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1 3. La novedad de su magisterio 3.1. La Civiltà Cattolica La Civiltà Cattolica è una rivista di cultura generale di «alta divulgazione». Gli argomenti vi sono trattati scientificamente, rigorosa e seriamente approfonditi. La rivista è scritta soltanto da Gesuiti. Intende leggere e interpretare la storia, la politica, la cultura, la scienza, l’arte alla luce della fede cristiana proposta dal Magistero della Chiesa. In particolare, essa vuole attuare il dialogo tra fede cristiana e cultura contemporanea, così come richiesto dal Concilio Vaticano II. Tutto questo conservando il suo peculiare rapporto, di «sintonia», con la Santa Sede, che fa parte della sua identità, e un particolare legame con il Pontefice. Papa Francesco l’ha definita una rivista «unica nel suo genere». Gli articoli qui raccolti fanno una curata presentazione del magistero del papa Francesco e di tutti i suoi interventi lungo il suo pontificato 2013-2019. Qui vengono presentati cronologicamente a partire dei primi fascicoli di ogni annata ***

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3. La novedad de su magisterio

3.1. La Civiltà Cattolica

La Civiltà Cattolica è una rivista di cultura generale di «alta divulgazione». Gli argomenti

vi sono trattati scientificamente, rigorosa e seriamente approfonditi.

La rivista è scritta soltanto da Gesuiti. Intende leggere e interpretare la storia, la politica,

la cultura, la scienza, l’arte alla luce della fede cristiana proposta dal Magistero della

Chiesa. In particolare, essa vuole attuare il dialogo tra fede cristiana e cultura

contemporanea, così come richiesto dal Concilio Vaticano II. Tutto questo conservando

il suo peculiare rapporto, di «sintonia», con la Santa Sede, che fa parte della sua identità,

e un particolare legame con il Pontefice. Papa Francesco l’ha definita una rivista «unica

nel suo genere».

Gli articoli qui raccolti fanno una curata presentazione del magistero del papa Francesco

e di tutti i suoi interventi lungo il suo pontificato 2013-2019. Qui vengono presentati

cronologicamente a partire dei primi fascicoli di ogni annata

***

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2013

Spadaro, Antonio, Da papa Benedetto XVI a papa Francesco. Racconto di una

successione, in La Civiltà Cattolica CLXIV (2013) 3906, p. 592-602

Dall’ultima udienza pubblica di Benedetto XVI alla prima benedizione Urbi et Orbi di

Papa Francesco sono trascorsi 20 giorni che hanno segnato la storia a causa della rinuncia

al ministero petrino del Romano Pontefice. Questo evento è stato accompagnato da

discorsi e gesti dell’attuale Papa emerito dedicati alla Chiesa, «corpo vivo animato dallo

Spirito Santo, e alla fede, «che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del

mondo». Al suggestivo volo in elicottero dal Vaticano a Castel Gandolfo di Benedetto

XVI sono seguite le Congregazioni Generali dei cardinali e il conclave, eventi

accompagnati dalle riflessioni di circa 6.000 giornalisti giunti da tutto il mondo, ma anche

da tanta preghiera e da un’attesa consapevole che, al di là delle speculazioni, «il Papa

nasce in conclave». L’attesa si è conclusa il 13 marzo con l’elezione al Pontificato del

cardinale Jorge Mario Bergoglio.

Spadaro, Antonio. I primi atti di papa Francesco. Una lettura teologica, in La Civiltà

Cattolica CLXIV (2013) 3907, p. 75-83

I primi giorni di Papa Francesco sono stati caratterizzati da una potenza simbolica molto

forte e sembrano rispondere a esigenze molto avvertite tra la gente. Come leggere dunque

i primissimi giorni di pontificato di Papa Francesco alla luce delle sue parole e dei suoi

gesti? Quale il loro significato teologico per la vita della Chiesa? Alla luce della

spiritualità alla quale si è formato come religioso gesuita, l’articolo individua i pilastri

fondamentali della visione di Papa Francesco e prospetta le sfide che essi propongono: la

trasmissione della fede con modalità «inclusive» in un mondo complesso; il dialogo

«effettivo ed affettivo» dentro e fuori la Chiesa; la misericordia come tratto fondamentale

di Dio e la «custodia» come stile evangelico proposto a tutti.

