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la Scuola guarda al 2000 di Giovanni Gozzer
Il conto alla rovescia Non c'è dubbio che questa data «2000» ci affascina e ci turba allo stesso tempo. Non certo che faccia immaginare possibili le costernate angosce del millenarismo medioevale, con le vere, o alquanto romanzate, turbe di flagellanti. Una data che ha come sua anticipazione-ouverture l'esposizione internazionale di Tsukuba potrà evocare robot e viaggi steli ari, non certo mostri della notte della ragione dormiente. Ma un certo fascino misterioso questa data, comunque, lo suscita. E non fa meraviglia che molti occhi di «speculatores» del futuro imminente siano ad essa rivolti. In effetti non c'è solo di mezzo un «numero perfetto», multiplo di dieci; come doppio del suo cubo, bene o male, significativo punto di riferimento nell'ordine della nostra datazione rispetto all'ambiguo anno zero; c'è un tornante della storia umana, che si colloca proprio in questo ventennio di vigilia; che cambia radicalmente la «condizione esistenziale» degli esseri viventi sul pianeta, nel gioco complesso dei rapporti tormentatissimi fra potenza, diversità, contraddizioni. Potenza mai conosciuta nel «lungo corso» e oggi giocata su due fronti opposti (contraddizione) in nome della reciproca diversità. Che genera nuove e continue contraddizioni : fra un progresso quasi illimitato di alcune parti del globo e l'arretratezza delle altre; tra la ricchezza di beni e di alimenti (oltre che di materiale voluttuario) di una parte e la fame dell'altra; quasi che questa seconda fosse la condizione ineliminabile per assicurare la prima. E, nello sfondo, questa data «2000» che appare e scompare come nelle insegne luminose ad intermittenza, anche se non suscita le apprensioni del biblico «mane-techel-fares». Sta di 'fatto che il nostro Pierino accolto in un'aula primaria allo scattare del suo sesto compleanno, avrà raggiunto nel 2000 quella che una volta era la maggior età, anticipata oggi quasi ovunque di tre anni: anche se curiosamente la maggior età anagrafica ha corrisposto generalmente ad una «minorità» scolastica, dato il prolungamento generalizzato dei periodi di «vita col banco», vecchio o nuovo modello modemizzato. Chi sarà questo Pierino? Come uscirà da quella che i sessantottini chiamavano l'impastatrice della conservazione sociale, la scuola? Che oggi cerca affannosamente nuove e diverse dimensioni, in un «turbillon» di progettazioni innovatrici o riformative. La maggior parte dei nostri «speculatores» di cose scolastiche è calamitata, in questo tentativo di individuazioni da quell'ago magnetico che è l'informatica, il moderno alfabeto che dovrà sovrastare allo stabilimento delle nuove programmazioni. Anche se qualche dubbio sull'esclusivismo di queste infatuazioni è più che legittimo.
Forse è meglio guardare quel che succede in un mondo in cui le distanze sono abolite, in cui migliaia di «uomini del sud» si spostano verso il Nord (anche se non con quella specie di invincibile armata di boat people che nel romanzo di Jean Raspail «II campo dei Santi» invade le coste meridionali della Francia); in cui le vecchie scuole francesi alla Jules Ferry si riempiono di arabi maghrebini e le colonie compatte di figli di lavoratori turchi mettono a prova le capacità di farne dei normali einwohner del pianeta scolastico tedesco. Di società come quella italiana, con 2 milioni di disoccupati anagrafici e un milione di clandestini stranieri che li sostituiscono nella mano d'opera «mancante». Eppoi, il trattamento delle diversità non si limita agli aspetti etnici e alle polemiche sul «razzismo» (touche pas b mon pote) ma investe ben altri problemi di ideologia, di religione, di comportamenti sessuali più o meno accettati o respinti, di lingue e di culture. La croisée de chemins, il grande snodo autostradale degli incroci multipli agisce come fattore esplosivo dei vecchi modi di interpretare le istituzioni scolastiche e i rispettivi ruoli; e tutto questo si sovrappone alla innegabile «rivoluzione delle comunicazioni» ormai in atto. A queste situazioni si ha l'impressione che vengano date risposte non certo prive di valore, ma largamente insufficienti e insoddisfacenti. Basta richiamare il ritomo «all'etica della democrazia», come fanno gli estensori del manifesto di «Paideia» negli Stati Uniti? Basta un bel ricupero dell'é/itisme repubblicain come fa il ministro francese dell'educazione Jean-Pierre Chevènement? Temo di no.
Disegno di una ragazza finlandese di 8 anni.
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Comunque le pagine di questo sommario rapportino sul modo in cui, a diverse latitudini e con diverse stelle polari come punto di riferimento, si guarda ai problemi scolastici (ed educativi, ma non è la stessa cosa) in prospettiva «2000» tenteranno di far luce (magari con la semplice torcia a pila sempre necessaria in caso di black out) sul come si affronta oggi la questione del bimillennio per quanto riguarda «l'idea di scuola».
