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la Scuola guarda al 2000 di Giovanni Gozzer Il conto alla rovescia Non c'è dubbio che questa data «2000» ci affascina e ci turba allo stesso tempo. Non certo che faccia immaginare possibili le co- sternate angosce del millenarismo medioe- vale, con le vere, o alquanto romanzate, tur- be di flagellanti. Una data che ha come sua anticipazione-ouverture l'esposizione in- ternazionale di Tsukuba potrà evocare robot e viaggi steli ari, non certo mostri della notte della ragione dormiente. Ma un certo fasci- no misterioso questa data, comunque, lo suscita. E non fa meraviglia che molti occhi di «speculatores» del futuro imminente sia- no ad essa rivolti. In effetti non c'è solo di mezzo un «numero perfetto», multiplo di dieci; come doppio del suo cubo, bene o male, significativo punto di riferimento nell'ordine della nostra datazione rispetto all'ambiguo anno zero; c'è un tornante della storia umana, che si colloca proprio in questo ventennio di vigi- lia; che cambia radicalmente la «condizione esistenziale» degli esseri viventi sul piane- ta, nel gioco complesso dei rapporti tor- mentatissimi fra potenza, diversità, con- traddizioni. Potenza mai conosciuta nel «lungo corso» e oggi giocata su due fronti opposti (contraddizione) in nome della reci- proca diversità. Che genera nuove e conti- nue contraddizioni: fra un progresso quasi illimitato di alcune parti del globo e l'arretra- tezza delle altre; tra la ricchezza di beni e di alimenti (oltre che di materiale voluttuario) di una parte e la fame dell'altra; quasi che questa seconda fosse la condizione inelimi- nabile per assicurare la prima. E, nello sfon- do, questa data «2000» che appare e scompare come nelle insegne luminose ad intermittenza, anche se non suscita le ap- prensioni del biblico «mane-techel-fares». Sta di ' fatto che il nostro Pierino accolto in un'aula primaria allo scattare del suo sesto compleanno, avrà raggiunto nel 2000 quel- la che una volta era la maggior età, anticipa- ta oggi quasi ovunque di tre anni: anche se curiosamente la maggior età anagrafica ha corrisposto generalmente ad una «minori - tà» scolastica, dato il prolungamento gene- ralizzato dei periodi di «vita col banco», vec- chio o nuovo modello modemizzato. Chi sarà questo Pierino? Come uscirà da quella che i sessantottini chiamavano l'impastatri- ce della conservazione sociale, la scuola? Che oggi cerca affannosamente nuove e di- verse dimensioni, in un «turbillon» di pro- gettazioni innovatrici o riformative. La mag- gior parte dei nostri «speculatores» di cose scolastiche è calamitata, in questo tentati- vo di individuazioni da quell'ago magnetico che è l'informatica, il moderno alfabeto che dovrà sovrastare allo stabilimento delle nuove programmazioni. Anche se qualche dubbio sull'esclusivismo di queste infatua- zioni è più che legittimo. Forse è meglio guardare quel che succede in un mondo in cui le distanze sono abolite, in cui migliaia di «uomini del sud» si sposta- no verso il Nord (anche se non con quella specie di invincibile armata di boat people che nel romanzo di Jean Raspail «II campo dei Santi» invade le coste meridionali della Francia); in cui le vecchie scuole francesi alla Jules Ferry si riempiono di arabi magh- rebini e le colonie compatte di figli di lavora- tori turchi mettono a prova le capacità di far- ne dei normali einwohner del pianeta scola- stico tedesco. Di società come quella italia- na, con 2 milioni di disoccupati anagrafici e un milione di clandestini stranieri che li sostituiscono nella mano d'opera «man- cante». Eppoi, il trattamento delle diversità non si li - mita agli aspetti etnici e alle polemiche sul «razzismo» (touche pas b mon pote) ma in- veste ben altri problemi di ideologia, di reli- gione, di comportamenti sessuali più o meno accettati o respinti, di lingue e di cul- ture. La croisée de chemins, il grande snodo autostradale degli incroci multipli agisce come fattore esplosivo dei vecchi modi di interpretare le istituzioni scolastiche e i ri- spettivi ruoli; e tutto questo si sovrappone alla innegabile «rivoluzione delle comunica- zioni» ormai in atto. A queste situazioni si ha l'impressione che vengano date risposte non certo prive di va- lore, ma largamente insufficienti e insoddi- sfacenti. Basta richiamare il ritomo «all'eti- ca della democrazia», come fanno gli esten- sori del manifesto di «Paideia» negli Stati Uniti? Basta un bel ricupero dell'é/itisme re- pubblicain come fa il ministro francese del- l'educazione Jean-Pierre Chevènement? Temo di no. Disegno di una ragazza finlandese di 8 anni. " v, .. \ e. Comunque le pagine di questo sommario rapportino sul modo in cui, a diverse latitu- dini e con diverse stelle polari come punto di riferimento, si guarda ai problemi scolastici (ed educativi, ma non è la stessa cosa) in prospettiva « 2000» tenteranno di far luce (magari con la semplice tor cia a pila sempre necessaria in caso di black out) sul come si affronta oggi la questione del bimillennio per quanto riguarda «l'idea di scuola». Le prime ((esplorazioni" del futuro pianeta scuola Dalla scadenza 2000, data attomo a cui ruota questa ricerca, ci separano oggi quin- dici anni; siamo perciÒ a distanza ravvicina- ta, per noi e per il nostro immaginario Pieri- no, alunno di prima elementare, ottobre 1985. Ma i primi perlustratori di questo «fu- turibile scolastico» si sono già mossi da tempo, un pd come i Pioneer astronautici. Alle «sfide dell'anno 2000» aveva già dedi- cato un volume, scritto da 33 illustri «spe- culatores», l'organizzazione dell'Unesco, il titolo del libro che raccoglie appunto i con- tributi dei «saggi» è piuttosto allarmato: «Suicidio o sopravvivenza?» Il panorama è vasto, abbraccia tutti i dannati problemi di un pianeta sconvolto da crisi d'ogni ge- nere". Guardando a questa molteplicità di proble- mi con il cannocchiale un pd modesto dei primi anni '70 (il libro appare nel 1972 e rac- coglie i vari apporti alla conferenza a table ronde promossa dall'attuale accademico di Francia Jean D'Omesson) notiamo subito che il tema «scuola educazione» non è ri- masto estraneo ai dibattiti. A quasi apertura di libro ci si imbatte subito nel testo di Buckminster Fuller, ingegne- re-tecnologo americano dal titolo un pd provocatorio «1t (pi-greco, o 3.14) e il trionfo dell'intelligenza». Dice l'inventore della vol- ta geodesica, riferendosi egli pure a un im- maginario Pierino 2000, che questo nuovo virgulto della società altamente tecnologiz- zata «sarà più informato, disporrà di una 3