Bergoglio, Jorge Mario. Il Signore, nostro fondamento, in La Civiltà Cattolica CLXIV

(2013) 3908, p. 109-117

Viene proposta la prima meditazione di un corso di Esercizi Spirituali, dato nel 1982 ai

suoi confratelli gesuiti da p. Jorge Mario Bergoglio, ora Papa Francesco. Nella

meditazione si sviluppano tre temi: Gesù Signore del tempo, principio e fine di tutte le

cose; Gesù fondamento della missione sacerdotale; Gesù fondatore della comunità

cristiana. Il testo comprende ampi riferimenti alla Scrittura, oltre che agli Esercizi

Spirituali di sant’Ignazio di Loyola.

Spadaro, Antonio. Papa Francesco e la corruzione, in La Civiltà Cattolica CLXIV

(2013) 3908, p. 171-179

Nel 1990 i giornali argentini dedicarono molto spazio all’omicidio di una studentessa,

Maria Soledad Morales, perpetrato per mano di persone colluse con il potere politico

locale. Da quel momento padre Bergoglio comincia a riflettere intensamente sulla

corruzione. Egli la intende innanzitutto come una malattia dello spirito, la quale poi

produce frutti avvelenati che fanno «marcire la vita dell’uomo, mandando in putrefazione

il suo cuore e spezzando i suoi legami sociali e con Dio. La corruzione impedisce di

rendere il cuore dell’uomo aperto alla misericordia, le strutture sociali e politiche aperte

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alla giustizia e al bene comune, la Chiesa aperta alla radicalità evangelica. La sfida alla

corruzione si annuncia dunque come una di quelle più significative di Papa Francesco.

Salvini, Gian Paolo. I primi incontri di papa Francesco, in La Civiltà Cattolica CLXIV

(2013) 3908, p. 180-188

Le prime settimane del pontificato di Papa Francesco sono state piene di eventi «normali,

nei quali però è facile riconoscere una serie di messaggi che denotano uno stile molto

personale. Il testo ripercorre i principali incontri del nuovo Papa e i suoi primi interventi,

cercando di coglierne il significato: la messa per l’inizio del ministero di Vescovo di

Roma, gli incontri con i giornalisti, con il corpo diplomatico, con Benedetto XVI a Castel

Gandolfo, con il Padre Generale dei gesuiti e così via. Denominatore comune è stata la

semplicità e immediatezza del tratto e della comunicazione, non formale, che ha suscitato

ampi consensi.

Editoriale Civiltà Cattolica. L’enciclica sulla luce della fede di papa Francesco, in La

Civiltà Cattolica CLXIV (2013) 3915-3916, p. 209-212

Nel Vangelo di Giovanni, Gesù afferma: «Io sono venuto nel mondo come luce, perché

chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre» (Gv 12,46). Quando manca la luce, tutto

diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male. La fede allora nasce

nell’incontro con il Dio vivente, sul quale possiamo appoggiarci per costruire la vita. La

fede, che riceviamo da Dio come dono soprannaturale, appare come luce che orienta il

nostro cammino. Un posto singolare appartiene ad Abramo. Nella sua vita accade un fatto

sconvolgente: Dio gli rivolge la Parola, si rivela come un Dio che parla e che lo chiama

per nome. Dio risulta così il Dio di una persona: Abramo.

Papa Francesco. Lettera enciclica Lumen fidei del sommo pontefice Francesco, in La

Civiltà Cattolica CLXIV (2013) 3915-3916, p. 235-282

La luce della fede: con questa espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande

dono portato da Gesù, il quale, nel Vangelo di Giovanni, così si presenta: «Io sono venuto

nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre». Anche

san Paolo si esprime in questi termini: «E Dio che disse: Rifulga la luce nelle tenebre

rifulge nei nostri cuori». Alle problematiche umane Dio non risponde con un

ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che

accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in

essa un varco di luce. Trasformati dall’incontro con Dio, riceviamo occhi nuovi,

sperimentiamo che in esso c’è un grande processo di pienezza e si apre a noi lo sguardo

del futuro.

