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1 Modulo C Fissiamo i concetti La religione è un complesso di atteggiamenti, credenze e pratiche che riguardano potenze soprannatu- rali. È presente in tutte le società fin dalla comparsa dell’homo sapiens. Per Frazer l’originario coincide con il magico; in tal senso la religione fa la sua comparsa in uno stadio più progredito dell’evoluzione umana, raccogliendo l’eredità della magia pur staccandosi da essa. Per gli antropologi la religione è una risposta a: bisogni psicologici bisogni sociali Tylor: la religione nasce per comprendere i sogni, la morte e gli stati di trance. Animismo: credenza nelle anime. Durkheim: la religione deriva dall’esperienza di vive- re in gruppo. Per l’autore l’oggetto di culto è la so- cietà. Freud: la religione appartiene propriamente all’infan- zia della razza umana, è stata una fase necessaria della transizione dall’infanzia alla maturità e ha pro- mosso valori etici che erano indispensabili alla vita sociale. Swanson: la credenza negli spiriti deriva dall’esisten- za di gruppi sociali. Tali gruppi – la famiglia, il clan, il villaggio, lo Stato – sono immortali, poiché continua- no a esistere oltre la vita dei loro membri. Gli spiriti o gli dèi che gli uomini si creano impersonano o rap- presentano i gruppi dominanti della società. Malinowski: riconduce la religione al bisogno uma- no di fronteggiare le situazioni di crisi dell’esistenza umana individuale e collettiva; tra esse, quella con- nessa alla morte.

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Modulo CFissiamo i concettiLa religione è un complesso di atteggiamenti, credenze e pratiche che riguardano potenze soprannatu-rali. È presente in tutte le società fin dalla comparsa dell’homo sapiens.Per Frazer l’originario coincide con il magico; in tal senso la religione fa la sua comparsa in uno stadio più progredito dell’evoluzione umana, raccogliendo l’eredità della magia pur staccandosi da essa. Per gli antropologi la religione è una risposta a:

bisogni psicologici bisogni sociali

Tylor: la religione nasce per comprendere i sogni, la morte e gli stati di trance.Animismo: credenza nelle anime.

Durkheim: la religione deriva dall’esperienza di vive-re in gruppo. Per l’autore l’oggetto di culto è la so-cietà.

Freud: la religione appartiene propriamente all’infan-zia della razza umana, è stata una fase necessaria della transizione dall’infanzia alla maturità e ha pro-mosso valori etici che erano indispensabili alla vita sociale.

Swanson: la credenza negli spiriti deriva dall’esisten-za di gruppi sociali. Tali gruppi – la famiglia, il clan, il villaggio, lo Stato – sono immortali, poiché continua-no a esistere oltre la vita dei loro membri. Gli spiriti o gli dèi che gli uomini si creano impersonano o rap-presentano i gruppi dominanti della società.

Malinowski: riconduce la religione al bisogno uma-no di fronteggiare le situazioni di crisi dell’esistenza umana individuale e collettiva; tra esse, quella con-nessa alla morte.

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Fissiamo i concetti

Il soprannaturale è ciò che travalica i confini dell’ordine naturale.

Forze soprannaturaliMana: qualità o essenza interiore, comune sia agli esseri viventi sia agli oggetti inanimati. Sentimento soggiacente a tutte le forme di religione, spiritualità e magia. Con questo termine primitivo si indica l’esi-stenza nelle cose di qualcosa d’altro dalle cose stesse; è l’aspetto positivo della potenza.Tabù: è una qualità proibitiva attribuita alle cose stesse, è l’aspetto negativo del mana, quello che nasce dalla paura.

Esseri soprannaturaliOrigine umana: fantasmi e spiriti degli antenati.Origine non umana: dèi e spiriti (benigni o maligni).

Marcel Mauss osserva che ogni sistema religioso comporta un’articolazione particolare tra rappresenta-zione, pratiche e organizzazione. Le pratiche religiose variano a seconda dei mezzi e degli specialisti utilizzati per interagire con il soprannaturale.

Anthony Wallace propone una serie di elementi necessari affinché si possa parlare di religione: preghie-ra, musica, esortazione, recitazione di un codice, sacrificio, congregazione, simbolismo ecc. Inoltre, classifica i vari tipi di culto presenti nel mondo: individuali, sciamanici, comunitari, ecclesiastici.

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Fissiamo i concetti

Tutte le religioni si servono di simboli sacri.

Durkheim asserisce che le cose sacre sono quelle che negli esseri umani susci-tano rispetto e timore. Esse sono separa-te da ciò che è profano.

Geertz afferma che i simboli sacri agiscono sulle persone, predisponendole a ricevere la fede, suscitando uno stato di ordine. I simboli suggeriscono ai fedeli una realtà ultima in cui trovare conforto. I simboli, solitamente, vengono invocati nei riti (religiosi o profani) officiati da persone dotate di autorità.