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la Scuola guarda al 2000 di Giovanni Gozzer

Il conto alla rovescia Non c'è dubbio che questa data «2000» ci affascina e ci turba allo stesso tempo. Non certo che faccia immaginare possibili le co­sternate angosce del millenarismo medioe­vale, con le vere, o alquanto romanzate, tur­be di flagellanti. Una data che ha come sua anticipazione-ouverture l'esposizione in­ternazionale di Tsukuba potrà evocare robot e viaggi steli ari, non certo mostri della notte della ragione dormiente. Ma un certo fasci­no misterioso questa data, comunque, lo suscita. E non fa meraviglia che molti occhi di «speculatores» del futuro imminente sia­no ad essa rivolti. In effetti non c'è solo di mezzo un «numero perfetto», multiplo di dieci; come doppio del suo cubo, bene o male, significativo punto di riferimento nell'ordine della nostra datazione rispetto all'ambiguo anno zero; c'è un tornante della storia umana, che si colloca proprio in questo ventennio di vigi­lia; che cambia radicalmente la «condizione esistenziale» degli esseri viventi sul piane­ta, nel gioco complesso dei rapporti tor­mentatissimi fra potenza, diversità, con­traddizioni. Potenza mai conosciuta nel «lungo corso» e oggi giocata su due fronti opposti (contraddizione) in nome della reci­proca diversità. Che genera nuove e conti­nue contraddizioni : fra un progresso quasi illimitato di alcune parti del globo e l'arretra­tezza delle altre; tra la ricchezza di beni e di alimenti (oltre che di materiale voluttuario) di una parte e la fame dell'altra; quasi che questa seconda fosse la condizione inelimi­nabile per assicurare la prima. E, nello sfon­do, questa data «2000» che appare e scompare come nelle insegne luminose ad intermittenza, anche se non suscita le ap­prensioni del biblico «mane-techel-fares». Sta di 'fatto che il nostro Pierino accolto in un'aula primaria allo scattare del suo sesto compleanno, avrà raggiunto nel 2000 quel­la che una volta era la maggior età, anticipa­ta oggi quasi ovunque di tre anni: anche se curiosamente la maggior età anagrafica ha corrisposto generalmente ad una «minori­tà» scolastica, dato il prolungamento gene­ralizzato dei periodi di «vita col banco», vec­chio o nuovo modello modemizzato. Chi sarà questo Pierino? Come uscirà da quella che i sessantottini chiamavano l'impastatri­ce della conservazione sociale, la scuola? Che oggi cerca affannosamente nuove e di­verse dimensioni, in un «turbillon» di pro­gettazioni innovatrici o riformative. La mag­gior parte dei nostri «speculatores» di cose scolastiche è calamitata, in questo tentati­vo di individuazioni da quell'ago magnetico che è l'informatica, il moderno alfabeto che dovrà sovrastare allo stabilimento delle nuove programmazioni. Anche se qualche dubbio sull'esclusivismo di queste infatua­zioni è più che legittimo.

Forse è meglio guardare quel che succede in un mondo in cui le distanze sono abolite, in cui migliaia di «uomini del sud» si sposta­no verso il Nord (anche se non con quella specie di invincibile armata di boat people che nel romanzo di Jean Raspail «II campo dei Santi» invade le coste meridionali della Francia); in cui le vecchie scuole francesi alla Jules Ferry si riempiono di arabi magh­rebini e le colonie compatte di figli di lavora­tori turchi mettono a prova le capacità di far­ne dei normali einwohner del pianeta scola­stico tedesco. Di società come quella italia­na, con 2 milioni di disoccupati anagrafici e un milione di clandestini stranieri che li sostituiscono nella mano d'opera «man­cante». Eppoi, il trattamento delle diversità non si li­mita agli aspetti etnici e alle polemiche sul «razzismo» (touche pas b mon pote) ma in­veste ben altri problemi di ideologia, di reli­gione, di comportamenti sessuali più o meno accettati o respinti, di lingue e di cul­ture. La croisée de chemins, il grande snodo autostradale degli incroci multipli agisce come fattore esplosivo dei vecchi modi di interpretare le istituzioni scolastiche e i ri­spettivi ruoli; e tutto questo si sovrappone alla innegabile «rivoluzione delle comunica­zioni» ormai in atto. A queste situazioni si ha l'impressione che vengano date risposte non certo prive di va­lore, ma largamente insufficienti e insoddi­sfacenti. Basta richiamare il ritomo «all'eti­ca della democrazia», come fanno gli esten­sori del manifesto di «Paideia» negli Stati Uniti? Basta un bel ricupero dell'é/itisme re­pubblicain come fa il ministro francese del­l'educazione Jean-Pierre Chevènement? Temo di no.

Disegno di una ragazza finlandese di 8 anni.

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Comunque le pagine di questo sommario rapportino sul modo in cui, a diverse latitu­dini e con diverse stelle polari come punto di riferimento, si guarda ai problemi scolastici (ed educativi, ma non è la stessa cosa) in prospettiva «2000» tenteranno di far luce (magari con la semplice torcia a pila sempre necessaria in caso di black out) sul come si affronta oggi la questione del bimillennio per quanto riguarda «l'idea di scuola».

Le prime ((esplorazioni" del futuro pianeta scuola Dalla scadenza 2000, data attomo a cui ruota questa ricerca, ci separano oggi quin­dici anni; siamo perciÒ a distanza ravvicina­ta, per noi e per il nostro immaginario Pieri­no, alunno di prima elementare, ottobre 1985. Ma i primi perlustratori di questo «fu­turibile scolastico» si sono già mossi da tempo, un pd come i Pioneer astronautici. Alle «sfide dell'anno 2000» aveva già dedi­cato un volume, scritto da 33 illustri «spe­culatores», l'organizzazione dell'Unesco, il titolo del libro che raccoglie appunto i con­tributi dei «saggi» è piuttosto allarmato: «Suicidio o sopravvivenza?» Il panorama è vasto, abbraccia tutti i dannati problemi di un pianeta sconvolto da crisi d'ogni ge­nere". Guardando a questa molteplicità di proble­mi con il cannocchiale un pd modesto dei primi anni '70 (il libro appare nel 1972 e rac­coglie i vari apporti alla conferenza a table ronde promossa dall'attuale accademico di Francia Jean D'Omesson) notiamo subito che il tema «scuola educazione» non è ri­masto estraneo ai dibattiti. A quasi apertura di libro ci si imbatte subito nel testo di Buckminster Fuller, ingegne­re-tecnologo americano dal titolo un pd provocatorio «1t (pi-greco, o 3.14) e il trionfo dell'intelligenza». Dice l'inventore della vol­ta geodesica, riferendosi egli pure a un im­maginario Pierino 2000, che questo nuovo virgulto della società altamente tecnologiz­zata «sarà più informato, disporrà di una