Spadaro, Antonio. Il volto futuro della Chiesa. La XXVIII giornata mondiale della

gioventù, in La Civiltà Cattolica CLXIV (2013) 3917, p. 387-396

Resta vivo l’eco dell’entusiasmo che ha accompagnato il viaggio in Brasile di Papa

Francesco per la XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù. Il suo magistero legato a

questo viaggio è stato la sintesi della sua esperienza personale di pastore, ma ha anche

rivelato quale sia la Chiesa che Papa Bergoglio ha in mente e che cosa significhi per lui

«riforma della Chiesa».

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Spadaro, Antonio. Evangelii gaudium. Radici, struttura e significato della prima

Esortazione apostolica di Papa Francesco, in La Civiltà Cattolica CLXIV

(2013) 3923, p. 417-433

Il 24 novembre 2013 Papa Francesco ha firmato la sua prima Esortazione apostolica dal

titolo Evangelii gaudium. Essa rappresenta il frutto maturo di una riflessione che Jorge

Mario Bergoglio porta avanti da molto tempo ed esprime in maniera organica la sua

visione dell’evangelizzazione e della missione della Chiesa nel mondo contemporaneo.

L’articolo va alla ricerca delle radici dell’Esortazione in testi che il Pontefice aveva scritto

nel passato e nei riferimenti essenziali della sua visione: da Paolo VI al documento

conclusivo della Conferenza di Aparecida. Si colgono anche gli elementi che erano già

emersi nell’intervista concessa alla nostra rivista e pubblicata lo scorso settembre. Si

esamina quindi la struttura del documento, e si presenta una sintesi dei suoi significati

fondamentali, che convergono nel «sogno» di Papa Francesco di una profonda

«trasformazione» missionaria della Chiesa.

La redazione-Editoriale. Il Natale di Papa Francesco, in La Civiltà Cattolica CLXIV

(2013) 3924, p. 521-529

L’Editoriale propone ai lettori alcune riflessioni natalizie alla luce di sei omelie

pronunciate tra il 2001 e il 2006 dall’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio durante la

Messa della notte di Natale. Leggendo le sue parole si comprende come la gioia natalizia

non sia posticcia né indotta né elitaria, ma reale, autentica e diffusiva: la sua massima

concretezza vive e si accende nella vita di tutti. Il Natale, festa che vive nel cuore del

popolo, non è un mistero statico, ma è impulso a mettersi in cammino e ad agire nel

mondo; è un mistero di tenerezza e dolcezza che accoglie la fragilità dell’uomo; è

celebrazione della pazienza di Dio di fronte alla corruzione di popoli e uomini; ci fa capire

che ciò che conta nasce in una mangiatoia ai confini di un paesello, Betlemme, cioè nelle

periferie esistenziali e geografiche del nostro mondo.

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2014

Salvini, GianPaolo. Gli incontri di inizio anno di papa Francesco, in La Civiltà

Cattolica XLXV (2014) 3927, p. 293-298

Come di consueto, in dicembre, il Papa ha ricevuto per lo scambio degli auguri natalizi i

suoi collaboratori della Curia romana, ai quali ha rivolto un discorso più breve dell’usuale,

lodandone l’impegno e sottolineando le caratteristiche necessarie per quel servizio.

All’inizio del nuovo anno ha poi ricevuto il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa

Sede, facendo un rapido bilancio di alcuni eventi drammatici del 2013, sia dei conflitti e

dei drammi umani e sociali che l’hanno afflitto, sia dei progressi compiuti per risolvere

guerre e tensioni. Una speranza, questa, che non abbandona mai Papa Francesco.