Le prime ((esplorazioni" del futuro pianeta scuola Dalla scadenza 2000, data attomo a cui ruota questa ricerca, ci separano oggi quindici anni; siamo perciÒ a distanza ravvicinata, per noi e per il nostro immaginario Pierino, alunno di prima elementare, ottobre 1985. Ma i primi perlustratori di questo «futuribile scolastico» si sono già mossi da tempo, un pd come i Pioneer astronautici. Alle «sfide dell'anno 2000» aveva già dedicato un volume, scritto da 33 illustri «speculatores», l'organizzazione dell'Unesco, il titolo del libro che raccoglie appunto i contributi dei «saggi» è piuttosto allarmato: «Suicidio o sopravvivenza?» Il panorama è vasto, abbraccia tutti i dannati problemi di un pianeta sconvolto da crisi d'ogni genere". Guardando a questa molteplicità di problemi con il cannocchiale un pd modesto dei primi anni '70 (il libro appare nel 1972 e raccoglie i vari apporti alla conferenza a table ronde promossa dall'attuale accademico di Francia Jean D'Omesson) notiamo subito che il tema «scuola educazione» non è rimasto estraneo ai dibattiti. A quasi apertura di libro ci si imbatte subito nel testo di Buckminster Fuller, ingegnere-tecnologo americano dal titolo un pd provocatorio «1t (pi-greco, o 3.14) e il trionfo dell'intelligenza». Dice l'inventore della volta geodesica, riferendosi egli pure a un immaginario Pierino 2000, che questo nuovo virgulto della società altamente tecnologizzata «sarà più informato, disporrà di una
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somma di conoscenze assai più ricca; inoltre si sarà emancipato dai riflessi che incombono sull'adulto di oggi, sarà in grado di utilizzare assai meglio di lui l'informazione disponibile». Insomma qui il Pierino pigreco è un ragazzo assai più «matematizzato. del Pierino!70; fuoruscirà da una serie di condizionamenti che sui suoi antenati, anche prossimi, hanno pesato abbondantemente. Riconosco che non mi sono molto chiari quei «c.ondizionamenti» cui sottostiamo noi padri e nonni del Pierino-pigreco: ideologici? religiosi? etnico-razziali? etico-sociali? Quali che siano, innegabilmente molti «tabù» delle passate generazioni o sono caduti o stanno per fare la fine delle mura di Gerico. Va detto, tuttavia, che l'esplorazione del libro dell'Unesco e dei 33 saggi convenuti alla sua tavola rotonda era stata in parte anticipata dal libro di un notissimo astronauta del futuro, Alvin Toffler; il libro, apparso nel 1970, si intitola «Lo choc del futuro»; e del futuro, appunto, vuoi esser un'esplorazione effettuata anche accettandone la carica di impatto sconvolgente che esso contiene. Che cosa conterrà la cartella scolastica del piccolo «Pierino dello choc», secondo Alvin Toffler? «Tante cose che adesso non ci sono» risponde ToffIer, e mancheranno altre che invece oggi ci sono, visto che l'ambiente del nostro «Pierino dello choc» è destinato a una rapida scomparsa. Pierino sarà invece in condizione di capire di più e meglio la natura, di interpretare i ritmi dell'evoluzione (id est del cambiamento rapido), giocando le sue capacità sulla molteplicità
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delle previsioni possibili e delle ipotesi, anche a distanza rispettabile, identificabili e formulabili; il tutto, comunque, in un quadro di futuro sempre meno prevedibile; un'interpretazione, questa, alla quale anche i successivi libri di Toffler (in particolare «Learning for Tomorrow») sono rimasti abbastanza fedeli 2,.
cdmparare il futuro" dal Club di Roma Proprio negli ultimi anni '70 fu il Club di Roma, il prestigioso gruppo scientifico internazionale fondato da Aurelio Peccei nel 1968, che si ripiegò sui problemi scolastico-educativi nella dimensione del futuro. Il Club aveva già raggiunto notorietà e prestigio internazionale con quel rapporto di studiosi di vari Paesi che si intitolò dlimiti dello sviluppo»3' nato dal lavoro del «System Dynamics Group» del MIT (L'Istituto tecnologico del Massachusset). Un rapporto che segnò, si può ben dire, la nascita dei movimenti ecologici del mondo e diede al fondatore del Club di Roma una meritatissima fama di «interprete del mondo di domani e dei suoi bisogni». Dopo avere pubblicato altri cinque rapporti su vari temi, tuttavia sempre rotanti attorno all'intuizione fondamentale dei «Umiti», il Club di Roma intraprese una esplorazione coraggiosa (temeraria, qualcuno disse) anche del pianeta educazione e delle sue orbite probabili. A stendere il rapporto, intitolato «No limits to leaming» (<<Imparare il futuro» nell'edizione italiana) furono tre 6quipes impegnate in un lungo pluriennale lavoro, condotto separatamente ma periodicamente verificato in riunioni comuni. Dei tre gruppi uno (diciamo il gruppo «occidentale») era diretto da James W. Botkin, specialista USA di sistemi universitari; il gruppo dell'Europa orientale era guidato da Mircea Malitza, cattedratico e accademico romeno, oltre che ex-ministro dell'educazione in quel paese; infine per il mondo arabo-islamico lavorava il gruppo di Mahdi Elmandjra, dell'Università di Rabat (Marocco), per lunghi anni collaboratore dell'Unesco. Le tre équipes avrebbero dovuto, nelle intenzioni dei dirigenti del Club di Roma, offrire una prospettiva «percorribile» del mondo scolastico in una realtà in cui confluissero ordinatamente le preoccupazioni dei tre mondi intellettuali (e in parte ideologici) che ciascuno di essi esprimeva4,.