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somma di conoscenze assai più ricca; inol­tre si sarà emancipato dai riflessi che in­combono sull'adulto di oggi, sarà in grado di utilizzare assai meglio di lui l'informazione disponibile». Insomma qui il Pierino pi­greco è un ragazzo assai più «matematizza­to. del Pierino!70; fuoruscirà da una serie di condizionamenti che sui suoi antenati, an­che prossimi, hanno pesato abbondante­mente. Riconosco che non mi sono molto chiari quei «c.ondizionamenti» cui sotto­stiamo noi padri e nonni del Pierino-pi­greco: ideologici? religiosi? etnico-razziali? etico-sociali? Quali che siano, innegabil­mente molti «tabù» delle passate genera­zioni o sono caduti o stanno per fare la fine delle mura di Gerico. Va detto, tuttavia, che l'esplorazione del li­bro dell'Unesco e dei 33 saggi convenuti alla sua tavola rotonda era stata in parte an­ticipata dal libro di un notissimo astronauta del futuro, Alvin Toffler; il libro, apparso nel 1970, si intitola «Lo choc del futuro»; e del futuro, appunto, vuoi esser un'esplorazione effettuata anche accettandone la carica di impatto sconvolgente che esso contiene. Che cosa conterrà la cartella scolastica del piccolo «Pierino dello choc», secondo Alvin Toffler? «Tante cose che adesso non ci sono» risponde ToffIer, e mancheranno al­tre che invece oggi ci sono, visto che l'am­biente del nostro «Pierino dello choc» è de­stinato a una rapida scomparsa. Pierino sarà invece in condizione di capire di più e meglio la natura, di interpretare i ritmi dell'e­voluzione (id est del cambiamento rapido), giocando le sue capacità sulla molteplicità

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delle previsioni possibili e delle ipotesi, an­che a distanza rispettabile, identificabili e formulabili; il tutto, comunque, in un quadro di futuro sempre meno prevedibile; un'inter­pretazione, questa, alla quale anche i suc­cessivi libri di Toffler (in particolare «Lear­ning for Tomorrow») sono rimasti abba­stanza fedeli 2,.

cdmparare il futuro" dal Club di Roma Proprio negli ultimi anni '70 fu il Club di Roma, il prestigioso gruppo scientifico in­ternazionale fondato da Aurelio Peccei nel 1968, che si ripiegò sui problemi scolasti­co-educativi nella dimensione del futuro. Il Club aveva già raggiunto notorietà e presti­gio internazionale con quel rapporto di stu­diosi di vari Paesi che si intitolò dlimiti dello sviluppo»3' nato dal lavoro del «System Dynamics Group» del MIT (L'Istituto tecno­logico del Massachusset). Un rapporto che segnò, si può ben dire, la nascita dei movi­menti ecologici del mondo e diede al fonda­tore del Club di Roma una meritatissima fama di «interprete del mondo di domani e dei suoi bisogni». Dopo avere pubblicato altri cinque rapporti su vari temi, tuttavia sempre rotanti attorno all'intuizione fondamentale dei «Umiti», il Club di Roma intraprese una esplorazione coraggiosa (temeraria, qualcuno disse) an­che del pianeta educazione e delle sue orbi­te probabili. A stendere il rapporto, intitolato «No limits to leaming» (<<Imparare il futuro» nell'edizione italiana) furono tre 6quipes im­pegnate in un lungo pluriennale lavoro, con­dotto separatamente ma periodicamente verificato in riunioni comuni. Dei tre gruppi uno (diciamo il gruppo «occidentale») era diretto da James W. Botkin, specialista USA di sistemi universitari; il gruppo dell'Europa orientale era guidato da Mircea Malitza, cat­tedratico e accademico romeno, oltre che ex-ministro dell'educazione in quel paese; infine per il mondo arabo-islamico lavorava il gruppo di Mahdi Elmandjra, dell'Università di Rabat (Marocco), per lunghi anni collabo­ratore dell'Unesco. Le tre équipes avrebbero dovuto, nelle intenzioni dei dirigenti del Club di Roma, offrire una prospettiva «percorribi­le» del mondo scolastico in una realtà in cui confluissero ordinatamente le preoccupa­zioni dei tre mondi intellettuali (e in parte ideologici) che ciascuno di essi espri­meva4,.

Fatta la consueta diagnosi negativa dei si­stemi scolastici attuali, comunque strut­turati e ovunque collocati (<<scolarizza­zione inadeguata; uso passivo dei massme­dia; concezione addattiva dell'apprendi­mento, incapacità di anticipare le modifica­zioni dell'ambiente f isico e naturale») il rap­porto passa alla parte propositiva, riesami­nando i problemi globali dell'energia, della comunicazione, dell'identità culturale, del confronto armato: l'accento viene posto sul fattore umano più ch.e sulla crescita econo­mica. Ora in questa diversa prospettiva ap­prendimento e realtà dell'essere umano (che non sono dati materiali di crescita rap­porta bile a cifre di PNB) sono la chiave del

futuro dell'uomo. L'apprendimento da «do­tazione» di singolo individuo diventa fatto di società (<<societalleaming»). E come può una società imparar~ a.confrontarsi con una crisi energetica; come potrà «leggere» un ambiente energizzato; come le diverse pos­sibili opzioni possè!no esser anticipatamen­te bloccate o tenute aperte al fine di costrui­re le «istituzioni necessarie» e fissare leggi e norme indispensabili per una situazione di montante domanda e cessanti risorse? Ecco allora la ricetta del Club di Roma: lear­ning by Shock, imparare sotto l'impatto choccante delle situazioni. L'apprendimen­to non è, alla fine, se non il processo che prepara la disponibilità ad assumere com­portamenti corrispondenti alle situazioni nuove con cui occorre confrontarsi. Tradotta in termini di politiche scolastiche reali la ricetta del Club di Roma è tuttavia fallimentare: il quadro sociologico ed ecolo­gico può anche essere corretto. La risposta istituzionale è, alla fine, inesistente.