Fares, Diego. Papa Francesco e la cultura dell’incontro, in La Civiltà Cattolica CLXV

(2014) 3929, p. 449-460

Una parola chiave per Papa Francesco è incontro. L’articolo, scritto da p. Diego Fares-

che ben conosce Papa Francesco da quarant’anni-presenta una riflessione sul significato

che questa parola ha assunto durante il suo primo atto di Pontificato. Esso si lega al

concetto stesso di periferia, che allude ai dinamismi che gettano ai margini coloro che

non rientrano nella logica della produzione e del consumo, a coloro che sono lontani dalla

Chiesa, e persino a volte a causa della Chiesa. Papa Francesco intende condannare la

cultura dello scarto, rompendo lo schema che distingue coloro che danno e coloro che

ricevono. Lo sostituisce, appunto, con la categoria dell’incontro, nel quale tutti danno e

ricevono. Questo è l’incontro: imparare a ricevere da tutti. Il pensiero di Francesco è

dunque, commenta Fares, in radi ce un pensiero amichevole

Spadaro, Antonio. J. M. Bergoglio, il «maestrillo» creativo. Intervista all’alunno

Jorge Milia, in La Civiltà Cattolica CLXV (2014) 3929, p. 523-534

Tra il 1964 e il 1965, all’età di 28 anni, Jorge Mario Bergoglio fu professore di Letteratura

a Santa Fe presso il Colegio de la Inmaculada Concepción, una scuola di gesuiti attiva da

oltre quattrocento anni. Bergoglio era maestrillo, cioè gesuita in formazione prima degli

studi di teologia. Insegnava agli ultimi due anni del Liceo e avviò i suoi ragazzi alla

scrittura creativa. L’esperienza scolastica vissuta dal Papa è paradigmatica e rivela molto

del suo carattere e dei suoi interessi culturali. Il modo migliore per comprenderla

dall’interno è di intervistare uno dei suoi allievi. L’intervista presenta dunque una

conversazione con Jorge Milia, classe 1949, scrittore e giornalista, alunno di Bergoglio.

Ne emerge il ritratto di un uomo che promuove la creatività letteraria, teatrale e musicale,

un educatore molto coinvolto in relazioni educative capaci si sfidare i suoi alunni a dare

il massimo. L’intervista dipinge anche un ritratto vivace di quegli anni, non senza

momenti di umorismo.

Perez del Viso, Ignacio. La leadership morale di papa Francesco, in La Civiltà

Cattolica CLXV (2014) 3930, p. 560-570

In questo articolo un gesuita argentino, che è stato vicino per anni a Papa Francesco, mette

a confronto l’operato passato di Bergoglio con quello presente e soprattutto con la sua

tensione verso il domani. Fa notare come Papa Francesco, autore dell’enciclica Lumen

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fidei, abbia sostenuto sempre la reciproca illuminazione tra la fede e i valori umani.

Ricorda che in Argentina il vescovo Bergoglio ha stretto amicizie personali con pastori,

rabbini, leader musulmani; e che per lui, più che dialogare, è importante camminare

insieme. A Papa Francesco va riconosciuta, nel mondo di oggi, una indiscutibile

leadership morale. Il Papa non è interessato al petrolio del Medio Oriente, né al

mantenimento di un ordine mondiale fondato sull’egemonia delle superpotenze, ma

desidera sostituire l’ideologia del potere con la mistica del servizio. La sua è una

leadership di discernimento, fedele al metodo delle «desolazioni e consolazioni espresso

da sant’Ignazio negli Esercizi Spirituali.

Scannone, Juan Carlos. Papa Francesco e la teologia del popolo, in La Civiltà

Cattolica CLXV (2014) 3930, p. 571-590

In questo articolo il teologo argentino Juan Carlos Scannone, che è stato professore di

Jorge Mario Bergoglio quando questi era studente gesuita, espone, in una prima parte, la

nascita e le caratteristiche della teologia argentina del popolo. In una seconda parte,

affronta il problema del suo inserimento all’interno della teologia della liberazione

latinoamericana. Infine, mette a fuoco i punti di convergenza tra l’approccio pastorale di

Papa Francesco — in particolare, nella sua Esortazione Evangelii gaudium — e alcuni

elementi caratteristici della teologia del popolo. Il primo anno di pontificato di Papa

Francesco e il testo della sua Esortazione costituiscono una tappa importante nella vita

della Chiesa, anche grazie alla risposta creativa del popolo fedele.