Fatta la consueta diagnosi negativa dei sistemi scolastici attuali, comunque strutturati e ovunque collocati (<<scolarizzazione inadeguata; uso passivo dei massmedia; concezione addattiva dell'apprendimento, incapacità di anticipare le modificazioni dell'ambiente f isico e naturale») il rapporto passa alla parte propositiva, riesaminando i problemi globali dell'energia, della comunicazione, dell'identità culturale, del confronto armato: l'accento viene posto sul fattore umano più ch.e sulla crescita economica. Ora in questa diversa prospettiva apprendimento e realtà dell'essere umano (che non sono dati materiali di crescita rapporta bile a cifre di PNB) sono la chiave del
futuro dell'uomo. L'apprendimento da «dotazione» di singolo individuo diventa fatto di società (<<societalleaming»). E come può una società imparar~ a.confrontarsi con una crisi energetica; come potrà «leggere» un ambiente energizzato; come le diverse possibili opzioni possè!no esser anticipatamente bloccate o tenute aperte al fine di costruire le «istituzioni necessarie» e fissare leggi e norme indispensabili per una situazione di montante domanda e cessanti risorse? Ecco allora la ricetta del Club di Roma: learning by Shock, imparare sotto l'impatto choccante delle situazioni. L'apprendimento non è, alla fine, se non il processo che prepara la disponibilità ad assumere comportamenti corrispondenti alle situazioni nuove con cui occorre confrontarsi. Tradotta in termini di politiche scolastiche reali la ricetta del Club di Roma è tuttavia fallimentare: il quadro sociologico ed ecologico può anche essere corretto. La risposta istituzionale è, alla fine, inesistente.
La svolta degli anni'80: riformare non basta Proprio nella prima fase degli anni 'BO appariva negli USA il libro di Torsten Husén «The school in question»51 col sottotitolo assai eloquente di «Studio comparativo sulla scuola e sul suo futuro nelle società occidentali». Husén era stato nei due precedenti decenni uno dei massimi esponenti del riformismo scolastico svedese e occidentale, sia per il suo ruolo sia nell'orientare le riforme scolastiche svedesi, sia per la partecipazione al dibattito educativo nell'ambito dei grandi organismi internazionali. Husén riconosce che i due trascorsi decenni sono stati caratterizzati da una fiducia quasi mistica nelle possibilità delle istituzioni scolastiche di risolvere gli immani problemi sociali posti dall'incalzante industrializzazione, dai nuovi modelli di struttura sociale, dal progresso tecnico e scientifico. L'idea che la scuola potesse essere flthe great equalizer., la grande uguagliatrice delle condizioni umane, 'ricuperando ai singoli ciò che carenze pregresse di situazioni e ambiente potevano aver loro tolto, si era a poco a poco venuta dissolvendo. Husén stesso nota come ci si trovi ormai di fronte ai sintomi di un malessere diffuso in tutti i sistemi formativi, ad un atteggiamento sempre più critico nei riguardi delle scuole come istituzioni; in più dilagano gli atteggiamenti negativi dei giovani, insoddisfatti delle loro scuole; e allo stesso tempo le arie di crisi che spirano ovunque riducono drasticamente i fondi destinati all'educazione. Sulla scuola sono precipitate contese scientifiche di cui essa finisce per essere il «corpus vile» incapace di reagire in proprio; come quella dei rapporti fra eredità e ambiente; fra intelligenza nativa e capacità acquisite; fra eguaglianza reale e opportunità formative; fra prestazioni scolastiche, valutazioni e loro valore obiettivo; fra scuola e possibilità di occupazione; fra momenti didattici e passaggi da questi alla vita attiva. Husén non dà risposte a tutti questi problemi; li elenca e li consegna a coloro che negli
anni '80 dovranno mettere mano al «governo delle istituzioni scolastiche., con maggior realismo e con un più moderato ottimismo. In fondo la diagnosi di Husén può davvero segnare la svolta degli anni 'SO in materia di atteggiamenti nei confronti della scuola: all'idea che bastassero le crescenti leve di iscritti alla secondaria e all'università o che fossero sufficienti i grandi piani finanziari di sviluppo per assicurare nello stesso tempo il progresso sociale e quello scolastico subentra una riflessione critica, il cui significato ultimo è quello di mettere in questione «la qualità. del t ipo di educazione scolastica fornito ai vari strati di popolazione. Qualità contro quantità. Ma è solo questo il problema?
La scuola americana: un pericolo per la Nazione? Il vero choc, tuttavia, non viene né dal rapporto del Club di Roma, né da quello di Husén (noto anche come rapporto Aspen, dal nome dell'Istituto che commissionò il lavoro allo studioso svedese); viene da un fascicoletto di poche pagine, consegnato al presidente degli USA Ronald Reagan il 23 aprile 1983 da una Commissione che aveva lavorato per quasi due anni su questo tema: «Excellence in Education»; tradotto in soldoni: come ottimizzare il lavoro scolastico. Nominata dal ministro Terence Beli e composta di un team di 18 cervelli, coordinati sotto la presidenza di D.P. Gardner rettore della California University, la commissione aveva prodotto un rapporto sconvolgente solo a leggerne il titolo: «A nation at risk: the imperative for educational reform •. Senso del messaggio al presidente degli USA: o si cambia radicalmente questo tipo di scuola o la nazione americana rischia lo sfascio. Essa non prepara né buoni cittadini, né apprezzabili cervelli, né capaci professionisti61 • C'è più trito lo· in queste trenta paginette di rapporto che in una santabarbara militare. La scuola non può esser la sede della perdita di tempo, del «piatto che piace a me» (la tavola calda); del disimpegno e della nonvalutazione all'insegna del «tutti promossi»; la scuola è anche impegno, studio, profitto, disciplina. È capacitazione professionale degli insegnanti, senza appiattimenti salariali che premiano solo gli ignoranti e gli svogliati. Di qui le raccomandazioni finali al Presidente: a) Niente menu a scelta delle materie, ma un programma minimo obbligato nei quattro anni terminali di scuola secondaria 14-18; e cioè inglese, matematiche, scienze naturali e f isiche; scienze sociali, lingua straniera; con le facoltative a scelta, d'accordo. b) Scuole secondarie e col/eges adottino standard di misurazione e valutazione del profitto rigorosi e verificabili. c) Tomare coraggiosamente, in tutti gli ordini di scuole, ai «basic», alle materie fondamentali cioè. al leggere-scrivere-contare. Si prolunghi la giornata scolastica se occorre;
si prolunghi l'anno scolastico se necessario; ma i «fondamenti» (basics) vanno appresi.