La svolta degli anni'80: riformare non basta Proprio nella prima fase degli anni 'BO appa­riva negli USA il libro di Torsten Husén «The school in question»51 col sottotitolo assai eloquente di «Studio comparativo sulla scuola e sul suo futuro nelle società occi­dentali». Husén era stato nei due preceden­ti decenni uno dei massimi esponenti del ri­formismo scolastico svedese e occidentale, sia per il suo ruolo sia nell'orientare le rifor­me scolastiche svedesi, sia per la partecipa­zione al dibattito educativo nell'ambito dei grandi organismi internazionali. Husén rico­nosce che i due trascorsi decenni sono stati caratterizzati da una fiducia quasi mistica nelle possibilità delle istituzioni scolastiche di risolvere gli immani problemi sociali posti dall'incalzante industrializzazione, dai nuovi modelli di struttura sociale, dal progresso tecnico e scientifico. L'idea che la scuola potesse essere flthe great equalizer., la grande uguagliatrice delle condizioni uma­ne, 'ricuperando ai singoli ciò che carenze pregresse di situazioni e ambiente potevano aver loro tolto, si era a poco a poco venuta dissolvendo. Husén stesso nota come ci si trovi ormai di fronte ai sintomi di un malessere diffuso in tutti i sistemi formativi, ad un atteggiamen­to sempre più critico nei riguardi delle scuo­le come istituzioni; in più dilagano gli atteg­giamenti negativi dei giovani, insoddisfatti delle loro scuole; e allo stesso tempo le arie di crisi che spirano ovunque riducono dra­sticamente i fondi destinati all'educazione. Sulla scuola sono precipitate contese scien­tifiche di cui essa finisce per essere il «cor­pus vile» incapace di reagire in proprio; come quella dei rapporti fra eredità e am­biente; fra intelligenza nativa e capacità ac­quisite; fra eguaglianza reale e opportunità formative; fra prestazioni scolastiche, valu­tazioni e loro valore obiettivo; fra scuola e possibilità di occupazione; fra momenti di­dattici e passaggi da questi alla vita attiva. Husén non dà risposte a tutti questi proble­mi; li elenca e li consegna a coloro che negli

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anni '80 dovranno mettere mano al «gover­no delle istituzioni scolastiche., con mag­gior realismo e con un più moderato ottimi­smo. In fondo la diagnosi di Husén può davvero segnare la svolta degli anni 'SO in materia di atteggiamenti nei confronti della scuola: al­l'idea che bastassero le crescenti leve di iscritti alla secondaria e all'università o che fossero sufficienti i grandi piani finanziari di sviluppo per assicurare nello stesso tempo il progresso sociale e quello scolastico su­bentra una riflessione critica, il cui significa­to ultimo è quello di mettere in questione «la qualità. del t ipo di educazione scolasti­ca fornito ai vari strati di popolazione. Quali­tà contro quantità. Ma è solo questo il pro­blema?

La scuola americana: un pericolo per la Nazione? Il vero choc, tuttavia, non viene né dal rap­porto del Club di Roma, né da quello di Hu­sén (noto anche come rapporto Aspen, dal nome dell'Istituto che commissionò il lavoro allo studioso svedese); viene da un fascico­letto di poche pagine, consegnato al presi­dente degli USA Ronald Reagan il 23 aprile 1983 da una Commissione che aveva lavo­rato per quasi due anni su questo tema: «Excellence in Education»; tradotto in sol­doni: come ottimizzare il lavoro scolastico. Nominata dal ministro Terence Beli e com­posta di un team di 18 cervelli, coordinati sotto la presidenza di D.P. Gardner rettore della California University, la commissione aveva prodotto un rapporto sconvolgente solo a leggerne il titolo: «A nation at risk: the imperative for educational reform •. Senso del messaggio al presidente degli USA: o si cambia radicalmente questo tipo di scuola o la nazione americana rischia lo sfascio. Essa non prepara né buoni cittadini, né apprezzabili cervelli, né capaci professio­nisti61 • C'è più trito lo· in queste trenta paginette di rapporto che in una santabarbara militare. La scuola non può esser la sede della perdi­ta di tempo, del «piatto che piace a me» (la tavola calda); del disimpegno e della non­valutazione all'insegna del «tutti promos­si»; la scuola è anche impegno, studio, pro­fitto, disciplina. È capacitazione professio­nale degli insegnanti, senza appiattimenti salariali che premiano solo gli ignoranti e gli svogliati. Di qui le raccomandazioni finali al Presi­dente: a) Niente menu a scelta delle materie, ma un programma minimo obbligato nei quat­tro anni terminali di scuola secondaria 14-18; e cioè inglese, matematiche, scienze naturali e f isiche; scienze sociali, lingua straniera; con le facoltative a scelta, d'ac­cordo. b) Scuole secondarie e col/eges adottino standard di misurazione e valutazione del profitto rigorosi e verificabili. c) Tomare coraggiosamente, in tutti gli or­dini di scuole, ai «basic», alle materie fonda­mentali cioè. al leggere-scrivere-contare. Si prolunghi la giornata scolastica se occorre;

si prolunghi l'anno scolastico se necessario; ma i «fondamenti» (basics) vanno appresi.

d) Bisogna che la professione docente sia più qualificata, e anche più rispettabile; con incentivi economici differenziati, eventual­mente.

e) Siano gli stessi cittadini a scegliere le persone in grado di realizzare questi obietti­vi, assicurando la necessaria capacità di di­rezione per raggiungerli, anche accettando l'idea di aggravi fiscali ed economici neces­sari a questo fine.

Che il «rapporto dei 18» fosse uno choc per l'opinione pubblica americana, richiamata un po' brutalmente alla realtà, dopo essersi cullata nell'idea che la buona scuola fosse quella dei numeri e delle statistiche quanti­tative, non quella della qualità, era il meno che ci si potesse aspettare.