 Il rito consiste in un’azione o in un sistema di azioni che si collocano in una dimensione a parte rispetto a quella quotidiana, la cui sequenza è prestabilita da una formula fissa. Il rito trasferisce sul piano della cultu-ra, rielaborandoli, i momenti salienti dell’esistenza umana. In tal modo l’uomo non si limita a subire gli eventi, ma li trasforma conferendo loro un significato umano. I riti possono distinguersi in religiosi e profani.

Van Gennep analizza il fenomeno dei riti di passaggio (autonomi e non culturali), momenti di svolta della vita umana a livello sia individuale sia collettivo. Presentano sempre la medesima struttura: separa-zione, transizione, riaggregazione.

Turner fa un’analisi della fase centrale del rito detta liminare. In tale fase i soggetti rituali vivono una con-dizione di comunanza sociale e nello stesso tempo di ambiguità, in quanto non sono più ciò che erano ma neanche ciò che saranno.

Magia è la credenza nella capacità di costringere il soprannaturale ad agire in un determinato modo at-traverso varie pratiche. La magia, come la religione, utilizza simboli e riti per realizzare i propri scopi. Se-condo Frazer vi sono più categorie di magia. Gli antropologi hanno inteso la magia come una categoria di confine, in contrapposizione ai concetti di religione e scienza.

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Fissiamo i concetti

Il mito è un racconto tradizionale che narra l’origine di vari aspetti della realtà naturale e umana ma si distin-gue dalle altre narrazioni per la sua stretta relazione con il rito e la religione. L’analisi del mito è l’ambito di studio prediletto dagli antropologi, in quanto con-sente di conoscere la mitologia di un popolo e quindi le sue origini.

L’insieme dei miti di un popolo costitui-sce una mitologia

In base al tipo di narrazione, i miti si distinguono in: cosmologici, escatologici, messianici.

Il racconto mitico è distinto dalle altre narrazioni per una serie di caratteristi-che: tempo ciclico; luoghi impossibili; differenze annullate sia tra esseri che tra le cose visibili e invisibili; antropo-morfizzazione; rottura dell’equilibrio originario.

Per Platone, il mito rimanda al «racconto intorno a dèi, esseri divini, eroi e discese nell’aldilà».

Joseph Campbell

Lo psicologo americano ha comparato i miti di diverse società, individuandone i tratti comuni. Dai suoi studi è emerso che l’eroe ha le seguenti caratteristiche:

— nascita misteriosa e abbandono nei primi anni di vita;— crescita e formazione in un contesto altro da quello originario;— sviluppo e manifestazioni di virtù straordinarie.

Carl Gustav Jung

Lo psicologo svizzero sostiene che il comportamento dell’uomo è frutto dell’influenza esercitata da una serie di simboli e immagini ereditati dagli antenati sottoforma di mito. Tali stereotipi vengono definiti arche-tipi, termine che, più in generale, indica per Jung le forme, i modelli e le immagini primordiali dell’esperien-za universale dell’umanità, presenti nell’inconscio collettivo e in buona parte espressi dalla mitologia.

Georges Dumézil

Lo storico francese individua tre funzioni fondamentali, comuni in tutte le società arcaiche, necessarie a garantire la sopravvivenza della comunità. Esse sono:

— funzione magico-sacrale;— funzione guerriera;— funzione economica.

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Fissiamo i concetti

Émile Durkheim

Esaminando il rapporto tra mito e società, in particolare nelle culture aborigene australiane, l’antropologo francese arriva alla conclusione che i miti nascono come modalità di auto-rappresentazione sociale dell’umanità e del mondo. L’analisi di Durkheim, di chiara impostazione sociologica, si basa sulla convin-zione che i miti sostengono e rinnovano le credenze morali, rafforzando la natura sociale degli uomini.

Bronislaw Malinowski

Il mito è considerato, dall’antropologo polacco, il sostrato dell’agire sociale. All’interno di un determinato contesto, i miti rappresentano una sorta di legittimazione a compiere riti che, altrove, sarebbero privi di senso. Attraverso il mito, inoltre, è possibile cogliere e interpretare l’insieme delle regole etiche e morali su cui è strutturata una determinata società, i codici di comportamento degli individui che ne fanno parte e le disposizioni che ne regolano l’agire pubblico.

Marcel Griaule

Nel corso dei suoi studi sul popolo africano dei Dogon, l’etnologo francese ha individuato nella loro mito-logia una vera e propria cosmologia, ovvero una concezione filosofica del mondo alla luce della quale è possibile comprendere l’organizzazione sociale, rituale ed economica della popolazione. Il mito, in questo caso, diventa il parametro fondamentale per impostare una ricerca antropologica sul campo.

Friedrich Max Müller

Lo studioso tedesco è convinto che la ricerca antropologica debba essere basata sull’analisi filologica del linguaggio proprio del mito. Questa impostazione metodologica deriva dal legame inscindibile che esiste tra la parola e il mondo simbolico che essa esprime. Nel corso dei secoli si è perso il senso originario del linguaggio degli antichi, a causa di quella che Müller definisce «malattia del linguaggio». Egli tenta dunque di risalire al significato primigenio dei termini usati per «raccontare» il mito, allo scopo di cogliere il senso che tali parole avevano per i popoli che le hanno utilizzate.