d) Bisogna che la professione docente sia più qualificata, e anche più rispettabile; con incentivi economici differenziati, eventualmente.
e) Siano gli stessi cittadini a scegliere le persone in grado di realizzare questi obiettivi, assicurando la necessaria capacità di direzione per raggiungerli, anche accettando l'idea di aggravi fiscali ed economici necessari a questo fine.
Che il «rapporto dei 18» fosse uno choc per l'opinione pubblica americana, richiamata un po' brutalmente alla realtà, dopo essersi cullata nell'idea che la buona scuola fosse quella dei numeri e delle statistiche quantitative, non quella della qualità, era il meno che ci si potesse aspettare.
L'Istruzione secondaria sotto radiografia Quasi contemporaneamente alla Commissione Gardner lavorava un'altra Commissione, sponsorizzata dalla «Carnegie Fundation for the advancement of teaching». Si trattava di un gruppo presieduto da Ernest L. Boyer, rettore della «State University» di New York. L'assai più ponderoso rapporto prodotto dalla Commissione sulla «High School» (la scuola secondaria in America) apparve qualche mese dopo 71 il rapporto Gardner. Il fondamentale obiettivo del rapporto, una volta constatata la crisi innegabile del sistema secondario americano, è quello di dimostrare che il problema non si risolve attraverso la fuga dal pubblico al privato; ma mediante una riqualificazione del sistema pubblico. Senza tale «riabilitazione» ogni sforzo per fronteggiare il futuro sarà sterile. «II successo dell'istruzione secondaria e il futuro del Paese sono legati l'uno all'altro inequivocabilmente; e senza un impegno di fondo nei confronti della scuola pubblica il nostro futuro è senz'altro messo a repentaglio». Le constatazioni sono amare, nella situazione attuale: i risultati e i livelli scolastici si sono abbassati paurosamente; gli esiti dei test finali sono in analogo declino. Insegnanti che sarebbe eufemistico chiamare impreparati sono protetti dalle armature di ferro dei sacrosanti diritti (sindacali) e i sistemi scolastici sono ormai appannaggio di una degenerante burocrazia. C'è da meravigliarsi se non si sa più quali sono gli obiettivi della scuola? Le ricette, owiamente, non sono diverse da quelle della Commissione Gardner; il futuro non si affronta solo con chiacchiere sociologiche o formule egalitaristiche vaghe; occorre «produrre saperi e conoscenze ».
Orientarsi per il 2000 Sul versante francese fin dal 1973 Maurice Reuchlin, direttore dello «Istituto internazionale di studi sul lavoro e di orientamento professionale» (Parigi) aveva pubblicato un libretto nella collezione SUP delle Presses Universitaires de France 81 dal t itolo «L'enseignement de l'an 2000». Il lavoro di
Reuchlin, per la verità, non abbracciava tanto il campo delle trasformazioni globali della scuola nel suo muovere verso la scadenza fatidita, quanto piuttosto t rattava alcuni aspetti rilevanti; in particolare quello dell'orientamento. D'altro canto questo suo contributo si collocava nei lavori di riflessione che dal 1968 erano stati awiati nel quadro dell'iniziativa «Piano Europa 2000» promossa dalla «Fondazione europea della Cultura» e sostenuta dal «Consiglio d'Europa». Il quadro del lavoro della fondazione era assai più ampio e non considerava i soli aspetti scolastici (peraltro largamente presenti in molti contributi dei professori Janne e Georis soprattutto) ma quelli più vasti del tessuto socio culturale. In questo suo saggio Reuchlin affronta la fondamentale questione dei rapporti tra scuola e orientamento; che per lui non può né esser affidato al mitico e mitizzato «computer», né abbandonato al generico tram-tram dei vecchi centri orientativi. La tesi di fondo di Reuchlin è quella di un'interazione necessaria tra Scuola e Società (scritte entrambe con la maiuscola). Ma il problema è proprio quello dei modi in cui tale interazione si realizza. E qui siamo ancora, purtroppo, più nella nebulosità delle ispirazioni che nella concretezza delle possibilità reali.
