prima tramite il web, poi con visiteguidate. Il sito Internet museale “perfetto” è quello che tieneconto di questi tre livelli di utenza e dedica spazio a ciascu-no di essi. Per esprimere un giudizio su un web museale, sidevono inoltre valutare non solo i contenuti, ma anche la ca-

pacità di trasmetterli in forma ipertestuale. In base a ciò, i si-ti museali possono essere classificati in quattro tipologie, incui il livello successivo contiene quasi sempre il precedente: 0 . il pieghevole elettronico: pagina inform a t i v o - p u b b l i c i t a r i a ;1 . la guida digitale: la sintesi del museo reale, con mappe, fo-

tografie, selezione di notizie sulle collezioni e sulle espo-s i z i o n i ;

2 . il catalogo elettronico: descrizione completa della collezio-ne museale, che ha il valore aggiunto, rispetto al catalogoa stampa, di essere un database interrogabile per vari ac-cessi (autore, titolo dell’opera ecc.);

3 . l’ipertesto sviluppato: pagine web che aggiungono dati suo p e re estranee alle collezioni ma che hanno relazioni conil museo reale, che reinventano il museo suggerendo per-corsi di visita virtuale, che mostrano fasi precedenti e irre-cuperabili delle opere o che anticipano i risultati di re s t a u-ri in corso, che danno un’idea dell’ambiente originale in cuiun oggetto era collocato.

Dal punto di vista tecnico, la maggior parte dei siti musealisi basa su tecnologie web standard con immagini in form a t ojpeg; molto diffuse sono le metafore di navigazione del sito ba-sate su mappe sensibili, utilizzate per rappre s e n t a re la topo-logia del museo reale. I siti più complessi adottano sistemi dicatalogazione delle collezioni su database, affiancano alle sche-de delle opere immagini ad alta definizione e impiegano so-luzioni di realtà virtuale o di visualizzazione fotografica 3D. Ipochi che finora si sono occupati di teorizzare un metodo digiudizio sui siti museali hanno proposto il rilievo di vari indi-catori, che consentono valutazioni comparative, ma non si so-no ancora dedicati alla pubblicazione dei risultati di tali anali-si, né si ha notizia di iniziative ufficiali del Ministero per i Be-ni e le Attività Culturali in tale direzione. I parametri di cui te-ner conto per un’indagine sull’offerta museale in rete sono:• modalità di presentazione del museo (introduzione, inter-vento del direttore, storia dell’edificio, storia della collezio-ne, presentazione dello staff);• diffusione di informazioni pratiche per la visita e loro ag-giornamento;• p resenza e organizzazione delle informazioni su collezionep e rmanente e mostre ;• o fferta di servizi avanzati per l’utente (attività didattica, ma-teriali scientifici, comunicati stampa);• o fferta di servizi commerciali per l’utente (prenotazione deibiglietti, vendita di prodotti editoriali on-line).

La situazione museale italiana on-lineSi deve considerare con preoccupazione il fatto che in al-

cune regioni d’Italia vi sono pochissimi musei che off rono unsito Internet, o che non hanno delegato totalmente ad altri (si-ti turistici, commerciali ecc.) la propria pubblicità. Inoltre, i si-

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ti realizzati dalle istituzioni del nostro paese non figurano fre-quentemente nei metaindici internazionali che valutano i webmuseali per qualità della comunicazione e per livello delle so-luzioni tecnologiche adottate. Tuttavia, si sta lavorando nellad i rezione di forn i re una cultura tecnologica e comunicativa ade-guata ai responsabili della gestione museale e si riscontrano iprimi investimenti progettuali ed economici.

Complessivamente, i musei italiani hanno pagine web checontengono sempre una presentazione, alcune informazioni pra-tiche, almeno una minima descrizione della collezione. Sonoin genere assenti i servizi on-line di prenotazione dei bigliettie di acquisto di libri o di oggetti, segno di un’ancor scarsa at-tenzione alle attività di merchandising, ma anche specchiodella diffidenza degli italiani a fare acquisti tramite Internet conle carte di credito, che fa sì che alcuni musei di interesse lo-cale ritengano inutile dotarsi di pagine web di tale tipo. Il li-vello della descrizione delle collezioni è molto vario, si hannoesempi mediocri a fronte di pagine molto ben realizzate. An-cor più eterogenea appare l’offerta di documentazione avan-zata: molti musei non ne hanno alcuna, solo pochi hanno uns e t t o re riservato alla didattica, pochissimi si preoccupano di pro-d u r re comunicati stampa on-line. Le informazioni scientifichesono spesso limitate a una bibliografia e raramente si pre v e-dono link a risorse Internet disciplinari. Appaiono dotati di mag-giori mezzi alcuni musei che si appoggiano ai siti principali del-le sovrintendenze, dove si possono tro v a re database delleo p e re e altre informazioni per gli studiosi. In complesso sonomeno del 50% i musei che prevedono sul proprio sito un per-corso di navigazione per gli storici dell’arte, con documenta-zione scientifica di notevole importanza.

Risulta difficile evincere il tipo di rapporto tra importanza delmuseo e organizzazione del sito museale, in quanto tro v i a m opiccoli musei con siti Internet ben articolati a fianco di impor-tanti istituzioni che meritere b b e ro un impiego di risorse maggioreper la loro presenza in rete. Vi sono però anche musei “mino-ri” con pagine web mediocri o appena sufficienti e musei “mag-giori” con rilevanti siti Internet che affiancano degnamente il mu-seo reale. Si tratterebbe quindi di indagare più a fondo le poli-tiche di marketing intraprese dalla varie dirigenze museali, l’in-t e r p retazione che queste ultime danno dell’opportunità di ave-re un sito Internet, il modo con cui è nato il sito e come pro c e-de il suo aggiornamento a fianco della storia del museo re a l e .

Uno standard di qualità per il web del museoPer concludere indico quelli che ritengo essere i requi-

siti per un sito Internet museale di qualità. Dal punto di vi-sta dei contenuti, un buon web museale è quello compostodalle seguenti aree (già brillantemente individuate da Calvo,2000, e da me integrate in questa occasione):• informazioni pratiche relative all’accesso, alla collocazione,agli orari e ai servizi in loco, affiancati dai servizi di pre n o t a-

zione o acquisto on-line dei biglietti e delle visite guidate; • informazioni relative al museo stesso, sia dal punto di vi-sta storiografico, sia da quello istituzionale, sia da quello lo-gistico e spaziale (corredate da piante e fotografie);• i n f o rmazioni relative alle collezioni permanenti, pre s e n t a t eattraverso cataloghi tematici delle opere, cataloghi logistici col-legati alle mappe del museo o database; per ciascuna operasono fornite descrizioni, notizie di commento e di spiegazio-ne, corredate da immagini; talvolta le notizie associate ad al-cune opere si espandono fino ad assumere la forma di veri ep ropri saggi introduttivi all’opera stessa o al suo autore ;• informazioni relative alle mostre temporanee, dotate del-le medesime caratteristiche di quelle relative alle collezioni,a cui si aggiungono note sugli scopi e sui fondamenti teori-ci della mostra, che possono ricalcare o riassumere il con-tenuto dei cataloghi a stampa; • strumenti didattici specificamente pensati per fini divulgativied educativi, che aiutano a comprendere un’opera o un re-perto, o a effettuarne un’analisi approfondita; • sezioni dedicate alle attività di merchandising, sviluppatefino a essere dotate di sistemi di commercio elettronico;• sezioni dedicate agli studiosi d’arte, con metaindici di ri-sorse Internet per la storia dell’arte, link a cataloghi di bibliotecheo archivi museali, servizi specifici di riproduzione fotografi-ca delle opere;• sezioni dedicate al rapporto col pubblico (indirizzi e-maildello staff, questionari, raccolta reclami e proposte).

La qualità complessiva di un sito Internet museale dipen-de inoltre dall’aspetto grafico e dalle caratteristiche inform a t i-che. Affinché forma e contenuto siano adeguatamente curatiè necessario che nella stesura di linee guida per la re a l i z z a z i o n edi un web museale si tengano in grande considerazione le pro-blematiche tecniche, per le quali analogamente si auspica lastesura di standard da parte degli esperti.

Claudia Lamberti è specialista in Storia dell’Arte e dipendentedel Sistema bibliotecario, archivistico e museale dell’Universitàdi Pisa.

B i b l i o g r a f i aBertuglia C.S, Bertuglia F., Magnaghi A., 1999 - Il museo tra reale e virtuale.Editori Riuniti, Roma.Calvo M. et al., 2000 - Internet 2000: manuale per l’uso della rete. L a t e r z a ,R o m a - B a r i .Galluzzi P., Valentino P.A. (a cura di), 1997 - I formati della memoria: beniculturali e nuove tecnologie alle soglie del terzo millennio. Giunti, Firenze.Jones L.S., 1999 - Art information and the internet: how to find it, how to usei t . Oryx press, Phoenix.Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Atto di indirizzo sui criteri tecni -co-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (art. 150,comma 6, D.L. n. 112/1998), Elaborati del Gruppo di lavoro (D.M. 25.7.2000).

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“Separarsi è una pena così dolce...” La frase shakespea-riana può ben adattarsi al caso di un museo in fase di radi-cale rinnovamento o potenziamento strutturale. Durante il can-t i e re la comunità è privata, del tutto o in parte, della fruizio-ne delle collezioni normalmente esposte. Ma si aspetta di ri-t rovarle valorizzate dal nuovo contesto, arricchito magari danuovi spazi, servizi al pub-blico, una rinnovata mu-seografia e comunicazio-ne interna. La “separa-zione” può tuttavia dura-re anche molti anni e ri-s c h i a re di pro d u r re l’eff e t t o“lontano dagli occhi, lon-tano dal cuore...”!

Quali soluzioni e qua-li strategie adottare, in que-sti casi, per mantenere ilmuseo nei public eyes es c o n g i u r a re il rischio del-la disaffezione? Questauna delle domande allabase del programma di ri-c e rca “Close(d) to MeetYou”, coordinato da Mar-cello La Rosa, dire t t o redell’IRES - Piemonte, re a-lizzato con il finanzia-mento di Regione Pie-monte e Fondazione CRTe al quale hanno collabo-rato – tra gli altri – Luca DalPozzolo (Fondazione Fitz-carraldo) e Luca Zan (Uni-versità di Bologna).

La mancanza di una let-teratura specifica sull’argomento, ci ha indotti a ricorre re a una p p roccio euristico sui generis. Nell’ottobre 2002 abbiamo in-viato un SOS attraverso il network H-Museum. Entro pochi gior-ni abbiamo ricevuto oltre quindici segnalazioni, con indicazionipertinenti e significative. Grazie all’impiego di tecniche quali-tative (interviste di profondità, metodo Delphi1 ecc.) siamo riu-sciti a identificare cinque “buone pratiche”, ognuna delle qua-

li costituisce una diversa soluzione già sperimentata in passa-to o in corso di realizzazione. Louvre, Centre Pompidou, Mu-seo Nazionale Svizzero di Zurigo, Asian Art Museum di San Fran-cisco e MoMA di New York i musei coinvolti.

Nel periodo ottobre - d i c e m b re 2002 abbiamo re a l i z z a t oincontri e interviste di profondità a Parigi, New York, Zurigo

e San Pietro b u rgo (Mu-seo Ermitage), con circ at renta curatori, re s p o n s a-bili del marketing e dellacomunicazione e altri spe-cialisti. Fra questi Chri-stiane Ziegler e FrançoiseMardrus (Louvre), Jean-P i e r re Biron (Centre Pom-pidou), Peter Foley, KimMitchell, Katy McDonald(MoMA NY), Harald Krae-mer (Museo NazionaleS v i z z e ro).

I risultati della ricerc asono raccolti nel rappor-to “Close(d) to Meet Yo u ”2.In estrema sintesi, ripor-tiamo di seguito i cinquecasi di best practice e le li-nee-guida che ne hannoi n f o rmato la strategia dic o m u n i c a z i o n e .

Soluzione Louvre D u-rante i lunghi lavori chehanno caratterizzato la co-lossale operazione “GrandL o u v re” – oltre quindicianni di lavori (1981-1999)

che hanno portato a un incremento straordinario della super-ficie espositiva e non, alla riqualificazione dei sette dipartimentie alla costruzione di strutture quali la Piramide e l’Auditorium– la parola d’ordine è stata “non chiudere mai”. Strategia: il mu-seo continua a eserc i t a re la propria forza di attrazione sui vi-sitatori, esponendo una parte significativa delle proprie colle-zioni. Strategia di comunicazione: campagne massicce di co-

Il cantiere museale:strategie di comunicazioneVittorio Falletti

Soluzione Louvre.

Soluzione MoMA di New York.

Soluzione Centre Pompidou.

Soluzione Museo di Zurigo.

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municazione solo in momenti chiave (nel caso in esame inau-gurazione della Piramide, inaugurazione dell’Ala Richelieu); ef-fetti sorpresa (feste notturne, momenti di animazione); pro g r a m m adi comunicazione re g o l a re a livello nazionale e intern a z i o n a-le, ma anche con il quartiere; omogeneità di linguaggio nellacomunicazione interna ma anche estern a .

Soluzione Centre Pompidou Durante il rinnovamento,completato nel dicembre 1999 il museo ha scelto di abban-donare la propria forza di attrazione – mantenendo apertaal pubblico una superficie espositiva trascurabile – e anda-re verso la società (HLM-Hors les Murs). Strategia: il museosostanzialmente chiude, ed esercita un intenso programmadi attività di outreach, con mostre tematiche e iniziative cul-turali anche all’estero. Strategia di comunicazione: spiegarele ragioni del rinnovamento; chiudere, mantenendo alta lavisibilità e “vivo” il contenitore, dando l’illusione che all’in-t e rno dell’edificio si svolgano significative at-tività; fissare una data fortemente simboli-ca per la riapertura (nel caso del CentrePompidou il 1° gennaio 2000) e fare di que-sta un grande evento.

Soluzione MoMA di New Yo r k Durante gliimponenti lavori di rinnovamento e poten-ziamento in corso, destinati a concludersinel 2005, la sede di Manhattan ha chiuso ibattenti ed è stata aperta una sede tempora-nea, il MoMA Queens, nell’omonimo popo-l a re (e popolatissimo) quartiere che si aff a c c i asull’East River, che ospita una parte dellacollezione e un intenso programma di attività.Strategia: il museo chiude la sede principalee si trasferisce nella sede temporanea, dove espone i pezzimigliori. Strategia di comunicazione: far conoscere il MoMAal Queens; far conoscere a Manhattan e ai turisti il Queens(e il MoMA Queens), cioè un quartiere multietnico e popo-l a re3; far conoscere la nuova sede agli USA e al mondo.

Soluzione Museo Nazionale Svizzero di Zurigo Duranteil periodo di rinnovamento (2005-2008) il museo chiude lasede reale e apre una (temporanea) sede virtuale. Strategia:mediante il Virtual Transfer4, qualcosa di molto più sofisti-cato di ciò che va abitualmente sotto il nome di “museo vir-tuale”, la stessa identità del museo si trasferisce nel ciberspazio,o ff rendo al visitatore la possibilità di costruirsi propri perc o r s idi conoscenza, sentirsi protagonista, entrare a far parte di unacomunità. Strategia di comunicazione: approccio ipertestua-le e fortemente cognitivista, mirato ai bisogni del singolo vi-sitatore5; interattività, dinamicità e aggiornamento continuo(architettura “liquida”); rigore.