Claude Lévi-Strauss

Il carattere essenziale dell’analisi del mito per Lévi-Strauss è il mitema, ovvero il più piccolo elemento del mito, l’unità minima che resta riconoscibile, al là delle diverse interpretazioni, come parte saliente della narrazione. L’insieme dei vari mitemi restituisce i tratti originali del mito e ne permette lo studio.

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Fissiamo i concetti

Per religione si intende l’insieme delle credenze e dei riti attraverso cui il singolo individuo o una comuni-tà esprime il proprio rapporto con il sacro. In quanto sistema di valori dotato di regole, la religione condi-ziona la vita dell’uomo.

Le religioni del mondo antico si configurano come:

— etniche: l’appartenenza a una società condizionava la vita religiosa dell’uomo;— politeistiche: nelle quali si adorano contemporaneamente più divinità. Il politeismo è espressione

delle civiltà evolute che conoscevano la scrittura, le specializzazioni, la distribuzione del lavoro; ogni dio è destinatario di un culto, di riti ed è oggetto di una mitologia. In tal senso l’attività di ogni dio ha una sua sfera di competenza. Le divinità del politeismo sono organizzate nel pantheon (dal greco: tutti dèi) un sistema unitario superiore al mondo umano che comprende l’insieme delle divinità di una specifica religione.

Sono politeistiche le religioni degli antichi Assiro-Babilonesi, dei Fenici, degli Egiziani, dei Greci, degli Etru-schi, dei Romani e degli Induisti. Esse sono dette anche mistiche, perché nascono dall’uomo, dalla sua intelligenza e dalla sua fantasia.

Il modello religioso che si diffonde nell’area meso-potamica è quello sumerico tuttavia ogni cultura lo ha rielaborato e adattato col mutare delle esigenze. I Sumeri si reggevano in città-stato la cui fondazio-ne era attribuita a una divinità. In queste città i templi compaiono nella loro forma tipica a terrazza, la ziqqurat. Intorno a essi gravitava la vita della città. Al vertice del pantheon mesopotamico appa-re collocata la triade cosmica (An, Enlil, Enki) se-guita dalla triade astrale (Utu, Nana-Su’en, Inanna). Queste due triadi orientano ed esprimono la con-cezione dell’universo intorno alla quale si sviluppa la vita delle genti di Mesopotamia, anche se, non sono escluse altre forme di divinità (Marduk, Assur) legate alle molte città del territorio. La cultura reli-giosa dei popoli mesopotamici è ben documentata nei suoi poemi più noti: l’Epopea di Gilgamesh e l’En–ma Eliš.

Caratteristiche della religiosità egizia sono: la terri-torialità del culto il cui officiante legittimo era il re mentre il sacerdote eseguiva per delega del re le azioni rituali; la zoolatria che considerava gli animali come manifestazioni della divinità (infatti, quasi tutte le divinità del pantheon egizio presentano qualità zoomorfe: pare che l’animale esprimesse una speci-ficità del dio al quale era associato); la cosmogonia eliopolitana secondo la quale al vertice del mondo divino è posto il sole. Il pantheon dell’antico Egitto è composto da dèi costantemente presenti nel mondo e nella realtà come il sole, il vuoto, il cielo ecc. Il sole Atum (responsabile della creazione) e altri otto dèi formano l’Enneade eliopolitana. L’Ogdoade ermo-politana invece è l’insieme di otto divinità venerate ad Ermopoli nell’Alto Egitto. L’Ogdoade di Ermopoli esprime gli elementi costitutivi del disordine cosmico; l’Enneade di Eliopoli le tappe dell’ordine cosmico.

I Greci

Costruirono il loro universo mitologico sulle basi della precedente civiltà micenea. I documenti più antichi che rivelano la religione della Grecia arcaica sono l’Iliade e l’Odissea di Omero e la Teogonia di Esiodo. Il mondo greco ha una ricchissima mitologia e un pantheon molto popolato. Gli dèi mostrano sembianze e sentimenti umani, la religione non si basa su rivelazioni o dottrine spirituali; anche le pratiche e le cre-denze sono molto varie, prive di un testo sacro e di sovrastrutture formali come il clero. I Greci conside-ravano immortali i propri dèi e ritenevano sia le loro stesse vite sia le manifestazioni naturali interamente dipendenti dal volere divino. Nel periodo della polis la religione ebbe una forte impronta sociale. Data l’assenza di una vera e propria casta sacerdotale toccava ai poeti elaborare e trasmettere i racconti miti-ci. Nella Grecia antica si assiste infatti a una sopravvalutazione del mito a differenza di Roma ove vigeva la centralità del rito.