Scuola 2000 dal periscopio intemazionale All'appuntamento della scuola con l'anno 2000 ha dedicato un suo volumetto l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), puntando i riflettori in
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particolare sulla scuola di base: «l'enseignement obligatoire face à l'évolution de la société»91. L'analisi, dice il risvolto di copertina, evidenzia le grandi tendenze dell'istruzione obbligatoria e i problemi con cui essa deve confrontarsi per effettuare le scelte necessarie da qui al 2000. Redatto sulla base di una quindicina di rapporti nazionali rielaborati da tre esperti (Bruegelman, Eggleston, Kallen) e assommato dai funzionari dell':prganizzazione con i dati statistici, il rapporto risulta assai meno ottimistico delle consuete elaborazioni dell'OCSE. Finito l'entusiasmo lievemente acritico per la grande espansione scolastica: il sistema scolastico appare ora con i suoi elementi negativi assai piÙ in rilievo, denunciati quasi ovunque; le «ingiustizie sociali» dovute al sistema non sono affatto scomparse; metodi nuovi e miglioramenti qualitativi sono urgenti; troppi giovani escono dalla scuola senza avere potuto realmente sviluppare le loro «attitudini latenti». E a tutto questo si sovrappongono le restrizioni finanziarie che colpiscono le scuole. l'inefficienza è quasi ovunque conclamata: alunni che escono dalla scuola senza saper leggere e scrivere; una generazione di disadattati, scontenti e indisciplinati, con la prospettiva del lungo parcheggio nella disoccupazione. La lista delle recriminazioni è interminabile. L'ottimismo obbligato degli organismi internazionali sembra prendere tuttavia il sopravvento. In realtà, dice il Rapporto, vi sono scuole che hanno trovato la giusta
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strada e altre no. Le prime sono quelle «che fissano norme giudiziose; che dispongono di insegnant i esemplari; che abituano i loro allievi alla soddisfazione del lavoro e assegnano loro compiti di responsabilità; in cui le condizioni generali sono buone e le lezioni sono ben condotte». Il vago, purtroppo, resta sempre vago.
Il gruppo ceEducazione 2000" (Gran Bretagna) e la scuola di domani Il gruppo «Educazione 2000» è definito dai s\.loi membri (dodici come gli apostoli) un' Associazione educativa volontaristica. Sorta in Inghilterra, nell'ambiente universitario vicino a Cambridge, l'Associazione ha come suo obiettivo l'analisi dei sistemi educativi, le problematiche del cambiamento e «la prospettiva 2000 in campo educativo». Nel 1983 i responsabili dell'organismo hanno promosso una conferenza sul tema «Educazione 2000. svoltasi al Westfield College di Londra con la partecipazione di una sessantina di esperti studiosi e osservatori. Risultato dell'incontro, suddiviso in nove gruppi di lavoro, ciascuno dei quali produsse autonomamente un suo documento, è il libro pubblicato dalla «Cambridge University Press» dal titolo «Education 2000» (sotto titolo: Documento consultivo sulle ipotesi per l'educazione nel 2000); curatori responsabili Bryan Thwaites e Chris Wysock-Wright 10I• I «nove testi» riguardano rispettivamente: la società del 2000; l'educazione continua; le tappe della vita; formazione, abilità e cambiamento; l'istituzione scuola; scelta, impegno, cambiamento in età 6-18 anni; educazione postscolastica; meccanismi del cambiamento; la sfida del cambiamento. Ognuno dei nove testi si conclude con un certo numero di raccomandazioni, raccolte in brevi proposizioni. Sarebbe forse esagerato dire che queste proposte ci introducono negli spazi vestibolari dell'imminente scadenza millenaria. Redatti da uomini di scuola (cattedratici e direttamente impegnati nei servizi scolastici) questi testi riassumono il meglio della «razionalità auspicabile» nel prefigurare la scuola, i suoi metodi e le sue strutture; ma si tratta di buona pedagogia del presente più che di una coraggiosa perforazione del futuro; il cui traguardo è tuttavia sempre incombente nelle pagine del fascicoletto che raccoglie questi contributi.
Il manifesto di cePaideia" 8 il futuro dell'educazione Sponsorizzato dalla «Fondazione G. e O. Mc Arthur» (USA) e sviluppatosi attomo all'Istituto per la ricerca filosofica, il «Gruppo Paideia» ha come suo ispiratore e guida Mortimer J. Adler; e raccoglie numerose personalità del mondo culturale scientifico ed educativo americano con sigla non denominazionale (politicamente) e con l'obiettivo dichiarato di occuparsi della scuola «come strumento di crescita dell'individuo e di progresso della società». Il voi umetto
programmatico «Le proposte di Paideia - Un manifesto per l'educazione» 111 è apparso a New York (Edizioni Mac Millan) nel 1982. Dopo poco ha visto la I\-Ice.in traduzione italiana (Armando 1985; Roma), con una interessante introduzione di Salvatore Valitutti. Anche se manca nell'intestazione del «manifesto» quel richiamò alla sigla 2000 che caratterizza gli altri documenti di cui questa piccola rassegna si occupa, è innegabile che esso si pone sulla stessa traiettoria ed esprime le stesse preoccupazioni. E fa da ottima anticipazione e cassa di risonanza alla «Nazione in pericolo» di Ronald Reagan. Forse la figura della storia pedagogica americana che riemerge in modo più nitido da questo progetto è quella di Horace Mann, «founding father» della scuola americana: il quale affermava nulla esser più temerario che fondare una democrazia senza un alto livello di educazione. I quattro principi che dal manifesto si possono desumere si potrebbero cosI enunciare: tra eguaglianza delle opportunità in educazione e qualità della medesima non dè necessariamente antitesi; la miglior «educazione per tutti» è « 'educazione per il meglio»; più che alunni «irrecuperabili» ad un processo didattico esistono scuole incapaci di assicurare un buon insegnamento; la scuola è la