Mucci, Giandomenico. L’importanza del dialogo nella Evangelii gaudium, in La

Civiltà Cattolica CLXV (2014) 3936, p. 599-606

La Nota dà risalto al posto centrale che il dialogo, come atteggiamento e come metodo,

occupa nell’Esortazione Evangelii gaudium di Papa Bergoglio. E il dialogo nella sua più

vasta accezione, dentro e fuori la Chiesa, tra le persone e le istituzioni, nella convinzione

che, dove si dialoga con rispetto e con simpatia verso l’interlocutore, si riceve luce nella

propria ricerca della verità e della fraternità.

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2015

Bergoglio, Jorge Mario. Il pluralismo teologico, in La Civiltà Cattolica CLXVI (2015)

3952, p. 313-328

Come è possibile conservare la necessaria unità di confessione della fede accanto a un

pluralismo teologico? Nel 1984 p. Jorge Mario Bergoglio S.I.-allora rettore del Colegio

Máximo de San José presso San Miguel (Argentina), con le sue facoltà di Filosofia e

Teologia-scrisse il saggio che qui pubblichiamo per rispondere a una domanda che appare

anche oggi di attualità. La soluzione alla domanda è esposta a esiti inadeguati. Da una

parte, infatti, c’è l’errore di voler ridurre tutto a un denominatore comune, a un’unità

astratta. Questo, in fondo, implica che la pluralità venga considerata una realtà negativa,

generando uno spirito di reazione, di conformismo, di ghetto, di integrismo. In tal modo

la teologia rinuncerebbe alla sua missione creativa, finendo per diventare ideologia.

Dall’altra parte, se giungesse a non preoccuparsi dell’unità della fede, questo

comporterebbe la rinuncia alla verità, l’accontentarsi di prospettive parziali e unilaterali.

Qual è, dunque, la forma cristiana di unità? Bergoglio, valorizzando la riflessione di H.

U. von Balthasar, articola la sua riflessione affermando che il mistero resta tale anche

dopo essere stato rivelato, per cui la comprensione della fede conosce innumerevoli gradi

di profondità. Il mistero cristiano non è «addomesticabile: comporta un massimo di unità

nel corpo di Cristo che è la Chiesa, insieme a un massimo di differenza tra i suoi membri.

Il segno sarà l’unanimità nell’espressione plurale. L’unità superiore implica, dunque, che

si sopportino tensioni e conflitti, che possono mostrarsi come dissonanze, e che tuttavia

non vanno mai confusi con la «cacofonia del monismo gnostico.

Spadaro, Antonio. La riforma della chiesa secondo Francesco. Le radici ignaziane, in

La Civiltà Cattolica CLXV (2015) 3968 pag. 114-131

In occasione della elezione di Papa Marcello II-avvenuta il 9 aprile del 1555-sant’Ignazio

di Loyola, in alcune lettere rivolte a tutta la Compagnia, rivela meglio il suo pensiero su

quello che egli intendeva essere la riforma della Chiesa, che doveva partire tenendo

davanti agli occhi il modello di Cristo povero e umiliato.

Salvini, GianPaolo. Verso il Giubileo della Misericordia. Una lettera innovatrice del

Papa, in La Civiltà Cattolica CLXV (2015) 3968, pag. 177-180

In vista dell’inizio del Giubileo, che si aprirà l’8 dicembre, papa Francesco ha inviato

all’arcivescovo Rino Fisichella, coordinatore degli eventi del Giubileo, una lettera. In essa

ribadisce le finalità dell’Anno Santo, ma allo stesso tempo, con alcune concessioni,

intende mostrare che la misericordia di Dio si estende a casi particolari, rendendo più

vicino il perdono divino. Così i carcerati potranno ottenere l’indulgenza giubilare anche

«varcando la porta delle loro celle», e a tutti i sacerdoti è concessa la facoltà, durante il

Giubileo, di assolvere le donne e quanti hanno concorso a effettuare un aborto. Quanti

infine, nello stesso periodo, si confesseranno da sacerdoti appartenenti alla Fraternità San

Pio X, riceveranno lecitamente e validamente l’assoluzione.