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Fissiamo i concetti

I Romani

Alla base del loro sentimento religioso non posero il mito ma il rito. Quest’ultimo rappresentava un’azione umana, con il compito di costruire e di amalgamare la collettività civica, ed era strettamente controllato da un corpo sacerdotale pubblico al cui vertice era collocato il Pontefice massimo. Una delle peculiarità del-la religio dei romani è il legame inscindibile con la sfera civile, familiare e socio-politica: quella romana era una religione pubblica. Il culto verso gli dèi era un dovere morale e civico ad un tempo, in quanto solamente la pietas, vale a dire il rispetto per il sacro e l’adempimento dei riti, poteva assicurare la pax deorum per il bene della città, della famiglia e dell’individuo. L’adorazione degli dèi era dovere del buon cittadino: ciò che si dava si riceveva secondo la formula del do ut des. Altre due caratteristiche salienti della religione romana possono essere individuate nel politeismo e nell’estrema tolleranza verso altre re-altà religiose. Una costante fu l’apertura nei confronti di divinità straniere e l’accettazione di nuovi culti specialmente orientali. Contestualmente all’espansione dell’Impero il pantheon romano si andò ar-ricchendo grazie all’importazione di divinità venerate dai popoli con i quali Roma entrò in contatto.

I Celti

Veneravano le forze della natura non solo personificate nelle divinità ma anche in se stesse. La religione celtica si basava su concetti semplici: la reincarnazione, l’immortalità dell’anima, l’amore per la natura, la sacralità di alcune piante. Il pantheon celtico descritto da Cesare annovera varie divinità, al vertice è Mer-curio, ma la sua ricostruzione è alquanto problematica. Delle pratiche di culto non si sa quasi nulla tranne che era ampiamente praticato il sacrificio sia animale sia umano. Proprio per questo i Celti incarnavano l’idea della barbarie e della brutalità presso i Greci e i Romani, anche se, in queste civiltà il sacrificio uma-no che tanto scandalizzava, era praticato ma censurato. I druidi (quelli che hanno grandissimo sapere) erano il centro della religione celtica, una sorta di casta sacerdotale, una élite intellettuale con una valenza politica che consentiva loro di parlare prima dei capi.

I Germani

Occupavano un’area vastissima che spiega la grande varietà delle loro credenze religiose. Il culto dei Germani aveva forme semplicissime. Originariamente non esistevano né templi né sacerdoti. Solo più tardi sembra che sia esistito qualcosa di simile a dei sacerdoti, ma questi non assunsero mai il carattere professionale e semiereditario dei druidi celti. Aspetto importante del culto, che si svolgeva in spazi sacri (spesso boschi), era il sacrificio di animali ma talvolta anche umano. Tacito ha lasciato un’opera intera-mente dedicata alle tradizioni germaniche ma è nel poema scandinavo Edda che si possono conoscere miti ed eroi di questo popolo. Il pantheon era dominato da tre divinità: Tyr, Thor e Odino. Quest’ultimo era la divinità principale, definito padre di tutti; ai suoi ordini stavano le Valchirie.

Ebraismo, Cristianesimo ed Islàm

Sono le tre grandi religioni monoteistiche chiamate spesso religioni del Libro perché le verità rivelate sono consegnate a un libro (rispettivamente: Torah, Bibbia, Corano). Per queste religioni Dio si è rivelato at-traverso i profeti e ha stabilito la sua alleanza con Abramo: primo uomo definito ebreo. Gli ebrei erano un popolo nomade originario della Mesopotamia ai quali era stato promesso dal loro dio Jahvé il possesso della Palestina ove Abramo condusse per la prima volta il suo popolo. Sotto il primo re Saul gli ebrei diedero vita alle prime conquiste; con David il regno d’Israele divenne uno stato etnicamente omogeneo con capitale Gerusalemme. Alla morte di Salomone si formarono due regni: Israele con capitale Samaria e Giuda con capitale Gerusalemme. Quest’ultimo conquistato dai babilonesi di Nabucodonosor visse deportazioni e esilio. L’esilio in Babilonia ebbe fine (Editto di Ciro) quando i persiani conquistarono la città. La Giudea passò poi dalla tutela persiana a quella greca quando Alessandro Magno entrò a Gerusalem-me. La Torah e la Bibbia furono tradotte in greco.