L'Istruzione secondaria sotto radiografia Quasi contemporaneamente alla Commis­sione Gardner lavorava un'altra Commissio­ne, sponsorizzata dalla «Carnegie Funda­tion for the advancement of teaching». Si trattava di un gruppo presieduto da Ernest L. Boyer, rettore della «State University» di New York. L'assai più ponderoso rapporto prodotto dalla Commissione sulla «High School» (la scuola secondaria in America) apparve qualche mese dopo 71 il rapporto Gardner. Il fondamentale obiettivo del rapporto, una volta constatata la crisi innegabile del siste­ma secondario americano, è quello di dimo­strare che il problema non si risolve attraver­so la fuga dal pubblico al privato; ma me­diante una riqualificazione del sistema pub­blico. Senza tale «riabilitazione» ogni sforzo per fronteggiare il futuro sarà sterile. «II successo dell'istruzione secondaria e il futuro del Paese sono legati l'uno all'altro inequivocabilmente; e senza un impegno di fondo nei confronti della scuola pubblica il nostro futuro è senz'altro messo a repenta­glio». Le constatazioni sono amare, nella si­tuazione attuale: i risultati e i livelli scolastici si sono abbassati paurosamente; gli esiti dei test finali sono in analogo declino. Inse­gnanti che sarebbe eufemistico chiamare impreparati sono protetti dalle armature di ferro dei sacrosanti diritti (sindacali) e i si­stemi scolastici sono ormai appannaggio di una degenerante burocrazia. C'è da meravi­gliarsi se non si sa più quali sono gli obiettivi della scuola? Le ricette, owiamente, non sono diverse da quelle della Commissione Gardner; il futuro non si affronta solo con chiacchiere sociologiche o formule egalita­ristiche vaghe; occorre «produrre saperi e conoscenze ».

Orientarsi per il 2000 Sul versante francese fin dal 1973 Maurice Reuchlin, direttore dello «Istituto interna­zionale di studi sul lavoro e di orientamento professionale» (Parigi) aveva pubblicato un libretto nella collezione SUP delle Presses Universitaires de France 81 dal t itolo «L'en­seignement de l'an 2000». Il lavoro di

Reuchlin, per la verità, non abbracciava tan­to il campo delle trasformazioni globali della scuola nel suo muovere verso la scadenza fatidita, quanto piuttosto t rattava alcuni aspetti rilevanti; in particolare quello dell'o­rientamento. D'altro canto questo suo con­tributo si collocava nei lavori di riflessione che dal 1968 erano stati awiati nel quadro dell'iniziativa «Piano Europa 2000» pro­mossa dalla «Fondazione europea della Cultura» e sostenuta dal «Consiglio d'Euro­pa». Il quadro del lavoro della fondazione era assai più ampio e non considerava i soli aspetti scolastici (peraltro largamente pre­senti in molti contributi dei professori Janne e Georis soprattutto) ma quelli più vasti del tessuto socio culturale. In questo suo saggio Reuchlin affronta la fondamentale questione dei rapporti tra scuola e orientamento; che per lui non può né esser affidato al mitico e mitizzato «computer», né abbandonato al generico tram-tram dei vecchi centri orientativi. La tesi di fondo di Reuchlin è quella di un'inte­razione necessaria tra Scuola e Società (scritte entrambe con la maiuscola). Ma il problema è proprio quello dei modi in cui tale interazione si realizza. E qui siamo an­cora, purtroppo, più nella nebulosità delle ispirazioni che nella concretezza delle possi­bilità reali.

Scuola 2000 dal periscopio intemazionale All'appuntamento della scuola con l'anno 2000 ha dedicato un suo volumetto l'Orga­nizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), puntando i riflettori in

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particolare sulla scuola di base: «l'ensei­gnement obligatoire face à l'évolution de la société»91. L'analisi, dice il risvolto di coper­tina, evidenzia le grandi tendenze dell'istru­zione obbligatoria e i problemi con cui essa deve confrontarsi per effettuare le scelte necessarie da qui al 2000. Redatto sulla base di una quindicina di rap­porti nazionali rielaborati da tre esperti (Bruegelman, Eggleston, Kallen) e assom­mato dai funzionari dell':prganizzazione con i dati statistici, il rapporto risulta assai meno ottimistico delle consuete elaborazioni del­l'OCSE. Finito l'entusiasmo lievemente acri­tico per la grande espansione scolastica: il sistema scolastico appare ora con i suoi ele­menti negativi assai piÙ in rilievo, denunciati quasi ovunque; le «ingiustizie sociali» do­vute al sistema non sono affatto scompar­se; metodi nuovi e miglioramenti qualitativi sono urgenti; troppi giovani escono dalla scuola senza avere potuto realmente svilup­pare le loro «attitudini latenti». E a tutto questo si sovrappongono le restrizioni fi­nanziarie che colpiscono le scuole. l'ineffi­cienza è quasi ovunque conclamata: alunni che escono dalla scuola senza saper legge­re e scrivere; una generazione di disadattati, scontenti e indisciplinati, con la prospettiva del lungo parcheggio nella disoccupazione. La lista delle recriminazioni è interminabile. L'ottimismo obbligato degli organismi inter­nazionali sembra prendere tuttavia il so­pravvento. In realtà, dice il Rapporto, vi sono scuole che hanno trovato la giusta

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strada e altre no. Le prime sono quelle «che fissano norme giudiziose; che dispongono di insegnant i esemplari; che abituano i loro allievi alla soddisfazione del lavoro e asse­gnano loro compiti di responsabilità; in cui le condizioni generali sono buone e le lezioni sono ben condotte». Il vago, purtroppo, re­sta sempre vago.

Il gruppo ceEducazione 2000" (Gran Bretagna) e la scuola di domani Il gruppo «Educazione 2000» è definito dai s\.loi membri (dodici come gli apostoli) un' Associazione educativa volontaristica. Sorta in Inghilterra, nell'ambiente universi­tario vicino a Cambridge, l'Associazione ha come suo obiettivo l'analisi dei sistemi edu­cativi, le problematiche del cambiamento e «la prospettiva 2000 in campo educativo». Nel 1983 i responsabili dell'organismo han­no promosso una conferenza sul tema «Educazione 2000. svoltasi al Westfield College di Londra con la partecipazione di una sessantina di esperti studiosi e osser­vatori. Risultato dell'incontro, suddiviso in nove gruppi di lavoro, ciascuno dei quali produsse autonomamente un suo docu­mento, è il libro pubblicato dalla «Cambrid­ge University Press» dal titolo «Education 2000» (sotto titolo: Documento consultivo sulle ipotesi per l'educazione nel 2000); cu­ratori responsabili Bryan Thwaites e Chris Wysock-Wright 10I• I «nove testi» riguarda­no rispettivamente: la società del 2000; l'e­ducazione continua; le tappe della vita; for­mazione, abilità e cambiamento; l'istituzio­ne scuola; scelta, impegno, cambiamento in età 6-18 anni; educazione postscolastica; meccanismi del cambiamento; la sfida del cambiamento. Ognuno dei nove testi si conclude con un certo numero di racco­mandazioni, raccolte in brevi proposizioni. Sarebbe forse esagerato dire che queste proposte ci introducono negli spazi vestibo­lari dell'imminente scadenza millenaria. Re­datti da uomini di scuola (cattedratici e di­rettamente impegnati nei servizi scolastici) questi testi riassumono il meglio della «ra­zionalità auspicabile» nel prefigurare la scuola, i suoi metodi e le sue strutture; ma si tratta di buona pedagogia del presente più che di una coraggiosa perforazione del futuro; il cui traguardo è tuttavia sempre in­combente nelle pagine del fascicoletto che raccoglie questi contributi.