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2016

Fantuzzi, Virgilio. «Chiamatemi Francesco», un film di Daniele Luchetti, in La Civiltà

Cattolica CLXV (2016) fasc. 3974, p. 184-189

Daniele Luchetti paragona il suo film sulla vita di Papa Francesco prima del pontificato

a una sorta di viaggio dantesco. La parte più lunga del film è dedicata all’Inferno della

dittatura militare in Argentina. Non mancano scene raccapriccianti. Poi viene il

Purgatorio, dedicato agli abitanti delle baraccopoli nella periferia di Buenos Aires, i cui

abitanti stanno per essere sfrattati a motivo della speculazione edilizia. Il Paradiso,

secondo le intenzioni di Luchetti, dovrebbe essere nel Vaticano. Sempre in lotta, sempre

dalla parte dei poveri, quando vede qualcuno in difficoltà Bergoglio non si tira mai

indietro.

Fares, Diego Javier. Papa Francesco e la politica, in La Civiltà Cattolica CLXV (2016)

3976, p. 373-385

Quale visione della politica Papa Francesco ha maturato ed esprime? Commentatori e

giornalisti, leggendo il secondo discorso del Papa ai Movimenti popolari in Bolivia, si

sono posti diverse domande: è stato un «messaggio controcorrente a favore dei poveri?

Deve essere considerato un «manifesto a tinte «apocalittiche e utopiche, rivolto

all’emotività e non alla ragione? O piuttosto può considerarsi un «fatto catechetico», con

cui il Santo Padre ha infiammato il cuore di quanti lavorano per il bene comune,

illuminandoli con la dottrina sociale della Chiesa, predicata con coraggio e passione?

Papa Francesco-Kirill. Dichiarazione come di papa Francesco e del patriarca Kirill di

Mosca e di tutta la Russia, in La Civiltà Cattolica CLXV (2016) fasc. 3977,

p. 493–501

«Non siamo concorrenti, ma fratelli. Esortiamo i cattolici e gli ortodossi di tutti i paesi a

imparare a vivere insieme nella pace e nell’amore», scrivono Papa Francesco e Kirill,

Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, nella Dichiarazione comune firmata il 12 febbraio

scorso, all’aeroporto José Martí dell’Avana, a Cuba. Nella Dichiarazione, divisa in 30

punti, vengono affrontati, tra gli altri, i temi dei cristiani perseguitati nel mondo, della

famiglia, del diritto inalienabile alla vita, della questione uniate e ucraina. Inoltre, la

Dichiarazione contiene un invito all’Europa affinché torni a rispettare le proprie radici e

un appello di pace per l’Ucraina.

Spadaro, Antonio. Il libro di papa Francesco per i bambini. L’amore prima del mondo,

in La Civiltà Cattolica CLXV (2016) fasc. 3978, p. 521–532

Con il volume L’amore prima del mondo (Rizzoli), Papa Francesco per la prima volta

Papa Francesco inaugura un dialogo diretto con i bambini di tutto il mondo in forma di

libro, rispondendo con parole semplici e intime. Il Pontefice ha confidato ai più piccoli la

sua riflessione sulla vita e sulla fede. Il volume? una raccolta di 31 lettere e disegni

provenienti dai cinque continenti, in cui i bambini dai 6 ai 13 anni chiedono al Papa di

rispondere ad alcune domande. Leggere L’amore prima del mondo si rivela un percorso

spirituale fondato sul fatto che? stato lo stesso Ges? a invitare i suoi discepoli a diventare

come i bambini, perché? a chi? come loro appartiene Il Regno di Dio.

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2017

Maldari, Donald. La vita religiosa: partecipazione a una chiamata universale, in La

Civiltà Cattolica CLXVI (2017) 4004, p. 146–157

Il Concilio Vaticano II prese la decisione consapevole di non descrivere la vita religiosa

come una via di perfezione, in contrasto con la vita non religiosa. La Costituzione Lumen

gentium ha collocato intenzionalmente il suo capitolo sulla vita religiosa consacrata dopo

quello dedicato all’universale vocazione alla santità, allo scopo di sottolineare che tutti i

cristiani sono chiamati alla stessa pienezza di santità.