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Fissiamo i concetti

Roma cominciò a far sentire la sua influenza. Pompeo marciò su Gerusalemme e conquistò il paese. Erode divenne governatore di Galilea. L’attesa della liberazione e della venuta del Messia diventò una componente della storia ebraica. Essa si accentuava nei momenti di crisi.L’ebraismo designa la storia e la cultura ebraiche nei loro aspetti non solo etico- religiosi ma anche etni-co-politici. Il contributo culturale principale offerto dalla cultura ebraica all’umanità è l’idea dell’unicità e universalità di Dio: il monoteismo. Da Abramo in poi Dio è riconosciuto dagli ebrei e poi anche da cristia-ni e musulmani come il Dio vivo, personale e unico. Molti storici ritengono che la necessità di riconoscere un solo Dio divenne più forte per gli ebrei sotto la dominazione straniera come risposta di un popolo con-tinuamente sottoposto al rischio della dispersione.La parola Dio deriva da una parola indo-europea di-dhi: splendore; da cui il latino deus: luce, visione, vita. Dio come nome comune è principio di conoscenza di vita. La tradizione ebraica è l’unica che dà un nome proprio al suo Dio: Jahvé (io sono). La parola rivelazione, invece, secondo gli studiosi delle religioni si-gnifica: svelamento, togliere il velo, comunicazione di qualcosa di inaccessibile all’uomo per mezzo di una potenza superiore. Nella tradizione ebraico-cristiana è l’insieme delle parole e degli atti con cui Dio ha manifestato se stesso e il suo piano di salvezza per gli uomini attraverso i profeti, Cristo e gli apostoli. La parola rivelata, Dio la fa emergere dalla esperienza concreta di un popolo a un momento preciso della sua storia.Per l’Islam la rivelazione divina è stata trasmessa al profeta Maometto tramite l’Arcangelo Gabriele.Le ininterrotte peripezie del popolo di Israele mantennero viva l’attesa del Messia. I profeti avevano an-nunciato più volte la liberazione attraverso un mediatore come possibilità concreta di redenzione del mondo, nel tempo concreto della storia. Per gli ebrei, Messia (in ebraico unto, consacrato) era un titolo regale dato ai profeti, ai re. Il Messia venne poi da alcuni riconosciuto in Gesù. Gesù significa: «è sal-vezza». Egli visse in Palestina al tempo di Tiberio e morì sotto Ponzio Pilato. Quando iniziò a annuncia-re la venuta del Regno di Dio solo una piccola parte del popolo di Israele lo seguì e vide in lui il Messia atteso. I vari gruppi religiosi: Sadducei, Farisei, Esseni, Zeloti, Sicari impegnati nella liberazione dal giogo romano si scontravano spesso tra loro. Dopo la morte di Gesù i suoi discepoli lasciarono a poco a poco l’ebraismo per dar vita a un movimento che avrebbe portato al cristianesimo. Le persecuzioni a opera di Pilato provocarono una rivolta degli Zeloti contro Roma che distrusse Gerusalemme e fece una carne-ficina di ebrei.

La Bibbia

Il termine Bibbia deriva da biblìa: libri; da byblos: papiro, il materiale usato nell’antichità per la scrittura. Essa si può definire una biblioteca di libri.I primi scritti biblici risalgono al 1200 a.C. e si completano verso il 100 d.C. La Bibbia è la memoria di come Dio ha accompagnato la storia umana. Chi è Dio si apprende vedendo come agisce (teologia), chi è l’uomo si vede da come agisce nel concreto della quotidianità storica (antropologia). Fin dall’antichità la Bibbia, come parola rivelata da Dio, è ritenuta sacra, pur in modo diverso, da ebrei e cristiani; per i mu-sulmani, la Bibbia è un autorevole libro sacro al quale Maometto si ispirò per dettare ai suoi segretari le sure (capitoli) del Corano. Corano, letteralmente significa lettura, recitazione. Esso è il testo sacro della religione dell’Islam e con la Sunna costituisce le fonti del pensiero islamico.Il Talmud (apprendimento, dottrina) dopo la Bibbia è uno dei testi sacri dell’ebraismo, raccoglie commen-ti e materiali tradizionali ebraici. Il Talmud si compone di due parti: Mishnah e Gemarah; ed è tramanda-to in due versioni: babilonese e palestinese. A seconda del contenuto le trattazioni si distinguono in: Ha-lakhah e Haggadah (parte normativa dei comportamenti dell’uomo; parte narrativa). La vita quotidiana degli ebrei è regolata da una serie di precetti precisi tra cui: la preghiera del sabato e la circoncisione, fondamentali per la religione ebraica insieme al rispetto delle festività solenni.Le cerimonie di culto fondamentali per i cristiani sono riconosciute nell’eucarestia e nel battesimo. I principali precetti musulmani sono invece indicati nei cinque pilastri.

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Fissiamo i concetti

La Bibbia ebraica comprende la parte più antica, cioè i libri scritti prima di Cristo, che noi oggi chiamiamo Antico Testamento (alleanza) si divide in: Pentateuco, Profeti, Scritti. Il Pentateuco è la Torah (inse-gnamento di Dio) la Rivelazione per eccellenza, fonde insieme storia e legge. La tradizione ebraica ritiene Mosè suo autore o ispiratore-protagonista. I suoi cinque libri costituiscono la documentazione più antica del popolo ebraico e la sua guida per millenni. La chiave per capire il Pentateuco è il concetto di Alleanza: Dio stabilisce un’alleanza con Noè (garanzia dell’ordine naturale) con Abramo (popolo eletto, promessa di una terra e discendenza) con Mosè (Decalogo, struttura legislativa). Il profetismo ebraico è un fenomeno unico nella storia religiosa dell’umanità. I profeti (16 nell’Antico Testa-mento) sono uomini che per vocazione parlano in nome di Dio, vivono le vicende sociali e politiche e sono la coscienza critica del loro tempo.Il Cristianesimo avvertì l’esigenza di dare una nuova interpretazione della Bibbia ebraica alla luce del nuo-vo evento messianico.La Bibbia cristiana aggiunge a quella ebraica i libri scritti dopo Cristo, cioè il Nuovo Testamento sud-diviso in: Vangelo redatto da quattro evangelisti e gli Atti degli Apostoli, le Lettere dette apostoliche, l’Apocalisse.