Soluzione Asian Art Museum Durante i recenti lavori di rin-novamento, a cura di Gae Aulenti e completati nel marzo2003, il museo ha chiuso al pubblico e ha aff rontato il d a r kp e r i o d con l’aiuto della Society for Asian Art. Strategia: il mu-seo abbandona la propria forza di attrazione e realizza un in-tenso programma di o u t re a c h, potenziato dalle iniziative dell’as-sociazione degli amici del museo6. Strategia di comunicazio-ne: omogeneità di linguaggio fra il museo e la Society for AsianArt; e d u t a i n m e n t (iniziative in grado di coniugare appre n d i-mento e divertimento); attenzione, nelle mostre temporanee enelle attività svolte esternamente durante il periodo di chiusura,verso il singolo visitatore (o il membro della Society) e le sueparticolari esigenze.

Una buona comunicazione museale deve riuscire a forn i-re al visitatore (reale o virtuale) al tempo stesso stimoli cogni-tivi ed emotivi. Ciascuno dei cinque modelli di comunicazio-

ne che abbiamo sinteticamente illustrato èpotenzialmente in grado, se applicato e indi-rizzato con criterio, di garantire questo risul-tato. Va detto che l’adozione congiunta didue o più soluzioni (per esempio SoluzioneMoMA e Virtual Tr a n s f e r) può re n d e re ancorapiù efficace la strategia di comunicazione du-rante il cantiere .

Disegni di Arianna Mazzotta.

Vittorio Falletti è pro f e s s o re a contratto di Eco -nomia dell’Arte all’Accademia Albertina diBelle Arti di Torino e membro del gruppo diricerca IRES - Piemonte per il nuovo MuseoEgizio di Torino.

1. Si veda: Adler M., Ziglio E. (a cura di), 1996 - Gazing into The Oracle. K i n g-sley, London.2. Falletti V., La Rosa M., 2003 - Close(d) to Meet You, Draft Report. IRES -Piemonte, Torino.3. Simbolo del MoMA Queens The Starry Night, di Van Gogh. Scelta certonon casuale sul piano della comunicazione: il celebre capolavoro ispirò tral’altro, negli anni settanta, lo storico brano pop V i n c e n t, del cantautore DonMcLean (“Starry, Starry Night...”).4. Ideatori del Virtual Transfer, Konrad Jaggi (Museo Nazionale Svizzero) eHarald Kraemer (Transfusionen, Vienna).5. Sulla opportunità e desiderabilità di approcci che prestino adeguata at-tenzione ai processi cognitivi del consumatore culturale si veda: TrimarchiM., 2002 - Dentro lo specchio: economia e politica della domanda di cultu -r a, Economia della Cultura, n. 2, Il Mulino, Bologna.6. Un esempio di come spesso dietro al successo di un museo ci sia ancheil piccolo, ma importante, aiuto degli “amici”. I musei, come le persone, han-no bisogno di vivere “With a Little Help from Their Friends”, si veda: I C O MN e w s, n. 4, 2002.

Soluzione Asian Art Museum.

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In virtù del rapido pro g resso tecnologico degli ultimianni e della crescita di specifiche figure professionali, l’il-luminotecnica è ora in grado di assecondare le esigenzedel museologo con un ampio ventaglio di proposte, capacidi interagire con le più diverse situazioni ambientali econtestuali. All’evoluzione tecnica si accompagna la cre-scente consapevolezza dell’importanza della qualità dellaluce, del suo rilevante incidere sulla percezione degli og-getti e degli spazi che li contengono. Di qui la necessitàe il dovere, oggi più diieri, in sede di pro g e t-tazione di impianti d’il-luminazione per am-bienti museali o persale aff rescate, di unattento studio pre v e n-tivo delle peculiarità edella storia di ciò sulquale si vuole interve-n i re, alla ricerca di undelicato equilibrio fradocumentazione og-gettiva delle superf i c i ,i m p ronta creativa, esi-genze funzionali e vin-coli tecnici.

Il caso che intendoi l l u s t r a re è esemplare dicome la superf i c i a l econsiderazione di tali problematiche e la mancata coordi-nazione con storici dell’arte o con museologi possano por-t a re a risultati che prestano il fianco a numerose critiche.

L’Aula della Curia di Bergamo è un’ampia sala a piantag rosso modo quadrangolare, eretta presumibilmente all’ini-zio del XIII secolo e stretta fra la Basilica di Santa Maria Mag-g i o re, di cui condivide la parete ovest, e l’antico Palazzo ve-scovile, di cui costituisce l’appendice. Attraversata da un mo-numentale arcone che sostiene il soffitto ligneo, l’Aula, inorigine ambiente ufficiale del Vescovo e ora atrio d’acces-so agli uffici della Curia, conserva un raro esempio di de-corazione murale policroma e figurativa di fine Duecento.

In occasione del recentissimo re s t a u ro dei dipinti mu-rali (2002), coinciso con lo studio degli stessi nell’ambito

della mia tesi di laurea, la committenza ha optato per lasostituzione dell’obsoleto impianto d’illuminazione, costi-tuito da eterogenei faretti a incandescenza che “sparava-no” negli occhi del visitatore e creavano uno squilibratoa l t e rnarsi fra zone sovraesposte e in penombra.

I l l u m i n a re adeguatamente i dipinti murali, che pur me-nomati da numerose lacune interessano l’intera estensioneparietale, non era certo cosa facile. Dai due opposti porta-li nord e sud, e dalle finestre non schermate che li aff i a n-

cano, affluisce una cer-ta quantità di luce na-turale, che se in gior-nate limpide consenteuna buona lettura del-la superficie dipinta, ap re s c i n d e re dalla sta-gione – l’Aula è acces-sibile secondo l’orariodi apertura della Cu-ria, il mattino dalle no-ve alle dodici –, nel ca-so di giornate plum-bee richiede l’integra-zione di luce artificia-le, necessaria altre s ìper l’eventuale accessoda parte del personaledella Curia in ore seralio notturn e .

In un colloquio a re s t a u ro ultimato con uno dei pro-motori dell’intervento – non però il dire t t o re re s p o n s a b i-le – posi la questione, facendo notare la complessità delcaso. Illustrai una soluzione a limitato impatto ambienta-le, con luce prevalentemente diffusa a intensità variabile,in grado di fondersi con la luce naturale per un’illumina-zione omogenea sull’intera superficie dipinta; una scelta pro-grammatica, da sviluppare nel dettaglio e da re n d e re ope-rativa con l’ausilio di illuminotecnici.

I n t e ressante l’alternativa del mio interlocutore, frutto diuna diversa impostazione del problema: una balaustracontinua ancorata al pavimento, del tipo visibile nelle pi-nacoteche, a impedire il contatto diretto con le pareti e af u n g e re da supporto per schede didattiche oltre che per fon-

Il gusto della luceFabio Scirea

In questa foto e in quella che segue, il nuovo impianto di illuminazionedell’Aula della Curia di Bergamo. (Foto Scirea)

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ti luminose orientate verso l’alto; una soluzione forse nonottimale ma certo ricca di spunti.

È mancato il tempo di ridiscuterne, che sotto la pre s-sione dell’inaugurazione dell’Aula restaurata – e secondouna dinamica a me non del tutto chiara – ci si è trovati dif ronte al fatto compiuto. Va rcata nuovamente la sogliadell’Aula, mi si è presentato uno scenario inaspettato, purse prevedibile, date le premesse: un esercito di faretti di-rezionali, montati su di un tubo continuo pendente dal sof-fitto, a illuminare intensamente a chiazze i riquadri delleStorie di Cristo; un impianto esteticamente invadente, chedisturba la visione dei registri più alti, rifiuta l’interazionecon la luce naturale e nega la continuità della superf i c i edipinta, che nella più pura concezione policroma medie-vale fa tutt’uno con la struttura architettonica, con lo spa-zio e con lo spazio della luce.

N u m e rose fra le maggiori esposizioni di pittura degliultimi anni hanno sancito la tendenza a spettacolarizzarel’evento culturale, servendosi – in linea con il pre v a l e n t egusto veicolato dai mass media – di colori saturi e brillanti,forti contrasti e luce fredda e “sparata” alternata a ombrep rofonde, che nei casi limite assimilano i dipinti a cartel-loni pubblicitari o a schermi televisivi.

Le scelte relative alla presentazione degli oggetti, in par-t i c o l a re degli oggetti artistici, rientrano nella storia del gu-sto, il quale muta incessantemente, per cui in linea gene-rale è bene limitarsi a pre n d e rne atto senza giudicarlo.

Tuttavia se è vero che va rispettato e compreso l’odier-no gusto high tech, altrettanto vale per quello che ha pro-dotto, in tempi più o meno lontani, ciò che si vuol porreall’attenzione e valorizzare. Te n e rne conto comporta scel-te selettive, la ricerca di equilibrio fra due istanze diversema capaci di dialogare proficuamente, attualizzando l’og-getto e rivitalizzandone il messaggio nel rispetto della suaessenza e della sua storia.

Per concludere, appare chiaro come la soluzione lu-ministica adottata per l’Aula della Curia – paradigma di unatendenza generalizzata – rifiuti il dialogo con dipinti vec-chi di settecento anni e con l’ambiente, nel quale imponela propria presenza piuttosto che adeguarvisi. Al punto che,forse per il naturale buonsenso di chi ogni mattina apre ibattenti della Curia vescovile, non è raro tro v a re l’impian-to spento o attivato solo in parte.

Fabio Scirea collabora con la Cattedra di Storia dell’ArteMedievale dell’Università degli Studi di Milano.

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Una tradizionale canzone Yoruba dedicata a Yemoya (ladea della maternità) recita: “Yemoya, Yemoya, non ti dimenticaredi noi, le nostre case sono sotto la tua pro t e z i o n e ”1. Pur-t roppo però, da quando secoli fa il colonizzatore occiden-tale è approdato in quelle che sare b b e ro divenute “le ter-re di conquista”, né la protezione di Yemoya, né quella dia l t re potenti divinità è valsa a difendere le case degli Yo-ruba (come anche quelle di altri popoli) dal prepotente sac-cheggio materiale e morale cui sono state sottoposte. Conl’età coloniale è iniziato unflusso migratorio di popoli,che ha avviato, a sua volta,un irreversibile processo diamalgamazione culturale, invirtù del quale oggi si può par-l a re di società multirazziali.Non si può negare infatti chele società contemporanee so-no caratterizzate da un in-sieme di etnie e di tradizio-ni che tendono continua-mente a integrarsi e a fondersiattraverso una costante in-terazione culturale.

Ma che cosa avviene nelmomento in cui le diverseetnie vengono virtualmentespostate dal contesto socialeper essere esposte in quellomuseale? È semplice: le diversità culturali, etnografiche o re-ligiose riemergono prepotentemente. L’effetto museo, di cuiparla Svetlana Alpers2, colpisce ancora, poiché il museonon si limita a trasform a re gli oggetti in manufatti artistici,ma concretizza in questi oggetti tangibili, dopo averli rievocati,le memorie, le emozioni, gli assunti sociali e il sapere di in-t e re culture. Nel museo ogni oggetto non è dunque solo unararità da esporre, ma diviene un ricordo collettivo, un pal-pabile frammento di vita umana.

Consideriamo in particolare gli oggetti religiosi: cia-scuno di essi fa parte di un complesso sistema di cre d e n-ze, di speranze e di paure, la cui spiritualità non è facileda esporre in un museo. È molto più semplice, infatti,e s p r i m e re l’apprezzamento per il pezzo artistico o la curiosità

per l’esotismo degli oggetti etnografici che tentare di dispiegaree di trasmettere – in un luogo non sacro quale è il museo– il loro intrinseco significato in relazione alle credenze re-ligiose che sono all’origine della loro cre a z i o n e .

Questa afasia, questa incapacità di comunicare piena-mente l’essenza religiosa, aumenta nel momento in cui ae s s e re esposti nei musei sono gli oggetti religiosi di cultu-re non occidentali, quali quelle africane, poiché, a causa diun diverso simbolismo religioso e di diversi canoni esteti-

ci, diviene estremamente dif-ficile, a noi occidentali, com-p re n d e re il valore re l i g i o s oche questi oggetti hannoavuto per le generazioni cheli hanno creati e la valenzaa ffettiva e culturale che talioggetti hanno oggi per i di-scendenti africani che avre b-b e ro dovuto ereditarli ma-terialmente, e che invece livedono esposti nelle vetrinedei musei occidentali.

Se è vero che i museinon sono più sorprendenti equasi irreali stanze delle me-raviglie, ma luoghi di in-c o n t ro e di scambio culturale,nel momento in cui si espo-ne un qualsiasi oggetto è

necessario tenere conto soprattutto del ruolo che esso gio-ca nella memoria collettiva: pertanto, un’esposizione mu-seale degli oggetti religiosi di culture non occidentali, chesia rispettosa dei significati e nello stesso tempo inform a-tiva, non può pre s c i n d e re dalla collaborazione delle comunitàche hanno originariamente concepito e creato tali oggetti.

C o n c i l i a re la teoria con la pratica non è però cosa fa-cile. Nel momento in cui mi sono accinta a org a n i z z a re lamostra “Objects of religion: Yoruba beliefs on Display”, alB rewhouse Yard Museum di Nottingham (Regno Unito)3, hodovuto fro n t e g g i a re una serie di problemi pratici, appa-rentemente irrisolvibili. Lo scopo della mostra era quello dip re s e n t a re al pubblico un aspetto dell’intangibile patrimo-nio religioso degli Yoruba, una popolazione della Nigeria,

“Oggetti di religione”:l’intangibile patrimonio Yo r u b aAnna Catalani

In questa e nelle foto che seguono, alcune immagini della mostra“Objects of religion: Yoruba beliefs on display”, Brewhouse YardMuseum, Nottingham (UK). (Foto Lin Tzu-Yu)

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attraverso gli oggetti di culto, considerati come l’espre s s i o n emateriale del linguaggio religioso simbolico e come segnitangibili del dialogo impalpabile tra il mondo umano equello divino. Considerata l’alta percentuale di immigrati ni-geriani residenti a Leicester e a Nottingham, e consideratoil forte orientamento sociale del museo, sembrava chel’esposizione della collezione nigeriana, o di parte di essa,potesse essere un’ottima opportunità sia per il museo, siaper la ricerca che stavo conducendo. Mentre infatti il mu-seo poteva porre le basi per una futura cooperazione conla comunità locale, io avrei potuto stabilire contatti con gliYoruba residenti nel Regno Unito, e analizzare le pre d i-sposizioni mentali, i criteri interpretativi o gli eventuali ste-reotipi che essi hanno nei confronti del loro patrimonio re-ligioso in mostra nei musei inglesi.

N e l l ’ o rg a n i z z a re la mostra sono stata quindi consape-vole, fin dal principio, che il coinvolgimento della comu-nità locale Yoruba sarebbe stato es-senziale per identificare e definire irapporti degli Yoruba con il pro-prio patrimonio religioso. Inoltre ,grazie a una diretta collaborazione,a v rei potuto dare voce ai loro ricordi,alle loro sensazioni e alle loro sto-rie, e avrei evitato così di conferirealla mostra un tono impersonale eaccademico.