Negli anni successivi al Concilio si è assistito a sforzi eccezionali, da parte dei teologi,

per chiarire l’identità di ciò che nella teologia cattolica è conosciuto tradizionalmente

come «vita religiosa o consacrata». Infatti, anche i termini «religioso» e «consacrato»

possono creare confusione. Il fatto poi che si applichi a un gruppo un particolare stile di

vita continua a sollevare questioni riguardo al carattere religioso dello stile di vita degli

altri cristiani.

Le categorie di «religione» e «religioni», come sono state comprese dopo l’Illuminismo,

non riescono a integrare quella fede in ciò che la cosmologia post–illuminista chiama «il

secolare», ma che si definisce meglio come la dimensione immanente della realtà. Il loro

uso tende a separare quello che una persona o un gruppo di persone riconoscono come

ciò che costituisce un autentico compimento delle attività quotidiane di quella persona o

di quel gruppo. Questo divorzio pone allora la questione di che cosa animi e guidi le

cosiddette «attività non religiose o secolari».

Papa Francesco offre un elemento chiarificatore nella sua esortazione ai Superiori

generali degli Ordini maschili, fatta a Roma nel novembre 2013: «La radicalità evangelica

non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi seguono il Signore in

maniera speciale, in modo profetico. Io mi attendo da voi questa testimonianza. I religiosi

devono essere uomini e donne capaci di svegliare il mondo».

Il dilemma dei padri conciliari può essere risolto con una cosmologia cattolica, la quale

riconosce che con l’iniziazione sacramentale tutti i cristiani si impegnano a modellare

l’insieme della loro cultura in funzione della loro fede nel Dio uno e trino. Essi cercano

una particolare spiritualità che li ispiri e li guidi nel loro progetto di tradurre la propria

fede in un’azione che abbia cura del mondo creato da Dio. Tra le proposte concrete per

la promozione della spiritualità c’è la pratica dell’ascetismo, che è un mezzo necessario

non solo per i religiosi, ma per tutti i cristiani.

Fares, Diego. A 10 anni da Aparecida. Alle fonti del pontificato di Francesco, in La

Civiltà Cattolica CLXV (2017) 4006, pag. 338-352

A 10 anni dalla V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi

(Celam), che ebbe luogo nella città brasiliana di Aparecida dall’11 al 31 maggio 2007,

vale la pena ricostruire quelle giornate e interrogarsi su quanto esse abbiano inciso nella

vita del subcontinente e, successivamente, della Chiesa universale.

In effetti, Aparecida è stata un vero e proprio avvenimento ecclesiale. E, riesaminata alla

luce di quel che è accaduto successivamente, è stata un evento–chiave, non solo per i

contenuti del Documento finale, ma anche per il processo che ha poi prodotto quel testo.

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L’aria fresca portata da papa Francesco non è dunque qualcosa di improvvisato o di

esclusivamente suo. Ha avuto un precedente in quell’occasione, dove il modo di lavoro

sinodale incoraggiato dal cardinale Bergoglio, allora presidente della Commissione di

redazione del «Documento finale», suscitò nell’assemblea la maturità umile di un

consenso compatto.

Qualcuno ha detto che ad Aparecida c’è stato un «plus pneumatologico». Si tratta in effetti

di quel che accade grazie all’azione dello Spirito nelle persone-quando due o tre si

riuniscono nel nome di Cristo –, più che nei testi. Un affidamento allo Spirito con cui

papa Benedetto aveva personalmente dato avvio alla Conferenza, rievocando durante la

Messa inaugurale, un’espressione originale degli Atti degli Apostoli: «Lo Spirito Santo e

noi». Altrettanto importanti furono poi le affermazioni con cui Benedetto XVI segnò la

strada che la V Conferenza percorse, in particolare quelle sull’apertura delle culture

autentiche e sulla dimensione cristologica dell’opzione preferenziale per i poveri.