Il Cristianesimo

Fondatore del cristianesimo è un profeta ebreo di nome Gesù. Con la parola cristianesimo si intende oggi la tradizione storica, le istituzioni e la dottrina proprie al movimento religioso iniziato da Gesù. Per il credente questo fenomeno è l’effetto di una rivelazione e di una incarnazione divina, compiutasi nella persona di Cri-sto. Gesù negli ultimi tre anni della sua vita si diede alla predicazione, insieme a un gruppo di discepoli conducendo una vita contraddistinta dal celibato e dalla povertà. Il Vangelo (dal greco buona novella) an-nunciato da Gesù ai Giudei era un messaggio di salvezza dal male e dal peccato e di amore verso Dio e gli altri uomini. La vita di Gesù fu segnata da azioni straordinarie come guarigioni e esorcismi e dalla libertà nei confronti delle istituzioni che lo portò allo scontro con il potere sia giudaico sia romano. Fu condannato dai Giudei per bestemmia in quanto si identificava con Dio; dai Romani per lesa maestà in quanto lo accusava-no di volersi sostituire a Cesare. Subì il supplizio della crocifissione in occasione della solenne Pasqua ebrai-ca ma dopo tre giorni risorse dimostrando così la sua origine divina. Forti di questo i discepoli iniziarono a parlarne come del Messia tanto atteso. La diffusione del cristianesimo fu rapida. Per quanto concerne i rapporti con l’impero romano, il cristianesi-mo vi entrò in conflitto. Il culto religioso dell’impero romano aveva un carattere pubblico, il cristianesimo con la sua fede monoteistica non riconosceva la natura divina degli imperatori; proclamava un Dio universale. Le persecuzioni contro i cristiani da sporadiche divennero ufficiali e durarono oltre tre secoli. Le cose mutarono con l’Editto di Costantino che pose fine alle persecuzioni religiose, proclamò la neutralità dell’Im-pero verso qualsiasi fede e privilegiò il cristianesimo rispetto al paganesimo che era stata la religione ufficia-le dei precedenti imperatori. A mano a mano che le comunità cristiane si andavano strutturando sotto la giuda di vescovi (dal lat. sorve-gliante) venivano distinte sempre più le dottrine rette da dottrine non tali. Si fecero strada così i concetti di ortodossia (retta opinione) e di eresia (scelta, opinione deviante). Le eresie proliferarono nei primi secoli del cristianesimo sia in oriente che in Occidente.Il cristianesimo medievale vide la vasta diffusione e l’affermazione di comunità monacali, movimenti, ordi-ni monastici e ordini mendicanti. Si può affermare che il protagonista spirituale di questo lungo arco di tem-po fu il monachesimo: una particolare forma di vita che sottende isolamento e separazione all’interno della società (monaco significa appunto solitario). Il monachesimo altomedievale fu influenzato dal modello bene-dettino. Già nell’età vedica e brahmanica erano diffuse alcune forme di vita monastica (buddhismo, giainismo).Lo Scisma divise la cristianità tra Chiesa orientale bizantina (ortodossa) e Chiesa occidentale (cattolica). Le questioni alla base della frattura: la decisione del pontefice romano di sottomettere i patriarchi; l’inse-rimento del filioque nel credo niceno. Tale espressione latina significa «e dal figlio» e deve la sua impor-tanza al fatto di essere stata aggiunta dalla Chiesa cattolica al testo del credo niceno. Tale aggiunta fu condannata come eretica dal patriarca di Costantinopoli e fu una delle ragioni dello Scisma.

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Fissiamo i concetti

Il cristianesimo non è stato sempre esente da limiti e contraddizioni. I cristiani hanno abusato della propria autorità religiosa per imporsi sulle coscienze; hanno stretto alleanze col potere politico; hanno fatto guer-ra a «infedeli» e mandato al rogo eretici e riformatori; hanno combattuto guerre fratricide tra eserciti cri-stiani; hanno preteso di cristianizzare nuovi popoli esigendo conversioni di massa.Il caso delle Crociate è emblematico in tal senso: «guerra santa contro gli infedeli». Esse furono in realtà la prima esperienza di colonialismo cristiano da parte della chiesa cattolico-romana. Esigenze di riforma percorrono tutta la storia del cristianesimo. La Riforma di Lutero sfidò l’autorità della Chiesa. Lutero qualifica la sua teoria d’azione in tre asserti: sola fide; sola gratia; sola scriptura. La Riforma fu un movimento ampiamente diffuso in Europa che portò alla formazione di diversi tipi di protestantesimo.Un discorso a parte va fatto per l’anglicanesimo.Lo Scisma d’Inghilterra fu impostato dal sovrano. La sua rottura con Roma fu dettata da ragioni politiche e personali e non teologiche. Il re fu dichiarato «capo supremo in terra della Chiesa inglese» che affermò la sua autonomia da Roma. La Controriforma invece fu un movimento che nacque all’interno della Chie-sa cattolica per arginare le posizioni eretiche e le devianze dottrinali prodotte dalla riforma protestante. In Italia operava dal 1542 il tribunale dell’Inquisizione.