Il manifesto di cePaideia" 8 il futuro dell'educazione Sponsorizzato dalla «Fondazione G. e O. Mc Arthur» (USA) e sviluppatosi attomo al­l'Istituto per la ricerca filosofica, il «Gruppo Paideia» ha come suo ispiratore e guida Mortimer J. Adler; e raccoglie numerose personalità del mondo culturale scientifico ed educativo americano con sigla non de­nominazionale (politicamente) e con l'obiet­tivo dichiarato di occuparsi della scuola «come strumento di crescita dell'individuo e di progresso della società». Il voi umetto

programmatico «Le proposte di Paideia - Un manifesto per l'educazione» 111 è apparso a New York (Edizioni Mac Millan) nel 1982. Dopo poco ha visto la I\-Ice.in traduzione ita­liana (Armando 1985; Roma), con una inte­ressante introduzione di Salvatore Valitutti. Anche se manca nell'intestazione del «ma­nifesto» quel richiamò alla sigla 2000 che caratterizza gli altri documenti di cui questa piccola rassegna si occupa, è innegabile che esso si pone sulla stessa traiettoria ed esprime le stesse preoccupazioni. E fa da ottima anticipazione e cassa di risonanza alla «Nazione in pericolo» di Ronald Rea­gan. Forse la figura della storia pedagogica ame­ricana che riemerge in modo più nitido da questo progetto è quella di Horace Mann, «founding father» della scuola americana: il quale affermava nulla esser più temerario che fondare una democrazia senza un alto livello di educazione. I quattro principi che dal manifesto si pos­sono desumere si potrebbero cosI enuncia­re: tra eguaglianza delle opportunità in edu­cazione e qualità della medesima non dè necessariamente antitesi; la miglior «edu­cazione per tutti» è « 'educazione per il me­glio»; più che alunni «irrecuperabili» ad un processo didattico esistono scuole incapaci di assicurare un buon insegnamento; la scuola è la pista per una vera democrazia. Anche il manifesto di «Paideia», ovviamen­te, si conclude con il suo insieme di propo­ste che questa volta è proprio un decalogo. Dei tre tipi di insegnamento (didattico, per­sonalizzato, socratico) cui corrispondono tre tipi di apprendimento, nessuno deve aprioristicamente esser escluso. La deter­minazione dei livelli di profitto deve stimola­re il raggiungimento dei risultati didattici; non confondere il curriculum scolastico con le attività extracurricolari; eliminare dal cor­so di studi le materie facoltative, salvo la scelta libera della lingua straniera; ripristina­re l'uso dei compiti domestici, con impegno progressivamente crescente; curare l'edu­cazione prescolastica e istituire corsi di ricu­pero. Il progetto, dice l'introduzione del «manife­sto», viene proposto a tutti coloro che nu­trono serie preoccupazioni per il futuro della scuola pubblica (genitori, insegnanti, ammi­nistratori, imprenditori, lavoratori, sindacali­sti, responsabili militari, cittadini che vota­no). Ma qui ci sembra che stia il vero proble­ma. " «traguardo 2000» non potrebbe pro­prio esser quello che mette in crisi, forse de­finitivamente, quell'idea di scuola pubblica che da due secoli caratterizza le nostre so­cietà? Il nodo odierno della sua stessa so­pravvivenza è quel rapporto fra Scuola e Stato che appariva semplice fino a che lo Stato era entità amministrativa super partes (almeno nelle intenzioni). Reggerà ancora una «scuola pubblica» in uno Stato che o diventa totalmente ideologico (ed allora è la Scuola ideologica dello Stato ideologico); o è attraversato da forti spinte e caratterizza­zioni ideologiche; e in tal caso difficilmente garantisce quel «non engagement» (per non usare la vieta parola neutralità) che del-

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la scuola pubblica deve esser la caratteristi­ca. Il problema non si risolve né con la buo­na pedagogia né con la buona didattica.

Contributi italiani alla prospettiva 2000 Sul versante italiano dell'esplorazione 2000 troviamo due volumi apparsi quasi contem­poraneamente e tuttavia distanti quasi di anni luce l'uno dall'altro. Il primo «La scuola italiana verso il 2000» 12' raccoglie gli atti del Convegno promosso a Roma, dicembre 1983, dalla Casa Editrice «La Nuova Italia». Il secondo, int itolato «Incontro sul futu­ro» 13' è analogamente una raccolta di con­tributi apportati «da tutte le regioni della realtà sociale ed economica» al «Convegno sul futuro», organizzato a Milano, nel marzo 1984, dalla Confederazione generale del­l'industria. Cominciamo dal primo dei due «missili esplorativi». AI convegno di Roma non hanno partecipa­to esclusivamente figure del mondo peda­gogico; e ci si poteva quindi attendere un quadro forse più ricco di ipotesi e di «visua­lizzazioni del futuro». Dalle quasi 700 pagi­ne del grosso volume si ricava tuttavia l'im­pressione più di una soltanto occasionale giustapposizione di contributi che di un ten­tativo di penetrazione «oltre il sipario». La li­sta dei nomi è senza dubbio imponente: da Asor Rosa a Papi, da Sorge a Forcella, da Bemardini a Castelnuovo; oltre owiamente a tutto lo staff pedagogico-universitario (da Vertecchi, curatore degli atti, a Laporta, a Bertin a Laeng ecc.). In totale quasi un centi­naio di contributi, su cui impendono tutte le ambiguità della vita italiana e le incertezze delle sue prospettive culturali. Il proposito di chi ha organizzato il convegno-monstrum era quello di tentare «un progetto di scuola che superi le angustie del presente e sia ca­pace di interpretare la rapidità delle trasfor­mazioni della vita culturale e sociale». Ma si ha l'impressione che i grandi interrogativi siano rimasti o senza risposta o con risposte lievemente «retro». Quale cultura dovm so­stenere l'attività di formazione? Quale pro­getto di scuola e per chi? Come insegnare e come apprendere? Sarebbe difficile cavare elementi precisi da un materiale quasi ster­minato, validissimo per singoli contributi, ma altrettanto indecifrabile nel suo insieme. Dell'incontro confindustriale invece, chiara­mente proiettato sull'economico sembra dover citare due contributi: quello di Giu­seppe Pittau S.J. sul modello scolastico giapponese nei suoi rapporti con l'impresa; e quello di Umberto Colombo su «Profes­sionalità e successo del futuro». Del testo Colombo sembra opportuno cogliere que­sto messaggio, lanciato verso la scuola: «La richiesta di professionalità va in direzio­ne opposta a quella di una categorizzazione precisa e statica dei mestieri, professioni, attività. La richiesta sarà rivolta piuttosto ad esprimere la capacità culturale di gestire at­tività singole e complesse, comunque esse si associno o mutino. La professionalità do­vrà allora diventare un metodo col quale af­frontare culturalmente la complessità e il mutarsi del lavoro. »