Tuttavia, inizialmente, nonostantegli sforzi per instaurare un rapportobasato sulla fiducia e sullo scambiocultuale mi sono trovata a doverf ro n t e g g i a re una sorta di apatia cul-turale, mista a disinteresse e sfiducia.Il che mi ha confermato quello cheAugustus Casely-Hayford osservavanella sua critica alla galleria Sain-sbury, e cioè che “molta gente distirpe Africana avverte un richiamogenealogico e culturale verso i con-tenuti delle nostre gallerie ma trova problematico re l a z i o-narsi ad essi”4. Nel mio caso ciò era dovuto al fatto che gliYoruba della comunità locale trovavano difficile instaurareun rapporto o identificarsi con gli oggetti di culto tradizio-nali – sinonimi di un lontano e primitivo passato – e nellostesso tempo trovavano arduo accettare di esibire un aspet-to culturale così intimo come quello religioso, depauperandolodella sacralità originale nell’atto di esporlo nel museo, unambiente non sacro, percepito inoltre come la massimae s p ressione contemporanea del potere coloniale.

In effetti, gli oggetti esposti nella mostra appartengonotutti a una “collezione coloniale”, in quanto furono porta-

ti in Europa come trofei dalla Nigeria nel XIX secolo. Ta l ecollezione, oggi conservata nel museo di Nottingham, è inrealtà formata da tre piccole collezioni distinte e com-p rende circa 300 pezzi, quasi tutti Yoruba, raggruppabili al o ro volta in tre distinte categorie: utensili da lavoro, gioiel-li e oggetti re l i g i o s i .

Ma potevo davvero parlare di “tradizionali oggetti re-ligiosi” con gli Yoruba di Nottingham e di Leicester? Dallescostanti reazioni iniziali, la risposta sembrava essere ne-gativa: gli Yoruba coinvolti nella mostra, tutti convertiti alcristianesimo, non solo avevano rinunciato a ogni form adi superstizione religiosa, ma anche a ogni aspetto dellacultura africana che avesse potuto, seppure re m o t a m e n t e ,riavvicinarli alle pratiche tradizionali re l i g i o s e5. Pertanto, pri-ma di disporre di esaurienti informazioni riguardanti l’usodegli oggetti di culto, la cosmologia e i costumi re l i g i o s i ,i criteri interpretativi o gli stereotipi culturali degli Yo r u b a

cristiani in Inghilterra, ho dovuto“ n e g o z i a re” per circa un anno il ti-po di informazioni che cercavo, e nel-lo stesso tempo, rassicurare gli infor-matori sulla natura scientifica delmio intere s s e .

Attraverso alcuni gruppi di di-scussione e interviste formali, mi èstato possibile selezionare gli og-getti da esporre e “collezionare” lestorie di infanzia degli Yoruba, i ri-cordi personali e le esperienze co-muni, associate comunque con gli og-getti della mostra. Durante i gruppidi discussione sono emersi suggeri-menti sul tipo di terminologia dau s a re e sul modo di descrivere le pra-tiche religiose tradizionali, così da evi-t a re di sminuire, in pochi oggetti ep a role, un centenario sistema re l i g i o s odi credenze e di riti. Nell’interagirecon i miei collaboratori Yoruba, ho

i n o l t re dovuto tener conto del fatto che “il significato re l i-gioso nella mente e nel cuore del credente è diverso da quel-lo nella mente e nel cuore dello studioso”6 e che “come lareligione apparirà in un contesto museale dipende in par-te dall’esperienza religiosa del visitatore ”7. Inoltre, al gior-no d’oggi non si può parlare di una religione tradizionaleYoruba ma solo di sporadiche credenze religiose, dal mo-mento che, grazie all’azione “civilizzatrice” ed evangelicadei missionari dell’età coloniale, a praticare integralmentela religione Yoruba sono rimaste ben poche persone, geo-graficamente confinate in villaggi nigeriani.

Dopo essermi accertata che non ci fossero oggetti che

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secondo la tradizione Yoruba non potessero essere espo-sti in pubblico o essere visti dalle donne, e dopo aver con-cordato un rispettoso vocabolario da utilizzare (in cui nons a re b b e ro stati incluse, per esempio, parole quali tribù e cul-to), la mostra ha finalmente iniziato a pre n d e re forma at-traverso l’interpretazione degli oggetti intesi come concre-tizzazioni di “stati mentali e di relazioni sociali tra uominie uomini, e tra gli uomini ed i loro dei”8.

Pur nelle sue limitate dimensioni, la realizzazione del-la mostra è stata un’esperienza non facile, oltre che per led i fficoltà avute nel raccogliere le informazioni necessarie,anche per la limitatezza del budget e per la ristrettezza dell’uni-co locale a disposizione, che forniva poche superfici sfrut-tabili. Per esporre i quindici oggetti scelti per la mostra ave-vo infatti a disposizione solo due vetrine, ciascuna dotatadi due ripiani, che potevo disporre diagonalmente a due op-posti angoli del locale. Questo mi ha costretto ad abban-d o n a re l’idea iniziale di esporre glioggetti nella ricostruzione di un ti-pico santuario Yoruba, e ad aff i d a r-mi unicamente a pannelli esplicati-vi. Attraverso questi ho inquadratogli oggetti nel contesto geografico,temporale e sociale e ho cercato dif o rn i re le indicazioni necessarie perc o m p re n d e re l’alchimistico simboli-smo religioso, nascosto nei contor-ti geometrismi e nelle affascinanti fi-g u re antro p o m o rfiche.

Sia i testi contenuti nei pannel-li, sia la disposizione degli oggetti nel-le vetrine sono stati finalizzati alla co-municazione di quello che ho rite-nuto essere il messaggio principaledella mostra: la quotidiana speri-mentazione del sacro, l’impalpabileessenza che spinge tutti gli esseri uma-ni a seguire analoghe traiettorie divita e di pensiero; un messaggio chetutti i visitatori – africani o europei, credenti o non cre d e n t i– avre b b e ro dovuto cogliere. Poiché il sacro permea ogniaspetto della vita umana e viene rappresentato in concre-to negli oggetti di culto e nei simboli religiosi, nella mostrasono stati esposti oggetti che simboleggiano diverse situa-zioni della vita. Inoltre, attraverso l’uso di fotografie e di unb reve catalogo della collezione, è stato possibile pre s e n t a-re al pubblico più di quanto fosse effettivamente espostonella mostra.

Dopo un pannello introduttivo, che spiegava che la mo-stra intendeva “pre s e n t a re gli oggetti di culto Yoruba co-me parte di un linguaggio simbolico”9, l’esposizione chia-

riva la relazione esistente tra gli oggetti e i simboli re l i g i o s i ,che in ogni parte del mondo e in ogni religione svolgonoun’unica funzione comune, in quanto permettono “di ve-d e re e toccare quello in cui il credente ripone la pro p r i af e d e ”1 0; presentava al pubblico gli Yoruba, come gruppoetnico tuttora esistente, e, attraverso una mappa, eviden-ziava la moderna dislocazione delle comunità Yoruba nelmondo; illustrava la struttura del pantheon Yoruba e i sim-boli associati con le maggiori divinità (gli Orishas, Olrunla divinità suprema, e gli spiriti Ebora). Per favorire un’im-mediata associazione tra i testi e gli oggetti, quest’ultimopannello era stato posto all’interno della vetrina, accantoa due statuette di legno, simboli degli Ebora (gli spiriti de-gli alberi, delle rocce, dei fiumi e dei venti), a un delicatoc o n t e n i t o re per doni nuziali e per offerte religiose e a unoriginale e – secondo quanto è risultato dalle interviste –potente amuleto, usato contro gli infortuni sul lavoro .

L’esposizione proseguiva poicon un pannello destinato a spiegarel’importanza della divinazione, at-traverso cui è permesso “individua-re la soluzione ai problemi e otte-n e re la guida divina”1 1. Il pannellosuccessivo era riservato alla descri-zione del culto degli antenati che “vi-gilano sui propri discendenti e fan-no da intermediari tra le loro fami-glie e il dio supre m o ”1 2, e alle ce-lebrazioni organizzate annualmen-te per invocarne la protezione (le ma-scherate locali Gelede ed Egungun).Questi due pannelli pre c e d e v a n ola seconda vetrina, in cui nella par-te superiore erano stati esposti isimboli della divinazione (le con-chiglie e le noci k o l a) assieme ad al-cuni simboli di s t a t u s (i sandali dipelle decorati con delle gemme ver-di, simbolo di conoscenza) e ad al-

cuni strumenti di divinazione del b a b a l a w o, il prete del vil-laggio (la borsa in cui venivano contenuti gli strumenti perla divinazione e una bottiglietta di pelle bianca). Nellaparte inferiore della vetrina erano invece esposti alcuni og-getti che rappresentano il ciclico e continuo rinnovarsidella vita umana attraverso una costante interazione tra ilmondo dei vivi e quello degli antenati (la maschera Gele-de, il cucchiaio cerimoniale e lo sgabello con il chiuso di-segno circ o l a re, simbolo della vita).

Due pannelli interattivi, situati nella mostra subito do-po le vetrine, avevano la funzione di coinvolgere il pub-blico e di stimolarne l’interesse; essi invitavano i visitato-

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ri a guardare con attenzione due degli oggetti esposti (lamaschera Gelede e il contenitore votivo) per identificarn el’uso, il materiale, le figure e i simboli incisi e per cerc a redi immaginare le sensazioni nel maneggiarli.

La mostra si chiudeva infine con un pannello che de-scriveva brevemente la collezione e la sua storia.

Poiché il pubblico sceglie su cosa concentrare la pro-pria attenzione in base alla curiosità e all’interesse perso-n a l e1 3, indipendentemente dagli intenti dei curatori, per cat-t u r a rne l’attenzione è stato usato un linguaggio estre m a-mente semplice, lontano dal linguaggio accademico che,come suggerisce Paulette McManus, scoraggerebbe la let-tura e cre e rebbe fraintendimenti1 4. Per facilitarne la lettu-ra, ogni pannello conteneva un testo di non più di 150 pa-role, organizzate in tre paragrafi, allineati sulla sinistra: l’ar-gomento veniva così suddiviso in gruppi di inform a z i o n ipiù brevi e più facili da assimilare. I testi, facili da legge-re, non erano indirizzati inmodo specifico ai conosci-tori di religioni africane oai membri del gruppo degliYoruba, ma a un pubblicomolto vasto, sia per età, siaper istruzione

La mostra, nata comemostra temporanea, è orm a ichiusa. Essa ha ricevuto com-menti positivi soprattutto daparte della comunità africa-na locale, che ha appre z z a-to la cura con cui è statotrattato l’argomento “re l i-gione tradizionale”, nel ri-spetto della cultura di origine.

Per concludere, vorrei sottolineare che, sebbene la mo-stra non potrebbe essere definita costruttivista da Georg eHein (non vi sono infatti diversi punti di ingresso ma ununico percorso obbligato; non vi sono attività che possa-no favorire i diversi stili di apprendimento; la mostra nono ff re al pubblico una serie di attività manuali)1 5, essa ha avu-to due meriti. In primo luogo, presentando “gli artefatti [re-ligiosi] di una nazione a se stessa ed agli altri”, l’esposizio-ne ha permesso di condividere un’eredità religiosa e cul-turale, che oggi appartiene sia al pubblico occidentale, siaa quello africano. In secondo luogo essa ha ribadito una fun-zione del museo contemporaneo spesso dimenticata a fro n-te delle affascinanti esibizioni artistiche che rievocano le pas-sate stanze delle meraviglie, e cioè che il museo, oggi piùche mai, è “investito dalla società del ruolo di custode de-gli oggetti, a beneficio e a vantaggio delle future genera-z i o n i ”1 6, il che significa che il museo è destinato a essere il

custode dei simboli e delle memorie collettive delle futuregenerazioni multirazziali.

Anna Catalani sta completando il dottorato di ricerca pressoil Dipartimento di Museum Studies, Università di Leicester,Regno Unito.

1. Omosade Awolau F., 1979 - Yoruba beliefs and sacrificial rites. Long-man, London, p. 149: “Ma gbehin gbe o/ ko o ma gbabéewa/ Ilé dòo re”.2. Alpers S., 1991 - The Museum as a Way of Seeing. In: Karp I., LavineS.D. (a cura di), Exhibiting Cultures. The Poetics and Politics of MuseumsD i s p l a y, Smithsonian Institution Press, Washington, London, pp. 25-32(p. 26).3. Prima di scendere nei dettagli, vorrei specificare che la mostra cuifaccio riferimento è parte del dottorato di ricerca che sto conseguendopresso il dipartimento di Museum Studies, dell’Università di Leicester,il cui argomento è l’interpretazione e la rappresentazione della religio-

ne africana tradizionale nei museio c c i d e n t a l i .4. Casely-Hayford A., 2002 - Awayof being: some reflections on theSainsbury African Galleries. Journalof Museum Ethnography, pp. 113-128 (p. 116).5.Gli Yoruba coinvolti nella ricer-ca avevano tra i 30 e i 60 anni: èstato selezionato questo intervallodi età perché così vi sarebberostate più possibilità per i collabo-ratori di far riferimento alle prati-che religiose tradizionali che stan-no sempre più scomparendo.6. O’Neill M., 1996 - Making Histo -ries of Religion. In: Kavanagh G. (acura di), Making histories in museums,Leicester University Press, London,pp. 188-199 (p. 192).

7. Durrans B., 2000 - (Not) Religion in museums. In: Paine C. (a cura di),Godly things, Leicester University Press, pp. 57-79 (p. 74).8. Pearce S.M., Thinking about things. In: Interpreting objects and collec -tions, pp. 125-132 (p. 131).9. Pannello 1.10. Pannello 2.11. Pannello 7.12. Pannello 8.13. Csikszentmihalyi M., Hermanson K., 2000 - ‘Intrinsic motivation in mu -seums: why does one want to learn?’ The educational role of Museum. Ed.by Eilean Hooper-Greenhill, 2n d ed., Routledge, London, pp. 146-160 (p.148).14. McManus P., 1989 - Oh, Yes, They Do: How Museum Visitors ReadLabels and Interact with Exhibit Texts. Curator, 32/3, pp. 174-189 (p.1 8 2 ) .15. Hein G., 1998 - Learning in the museum. Routledge, London, p. 35.16. Pearce S.M., 1999 - A new way of looking at old things. Museum In-ternational, n. 2 Apr-June 202, pp. 12-17 (p.14).

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Il Museo, che Tommaso Campanella pone al centro del-la sua Città del Sole come centro del potere primario, ove“li figlioli, senza fastidio, giocando si trovano saper tutte lescienze istoricamente prima che abbin dieci anni”1 è un luo-go meraviglioso, pieno di bellezze, di curiosità e di sapere,ma può anche essere un luogo di mistificazione. Anzi il piùdelle volte è usato, inconsciamente o meno, proprio comestrumento di mistificazione delle realtà oggettive – i dati og-gettivi della storia – e di manipolazione delle interpretazio-ni della storia; tutto ciò purrestando un luogo meravi-glioso, pieno di bellezze edi cose curiose.