Le religioni dell’India

I Veda Opere di primaria importanza presso quel differenziato insieme di dottrine e credenze religiose che va sotto il nome di induismo, i Veda furono composti dai rishi, i saggi dell’antica India e tramandati oralmente dai guru, i maestri. Le raccolte dei Veda ri-salgono a circa 1500 anni prima di Cristo. La letteratura vedica comprende la più vasta tradizione scritta conosciuta. Essa contiene informazioni su tutto, oltre a dram-mi, racconti, biografie di santi e saggi, complessa filosofia e semplici lezioni di etichet-ta. I versi seguono rigorose regole di arte poetica e di metrica.

Le Upanishad Le Upanishad costituiscono la parte conclusiva dei Veda; al pari di essi hanno un carattere religioso-culturale ma presentano anche un carattere fortemente specula-tivo che ha ispirato tutta la filosofia indiana. In origine diverse migliaia, ne rimangono 200 ma quelle più considerate sono 108. Trasmesse per via orale solo a persone che fossero autorizzate a riceverne gli insegnamenti solo nel 1656 vennero messe per iscritto. Elemento di continuità delle Upanishad sono i concetti di Brahman (l’Uno) e Atman (il vero sé) i due nomi della verità, due prospettive di un’unica realtà.

Brahamanesimo Con il termine brahamanesimo gli storici delle religioni intendono la religione dell’India generatasi intorno alle Upanishad, un sistema di pensiero religioso-filosofico che costituisce il fondamento della religione induista.Il passaggio dal vedismo al brahamanesimo corrisponde nel tempo alla sostituzione delle figure sacerdotali coinvolte nei riti sacrificali fino ad arrivare alla supremazia del bramino che occupa la casta più alta.Concetti tipici del brahamanesimo sono: il Dharma (ciò che ciascuno ha il dovere di fare); il Karma (su cui si basa la dottrina della reincarnazione); il Brahman ( l’Uno e il Tutto; la coscienza cosmica) e l’Atman («la scintilla di infinito in noi»; la coscienza individuale.

Induismo Induismo vuol dire insegnamento eterno; è una tra le più antiche e principali religioni del mondo. Oggi è la terza religione più praticata dopo il cristianesimo e l’islam. Esso più che una singola religione si può considerare come una serie di correnti religiose, devozionali, metafisiche e filosofiche che hanno in comune un nucleo di valori e cre-denze, anche se interpretano la tradizione in modo diverso. L’induismo non è una religione monoteista ma nemmeno politeista: le divinità adorate sono tutte le manife-stazioni diverse di un unico Dio; è dunque una religione enoteista («un dio». Viene venerata in particolar modo una singola divinità senza tuttavia negare l’esistenza di altri dèi). Le principali divinità sono: Brahama, Vishnu e Shiva. La speculazione induista ha sempre riconosciuto il valore della sapienza racchiusa nei Veda.

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Fissiamo i concetti

I principi fondamentali e comuni alle maggiori sètte induiste sono: la fede nella legge cosmica (Dharma), la reincarnazione (Samsa–ra), il ciclo causa-effetto dell’azione (Karma), la liberazione e la trascendenza (Moksha), ottenute attraverso la devozione (Bhakti), l’azione individuale (Karma) e la Conoscenza (o illuminazione – Jñana). La religione induista è dunque una ricerca e una conoscenza di sé, una ricerca del sacro in ogni individualità.

Jainismo Si affermò in India nel VI secolo a. C., basata sugli insegnamenti di Mahavira. Non si contempla un solo Dio ma varie divinità. La conoscenza delle Scritture, la fede nella dottrina, un’etica di ascesi e di non-violenza ne costituiscono i capisaldi. I pilastri della condotta jainica sono costituiti da tre facoltà: la retta fede, la retta conoscenza, la retta condotta. Per giungere alla liberazione finale cioè al nirvana bisogna essere in possesso delle tre facoltà.La spiritualità jainista si basa sul rispetto attivo nei confronti di ogni singola vita, ani-male o vegetale, che è divina e sacra e contiene un’anima individuale eterna. Ne deriva che la condotta del Jaina sia estremamente rigorosa nell’osservanza del ve-getarismo, del pacifismo, della tolleranza, della protezione delle creature, dell’altruismo. Il divino, il sacro, è nella vita, anzi è la vita stessa. Nel jainismo non vi sono sacerdoti, gerarchie o intermediari.