pista per una vera democrazia. Anche il manifesto di «Paideia», ovviamente, si conclude con il suo insieme di proposte che questa volta è proprio un decalogo. Dei tre tipi di insegnamento (didattico, personalizzato, socratico) cui corrispondono tre tipi di apprendimento, nessuno deve aprioristicamente esser escluso. La determinazione dei livelli di profitto deve stimolare il raggiungimento dei risultati didattici; non confondere il curriculum scolastico con le attività extracurricolari; eliminare dal corso di studi le materie facoltative, salvo la scelta libera della lingua straniera; ripristinare l'uso dei compiti domestici, con impegno progressivamente crescente; curare l'educazione prescolastica e istituire corsi di ricupero. Il progetto, dice l'introduzione del «manifesto», viene proposto a tutti coloro che nutrono serie preoccupazioni per il futuro della scuola pubblica (genitori, insegnanti, amministratori, imprenditori, lavoratori, sindacalisti, responsabili militari, cittadini che votano). Ma qui ci sembra che stia il vero problema. " «traguardo 2000» non potrebbe proprio esser quello che mette in crisi, forse definitivamente, quell'idea di scuola pubblica che da due secoli caratterizza le nostre società? Il nodo odierno della sua stessa sopravvivenza è quel rapporto fra Scuola e Stato che appariva semplice fino a che lo Stato era entità amministrativa super partes (almeno nelle intenzioni). Reggerà ancora una «scuola pubblica» in uno Stato che o diventa totalmente ideologico (ed allora è la Scuola ideologica dello Stato ideologico); o è attraversato da forti spinte e caratterizzazioni ideologiche; e in tal caso difficilmente garantisce quel «non engagement» (per non usare la vieta parola neutralità) che del-
la scuola pubblica deve esser la caratteristica. Il problema non si risolve né con la buona pedagogia né con la buona didattica.
Contributi italiani alla prospettiva 2000 Sul versante italiano dell'esplorazione 2000 troviamo due volumi apparsi quasi contemporaneamente e tuttavia distanti quasi di anni luce l'uno dall'altro. Il primo «La scuola italiana verso il 2000» 12' raccoglie gli atti del Convegno promosso a Roma, dicembre 1983, dalla Casa Editrice «La Nuova Italia». Il secondo, int itolato «Incontro sul futuro» 13' è analogamente una raccolta di contributi apportati «da tutte le regioni della realtà sociale ed economica» al «Convegno sul futuro», organizzato a Milano, nel marzo 1984, dalla Confederazione generale dell'industria. Cominciamo dal primo dei due «missili esplorativi». AI convegno di Roma non hanno partecipato esclusivamente figure del mondo pedagogico; e ci si poteva quindi attendere un quadro forse più ricco di ipotesi e di «visualizzazioni del futuro». Dalle quasi 700 pagine del grosso volume si ricava tuttavia l'impressione più di una soltanto occasionale giustapposizione di contributi che di un tentativo di penetrazione «oltre il sipario». La lista dei nomi è senza dubbio imponente: da Asor Rosa a Papi, da Sorge a Forcella, da Bemardini a Castelnuovo; oltre owiamente a tutto lo staff pedagogico-universitario (da Vertecchi, curatore degli atti, a Laporta, a Bertin a Laeng ecc.). In totale quasi un centinaio di contributi, su cui impendono tutte le ambiguità della vita italiana e le incertezze delle sue prospettive culturali. Il proposito di chi ha organizzato il convegno-monstrum era quello di tentare «un progetto di scuola che superi le angustie del presente e sia capace di interpretare la rapidità delle trasformazioni della vita culturale e sociale». Ma si ha l'impressione che i grandi interrogativi siano rimasti o senza risposta o con risposte lievemente «retro». Quale cultura dovm sostenere l'attività di formazione? Quale progetto di scuola e per chi? Come insegnare e come apprendere? Sarebbe difficile cavare elementi precisi da un materiale quasi sterminato, validissimo per singoli contributi, ma altrettanto indecifrabile nel suo insieme. Dell'incontro confindustriale invece, chiaramente proiettato sull'economico sembra dover citare due contributi: quello di Giuseppe Pittau S.J. sul modello scolastico giapponese nei suoi rapporti con l'impresa; e quello di Umberto Colombo su «Professionalità e successo del futuro». Del testo Colombo sembra opportuno cogliere questo messaggio, lanciato verso la scuola: «La richiesta di professionalità va in direzione opposta a quella di una categorizzazione precisa e statica dei mestieri, professioni, attività. La richiesta sarà rivolta piuttosto ad esprimere la capacità culturale di gestire attività singole e complesse, comunque esse si associno o mutino. La professionalità dovrà allora diventare un metodo col quale affrontare culturalmente la complessità e il mutarsi del lavoro. »
Francia: il Rapporto del "Collège de France" L'idea del presidente della Repubblica francese François Mitterand di affidare ai «quasi immortali», comunque prestigiosissimi, membri dello storico «Collège de France» il compito di redigere «à son intention» un Rapporto sul futuro della scuola (<<Propositions pour l'enseignement de l'avenir>>) è stata senza dubbio allo stesso tempo indovinata e originale. Il «Collège de France», fondato nel 1530 da re Francesco I, è un consesso di studiosi al più alto livello che «leggono» (nacquero come «reali lettori») quel che producono nella loro ricerca; hanno ascoltatori, ma non allievi (non vi sono né diplomi né titoli); è, si potrebbe dire, l'Universitas del sapere puro e disinteressato per eccellenza. AI nobile consesso il presidente francese ha chiesto, in questo tormentatissimo periodo conflittuale, in cui la scuola «pubblica» sembra travolta da insanabili dissensi su tutti i fronti (della libertà, dei fini, dei contenuti, delle modalità) di esprimergli la voce della saggezza passata coniugata alla distaccata visuale del presente e soprattutto del futuro 14'.