Ma come è possibile cheil museo sia al tempo stessoil luogo della grazia, lo scri-gno della scienza e uno stru-mento di mistificazione? Checosa si manipola nel museoe perché?

Io credo che il museo siaun luogo di mistificazioneper due ragioni. Perché, de-contestualizzando gli ogget-ti, allontanandoli dall’am-biente originario, e immet-tendoli in un ambiente total-mente artefatto, ricrea situa-zioni che non sono aderenti alla realtà nella quale l’oggettoè stato pensato e per la quale è stato prodotto. Perché è unluogo di creazione del patrimonio culturale e un mezzo dicomunicazione dei significati di tale patrimonio. Infatti, in quan-to luogo di creazione non elabora significati oggettivi, ma si-gnificati soggettivi, esso dunque non comunica verità asso-lute, ma verità relative. In ambedue i casi ciò che viene pro-posto al pubblico nel museo è sempre una manipolazionedella realtà, che a volte è realizzata inconsciamente, in quan-to una rappresentazione assoluta della realtà è impossibile,ma assai spesso corrisponde a una precisa volontà di sotto-mettere l’immagine della realtà a interessi di parte.

Per quanto riguarda il potere di decontestualizzazione delmuseo, i musei tradizionali, quali il Louvre o il British Mu-seum, che sono contenitori di collezioni di diversa pro v e n i e n z a

geografica e culturale, i musei occidentali d’arte esotica, co-me il museo Guimet, i musei etnografici e i musei di storianaturale sono luoghi artificiali, cui, proprio a causa dell’ori-gine e della natura delle collezioni, è impossibile comuni-c a re il significato originario degli oggetti che espongono. Ora,la tendenza attuale della museologia, lungi dal cercare di le-nire lo sradicamento culturale degli oggetti, tende ad accre-scere la decontestualizzazione attraverso l’aumento dell’ar-tificiosità dell’ambiente-museo. La ricerca a ogni costo dell’ori-

ginalità nell’architettura enell’allestimento dei museiche caratterizza questi anni nonè altro che la tendenza versola creazione di spazi di pre-sentazione che si discostinos e m p re più dalla quotidianitàper la quale la maggior par-te degli oggetti musealizzatisono stati ideati e costruiti. Neè un esempio lo schema delnuovo museo etnografico pro-gettato da Jean Nouvel, ches o rgerà al quais de Branly.In esso gli oggetti etnografi-ci, che nel Musée de l’Hom-me conservavano, seppuredecontestualizzati, parte dei si-gnificati simbolici originari,

saranno esposti in un’ottica estetica, filtrati cioè dal gusto oc-cidentale per l’esotico. I musei come il Guggenheim di Bil-bao, quelli che Horst Bredekamp chiama i musei di se stes-s i2, rappresentano il punto culminante della ricreazione di unambiente artificiale, un ambiente che è così artificiale da nonrapportasi più in alcun modo con gli oggetti che deve con-tenere, e il cui valore diviene perciò del tutto irrilevante ri-spetto al monumento-museo.

La seconda ragione che fa del museo un potenziale luo-go di mistificazione deriva dal ruolo istituzionale stesso delmuseo, che consiste nel creare il patrimonio culturale, nelconservarlo e nel diffonderne i significati. È ben noto che imusei sono luoghi in cui si conservano gli oggetti che rap-presentano il passato, la storia e l’identità, di una comunità,e cioè i simboli della comunità, ed è chiaramente riconosciuto

Il museoè un luogo di mistificazione?Giovanni Pinna

British Museum, sala dei marmi del Partenone. (Foto NuovaM u s e o l o g i a )

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il loro ruolo di istituzioni attraverso cui i significati simboli-ci di cui sono impregnati gli oggetti vengono disseminati all’in-t e rno della comunità e trasferiti alle generazioni future, è quin-di riconosciuta la loro natura di luoghi di identificazione del-le comunità. Assolutamente meno discusso è il ruolo che imusei hanno nella creazione dei significati simbolici, e quin-di nella costruzione del patrimonio culturale delle comunità,della memoria e delle identità collettive. La capacità di crea-re il patrimonio culturale deriva ai musei dall’essere centridi elaborazione scientifica, luoghi di ricerca in cui gli oggettipotenzialmente adatti a far parte dell’eredità culturale sonoselezionati, analizzati e inseriti in precisi ambiti spazio-tem-porali, divenendo parte integrante di un discorso storico, scien-tifico o artistico.

Ora, è indubbio che la creazione del patrimonio è un’ope-razione del tutto soggettiva: i significati che vengono creatinon sono assoluti ma relativi, derivano dalla visione della re a l t àche il museo si è creato at-traverso il concorso dell’in-sieme delle individualità cheagiscono nel museo. Il museonon può quindi comunicareuna cultura assoluta, né alcunaverità; esso comunica la pro-pria cultura e la propria ve-rità soggettive.

Tuttavia il museo ha un’au-t o revolezza intrinseca che glideriva dal fatto di esporreoggetti reali che sono rite-nuti meno manipolabili del-le parole riportate dalla stam-pa periodica o delle immaginitelevisive. Orbene, pro p r i oquesta autorevolezza, assie-me alla soggettività intrinse-ca, rende i musei potenti strumenti di manipolazione dellamemoria, della storia o dell’identità.

Il contenuto del museo ha infatti la possibilità di venirevariamente interpretato e anche fortemente manipolato, e nonvi è paese al mondo, comprese le nazioni rette dai regimi piùdemocratici, in cui i gruppi dominanti nella società, siano es-si politici, sociali, economici, etnici o religiosi, non contro l l i-no, o non tentino di contro l l a re i musei e i loro contenuti, conil fine ultimo di cre a re identità che siano funzionali al pote-re, e percorsi storici che conducano alla sua legittimazione.I musei divengono perciò spesso luoghi, di confronto politi-co, di scontro ideologico e di tensione sociale, luoghi attra-verso cui le frazioni della società che lottano per la supre m a z i atentano di imporre il loro modello culturale, e di cre a re iden-tità artefatte attraverso interpretazioni di parte della storia. Grup-

pi sociali, economici o politici tentano nello stesso tempo dia ff e rm a re la loro legittimità al potere costruendo artificialmenteuna storia lineare, e dimostrando così di essere gli eredi na-turali di questa storia, e di assumere una forte autore v o l e z z aallungando il più possibile i tempi di questa storia, cre a n d o-si in tal modo radici sempre più antiche.

L’uso dei musei per la manipolazione della storia im-plica un controllo da parte del potere, sia sull’azione di pro-duzione culturale del museo, sia sull’azione di comunica-zione. In ambedue i casi, sia che si vogliano cre a re signi-ficati manipolati del patrimonio, sia che si vogliano mani-p o l a re i significati nella fase di comunicazione, il contro l-lo implica l’annientamento o il controllo della comunità in-tellettuale del museo, e cioè del prodotto complessivo del-le individualità intellettuali che operano nel museo, vale ad i re la cultura specifica del museo.

È quello che sta avvenendo oggi in molti paesi, nei qua-li il controllo politico deimusei viene giustificato dal-le teorie dell’economia del-la cultura e viene attuato at-traverso la cosiddetta “pri-vatizzazione” delle istituzio-ni, che di fatto è un annul-lamento della cultura intrin-seca di ciascun museo re a-lizzato attraverso l’annien-tamento del suo personale in-t e l l e t t u a l e .

In Italia non vi è ancoraun controllo politico dei mu-sei apertamente dichiarato,ma la trasformazione di que-ste istituzioni, da culturali acommerciali e ludiche è evi-dente, come è evidente che

esse vengono affidate sempre più spesso alla cura di perso-nale lontano mille miglia da quella che è una figura profes-sionale adatta alla direzione di un istituto culturale. Il per-ché sia impossibile per manager o per personale amministrativo,avvezzo alle pratiche burocratiche, dirigere i musei, mante-nendo ad essi le funzioni culturali istituzionali, lo spiegheròin un secondo articolo che apparirà, presumibilmente, sul pro s-simo numero di Nuova Museologia.

Giovanni Pinna è presidente dell’ICOM ITALIA e membrodell’Executive Council dell’ICOM.

1. In: Pinna G., 1980 - Musei e utopia. BC, Milano, pp. 50-51.2. Bredekamp H., 1999 - Il museo di se stesso. Nuova Museologia, n. 1, pp. 2-4.

Il grande Moai guarda compiaciuto gli avventori del nuovo self-service del British Museum. (Foto Nuova Museologia)

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Loans Between National and Non-national Museums.New Standards and Practical Guidelinesa cura della National Museum Directors’ Conference, NationalMuseum Directors’ Conference, London, 2003, 21 pagine

Questo breve manuale prodotto dalla Conferenza deid i rettori dei musei nazionali del Regno Unito riporta le li-nee guida per la richiesta e la concessione di prestiti fraistituzioni nazionali e non nazionali e illustra gli standardrelativi alle pro c e d u re amministrative, alla sicurezza delleo p e re durante il trasporto, l’istallazione e l’esposizione, chevanno rispettate da parte di un museo per ottenere il pre-stito di opere da altre istituzioni. Il manuale dimostra quan-ta cura si ponga in Inghilterra non solo nella pianificazio-ne delle pro c e d u re ma anche nel re n d e re più agevole il la-v o ro ai responsabili delle istituzioni culturali.

Education through Art. I musei d’arte contemporaneae i servizi educativi tra storia e progettoa cura di Cecilia De Carli, Mazzotta, Milano, 2003, 125p a g i n e

È sempre un piacere avere in mano un libro come que-sto che rappresenta, per i professionisti del settore, un li-b ro - q u a d ro e, per tutti gli interessati all’educazione all’arte,un buon riferimento per alcune questioni di base nel cam-po dell’educazione nei musei.

Il libro curato da Cecilia De Carli presenta i risultati diuna ricerca sullo stato attuale dell’educazione museale inItalia. La ricerca, condotta in diversi musei italiani di artecontemporanea, riguarda aspetti come le re s p o n s a b i l i t àoperative all’interno dei servizi educativi, i destinatari del-le attività, consistenza e competenze del personale che sioccupa dell’educazione ecc. I risultati mettono in eviden-za l’esistenza di un “lodevole fermento” di servizi e di atti-vità educative nei diversi musei che hanno risposto all’in-dagine. Essi evidenziano però anche una mancanza diomogeneità per quanto riguarda risorse, umane ed econo-miche, approcci metodologici e operativi, e la form a z i o n edegli operatori.

Sulla base di tali risultati e delle implicazioni che essi han-no per lo sviluppo delle attività educative nei musei d’arte ita-liani, il libro fornisce ulteriori spunti di riflessione, che arric-chiscono il quadro della situazione dell’educazione nei museid’arte contemporanea, e nei musei in generale, in materia diteoria e storia dell’educazione artistica, sulle tendenze meto-dologiche, sulla formazione dei professionisti che si occupa-no dei servizi educativi nei musei, sulla questione del ricono-scimento dei relativi profili professionali e sul ruolo del terri-torio. Tali riflessioni vengono presentate sotto forma di dialo-go fra esperti del settore, mediante i documenti principali del-la normativa, o come linee-guida per la progettazione di atti-vità educative nei musei. Tutto ciò per ribadire esplicitamente

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Recensioni

Les Tarifs de la Culturea cura di F. Rouet, La Documentation française, Paris, 2003

Il volume, promosso dal Dipartimento di studi e della pro-grammazione del Ministero della Cultura, è un’opera collet-tiva dedicata alle misure tariffarie nell’area della cultura. Ledecisioni tariffarie assunte dallo Stato francese e dalle collettivitàlocali (città, regioni e dipartimenti) dal 1999 per rilanciare ilp rocesso di democratizzazione culturale hanno portato all’or-dine del giorno i problemi inerenti i costi della cultura. Que-sta preoccupazione conferma un’altra preoccupazione, og-gi ampiamente diffusa e condivisa, quella relativa alla gestione,vale a dire al marketing nelle istituzioni culturali sostenutedai poteri pubblici.

Tre contributi in particolare riguardano i musei: quellodi Anne Gombault, L ’ é m e rgence du prix comme variablestratégique des musées: une étude internationale [Canada, Espa -gne, France, Italie, Japon et Royaume-Uni]; quello di Dephi-ne Samsoen, Petite histoire de la gratuité dans les musées na -tionaux; e infine quello di Sylvie Octobre e François Rouet,La gratuité du premier dimanche du mois dans les monumentset musées nationaux.

Il volume è acquistabile presso La Documentation françai-se, 29-31 quai Vo l t a i re, 75344 Paris cedex 07, Tel. 01 40157000.

Patrimoine annexé. Les saisies de biens culturelsopérées par la France en Allemagne autour de 1800di Bénédicte Savoy, Editions de la Maison des Sciences et del’Homme, 2 volumi, Paris, 2003, 984 pagine

Fra il 1794 e il 1811, la Francia rivoluzionaria, e poi laFrancia imperiale, confisca diverse migliaia di opere d’arte edi libri preziosi nei paesi occupati dalle sue armate. Questapolitica d’appropriazione è legittimata da una dottrina audacesecondo la quale le opere “d’arte e di scienza”, frutto del ge-nio della libertà, devono soggiornare nei paesi della libertà.Ufficialmente destinati a promuovere l’istruzione pubblica eil pro g resso delle arti, questi oggetti suddivisi nelle collezioninazionali francesi, ma anche nei palazzi imperiali, per la mag-gior parte sono stati restituiti ai loro legittimi proprietari do-po la caduta dell’Impero. Questo studio descrive le moda-lità e gli effetti dei prelievi praticati dalla Francia nell’area ger-manica. Esso evoca i principali attori, dai nomi spesso pre-stigiosi, implicati nelle operazioni sulle due sponde del Re-no: Vivant Denon, Jacob Grimm, i fratelli Humboldt. Esso chia-risce il ruolo determinante che questa politica di appropria-zione ha giocato nella presa di coscienza del patrimonio daparte degli Stati tedeschi all’inizio del XIX secolo. Esso esa-mina infine le sorti effettivamente riservate in Francia alle ope-re confiscate nelle collezioni tedesche.

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l’importanza di una formazione universitaria per le persone chevengono chiamate a lavorare nei servizi educativi dei musei.

Queste sono cose che i professionisti del settore conosconobene. È fondamentale che tali ricerche e riflessioni siano pre-senti, e presentate in modo professionale e attento, come nelcaso di questo libro, per enfatizzare il valore dell’educazionenei musei e la necessità che vi siano fondamenta scientifichealla base della sua progettazione e della sua re a l i z z a z i o n e .

Mi piacerebbe solo che questo libro avesse un titolo initaliano. Va benissimo l’omaggio a Herbert Read e al suo con-tributo all’educazione artistica, ma un titolo inglese per unl i b ro in italiano confonde e, secondo me, toglie forza – a pri-ma vista – al libro stesso.