Francia: il Rapporto del "Collège de France" L'idea del presidente della Repubblica fran­cese François Mitterand di affidare ai «qua­si immortali», comunque prestigiosissimi, membri dello storico «Collège de France» il compito di redigere «à son intention» un Rapporto sul futuro della scuola (<<Proposi­tions pour l'enseignement de l'avenir>>) è stata senza dubbio allo stesso tempo indo­vinata e originale. Il «Collège de France», fondato nel 1530 da re Francesco I, è un consesso di studiosi al più alto livello che «leggono» (nacquero come «reali lettori») quel che producono nella loro ricerca; hanno ascoltatori, ma non allievi (non vi sono né diplomi né titoli); è, si potrebbe dire, l'Universitas del sapere puro e disinteressato per eccellenza. AI nobile consesso il presidente francese ha chiesto, in questo tormentatissimo periodo conflit­tuale, in cui la scuola «pubblica» sembra travolta da insanabili dissensi su tutti i fronti (della libertà, dei fini, dei contenuti, delle modalità) di esprimergli la voce della sag­gezza passata coniugata alla distaccata vi­suale del presente e soprattutto del futuro 14'.

La risposta è stata data al committente nel marzo 1985 con un succoso documento (poco più di una ventina di cartelle) in cui i «saggi» esprimono le loro convinzioni. Che, occorre dirlo, sono largamente aperte e an­ticipatrici e in cui sono confluite sia le posi­zioni, diciamo, più avveniriste, sia quelle più prudenti ed equilibrate. Il «Collège» traduce il pensiero dei suoi membri in materia di scuola in nove principi. Eccoli:

• un insegnamento armonico deve saper coniugare l'universalismo del pensiero scientifico e il «relativismo» delle scienze umane;

• occorre riconoscere la diversificazione delle varie forme di intelligenza, abbando­nando la prospettiva monistica e le catalo­gazioni gerarchizzate;

• la scuola non emette verdetti; non è suo compito né consacrare il successo, né pe­nalizzare a vita l'insuccesso; deve offrire molte chances;

• il conflitto «pubblico-privato», Stato­Libertà, deve far luogo a un pluralismo isti­tuzionale autonomo e diversificato;

• i contenuti dell'insegnamento devono es­ser periodicamente riveduti e aggiornati, in­troducendo il «moderno senza moderni­smi»;

• in t utte le scuole dovrebbero esser defini­te le conoscenze comuni necessarie il cui principio unificatore dovrebbe essere il con­testo storico;

• tra la fine della vita scolastica e l'inizio della vita attiva non deve esserci disconti­nuità; l'educazione continua è la vera rispo­sta al bisogno di continuità e aggiornamen­to, anche con alternanze;

• le tecniche moderne di diffusione della cultura (televisive e telematiche) siano lar­gamente introdotte nelle scuole;

• le scuole dovrebbero aprirsi alle collabo­razioni esterne; e soprattutto dovrebbe es­ser rafforzata l'autonomia dei corpi inse­gnanti.

Un «piano 2000», come si vede, non privo di grandi ambizioni. E che tocca i punti caldi del problema. Se nell'86 andranno al potere le forze di centro non avranno un'eredità fa­cile; mettere a punto le proposte dei «sag­gi» sarà anche una grossa sfida politica.

La scomparsa dell'infanzia Ci sembrerebbe incompleta, questa pano­ramica, se non si facesse cenno, prima di chiuderla, agli aspetti di un dibattito origina­le che in questi ultimi mesi è precipitato dal mondo culturale americano su quello italia­no ed europeo sull'interrogativo: esiste an­cora l'infanzia? Ad aprirlo è stato, nel 1982, Neil Postman, studioso americano, di professione «scon­volgitore di idee statiche», col suo libro pro­vocatorio intitolato «La scomparsa dell'in­fanzia» 15'. La sua tesi è innegabilmente ar­dita. È stata la società moderna a «inventa­re» l'infanzia (un po', si direbbe seguendo Le Goff, come fu il Medio Evo a «inventare» il Purgatorio). E a costruirla. La stampa prima, nel lungo periodo di incubazione dei suoi ef­fetti sul contesto sociale; poi la scuola ele­mentare obbligatoria, l'addestramento, l'in­segnamento formale, la letteratura infantile hanno contribuito a creare uno «spazio del­la vita» ben distinto e caratteristico, in fon­do libero, distaccato e «riposante», nella fase preparatoria alla «traversata della vita».

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Maestri e scolari.

Tutto questo, ecco la tesi di Postman, è ca­duto; l'infanzia non dè più: la vita è tutta «adulta», salvo le due estremità di una pue­rizia iniziale e rapidissima e di una senilità spesso precoce. E chi è «l'assassino» del­l'infanzia? Per Postman non dè dubbio; è la televisione, o meglio l'insieme dei mezzi elettronici di comunicazione. L'idea dell'in­fanzia, dice Postman, non viene dal biologo, ma dal sociale; essa è una delle grandi in­venzioni dell'età rinascimentale, forse la più «umanistica». Insieme ai concetti di scien­za, di stato-nazione, di libertà religiosa, quello dell'infanzia si è venuto formando e arricchendo dal secolo XVI ai nostri giomi ... A questo punto Postman avanza le sue ipo­tesi sui modi in cui i nuovi mezzi di comuni­cazione influenzano i processi di socializza­zione. Seguendo piste che richiamano i modi di ricerca di Marshall Mc Luhan, anche Postman stabilisce un raccordo antitetico fra la stampa (che crea lo spazio infanzia) e i mezzi elettronici di comunicazione che ne determinano la scomparsa. \I discorso a questo punto ci porta lontano e può appari­re estraneo alla presente ricerca sui «challe­gers» del futuro scolastico. Invece dè una relazione strettissima, forse sfuggita anche ai più avvertiti di questi esploratori. Se lo spazio infanzia il scomparso, perché do­vrebbe ancora sopravvivere la scuola, che in fin dei conti era un pd lo strumento ratifi­cato di titolarietà condominiale con questo spazio, in rapporto alla società adulta 7 Per­ché non dovrebbe modificare le sue conno­tazioni?