La risposta è stata data al committente nel marzo 1985 con un succoso documento (poco più di una ventina di cartelle) in cui i «saggi» esprimono le loro convinzioni. Che, occorre dirlo, sono largamente aperte e anticipatrici e in cui sono confluite sia le posizioni, diciamo, più avveniriste, sia quelle più prudenti ed equilibrate. Il «Collège» traduce il pensiero dei suoi membri in materia di scuola in nove principi. Eccoli:
• un insegnamento armonico deve saper coniugare l'universalismo del pensiero scientifico e il «relativismo» delle scienze umane;
• occorre riconoscere la diversificazione delle varie forme di intelligenza, abbandonando la prospettiva monistica e le catalogazioni gerarchizzate;
• la scuola non emette verdetti; non è suo compito né consacrare il successo, né penalizzare a vita l'insuccesso; deve offrire molte chances;
• il conflitto «pubblico-privato», StatoLibertà, deve far luogo a un pluralismo istituzionale autonomo e diversificato;
• i contenuti dell'insegnamento devono esser periodicamente riveduti e aggiornati, introducendo il «moderno senza modernismi»;
• in t utte le scuole dovrebbero esser definite le conoscenze comuni necessarie il cui principio unificatore dovrebbe essere il contesto storico;
• tra la fine della vita scolastica e l'inizio della vita attiva non deve esserci discontinuità; l'educazione continua è la vera risposta al bisogno di continuità e aggiornamento, anche con alternanze;
• le tecniche moderne di diffusione della cultura (televisive e telematiche) siano largamente introdotte nelle scuole;
• le scuole dovrebbero aprirsi alle collaborazioni esterne; e soprattutto dovrebbe esser rafforzata l'autonomia dei corpi insegnanti.
Un «piano 2000», come si vede, non privo di grandi ambizioni. E che tocca i punti caldi del problema. Se nell'86 andranno al potere le forze di centro non avranno un'eredità facile; mettere a punto le proposte dei «saggi» sarà anche una grossa sfida politica.
La scomparsa dell'infanzia Ci sembrerebbe incompleta, questa panoramica, se non si facesse cenno, prima di chiuderla, agli aspetti di un dibattito originale che in questi ultimi mesi è precipitato dal mondo culturale americano su quello italiano ed europeo sull'interrogativo: esiste ancora l'infanzia? Ad aprirlo è stato, nel 1982, Neil Postman, studioso americano, di professione «sconvolgitore di idee statiche», col suo libro provocatorio intitolato «La scomparsa dell'infanzia» 15'. La sua tesi è innegabilmente ardita. È stata la società moderna a «inventare» l'infanzia (un po', si direbbe seguendo Le Goff, come fu il Medio Evo a «inventare» il Purgatorio). E a costruirla. La stampa prima, nel lungo periodo di incubazione dei suoi effetti sul contesto sociale; poi la scuola elementare obbligatoria, l'addestramento, l'insegnamento formale, la letteratura infantile hanno contribuito a creare uno «spazio della vita» ben distinto e caratteristico, in fondo libero, distaccato e «riposante», nella fase preparatoria alla «traversata della vita».
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Maestri e scolari.
Tutto questo, ecco la tesi di Postman, è caduto; l'infanzia non dè più: la vita è tutta «adulta», salvo le due estremità di una puerizia iniziale e rapidissima e di una senilità spesso precoce. E chi è «l'assassino» dell'infanzia? Per Postman non dè dubbio; è la televisione, o meglio l'insieme dei mezzi elettronici di comunicazione. L'idea dell'infanzia, dice Postman, non viene dal biologo, ma dal sociale; essa è una delle grandi invenzioni dell'età rinascimentale, forse la più «umanistica». Insieme ai concetti di scienza, di stato-nazione, di libertà religiosa, quello dell'infanzia si è venuto formando e arricchendo dal secolo XVI ai nostri giomi ... A questo punto Postman avanza le sue ipotesi sui modi in cui i nuovi mezzi di comunicazione influenzano i processi di socializzazione. Seguendo piste che richiamano i modi di ricerca di Marshall Mc Luhan, anche Postman stabilisce un raccordo antitetico fra la stampa (che crea lo spazio infanzia) e i mezzi elettronici di comunicazione che ne determinano la scomparsa. \I discorso a questo punto ci porta lontano e può apparire estraneo alla presente ricerca sui «challegers» del futuro scolastico. Invece dè una relazione strettissima, forse sfuggita anche ai più avvertiti di questi esploratori. Se lo spazio infanzia il scomparso, perché dovrebbe ancora sopravvivere la scuola, che in fin dei conti era un pd lo strumento ratificato di titolarietà condominiale con questo spazio, in rapporto alla società adulta 7 Perché non dovrebbe modificare le sue connotazioni?
l'illusorio e il possibile: quasi una conclusione Vorrei concludere questa scorribanda tra i vascelli esplorativi «del 2000 nella scuola» con un breve riferimento ad un libro non strettamente esplorativo nel senso anzidetto e tuttavia estremamente legato alle problematiche che tale esplorazione suggeri-
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sce. Il libro è di Roger Girod, professore di sociologia all'università di Ginevra e si intitola .. Politiche dell'educazione: l'illusorio e il possibile» 16).