Maria Xanthoudaki

È la fine di una collana prestigiosa?Nel 1995 furono pubblicati i primi tre volumi della col-

lana MuseoPoli, ideata e diretta dal mio caro amico Fredi Drug-man, architetto, professore al Politecnico di Milano e teori-co della museologia, scomparso, troppo prematuramente, nel2000. Si trattava dei volumi di Ivan Karp e Steven D. LavineCulture in mostra, di Philippe Hamon Esposizioni e di IvanKarp, Christine Mullen Kreamer e Steven D. Lavine Musei eidentità. La collana, era stata affidata alla CLUEB (Coopera-tiva Libraria Universitaria Editrice Bologna) ed era finanzia-ta, come le editrici universitarie richiedono, in parte dai fon-di che Fredi aveva a disposizione per le sue ricerche sui mu-sei, in parte dalla garanzia che un certo numero di copie po-tesse essere acquistato dagli studenti di architettura. A que-sti primi tre titoli ne seguirono nel corso degli anni altri seie la collana divenne – nonostante la difficile reperibilità inlibreria – un punto di riferimento per quanti sono interessa-ti al dibattito museologico e allo sviluppo della museologiateorica. Per questa ragione a partire dal 1998 l’ICOM ITALIAconcesse alla collana il proprio patrocinio. Io ho avuto mo-do di collaborare (senza chiedere alcun compenso) ad alcunidi questi volumi: al volume di Luca Basso Peressut Stanzedella meraviglia (1997) con l’articolo Filosofia del museo eal volume di Peter Davis Musei e ambiente naturale (2001)con una prefazione intitolata I musei italiani e la sfida am -bientalista. Alla morte di Fredi la direzione della collana fuaffidata a Maria Gregorio e a me, in quanto ci considerava-mo in qualche modo suoi eredi spirituali. Nonostante ciò ilvolume curato da Raimonda Riccini I m p a r a re dalle cose,pubblicato quest’anno, porta ancora la firma di Fredi comecuratore della collana.

P u r t roppo, la mia collaborazione alla collana MuseoPo-li non è stata quello che evidentemente l’editore sperava. Ciòche infatti potevo off r i re non erano finanziamenti atti a co-p r i re parte delle spese di produzione, né la garanzia di unacerta quantità di copie vendute, ma solo un lavoro intellet-

tuale che ai fini dei costi di produzione ha un valore assaibasso. Per questa ragione non sono più dire t t o re della col-lana, ma mi è stato assicurato che sarò tenuto al corre n t edelle sue prossime vicende. Per ora la collana è sospesa, ec redo che se continuerà verrà affidata a qualcuno in gradodi portare con sé, oltre a una capacità professionale, ancheuna cospicua dote. Spero comunque che le copie, che pro-babilmente si trovano nel magazzino della C L U E B, non ven-gano mandate al macero, ma siano rese disponibili – m a-gari ai Remainders – per le decine di giovani che studianom u s e o l o g i a .

Giovanni Pinna

Segnalazioni

Cafuri R., 2003 - In scena la memoria. Antropologia dei musei edei siti storici del Bénin. L’Harmattan Italia, Torino, 139 pp.,14 euro.

Chaumier S., 2003 - Des musées en quête d’identité. L’Harmattan,Paris, 272 pp.

Dorge V., Sharon L. Jones (a cura di), 1999 - Building an EmergencyPlan. A Guide for Museums and Other Cultural Institutions. T h eGetty Conservation Institute, Los Angeles, 272 pp.

Keene S., 2002 - Managing conservation in museums. Butterworth-Heinemann, Oxford, 258 pp.

Mack J., 2003 - The museum of the Mind. The British Museum Press,London, 160 pp., 19,99 £.

Negri M. (a cura di), 2003 - Porte aperte. L’accesso al patrimonioeuropeo nei musei. Leo S. Olschki e Regione Toscana, Firenze,210 pp.

Riccini R. (a cura di), 2003 - Imparare dalle cose. La cultura mate -riale nei musei. C L U E B, Bologna, 211 pp., 17,50 euro.

Schiele B., 2001 - Le musée de sciences: montée du modèle com -municationnel et recomposition du champ muséal. L’Harmattan,Paris, 275 pp.

Schiele B. (a cura di), 2002 - Patrimoines et identités. Éditons Mul-timondes. Sainte-Foy, 251 pp.

Scott G. Paris (a cura di), 2002 - Perspectives on object-centeredlearning in museums. Lawrence Erlbaum, London, 383 pp.

Sekules V., Xanthoudaki M. (a cura di), 2003 - L’Insegnante, la scuo -la e il museo. Manuale per la formazione degli insegnantiall’uso dei musei d’arte. Galleria Civica d’Arte Moderna e Con-temporanea di Torino e Sainsbury Centre for Visual Arts (testoin inglese, francese, italiano), 168 pp.

Tonon M., 2002 - Gesti da Museo. Editrice Compositori, Bologna,189 pp., 30 euro.

Volli U., 2003 - Manuale di semiotica. Editori Laterza, Bari, 324 pp.,22 euro.

Wilson D.M., 2003 - The British Museum: A History. The BritishMuseum Press, London, 35 £.

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Manuale per la sicurezza nei museia cura di David Liston, edizione ita-liana a cura di Carlo Teruzzi, ETAS,Milano, 2003, 331 pagine, 39 euro

Garantire la sicurezza di cosee persone è uno dei compiti principalidel direttore di museo. I responsa -bili di queste istituzioni culturali de -vono affrontare ogni genere di pro -blemi legati alla sicurezza, spessosuperando le difficoltà connessecon il coordinare le norme di pre -venzione con quelle relative allaconservazione delle collezioni. Es -si devono garantire nello stesso tem -po la tutela dei materiali conservatida ogni sorta di attacchi umani efisici, quali furti, vandalismi eagenti atmosferici, la sicurezza deilavoratori e del pubblico, la ma -nutenzione degli edifici e il cor -retto funzionamento degli impiantida cui spesso dipende la sicurezzaglobale del museo.

Scritto a più mani, grazie al con -tributo di esperti di tutto il mondo,questo manuale è una guida c o m -pleta alle problematiche connessec o n la sicurezza dei musei, indi -pendentemente dalle dimensioni,dalla tipologia e dalla collocazio -ne geografica. Infatti, sebbene ognimuseo costituisca un caso a se stan -

te, con proprie problematiche, que -ste hanno la necessità di essere ri -condotte a un’unica “filosofia del -la sicurezza” che si pone come fi -nalità, in prima istanza la tuteladei visitatori e del personale delmuseo, e in seconda istanza la pro -tezione delle collezioni.

Il manuale affronta i problemirelativi alla sicurezza sia sul pia -no teorico, sia sul piano operativo,esaminandone tutti gli aspetti. Es -so è diviso in tre sezioni: nella pri -ma si illustrano i servizi di base del -la sicurezza, nella seconda ven -gono trattati i servizi di protezionedegli edifici e nella terza i servizispeciali di protezione.

Il manuale riporta esempi re -lativi a una vasta gamma di si -tuazioni di rischio, comprese alcunenon usuali per il nostro paese, pro -pone modalità operative non ap -plicabili in Italia a causa della le -gislazione troppo generica e non fi -nalizzata in modo specifico alla ge -stione degli istituti museali, e in -dividua figure professionali le cuimansioni nei musei italiani sonospesso riunite nella figura del di -rettore, del direttore amministrativoo del responsabile della sicurez -za; il manuale fa infatti sovente ri -ferimento a figure professionali ealla modulistica in uso nella Smith -sonian Institution di Washington.Per tale ragione si è ritenuto im -portante fornire qualche elementodi confronto fra quanto espostonel manuale e la reale situazionen a z i o n a l e .

Collana diretta da Giovanni PinnaETAS, Milano

Teoria e pratica del museo

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cheologiche e monumentali secondo il triplice principio divisitabilità (accessibilità), leggibilità (trasmissibilità), conser-vazione (valorizzazione).

L’evento si svolge annualmente a Villa Adriana e a Ro-ma presso gli spazi della Pennsylvania State University e delComune di Tivoli (info: www.arredata.it oppure www.yoda-network.it), ed è composto da un workshop, propedeuticoalla partecipazione al Premio Internazionale e da una seriedi incontri e conferenze, che si tengono a Roma, Palazzo Do-

ria Pamphili negli spazi della Penn-sylvania State University (ex Stampe-ria Sallustiana).

L’edizione 2003 del workshop, or-ganizzato da Luca Basso Peressut, PierFederico Caliari, Alessandro Camiz, Ro-molo Martemucci, Piero Meogrossi e Gen-n a ro Postiglione, e che si è svolto ne-gli spazi del Museo Didattico, all’inter-no dello straordinario contesto ar-cheologico della villa voluta dall’im-p e r a t o re Adriano tra il 117 e il 135 d.Ca Tivoli, ha registrato notevole inte-resse e consensi a livello intern a z i o n a l e ,e un’alta partecipazione (114 iscritti) trastudenti delle università italiane e stra-n i e re e professionisti.

I partecipanti hanno lavorato int e a m, sotto la guida di diversi t u t o r s ( P a o-lo Agostini, Nicola Flora, Filippo Fan-tini, Massimo Bellotti, Giovanni Ottonello,Francesco Leoni, Gianluca Vita e CristianoLucchetti) confrontandosi con temi pro-

gettuali legati ai problemi specifici della musealizzazione dellavilla alle diverse scale d’intervento, e con una serie di aree dip rogetto di “alto profilo”, che costituiscono di fatto i siti “sen-sibili” dell’area archeologica della villa.

Pier Federico Caliari è architetto, docente di Museografiapresso la I Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano.Dal 2000 è responsabile della Bern ini Museums Workshop.

Bernini s.p.a. ha sede in via Milano 8, 20020 Ceriano Laghetto(Milano). Tel 02.96469293. Fax 02.96469646. E-mail [email protected].

MUMUMU

M E S S A G G I OP R O M O Z I O N A L E

Seminario Internazionaledi Museografia “Villa Adriana”Pier Federico Caliari

La Soprintendenza Archeologica del Lazio, il Politecnico diMilano (Facoltà di Architettura, Urbanistica e Ambiente, Facoltàdi Architettura Civile), l’Università La Sapienza di Roma (PrimaFacoltà di Architettura Ludovico Quaroni), l’Università degli Stu-di di Napoli Federico II (Facoltà di Architettura), la Pennsylva-nia State University di Roma, in collaborazione con Bernini Mu-seums Workshop, hanno istituito, contestualmente al SeminarioI n t e rnazionale di Museografia “Villa Adriana”, il Premio Intern a z i o n a l edi Architettura e Archeologia “Giovanbattista Piranesi”, come al-to riconoscimento alla sensibilità pro-gettuale individuata nel rapporto tra con-testo ambientale archeologico ed espre s-sione architettonica contemporanea.

Il premio, come accennato sopra,è intimamente e strutturalmente lega-to al Seminario Internazionale di Mu-seografia “Villa Adriana” (svoltosi per laprima volta a Villa Adriana, a Tivoli, nelmese di settembre 2003), che costitui-sce a sua volta momento pro p e d e u t i c odi formazione e partecipazione, e ha ri-c o r renza annuale.

L’obiettivo del Seminario e del Pre-mio Piranesi, come recita l’art. 3 del re-golamento dello stesso, è il seguente: “Ilseminario-concorso, con riferimento al-la prima edizione, che è da intendersicome momento istitutivo, conferma co-me obiettivo principale e come princi-pio ispiratore la volontà di stabilire unap i a t t a f o rma culturale comune e un oriz-zonte di dialogo tra archeologia e ar-chitettura, intendendo la museografia come terreno specificodi sperimentazione di tale rapporto interdisciplinare.

E, fatta salva la ripartizione nelle tre aree disciplinari, anali-tiche e di progetto, espresse nella prima edizione e definite co-me a) Archeologia e Paesaggio, b) Archeologia e Arc h i t e t t u r a ,c) Archeologia, Interni ed Allestimento, ribadisce e puntualizzala centralità del progetto museografico, inteso come ampia riflessionesulla musealizzazione dei grandi contesti archeologici, di cui Vi l-la Adriana è caso esemplare, a tutte le scale d’intervento”.

Il seminario si costituisce quindi come riflessione su pos-sibilità e limiti del progetto contemporaneo nelle aree ar-

Villa Adriana, “Ristrutturazione architettonicadel Teatro Greco”. Viste prospettiche del progettovincitore della categoria “Archeologia e Architettura”,Arianna Aimi, Sara Antolotti, Nicole Bonini, ValeriaGriffini, Michela Cibaldi, Marios Konstantinou.

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A r redamenti museali: nuove pro s p e t t i v eLa ditta barth da anni esplora completamente nuove vie

nell’ambito dell’arredo museale. Le migliori re f e renze sia in Italiache all’estero sono garanti di affidabilità e competenza. Tra le re a-lizzazioni più rilevanti si possono citare il Museo Archeologico diBolzano (Ice-Man/Ötzi), l’Oberösterreichisches Landesmuseum aLinz in Austria, il Museo del Turismo a Merano, il Museo delleMonete a Hall nel Ti rolo, e il Museo Diocesano di Bre s s a n o n e .

Uno dei progetti più recenti è stato quello per la mostraitinerante org a n i z z a t adal Museo Arc h e o l o g i-co di Bolzano per pre-s e n t a re “L’uomo venu-to dal ghiaccio”. L’iti-nerario tocca varie cittàe u ropee; la mostra èstata esposta alla Sta-zione Te rmini di Ro-ma all’inizio di que-st’anno e attualmente sit rova a Vienna. Anchein questo caso la dittabarth ha coordinato tut-ta la realizzazione: dalp rogetto tecnico allap roduzione, dalla logi-stica al montaggio.

La vetrina ideale per la pre s e n t a z i o n eLa vetrina costituisce il migliore modo per esporre opere di

v a l o re artistico e culturale, poiché garantisce la protezione de-gli oggetti dagli agenti esterni, quali temperature eccessive,umidità, polvere ecc. Negli ultimi anni la ditta barth si è spe-cializzata nella realizzazione di vetrine che attuano una parti-c o l a re attenzione alla limitazione di sostanze nocive, alle cli-matizzazioni attive e passive, ai sistemi di illuminazione, alle tec-nologie di guarnizione e ai dispositivi di sicurezza, e che si in-tegrano sempre nelle infrastrutture architettoniche pre e s i s t e n t i .

La vetrina svolge più funzioni:• mette in risalto gli oggetti esposti. La ditta barth ha una com-petenza particolare nella lavorazione del vetro per garanti-re la sicurezza degli oggetti e dei visitatori;• può installare un’illuminazione ideale per gli oggetti, evi-

tando il danneggiamento prodotto dai raggi luminosi. Laditta barth installa sistemi a fibre ottiche, ovvero la tecnicaLED (light-emission-diodes);• garantisce le migliori condizioni relative a temperatura e umi-dità attraverso le climatizzazioni attive o passive. La ditta barth pro-getta speciali vetrine e impianti di climatizzazione ad aria pulitaper esigenze specifiche legate alla tipologia dei pezzi d’esposizione;• garantisce un cambiamento d’aria minimo;• infine la vetrina deve essere facilmente apribile per la manu-

tenzione e la cura deglioggetti esposti, e perre n d e re possibile la ma-nutenzione a una per-sona sola; le serrature dis i c u rezza vengono co-perte e combinate conl’impianto d’allarm e .