Buddismo Il buddismo ha origine in India nel VI secolo a. C. un’epoca di significativi muta-menti sociali e di ripensamento religioso con la predicazione di Siddha–rtha Gauta-ma ossia Buddha. Con il Discorso di Benares ha inizio la dottrina buddista che si apre con l’idea della «via di mezzo». Buddha riconosce che la retta condotta risie-de nella linea mediana di condotta di vita evitando sia gli eccessi e gli assolutismi, sia il lassismo e l’individualismo. Il discorso espone le Quattro nobili verità frutto della esperienza di illuminazione di Buddha. Esse contemplano l’aspetto pratico della condotta di vita e della pratica spirituale buddista. La prima nobile verità vede nel dolore un problema cruciale: tutto è transitorio quindi tutto è dolore; la secon-da e la terza nobile verità mettono in luce l’origine del dolore e lo identificano in un’eterna sete di vivere che affonda le radici nel desiderio e nell’ignoranza ed è causa di rinascita; la quarta nobile verità indica il cammino che conduce alla libe-razione; è l’Ottuplice Sentiero: retta fede, retta decisione, retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retto ricordo, retta concentrazione.L’insegnamento del Buddha si propone come un cammino verso la verità da verifi-care con l’esperienza personale fondata sulla pratica. Egli predicò una dottrina mira-ta all’estinzione (Nirvana) come gioia ineffabile.Fra i testi più antichi del buddismo si annoverano i cosiddetti canoni il cui nome de-riva dalla lingua in cui sono scritti; le sue correnti, interpretazioni e indirizzi sono mol-teplici e estremamente complesse sia all’interno dell’India sia fuori di essa.

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Fissiamo i concetti

Le religioni della Cina

Taoismo Il taoismo (letteralmente «insegnamento del Tao» che significa «via, modo di condursi, sistema) affonda le radici nell’antica cultura cinese. Venne fondato da Lao Tzu che visse nel VI secolo a. C. Egli espose le sue dottrine nel Tao Te ching. Il Tao è l’origine di ogni cosa, la fonte da cui tutto deriva, si manifesta nell’universo e nella natura; il Te è la virtù, la potenza ossia la manifestazione del Tao. Il Tao dà l’esistenza alle cose, il Te dà loro la diversità. La via taoista afferma che la realizzazione della sapienza è nel-la non azione; assecondare i processi naturali, lasciarsi agire spontaneamente in ar-monia con la natura, la mente distaccata dagli affanni del mondo, evolvendo in sinto-nia col mutare del mondo. Il taoismo vivrà sempre rapporti di ambiguità con il potere dello Stato in quanto manterrà nei suoi confronti una posizione critica. La visione di salvezza del taoismo è illuminata dall’ideale dell’immortalità considerata come una sorta di conquista da ottenere attraverso le pratiche per nutrire lo spirito e il corpo.

Confucianesimo Confucio, contemporaneo di Lao Tzu, diede vita in Cina a quella corrente di pensiero conosciuta come confucianesimo o scuola dei letterati. Confucio considerava il suo messaggio come una «trasmissione» di valori dimenticati. Il pensiero confuciano pone l’uomo nella sua realtà di essere sociale; è una ricerca sull’uomo, sulle virtù che esal-tano la natura sacrale della sua azione nella società. In Cina la classe colta che gover-nava lo stato seguiva la dottrina e l’etica confuciane mentre le comunità rurali si esprimevano attraverso il taoismo. Il concetto di yin e yang, presente in entrambi gli orientamenti dottrinali, suggerisce che tutto il mondo manifestato si regge su questi due principi opposti ma interdipendenti. Tutto è legato in un unico sistema di azioni e di reazioni reciproche, l’ordine morale e l’ordine naturale, il naturale e il soprannatura-le, il mondo vivente e il mondo inanimato, il mondo umano e il mondo sovrumano. Lo yin e lo yang sono i principi la cui azione concorrente costituisce l’ordine umano e l’ordine naturale. Confucio insegna che il raggiungimento della virtù si ottiene attraver-so l’autocontrollo e che l’uomo, prima di ricercare dio, deve conseguire educazione e autoeducazione in seno alla famiglia, alla società civile e allo Stato.

Le religioni del Giappone

Shintoismo Lo shintoismo o semplicemente Shinto che significa «la via degli dei» è una religione nativa del Giappone che prevede l’adorazione dei Kami (gli dèi) che sono entità so-prannaturali che si rivelano nella natura, negli animali e nell’uomo. L’esperienza religio-sa shintoista è animata dall’idea di un legame identitario fra divino e umano. Le anime degli antenati morti, purificati dai riti alla memoria proteggono la famiglia lasciata sulla terra. La fede shinto santifica tutti gli aspetti della vita terrena nella certezza che spiri-to e materia sono fusi insieme e nella speranza di una salvezza raggiungibile in questo mondo. La prassi religiosa quotidiana si traduce spesso in una ricerca della felicità pratica e personale che valorizza innanzitutto i benefici in terra: la salute, il benessere economico, la riuscita nel lavoro, l’armonia nelle relazioni sociali. Lo shintoismo venne proclamato religione ufficiale del Giappone e nel 1868 la sua combinazione con il buddismo venne resa illegale. Nel 1957 la Costituzione ha messo la religione shintoista sullo stesso piano delle altre confessioni ma essa non ha mai smesso la sua caratte-ristica di forte impegno sociale.