l'illusorio e il possibile: quasi una conclusione Vorrei concludere questa scorribanda tra i vascelli esplorativi «del 2000 nella scuola» con un breve riferimento ad un libro non strettamente esplorativo nel senso anzidet­to e tuttavia estremamente legato alle pro­blematiche che tale esplorazione suggeri-

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sce. Il libro è di Roger Girod, professore di sociologia all'università di Ginevra e si inti­tola .. Politiche dell'educazione: l'illusorio e il possibile» 16).

Il libro di Girod è, in certo senso, destruttu­rante di molte certezze non verificate, colle­gate a due fondamentali interrogativi. Anzi­tutto se sia vero e dimostrabile che l'espan­sione dei sistemi scolastici determini effetti­vamente una miglior ripartizione sociale di quella forma di potere che è il sapere. In se­condo luogo se questa espansione dia luo­go realmente ad un innalzamento medio della cultura e della competenza della popo­lazione al cui beneficio la scuola si propone di operare. La ricerca di Girod si muove pertanto lungo quattro piste:

• stabilire l'effettivo rapporto fra sistema espanso di istruzione e crescita del livello reale di istruzione, media e individuale;

• verificare in quale misura il sapere indivi­duale dipenda dall'istruzione scolastica, dall'ambiente sociale o da altri fattori;

• individuare l'effettivo valore di scambio dei titoli e diplomi scolastici in una società ad alto livello di espansione scolastica;

• analizzare il significato reale del prolunga­mento della durata delle scolarizzazioni e dei principi di democratizzazione scolastica.

Risposte definitive non ce ne sono, almeno sul piano dell'indagine e della verifica dimo­strabile. C'è una sola constatazione possibi­le: andare verso il 2000 con il «sacco delle illusioni» è più pericoloso che accettare rea­listicamente la lezione del «contesto possi­bile». Ma non dè dubbio che il vero problema, at­torno a cui ruoterà il dibattito nei prossimi anni, sarà quello del rapporto tra la Scuola e lo Stato: quella che l'ultima ondata degli uo­mini politici francesi chiamano la «decolo­nizzazione» della scuola dal protettorato statale. Nessuno ha espresso queste preoc­cupazioni meglio del deputato centrista

francese Alain Madelin nel suo recentissi­mo libro «Liberare la scuola dallo Stato» 17),

pubblicato sull'ond~ (R.una lunga polemica che aveva già trovato le sue premesse nel­l'altro libro della ex-ministro dell'educazione francese Alice Saunier Séité: «Rimettere lo Stato al posto suo» 18). Non dè dubbio che, al traguardo 2000, la scuola dello Stato po­trebbe anche esser la vittima illustre della società postindustriale.

Giovanni Gozzer

Note

1) UNESCO: Suicide ou survle? Les d6fls del'an 2000; Ed. Unesco, colleedon .. Actuel.; Paris, 1972, pagg. 216. 2) TOFFLER ALVIN: Future Shock; Random House, New Vorl<. 1970; trad. italiana .. Lo choc del futuro» ; Rizzoli, Milano 1971. Dello stesso au­tore è citato il libro Leaming for Tomorrow, Rim­dom House, New Vorl<, 1972. 3) Club di Roma: I limiti dello sviluppo, Rapporto dello S.D.G. del MIT sui dilemmi dell'Umanità; Edi­zioni scientifiche e tecniche Mondadori, Milano, 1972, pagg. 160. 4) Club di Roma: Imparare il futuro - Apprendi­mento e Istruzione; Settimo Rapporto del Club di Roma; Edizioni scientifiche e tecniche, Mondado­ri, Milano, 1979, pagg. 146. 5) HUSÉN TORSTEN: The SchooIln Question; A comparetive study of the School and Ita Futu­re in Western Societies; Oxford University Press, Oxford, 1979, pagg. 182. 6) National Commission on Excellence in Educa­tion: A Nation et Rlsk - The Imperative for Educa­tional Reform; U.S. Printing Office, Washington, 1983, pagg. 64. 7) BOVER ERNST L: High School - A Report on Secondary Education in America; Harper and Row, New Vork, 1983, pagg. 364. 8) REUCHLlN MAURICE: L'enseignement de l'an 2000; Presses Universitaires de France, Paris, 1973, pagg. 120. 9) OCDE: L'ensalgnement obllgetoire fece A 1'6-volution de la société - Les choix d'icl A l'an 2000; OCDE, Paris, 1983, pagg. 164. 10) Education 2000: A consultetive document on hypoth_ for education In AD 2000; Cam­bridge University Press, 1983, pagg. 94. 11) ADLER MORTIMER J.: The Paideia Proposel for an Educational Manifesto; Mac Millan, New Vork, 1982; traduzione italiana edizioni Armando, Roma, 1985 ("II progetto Paideia»). 12) La scuola italiana varso il 2000; a cura di Be­nedetto Vertecchi; editrice la nuova Italia, Firen­ze, 1984, pagg. 672. 13) Confindustria: Incontro sul futuro - AttI del Convegno; Edizione del Sole - 24 Ore, Milano, 1984, pagg. 252. 14) Collège de France: Propositions pour l'ensei­gnement de l'avenir; pubblicato in "Le monde de l'education>>, Paris, Mai 1985. 15) POSTMAN NEIL: The disappearence of ChU­dhood; Delscorte Press, New Vork, 1982; tradot­to in italiano nelle edizioni Armando 1984, Roma, col titolo: Le scomparsa dall'Infanzia. 16) GIROD ROGER: PoIitlques de l'éducetion; 1'lIlusalra et le possIbIe; Presses Universitaires de France, Paris, 1981 ; tradotto in.,italiano nelle edi­zioni Armando, Roma, 1983, col titolo Le politi­che dell'educazione: l'Illusorio e il possibile. 17) MADELIN ALAIN: Pour llbérar l'écoIe: l'an­selgnement A la carte; Robert Laffont ed., Paris, 1984. 16) SAUNIER S~ITÉ ALICE: Remettre l'etet Il se piace; Pian ed., Paris, 1984.