Barth: il partner lea-der degli arc h i t e t t i

Le innumere v o l iesperienze accumulatenel corso di quattro ge-nerazioni nell’arre d a-mento di interni hannocontribuito a re n d e rel’azienda uno dei partnerleader per gli arc h i t e t t i .

La ditta infatti realizza le idee elaborate dall’architetto e dal mu-seo con molta energia creativa, riuscendo a soddisfare varie esi-genze riguardanti le forme, i materiali e la fabbricazione. Con l’aiu-to di tecniche all’avanguardia, l’assemblaggio di diversi materialicome il legno, il vetro, l’acciaio ecc., la ditta barth può garantireal committente di seguire un progetto dall’inizio al suo comple-tamento e riesce a risolvere problemi connessi all’arredamento diun museo per quanto esigenti o complicati possano essere .

Ve rena Pliger è giorn a l i s t a . Michela Panella è collaboratriced e lla ditta barth, settore museale.

Barth ha sede in via Julius Durst - Straße 38, 39042 Brixen, Bressa-none. Tel. 0472.271900. Fax 0472.271999. E-mail [email protected]. Sitointernet www.barth.it. Per informazioni contattare Ivo Barth.

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M E S S A G G I OP R O M O Z I O N A L E

Barth, impresa top per arredamenti musealiVerena Pliger, Michela Panella

Oberösterreichisches Landesmu -seum, Linz (A). (Foto barth)

Museo di Scienze Naturali, Bolzano.(Foto Brüning Stefan, Naz/Sciaves)

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Una pubblicità televisiva degli anni ottanta metteva in mo-stra una famiglia di gusti molto difficili, molto attenta alla qua-lità dei prodotti che le venivano sottoposti, diventata famosagrazie al motto “gli incontentabili”.

L’azienda di Brescia, guidata da Fausto Lucà, ha fatto suotale slogan sin dalla nascita, ovvero dall’anno 1990. Quattordicianni fa si è fatta conoscere grazie al sistema Tendiflex, le co-lonnine con nastro estensibile con le quali vengono regola-ti gli accessi e garantita la riservatezza dei clienti nelle ban-che, negli aeroporti, negli uffici postali o con cui il pubbli-co e i curiosi vengono tenuti a distanza dai box della form u l auno o del motomondiale. Tendiflex ha portato il marchiodell’azienda bresciana in tutta Europa, diventato sinonimo diqualità, eleganza e affidabilità.

Ma non basta, o meglio questo non bastavaMessi in fila gli italiani e non solo, Flex voleva educarli a

c o m u n i c a re meglio, con efficacia e stile: è nato Allflex, il sistemaespositivo che prevede il fissaggio su cavi d’acciaio di pannelliin metacrilato trasparente, sistemi coordinati per l’esposizionedi manifesti, fotografie, materiale informativo in genere e cheha trovato un largo e diffuso impiego in moltissimi ambienti.

Pareti, vetrine, atri e corridoi che fino a ieri erano soloutilizzati come passaggi di clienti, ora grazie ad Allflex ven-gono valorizzati, mettendo in risalto anche il messaggio piùsemplice o anonimo.

In metacrilato trasparente, oppure colorato, o come cartelli,personalizzabili con serigrafie o adesivi, idonei a indicare di-rezioni interne a grandi comunità e strutture multipiano, cen-tri polifunzionali, il prodotto Allflex ha risposto con immensaversatilità alle più diverse esigenze della clientela.

Gli istituti bancari hanno utilizzato tali sistemi per dareordine all’informazione per la trasparenza bancaria, i priva-ti hanno arredato studi e ingressi di abitazioni con box co-lorati sospesi su cavi o su sottili barre d’acciaio.

Il design sempre innovativo e la qualità dei prodotti utilizzatihanno garantito il successo e la notorietà dei prodotti Allflex.

Ma tutto questo non basta, occorreva cre s c e re, allarg a r s i ,diversificarsi ulteriormente

Sì, è vero, gli ambienti nei quali il prodotto Flex aveva fat-to la sua comparsa hanno cominciato a essere più ordinati, pu-liti, eleganti, efficaci, ma... qualcosa ancora non era perf e t t o .

Il tutto doveva acquisire maggior risalto per la clientela, la co-municazione necessitava di visibilità maggiore. E così Flex, azien-da giovane, moderna, flessibile ha affiancato ai prodotti tradi-zionali nuove proposte come i light panel, composti da pan-nelli di spessore di tre centimetri re t roilluminati a bassa tensione,che consentono di ravvivare i messaggi al pubblico mantenendol’eleganza e la leggerezza dei sistemi già esistenti.

Tecnologia e forma si coniugano perfettamente e perm e t t o n odi esaltare il messaggio pubblicitario, la comunicazione infor-mativa o l’immagine visiva anche alla presenza di luce diur-na o artificiale.

Un prodotto destinato ad accendere le vetrine di tutta Eu-ropa, per tutti coloro che vogliono mettere in evidenza un mes-saggio facendolo emerg e re anche nelle ore più buie dellag i o rnata oppure in zone di transito in cui c’è poca illumina-zione, e che viene proposto in eleganti e diverse soluzioni.

Ma gli incontentabili non erano ancora soddisfattiIl pannello luminoso è il fiore all’occhiello della nuova pro-

duzione, ma Flex ha dotato di luce anche il sistema Allflex ele strutture autoportanti Infopole e Mobilflex, facilmente rico-noscibili visitando il sito internet www.flex.it.

Lampade provviste di asta rigida o flessibile e dal design in-novativo si integrano perfettamente con tutti i sistemi espositivip rodotti dall’azienda, esaltando l’efficacia del messaggio esposto.

La ricerca continua e la qualità del servizio globale of-ferti da Flex contribuiscono a dare un’immagine di consu-lenti più che di fornitori: i clienti vedono interlocutori chesono progettisti, arredatori, architetti, interior designer.

Ma tutto questo ancora non basta. E il futuro?Il futuro? “Altre novità – dice Fausto Lucà, amministratore

di Flex – destinate a un mercato che chiede un’innovazionecontinua. In questi primi quattordici anni di vita l’abbiamosempre accontentato con una gestione attenta sia al picco-lo negozio che alla grande struttura, sia al grande evento chealla piccola fiera. Flex in fondo vuol dire flessibilità: naturalmenteal servizio del cliente”.

Francesco Gramaticopolo è il responsabile commerciale della Flex s.r. l .

Flex s.r.l. ha sede in via G. Asti 12, Brescia. Tel. 030.3531005.Fax 030.3531022. E-mail [email protected]. Sito internet www.flex.it.

SEMU

M E S S A G G I OP R O M O Z I O N A L E

Flex: l’azienda incontentabileFrancesco Gramaticopolo

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The Best in HeritageDal 17 al 21 settembre 2003 ha avuto luogo a Dubrov-

nik, in Croazia, la seconda edizione del meeting “The Bestin Heritage”, una manifestazione ideata da Tomislav Sola l’an-no scorso e organizzata con l’aiuto di alcuni volenterosi mu-seologi, fra cui Frans Schouten della Breda University of Pro-fessional Education dell’Aja e André Bechtold curatore deicastelli di Roncolo e Mareccio a Bolzano.

“The Best in Heritage” non è un’istituzione, ma è un con-tinuo progetto innovativo ideato con l’intento di pre s e n t a ree discutere i progetti di tutela o di valorizzazione del patri-monio culturale realizzati da musei, o in generale da istitu-zioni culturali, che nell’anno precedente (con alcune dero g h e )hanno ricevuto un premio nazionale o internazionale, o so-no stati in qualche modo segnalati per la qualità dell’idea edella sua esecuzione. Come scrive Tomislav Sola “The Bestin Heritage has created a unique opportunity to bring togetherthis unique group of professionals and practitioners from theworld of heritage who, without the pre s s u re of competition,and with the benefit of Dubrovnik’s historic inspirational set-

ting, can tell the truth of their achievements as the people whohave been already judged “the best of the best””.

Al meeting di quest’anno sono state presentate 19 rea-lizzazioni da istituzioni di tutto il mondo:– Chester Beatty Library di Dublino (Irlanda)– Duna Museum di Esztergom (Ungheria)– Almond Valley Heritage Trust (Millfield, Scozia)– Buddenbrook-House (Lubecca, Germania)– Museo della storia recente di Celje (Slovenia)– Museo delle ceramiche di Loures (Portogallo)– Casa di Alijn a Gent (Belgio)– Musée de la civilization del Québec (Canada)– Rotorua Museum of Art and History (Nuova Zelanda)– Museum Rhein-Schauen a Lustenau (Austria)– Centro dell’età della pietra di Kierikki (Finlandia)– Museo Karl Ernst Osthaus a Hagen (Germania)– Imperial War Museum North a Manchester (Regno Unito)– Museo d’arte contemporanea di Zagabria (Croazia)– Museu Paulista dell’Università di San Paolo (Brasile)– Museo Svendborg & Omegns a Svendborg (Danimarca)– Alimentarium di Vevey (Confederazione Elvetica)– Herring Era Museum a SiglufjörØur (Islanda)– British Museum (Regno Unito)

L’unico progetto italiano in elenco “La conservazione in-tegrata della Baia di Ieranto, Napoli” del FAI, non è stato pre-sentato per l’assenza dei relatori.

Il grande interesse della manifestazione risiede soprattut-to nel fatto che, attraverso le realizzazioni presentate, è pos-sibile rendersi conto delle tendenze della museologia attuale,delle innovazioni in atto nei sistemi di comunicazione museale,e anche scoprire la direzione che vanno prendendo i gusti delpubblico e i mezzi che i musei mettono in atto per soddisfa-re una domanda che diviene sempre più ampia e sempre piùesigente. Per questa ragione la partecipazione al meeting an-nuale di Dubrovnik dovrebbe essere considerata essenziale datutti coloro che in vario modo operano nel campo del patri-monio culturale; sia per coloro che insegnano museologia, siaper quanti, nei musei, applicano la museologia sul campo. Dal-la copertina del programma-catalogo della manifestazione To-mislav Sola lancia dunque il suo invito al mondo museale: “putexcellence, heritage and Dubrovnik on your agenda!”.

Giovanni Pinna

Progetto europeo SMECIl progetto europeo SMEC “School-Museum cooperation

for the improvement of the teaching and learning of scien-ces” (Scuola-Museo: collaborazione per il miglioramentodell’insegnamento e dell’apprendimento delle scienze) ha pre-so avvio alla fine del 2001 con il supporto del programmaSocrates/Comenius dell’Unione Europea. Sotto il coordina-

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mento del Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonar-do da Vinci” di Milano hanno collaborato al progetto setteistituzioni di altrettanti paesi della comunità europea: Istitu-to Regionale di Ricerca Educativa (IRRE) per la Lombardia(Italia), Deutsches Museum (Germania), Institut Universitai-re de Formation des Maîtres de Lorraine (Francia), KatholiekeHogeschool Kempen (Belgio), Magyar TermészettudományiMúzeum (Ungheria), Museo Nacional de Ciencias Naturales(Spagna), Nationaal Museum van de Speelkaart (Belgio).

Gli obiettivi del progetto erano: approfondire l’indaginesul rapporto tra scuola e museo, incidere dal punto di vistametodologico e operativo sulla collaborazione tra i due sog-getti, per un miglioramento dell’insegnamento e dell’ap-prendimento delle scienze nelle scuole elementari.

Dal gruppo di lavoro del progetto sono stati realizzati: a . Il libro A place to discover (2002) a cura di Maria Xanthou-daki che raccoglie le testimonianze di tutti i partner sulle lo-ro attività a favore delle scuole e per la formazione degli in-segnanti in materia di educazione scientifica, e che presen-ta il contesto metodologico del progetto. Il libro è disponi-bile gratuitamente in inglese, mentre la versione in italianoverrà pubblicata a cura del Museo della Scienza e della Tec-nologia entro dicembre 2003. Le versioni in francese, spagnolo,tedesco e ungherese sono disponibili sul sito del progetto.b. Progetti e attività educative in collaborazione con scuo-le in ciascun paese partner, che mirano a identificare le ca-ratteristiche del rapporto museo-scuola e le metodologieeducative per l’utilizzo del museo come risorsa per l’inse-gnamento delle scienze. Questi progetti saranno la base perlo sviluppo di materiali educativi per insegnanti e operatorididattici dei musei scientifici.

Informazioni sulle modalità di partecipazione ai corsi dif o rmazione e i materiali del progetto si possono ottenere gra-tuitamente contattando direttamente Maria Xanthoudaki,coordinatrice del progetto ([email protected]).I n f o rmazioni su materiali e progetti futuri sono disponibili sulsito www.museoscienza.it/smec.

Maria Xanthoudaki

Bambini accorrete!A volte è difficile credere ai propri occhi. Eppure il nuo-

vo logo del Museo di Storia Naturale di Milano è lì, stampa-to su un pannello in puro stile pubblicitario-commerciale, in-fisso nel terreno sulla sinistra dell’ingresso del museo, ac-compagnato da un altro pannello contenente un’indispensabiledidascalia esplicativa. Si! Avete ben inteso. Il nuovo logo delmuseo (costo complessivo 13100 euro) può essere compre-so solo se accompagnato da una spiegazione didascalica. Tu t-to il contrario di quanto si chiede a un logo che dovrebbeessere immediatamente evocativo, intuitivo, semplice, faci-

le da ricordare e facilmente riproducibile (anche in biancoe nero); tutte caratteristiche che non vedo nel complesso ecoloratissimo disegno in cui sono mescolati zoologia, pa-leontologia, mineralogia, botanica e astronomia, simbolizzatirispettivamente da una medusa azzurra, dalla testa di un di-nosauro color ocra, da un gruppo di cristalli rossi, da un al-bero dalla chioma verde, e da un sole giallissimo (o è forseuna stella?). Se posso esprimere un giudizio, si tratta di unlogo banale, derivato da un’idea semplice semplice: riunireassieme i simboli delle varie discipline di cui il museo si oc-cupa. Un logo che, grazie ai colori e al tratto del disegno, èpiù adatto a un negozio di giocattoli per bambini al di sot-to dei dieci anni, che a un museo che ha oltre 160 anni distoria scientifica alle sue spalle, che è stato diretto da notepersonalità scientifiche e che solo 15 anni fa era considera-to, per la sua attività scientifica, e per la sua presenza cul-turale, fra i sette grandi musei naturalistici d’Europa.

Vorrei che gli amministratori milanesi si ricordassero diqueste tradizioni del museo, e che non pensassero, come sem-brano fare, che un museo scientifico è solo un museo perbambini avulso dalla cultura globale della città. Vorrei chesi ricordassero anche che un museo è soprattutto un centrodi ricerca e di produzione scientifica, e che esso è un vei-colo di conoscenza e di diffusione culturale solo grazie allaricerca che si effettua nei suoi laboratori. Per cui, vi prego,ripensate al logo! Accettate la sfida di cre a re un logo che evo-chi un passato scientificamente glorioso. E soprattutto nonspendete danaro per opere di immagine, se non vi sono ifondi per finanziare le ricerche; poiché a lungo andare que-sta politica è destinata a impoverire culturalmente il museo,la comunità cui il museo appartiene, e voi stessi, eletti peramministrare questa comunità.