Il libro di Girod è, in certo senso, destrutturante di molte certezze non verificate, collegate a due fondamentali interrogativi. Anzitutto se sia vero e dimostrabile che l'espansione dei sistemi scolastici determini effettivamente una miglior ripartizione sociale di quella forma di potere che è il sapere. In secondo luogo se questa espansione dia luogo realmente ad un innalzamento medio della cultura e della competenza della popolazione al cui beneficio la scuola si propone di operare. La ricerca di Girod si muove pertanto lungo quattro piste:
• stabilire l'effettivo rapporto fra sistema espanso di istruzione e crescita del livello reale di istruzione, media e individuale;
• verificare in quale misura il sapere individuale dipenda dall'istruzione scolastica, dall'ambiente sociale o da altri fattori;
• individuare l'effettivo valore di scambio dei titoli e diplomi scolastici in una società ad alto livello di espansione scolastica;
• analizzare il significato reale del prolungamento della durata delle scolarizzazioni e dei principi di democratizzazione scolastica.
Risposte definitive non ce ne sono, almeno sul piano dell'indagine e della verifica dimostrabile. C'è una sola constatazione possibile: andare verso il 2000 con il «sacco delle illusioni» è più pericoloso che accettare realisticamente la lezione del «contesto possibile». Ma non dè dubbio che il vero problema, attorno a cui ruoterà il dibattito nei prossimi anni, sarà quello del rapporto tra la Scuola e lo Stato: quella che l'ultima ondata degli uomini politici francesi chiamano la «decolonizzazione» della scuola dal protettorato statale. Nessuno ha espresso queste preoccupazioni meglio del deputato centrista
francese Alain Madelin nel suo recentissimo libro «Liberare la scuola dallo Stato» 17),
pubblicato sull'ond~ (R.una lunga polemica che aveva già trovato le sue premesse nell'altro libro della ex-ministro dell'educazione francese Alice Saunier Séité: «Rimettere lo Stato al posto suo» 18). Non dè dubbio che, al traguardo 2000, la scuola dello Stato potrebbe anche esser la vittima illustre della società postindustriale.
Giovanni Gozzer
Note
1) UNESCO: Suicide ou survle? Les d6fls del'an 2000; Ed. Unesco, colleedon .. Actuel.; Paris, 1972, pagg. 216. 2) TOFFLER ALVIN: Future Shock; Random House, New Vorl<. 1970; trad. italiana .. Lo choc del futuro» ; Rizzoli, Milano 1971. Dello stesso autore è citato il libro Leaming for Tomorrow, Rimdom House, New Vorl<, 1972. 3) Club di Roma: I limiti dello sviluppo, Rapporto dello S.D.G. del MIT sui dilemmi dell'Umanità; Edizioni scientifiche e tecniche Mondadori, Milano, 1972, pagg. 160. 4) Club di Roma: Imparare il futuro - Apprendimento e Istruzione; Settimo Rapporto del Club di Roma; Edizioni scientifiche e tecniche, Mondadori, Milano, 1979, pagg. 146. 5) HUSÉN TORSTEN: The SchooIln Question; A comparetive study of the School and Ita Future in Western Societies; Oxford University Press, Oxford, 1979, pagg. 182. 6) National Commission on Excellence in Education: A Nation et Rlsk - The Imperative for Educational Reform; U.S. Printing Office, Washington, 1983, pagg. 64. 7) BOVER ERNST L: High School - A Report on Secondary Education in America; Harper and Row, New Vork, 1983, pagg. 364. 8) REUCHLlN MAURICE: L'enseignement de l'an 2000; Presses Universitaires de France, Paris, 1973, pagg. 120. 9) OCDE: L'ensalgnement obllgetoire fece A 1'6-volution de la société - Les choix d'icl A l'an 2000; OCDE, Paris, 1983, pagg. 164. 10) Education 2000: A consultetive document on hypoth_ for education In AD 2000; Cambridge University Press, 1983, pagg. 94. 11) ADLER MORTIMER J.: The Paideia Proposel for an Educational Manifesto; Mac Millan, New Vork, 1982; traduzione italiana edizioni Armando, Roma, 1985 ("II progetto Paideia»). 12) La scuola italiana varso il 2000; a cura di Benedetto Vertecchi; editrice la nuova Italia, Firenze, 1984, pagg. 672. 13) Confindustria: Incontro sul futuro - AttI del Convegno; Edizione del Sole - 24 Ore, Milano, 1984, pagg. 252. 14) Collège de France: Propositions pour l'enseignement de l'avenir; pubblicato in "Le monde de l'education>>, Paris, Mai 1985. 15) POSTMAN NEIL: The disappearence of ChUdhood; Delscorte Press, New Vork, 1982; tradotto in italiano nelle edizioni Armando 1984, Roma, col titolo: Le scomparsa dall'Infanzia. 16) GIROD ROGER: PoIitlques de l'éducetion; 1'lIlusalra et le possIbIe; Presses Universitaires de France, Paris, 1981 ; tradotto in.,italiano nelle edizioni Armando, Roma, 1983, col titolo Le politiche dell'educazione: l'Illusorio e il possibile. 17) MADELIN ALAIN: Pour llbérar l'écoIe: l'anselgnement A la carte; Robert Laffont ed., Paris, 1984. 16) SAUNIER S~ITÉ ALICE: Remettre l'etet Il se piace; Pian ed., Paris, 1984.