Giovanni PinnaDirettore del Museo di Storia Naturale

di Milano dal 1981 al 1996

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Percorsi virtuali nella progettazione musealeEsistono oggi nuove tecnologie informatiche che per-

mettono di re a l i z z a re percorsi tridimensionali perc o r r i b i l ivirtualmente da un ipotetico soggetto, caratterizzati da unaforte aderenza alla re a l t à .

La realizzazione di percorsi virtuali tridimensionali per-corribili è oggi in uso anche nella progettazione museo-grafica, in quanto tali percorsi creano nuove possibilità dianalisi del progetto e, soprattutto, determinano in questodelicato settore alcuni indubbi vantaggi.

Da un lato, la trasformazione di un progetto musealetradizionale in un percorso virtuale tridimensionale re n d ela progettazione più dinamica e più facilmente verificabi-le; la visita virtuale del percorso museale rende possibileal progettista valutare e scegliere la distribuzione deglispazi, la collocazione degli elementi espositivi, il colore del-le pareti o dei pavimenti, la disposizione dei punti illumi-nanti, e ancora studiare i migliori punti di vista o la coe-renza del progetto con la frequentazione del pubblico.

Un secondo vantaggio insito nella realizzazione di per-corsi virtuali tridimensionali in fase di progettazione con-siste nel fatto che, grazie a essi, viene estremamente faci-litato il rapporto fra i responsabili scientifici del pro g e t t oe il progettista e cioè, nel caso del museo, fra i museolo-gi dello staff scientifico dell’istituzione – dire t t o re o con-servatori – e il museografo – architetto o designer che sia.Su un percorso virtuale è possibile infatti impostare con piùimmediatezza e aderenza alla realtà quel dialogo fra mu-seologo e museografo che è essenziale alla buona riusci-ta del progetto museologico, ma che è solitamente diff i c i-le, in quanto i due soggetti tendono a esprimersi con lin-

guaggi diversi, l’uno attraverso documenti scritti, l’altrocon piante e bozzetti.

Un terzo vantaggio, ancor più importante dei pre c e-denti, deriva dal fatto che la progettazione museograficanon può pre s c i n d e re dagli oggetti destinati a essere inse-riti nell’esposizione museale. Ciò significa che nella pro-gettazione dei corpi espositivi, i museografi hanno la ne-cessità di lavorare direttamente con gli oggetti o con co-pie. Poiché, per ovvie ragioni di sicurezza, la manipola-zione degli oggetti è sconsigliabile, e poiché è praticamenteimpossibile che esistano copie tridimensionali di tutti glioggetti destinati all’esposizione, i progettisti sono soliti uti-l i z z a re disegni su carta degli oggetti in grandezza natura-le. Si tratta di un lavoro che allunga estremamente i tem-pi della progettazione e difficilmente fornisce l’idea di qua-le sarà il prodotto finito, l’aspetto della vetrina quando inessa verranno inseriti i pezzi con il loro volume tridi-mensionale. Con le nuove tecnologie di progettazione alc o m p u t e r, e grazie all’uso di macchine fotografiche digi-tali, è ora possibile lavorare con le immagini degli ogget-ti, creando esposizioni virtuali del tutto simili alla re a l t à ,sulle quali il museografo potrà intervenire, spostando glioggetti e valutando i rapporti fra di essi e fra gli oggetti egli apparati didascalici, senza mai dover manipolare gli og-getti delle collezioni del museo.

Infine un quarto punto: nella fase di approvazione de-finitiva del progetto, la sua presentazione attraverso unavisita virtuale facilita la comprensione del progetto stes-so da parte dei committenti/finanziatori, con tutti i van-taggi che questa comprensione comporta.

Giovanni Pinna e Cristina Canovi

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Visualizzazione 3D realizzata dallo Studio Tecnico Teruzzi per ilprogetto dell’allestimento del Museo celebrativo del co-fondatoredell’ordine delle Suore Misericordine di Monza.

Visualizzazione 3D realizzata dallo Studio Tecnico Teruzzi per ilprogetto dell’allestimento del Museo di Storia Naturale dellaM a r e m m a .

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Discorso sullo stato dell’ICOM ITALIA

IntroduzioneIn questi ultimi mesi, nell’approssimarsi delle elezioni

che porranno fine al mio secondo mandato come pre s i d e n-te dell’ICOM ITALIA, ho ricevuto due lettere. Nella prima, seia u t o revoli soci dell’ICOM ITALIA, autorevoli in quanto mem-bri eletti negli esecutivi di comitati internazionali, o con in-carichi internazionali, chiedevano che mi fosse concesso unterzo mandato presidenziale, riconoscendo l’efficacia dell’azio-ne da me condotta in questi anni a favore del Comitato Na-zionale Italiano. Nella seconda, cinque membri dell’esecuti-vo dell’ICOM ITALIA si opponevano alla proposta di un ter-zo mandato straordinario, invocando lo Statuto Intern a z i o n a l edell’Associazione. Su richiesta dei firmatari, la Segre t e r i adell’ICOM ITALIA ha inviato ambedue le lettere a tutti i soci,il che ha garantito pari trattamento e visibilità alle due missi-ve. Per parte mia, ho ricevuto le due lettere non nella mia ve-ste di presidente, ma nella mia qualità di semplice membrodell’ICOM ITALIA. Tuttavia le due lettere hanno come oggettola mia persona, in quanto presidente, il che mi impone di com-mentarle in questa sede, di fronte all’assemblea dei soci.

Come è noto, la 20° Assemblea Generale dell’ICOM te-nutasi a Barcellona mi ha eletto membro del Consiglio Ese-cutivo dell’ICOM, mentre nell’aprile di questo anno ho pre-sentato la mia candidatura alla Presidenza dell’ICOM Inter-nazionale, candidatura che è stata accettata nella riunionedel Comitato Consultivo nel giugno scorso. In quanto mem-b ro del Consiglio Esecutivo e in quanto candidato alla Pre-sidenza dell’ICOM, ritengo oggi di non poter accettare unterzo mandato come presidente dell’ICOM ITALIA, contro loStatuto dell’associazione che le mie cariche mi obbligano in-vece a difendere e a far rispettare. Ringrazio però con af-fetto i firmatari della prima lettera per la fiducia che mi han-no dimostrato. Ai firmatari della seconda lettera devo inve-ce esprimere un certo stupore per il fatto che essi abbianopotuto pensare che io avrei accettato un mandato in con-trasto con le leggi che regolano la nostra associazione. Vo-glio quindi assicurarli che nessun colpo di Stato è in pre-parazione e che nessuna dittatura sarà instaurata. Io lasciooggi la Presidenza dell’ICOM ITALIA, e lascio al nuovo pre-sidente e alla nuova Giunta Esecutiva un’associazione atti-va e autorevole, e ricordo loro che, come io sto ora facen-do, anch’essi alla fine del loro mandato saranno chiamati are n d e re conto ai soci della loro gestione.

Dal 1967 ho militato attivamente nel Comitato Naziona-le Italiano dell’ICOM. Da quando cioè il 21 ottobre di quell’an-no l’ICOM ITALIA fu rifondata, con l’adozione di un nuovoregolamento. In quella occasione fui eletto nella nuova Giun-ta Esecutiva presieduta da Franco Russoli, che restò in cari-ca fino al 1981. In seguito fui vice presidente del comitatodal 1981 al 1984 e dal 1993 al 1996. Nell’aprile del 1997 fuieletto presidente, carica che mi fu rinnovata nel 2001, e che

ora giunge al termine. Nello stesso tempo ho anche assun-to alcune cariche internazionali nell’associazione: sono sta-to presidente dell’International Committee Historic House Mu-seums nel triennio 1999-2001; nel 2001 sono stato elettonell’Executive Council per il periodo 2001-2004, e l’anno scor-so ho presentato la mia candidatura alla carica di presiden-te dell’ICOM.

Il rilancio del Comitato Italiano dell’ICOMGli anni della presidenza sono stati per me ricchi di sod-

disfazioni e di realizzazioni positive. Nel 1997 il Comitato Na-zionale Italiano soffriva di una crisi profonda, nonostante glisforzi di quanti, nella Giunta Esecutiva, si adoperavano pergarantire la sua efficienza e la sua autorevolezza in camponazionale. In Italia l’ICOM era poco considerato, il che por-tava a un suo scarso peso politico nei confronti degli altri co-mitati nazionali. In quell’anno esso contava solo 81 membri,di cui 8 istituzionali, non aveva una sede fisica, ma una se-de formale presso il Museo della Scienza e della Tecnica, labiblioteca era perciò divisa in alcuni armadi ospitati dal mu-seo e praticamente inconsultabile, il notiziario aveva cessa-to da tempo di essere prodotto e lo Stato italiano non rico-nosceva ai membri il diritto di ingresso gratuito ai musei. Inbreve in campo nazionale l’ICOM godeva di una scarsa no-torietà e di una debole autorevolezza.

Nella prima circolare che inviai ai soci il 30 giugno 1997posi perciò alcuni obiettivi: fra questi la necessità di opera-re per importare in Italia il dibattito sui musei e sulla museologiache si svolgeva in altri paesi, e per promuovere all’estero lamuseologia italiana; agire perché la politica dei governi ita-liani nei confronti dei musei tenesse conto dell’importanzasocio-culturale di queste istituzioni e della professionalità dicoloro che in esse operavano; far comprendere come i mu-sei fossero istituzioni indispensabili per lo sviluppo cultura-le della comunità nazionale e per la sua coesione sociale; di-fendere in sede nazionale e in sede locale il ruolo scientifi-co delle direzioni dei musei di fronte all’avanzare di dire z i o n iprese in prestito dal marketing e dall’amministrazione buro-cratica. Identificavo inoltre alcune azioni immediate: la rea-lizzazione di una sede fisica atta ad accogliere la segreteria,la trasformazione della biblioteca in un centro di documen-tazione, e l’istituzione di un giornale dell’ICOM ITALIA. Inquella stessa circ o l a re annunciavo infine che, grazie a un miocomplesso intervento, il 2 giugno 1997 il ministro alla Cul-tura aveva firmato il decreto che concedeva a tutti i membridell’ICOM l’ingresso gratuito ai musei, ai siti archeologici eai monumenti dello Stato italiano.

Concessione di ingresso gratuito ai museiLa concessione dell’ingresso gratuito ai musei italiani fu

un risultato importante che il Comitato Italiano e lo stesso

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ICOM Internazionale perseguivano da tempo senza succes-so. Ricordo che quando, alla fine di giugno dello stesso an-no, diedi l’annuncio della firma del decreto al ConsiglioConsultivo dell’ICOM a Parigi, esso fu accolto da uno scro-sciante applauso dai rappresentanti di tutti i comitati nazio-nali e internazionali. L’Italia entrava così a far parte delle na-zioni più rappresentative dell’associazione.

Negli anni che seguirono fu poi effettuata un’azione ca-p i l l a re presso gli enti locali italiani, comuni e provincie, per-ché anch’essi garantissero l’ingresso gratuito ai loro musei. Lamaggior parte delle grandi città italiane, fra cui Venezia, Bo-logna, Firenze, Napoli, Torino e Trieste, e un gran numero dicentri minori risposero positivamente a questa richiestadell’ICOM.

La sede dell’ICOM ITALIAAlcuni degli obiettivi che ave-

vo indicato nella prima circ o l a re aisoci furono presto raggiunti. Il 10marzo 1998 fu firmata una primaconvenzione con il Museo dellaScienza e della Tecnica che asse-gnava al museo una sede fisica estabiliva una collaborazione reci-proca, poi perfezionata in un do-cumento del 18 maggio 1999.

Istituzione del Centro di Docu-mentazione

A seguito di ciò, il 27 marzo1998 la Giunta Esecutiva poté de-l i b e r a re l’istituzione del “Centro diDocumentazione di Museologia edi Museografia dell’ICOM ITA L I A ”(CEDOMM) con questi obiettivi:1. r a c c o g l i e re in una biblioteca

specializzata la letteratura ita-liana e straniera relativa alla mu-s e o l o g i a e alla museografia (volumi, estratti, periodici,cataloghi di musei, di mostre ecc.);

2 . re n d e re disponibile al pubblico e agli studiosi tale mate-riale, sia attraverso l’apertura al pubblico della biblioteca,sia attraverso la pubblicazione di repertori bibliografici;

3. collaborare con le università e le amministrazioni localinella realizzazione di corsi di museologia;

4. promuovere studi e ricerche con lo scopo di stabilire i li-miti e le esigenze della professione museale;

5. promuovere studi di museologia e museografia e finan-ziare la loro pubblicazione;

6. promuovere incontri con lo scopo di incrementare il di-battito sulla museologia e sulla museografia;

7 . p ro m u o v e re la diffusione all’estero della museologia e del-la museografia del nostro paese.La biblioteca del’ICOM ITALIA è consultabile on-line ed

è collegata alla rete delle biblioteche lombarde.

Traduzione italiana del Codice di Deontologia e delloStatuto dell’ICOM

Nel 1999 fu pubblicata la traduzione in italiano dello Sta-tuto e del Codice di Deontologia dell’ICOM. Di tale tradu-zione fu data ampia diffusione, e ciò portò grande notorietàall’ICOM e alla sua attività. L’ICOM divenne ben conosciutonel mondo museologico italiano, nei settori culturali delle am-ministrazioni pubbliche e presso il Ministero per i Beni Cul-

turali. Il risultato fu che, da quel mo-mento in avanti, numerosi sono sta-ti i riferimenti a questi due strumentidell’ICOM. Mi piace qui ricordareil riferimento al Codice di Deon-tologia della Conferenza dei Ret-tori delle Università Italiane, nell’am-bito della discussione sul riordinodei musei universitari; che lo stes-so codice fu preso a modello dal-la commissione interregionale pergli standard museali; che fu am-piamente utilizzato per la stesuradi molti regolamenti di musei; e cheservì di base alla stesura degli At -ti di indirizzo su criteri tecnico-scien -tifici e sugli standard di funzio -namento e sviluppo dei musei, adot-tati dal Ministero per i Beni e le At-tività Culturali nel 2001.

Anche la definizione di museocontenuta nello Statuto dell’ICOMdivenne famosa e, dopo la diff u-sione della traduzione in italiano del-lo Statuto, non vi è nessun libro di

museologia pubblicato in Italia che non vi faccia riferimen-to, o non la riporti integralmente, spesso commentandola.

Fondazione della rivista Nuova MuseologiaNel settembre 1999 fu pubblicato il primo numero della

rivista semestrale Nuova Museologia che, grazie a una con-venzione con la proprietà, divenne organo ufficiale dell’ICOMITALIA. La rivista ha goduto subito di ampi consensi. Oggiessa viene inviata gratuitamente in 2500 copie ai membridell’ICOM ITALIA, ai musei italiani, agli assessorati alla cul-tura di regioni, provincie e principali città italiane, ai comi-tati nazionali europei dell’ICOM e a numerose persone fisi-che italiane e straniere che ne hanno fatto richiesta. Essa è

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attualmente l’unica rivista di dibattito museologico attiva inItalia e, come recita l’editoriale del primo numero, si ponecome obiettivo “il rilancio nel nostro paese di un dibattitosui musei, in un momento in cui molto si discute di questeistituzioni in termini di uso economico, di organizzazione azien-dale o di regolamentazione amministrativa, ma non in ter-mini di museologia, intesa come studio dei musei, della lo-ro storia, della filosofia che sta alla loro base, del loro significatosociale e politico, delle loro finalità educative e culturali edei modi che essi utilizzano per raggiungerle”.

Organizzazione degli uffici di segreteriaContemporaneamente a queste realizzazioni si andava-

no strutturando la segreteria e il Centro di Documentazio-ne. La sede fu attrezzata con mobili, computer, macchine dau fficio, telefono, fax, e-mail. Collaboratori a tempo parzia-le garantirono la presenza in sede e il disbrigo delle prati-che burocratiche, che con l’aumento dei soci divenivano sem-p re più gravose. Grazie alla presenza di personale il Cen-t ro di Documentazione iniziò a essere frequentato, ed è og-gi meta di molti studenti e di studiosi. Fu realizzato il sitoweb del Comitato Italiano che fu collegato al sito principa-le dell’ICOM. Fu stampato un pieghevole destinato a illustrarele finalità e le attività dell’associazione, e furono consolida-ti i rapporti con la sede centrale di Parigi e con gli org a n ii s t i t u z i o n a l i .

Convegni ICOMIn questi anni, grazie alla collaborazione di alcune am-

ministrazioni regionali e di alcune istituzioni museali, l’ICOMITALIA ha realizzato alcuni incontri su temi di attualità:• il 29 aprile 1998 fu organizzato al Museo della Scienza edella Tecnica di Milano il convegno “L’immateriale valore eco-nomico dei musei” (in collaborazione con il museo stesso econ la Regione Lombardia);• il 16 dicembre 1998 si tenne all’Accademia Carrara di Ber-gamo il convegno “La funzione educativa dei musei” (in col-laborazione con la Regione Lombardia);• in due fasi, il 14-15 maggio e il 22-23 ottobre 1999, ebbeluogo al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano il con-vegno “Musei, saperi e culture” (in collaborazione con il mu-seo e con il Politecnico di Milano);• infine il 7 febbraio 2003 ha avuto luogo alla Triennale diMilano il convegno “LibriMuseiLibri, questioni aperte nell’edi-toria museale” (in collaborazione con la Fondazione Mon-dadori e l’Associazione Italiana Editori).

Dei primi tre convegni sono stati poi pubblicati gli atti:• Pinna G., Sutera S. (a cura di), 2000 - Per una nuova mu -seologia. ICOM ITALIA, Milano.• G regorio M. (a cura di), 2002 - Musei, saperi e culture . I C O MITALIA, Milano.

La sicurezza nei museiL’ICOM ITALIA è stato molto attivo anche nel campo del-

la sicurezza dei musei, sia partecipando a numerosi conve-gni su questo tema, sia proponendo per la pubblicazione ilvolume Manuale per la sicurezza nei musei realizzato dalcomitato ICMS e pubblicato in Italia dalla E TA S, sia infinesiglando con Legambiente, il 3 dicembre 2002, un pro t o c o l l odi intesa teso alla formazione dei volontari da impiegare af a v o re dei musei nel caso di disastri naturali e a pro m u o-v e re la collaborazione fra i museologi dell’ICOM e i volon-tari del Coordinamento Nazionale Legambiente Pro t e z i o n eCivile. Infine, sempre nel settore della sicurezza del patri-monio culturale, l’ICOM ITALIA è stato il pro m o t o re princi-pale della costituzione dello Scudo Blu Italiano, la cui sedeè oggi sita a Roma, presso la Commissione Italiana perl ’ U n e s c o .

La nuova autorevolezza dell’ICOM ITALIATutte queste realizzazioni sono alla base della crescita dell’au-

t o revolezza dell’ICOM e del suo inserimento nell’ambito del-la museologia italiana, due fatti chiaramente documentatidall’aumento del numero dei soci, dalle continue richiestedi patrocinio, dalla presenza di esponenti della Giuntadell’ICOM ai principali incontri di museologia.

Aumento del numero dei sociIl numero dei soci è quasi quadruplicato. Dagli 81 del 1997,

si è passati a 230 nel 2000, a 278 nel 2001, a 327 nel 2002.Oggi, alla fine del 2003, il numero complessivo di soci è di360 unità. Un aumento che ha coinvolto non solo i soci in-dividuali ma anche i membri istituzionali.

1997 soci istituzionali 8soci individuali 73totale 81

2000 soci istituzionali 19soci individuali 211totale 230

2001 soci istituzionali 27soci individuali 251totale 278

2002 soci istituzionali 33soci individuali 294totale 327

2003 soci istituzionali 42soci individuali 318totale 360

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Richieste di patrocinioL ’ a u t o revolezza del nostro comitato è anche dimostrata

dalle ottanta richieste di patrocinio che esso ha ricevuto inquesti anni, e che hanno indotto la Presidenza a stabilire re-gole precise per la concessione del nome e del logo dell’ICOMI TALIA a manifestazioni, convegni, conferenze e pubblica-zioni. Fra le molte concessioni voglio ricordare il patro c i n i odell’ICOM ITALIA alla prestigiosa serie di volumi sul P a t r i -monio artistico italiano, in fase di pubblicazione presso lacasa editrice Jaca Book, e il marchio dell’ICOM ITALIA chea p p a re sugli ultimi volumi della collana MuseoPoli edita dal-la casa editrice C L U E B di Bologna.

La richiesta di concessione del patrocinio è stata spes-so accompagnata dall’invito a partecipare attivamente al-le manifestazioni con rappresentanti del comitato, cosicchémembri dell’ICOM ITALIA sono stati presenti ai principaliconvegni tenutisi in Italia in questi anni.

Non è qui il caso che enumeri i convegni cui ho pre s oparte nel corso di questi sei anni in rappresentanza dell’ICOM,ma posso assicurare che si è trattato di un numero veramentecospicuo. Questa presenza ha contribuito da un lato a da-re una sempre maggiore visibilità all’ICOM e dall’altro a cre a-re possibilità di nuove collaborazioni.

C o n f ronti con il Govern oL’attività dell’ICOM ITALIA ha generato alcune situazioni

di confronto con il Governo italiano che giudico positive.Dopo una reazione del nostro comitato nei confronti del-la norma della legge finanziaria del 2002 che prevedeva di“ c o n c e d e re a soggetti privati l’intera gestione del servizioc o n c e rnente la fruizione pubblica dei Beni Culturali...”, ilG o v e rno ha inserito nella legge stessa un accenno allo Sta-tuto dell’ICOM, ove questo recita che i musei sono istitu-zioni che agiscono senza scopo di lucro. A mia conoscen-za è la prima volta che un accenno all’ICOM entra nella le-gislazione di uno Stato occidentale. A seguito di questo fat-to, il 17 ottobre 2002 il presidente dell’ICOM ITALIA è sta-to chiamato a una audizione alla Commissione Cultura delSenato che aveva lo scopo di conoscere il pare re dell’ICOMI TALIA sulla situazione dei musei italiani e sulla politica neic o n f ronti del patrimonio culturale. Il testo di tale audizio-ne è stato pubblicato integralmente sul numero 8 di N u o -va Museologia.

In qualità di presidente del Comitato Italiano, ho avu-to due incontri con il ministro Giuliano Urbani per cerc a-re di concordare una via di finanziamento ufficiale del co-m i t a t o .

Rapporti intern a z i o n a l iIl Comitato Italiano non è stato meno attivo sul fro n t e

dei rapporti internazionali in ambito ICOM.

A questo riguardo voglio ricordare che personalmentenon ho mai mancato a una riunione del Comitato Consul-tivo, spesso accompagnato dal segretario o dal vice pre s i-d e n t e .

Su proposta del Comitato Italiano, elaborata nell’ambi-to del convegno “Abitare la Storia”, tenutosi a Genova dal20 al 22 novembre 1997, la 18° Conferenza Generale (Mel-b o u rne, 9 ottobre 1998) decise l’istituzione del Comitato In-t e rnazionale Historic House Museums (DEMHIST).

Nel 1999 il comitato, nella figura del suo presidente, hapartecipato a Lisbona, assieme ai rappresentanti di Francia,Belgio, Germania, Portogallo e Finlandia, al primo meetingdei comitati dei paesi della Comunità Europea, dedicato alc o n f ronto dei sistemi di formazione professionale nei diversip a e s i .

Membri dell’ICOM ITALIA sono presenti nei b o a rd d e icomitati internazionali DEMHIST, ICME e UMAC; il comita-to è rappresentato nel Network European Museum Org a n i-zation (NEMO). Il Comitato Italiano è entrato a far parte delGruppo Europa dell’ICOM.

L’ICOM ITALIA si è fatto pro m o t o re della creazione del-lo Scudo Blu italiano, la cui istituzione è stata riconosciutae accettata dall’International Committee of the Blue Shield.Su invito della Segreteria Generale dell’ICOM, il pre s i d e n t eha accettato in via pre l i m i n a re di ospitare in Italia il primoconvegno del citato International Committee of the Blue Shield.Si tratta di un avvenimento importante, cui saranno chiamatia partecipare i rappresentanti di tutte le organizzazioni na-zionali dello Scudo Blu, l’International Council on Arc h i v e s(ICA), l’International Council of Museums (ICOM), l’Inter-national Council on Monuments and Sites (ICOMOS), l’In-t e rnational Federation of Library Associations and Institutions(IFLA), l’United Nations Educational, Scientific and CulturalO rganization (UNESCO), e l’International Centre for theStudy of the Preservation and Restoration of Cultural Pro-perty (ICCROM).

Il Comitato Internazionale per la Sicurezza (ICMS) ha de-signato un suo rappresentante per l’Italia. Questi ha colla-borato alla stesura del dizionario plurilingue dell’ICMS M u -seums Security Te rm s, e ha curato l’edizione italiana del giàcitato volume dell’ICMS Manuale per la sicurezza nei mu -s e i. Grazie a questa attività il comitato ICMS ha chiesto dipoter tenere in Italia il proprio convegno dell’anno 2005. L’ICOMI TALIA ha risposto positivamente in via pre l i m i n a re .

Auspico che il presidente che mi sostituirà vorrà ono-r a re questi due impegni assunti, seppure in via inform a l e ,e non vorrà lasciasi sfuggire l’occasione di ospitare un in-c o n t ro importante sul piano dell’organizzazione della tu-tela del patrimonio mondiale e un meeting intern a z i o n a l esu un argomento, quello della sicurezza, che è ormai all’at-tenzione di tutti.

Page 42: N U O V A MU SE OLo iA - air.unimi.it · Nel 2002 fu presentato fuori concorso al Festival di Cannes il film di Alexander Sokurov Arca Russa. Il film è un grande affresco sulla storia

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I C O M

S PA Z I OI C O M

Infine, alcuni miei interventi sono apparsi sull’house or -g a n d e l l ’ I C O M :• 1998 - La valeur économique immaterielle du musée. Nou-velles de l’ICOM, 51(4).• 1999 - La fonction éducative du musée. Nouvelles del’ICOM, 52(3).• 1999 - D E M H I S T. Nouvelles de l’ICOM, 52(4).• 2002 - Le musée-entreprise: à quel prix? Nouvelles del’ICOM, 55(2).• 2003 - Intangible Heritage and Museums. Nouvelles de l’ICOM(in stampa).

R i c e rca sulla diffusione della cultura scientificaIl Ministero dell’Istruzione,

dell’Università e della Ricerca, haa ffidato per gli anni 2002-2003 unp rogetto di ricerca sulla diff u s i o-ne della cultura scientifica nei mu-sei. Scopo del progetto è la do-cumentazione delle attività di dif-fusione della cultura scientifica neimusei italiani ed europei attraver-so la quale poter raccogliere gli stru-menti necessari alla form a z i o n e ,a l l ’ a g g i o rnamento e allo scambioculturale tra gli operatori musea-li. La fase di raccolta dei dati è ter-minata, ed è ora necessario passarealla fase di sintesi e alla stesura del-la relazione tecnica.

C o n c l u s i o n eNon sta a me tirare le somme

dei miei sei anni di presidenza. Miocompito è quello di pro p o r re unasintesi di quanto realizzato, affin-ché i membri dell’ICOM ITALIA trag-gano le loro conclusioni: la pre-sente relazione ha questa finalità.

Tuttavia voglio term i n a re conuna breve considerazione personalesui miei anni di presidenza. Vo g l i ocioè far presente che nel corso di questi anni ho seguito al-cune linee di azione da cui ho cercato di non dero g a re :ho difeso la professionalità del personale dei musei; ho lotta-to contro l’idea che i musei potessero essere diretti da mana-ger o da personale amministrativo non preparato nelle disci-pline scientifiche cui i contenuti del museo si riferiscono; hoc e rcato di oppormi alla dilagante tendenza verso la totale com-m e rcializzazione dei musei e verso la privatizzazione dei mu-sei e della gestione del patrimonio culturale; ho contrastato

l’iniqua ipotesi di alienare il patrimonio culturale pubblico; nonho partecipato, e non ho voluto che l’ICOM partecipasse, aicorsi di aggiornamento professionale e ai master nel campodella museologia e dei beni culturali, della cui qualità vi è spes-so da dubitare e che producono specializzati che il merc a t oitaliano difficilmente è in grado di assorbire; ho invece dife-so le scuole di specializzazione che hanno nel nostro paeseuna lunga tradizione; infine ho cercato di convincere il Go-v e rno che era essenziale mantenere in efficienza le strutturetecniche centrali del Ministero dei Beni Culturali.

È indispensabile che in ogni organizzazione avvengano cam-biamenti periodici del suo gruppo dirigente. L’energia e l’en-

tusiasmo che spingono un pre s i d e n t ead assolvere al meglio la propria fun-zione si attenuano nel tempo e iltestimone deve essere raccolto daaltri che possano pro s e g u i re con nuo-va energia e nuovo entusiasmo: èla forza del sistema democratico. Ilcammino del nuovo pre s i d e n t esarà per forza di cose diff e rente; egliseguirà altre strategie e nuove viedi sviluppo. Tuttavia, se vorrà con-s o l i d a re e aumentare la forza dell’as-sociazione, dovrà mantenere le tra-dizioni acquisite e considerare ilpassato come un bagaglio non so-lo storico, ma anche culturale. Rin-n e g a re il passato, attuare nei con-f ronti della storia precedente unasorta di damnatio memoriae, con-duce in un vicolo cieco, dal qualesolo raramente si riesce a uscire .

Infine un’ultima nota. Ho evi-tato di elencare in questa mia re-lazione le persone e le istituzioni chein questi anni hanno contribuitoalla rinascita dell’ICOM ITALIA e chehanno collaborato al funziona-mento dell’associazione. Io cre d o

che tutti sappiano chi sono e a essi vanno i miei più pro f o n d iringraziamenti. Una sola istituzione ho però il dovere di cita-re: il Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vi n-ci” di Milano, il cui aiuto in questi anni è stato essenziale, peril funzionamento dell’ICOM ITALIA. Al museo, e a tutto il suopersonale, va il mio più caro e affettuoso ringraziamento.

Milano, novembre 2003Giovanni Pinna

Roma, Aula Giulio Cesare al Campidoglio, 24 ottobre 2003.Sessione di apertura della seconda giornata del convegno“Creativity & children's museums” patrocinato dall'ICOMI t a l i a .