Si può inoltre ritrovare in quell’evento la fonte «remota» del pontificato di Francesco. È

in un passaggio dell’omelia del card. Bergoglio durante la Messa del mattino del 16

maggio: «Non vogliamo infatti essere una Chiesa autoreferenziale, ma missionaria; non

vogliamo essere una Chiesa gnostica, ma una Chiesa che adora e prega. Noi popolo e

pastori che costituiscono questo santo popolo fedele di Dio, che ha l’infallibilità nella

fede, insieme con il Papa, noi popolo e pastori parliamo in base a ciò che lo Spirito ci

ispira, e preghiamo insieme e costruiamo la Chiesa insieme, o meglio siamo strumenti

dello Spirito che la costruisce».

Ricostruendo i giorni di Aparecida è possibile infine cogliere la continuità tra l’Evangelii

nuntiandi di Paolo VI, il Documento finale di quella Conferenza e l’Evangelii gaudium

di papa Francesco. «Cose che sono state elaborate dal basso-come ha affermato lo stesso

Pontefice in un’intervista ad inizio anno, spiegando proprio questa connessione-

L’Evangelii nuntiandi è il miglior documento pastorale postconciliare e non ha perso di

attualità».

Fares, Diego. Francesco e i movimenti pentecostali, in La Civiltà Cattolica, vol. II

(2017) 4008, pag. 560-573

Per comprendere il complesso e ricco mondo «pentecostale» occorre ricordare che si

possono distinguere tre forme di protestantesimo: il protestantesimo «storico», costituito

dalle comunità nate direttamente dalla Riforma; il protestantesimo «evangelico » o «di

risveglio», che nasce mettendo l’accento sull’incontro personale con Cristo e suscita un

forte impulso missionario, come nel caso dei metodisti e dei battisti; e il protestantesimo

dei movimenti «di santità», costituito da un’onda trasversale a varie denominazioni, fra i

quali i pentecostali.

La relazione tra papa Francesco e il movimento pentecostale si fonda su rapporti personali

di amicizia coltivati nel tempo e nella preghiera comune; ma anche sullo spirito fraterno

e sulle iniziative ecumeniche del cardinale Bergoglio con ebrei, musulmani e cristiani di

altre confessioni, consolidatisi soprattutto durante l’ultima crisi economica argentina del

2001.

È stato lo stesso papa Francesco, il 28 luglio 2014, durante la sua visita privata a Caserta

presso la Chiesa Evangelica della Riconciliazione – motivata dalla profonda amicizia che

lo lega al suo pastore, Giovanni Traettino –, a spiegare come è nata la sua relazione con i

pentecostali: «Qualcuno sarà stupito: “Ma, il Papa è andato dagli evangelici”. È andato a

trovare i fratelli! Sì! Perché-e questo che dirò è verità-sono loro che sono venuti prima a

trovare me a Buenos Aires». Da quel primo incontro, accanto alle grandi e piccole

iniziative comuni, anche la realizzazione di un desiderio del card. Bergoglio: «Voglio

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pregare almeno una volta al mese con i pastori». E così è stato, con fedeltà reciproca, per

tanti anni. Nell’articolo ripercorriamo questa storia anche attraverso dei documenti e delle

testimonianze inedite.

Queste relazioni di amicizia e di fraternità sono state recentemente confermate e

rafforzate in occasione del «Giubileo d’oro» del Rinnovamento carismatico cattolico.

È cambiato qualcosa nella relazione tra pentecostali e cattolici, grazie a questi incontri,

dialoghi e gesti? Se si considera questo dialogo come una grazia dello Spirito in persone

concrete che si avvicinano con amicizia e con fede, allora il seme di un cambiamento

totale di mentalità è stato seminato e darà frutto.

I tre grandi temi attorno ai quali il Papa e i pentecostali dialogano in un ambito di amicizia

nel Signore-il camminare insieme, la diversità riconciliata e il servizio-sono temi

essenziali, nei quali il dinamismo supera la paralisi secolare, l’unità si mostra più grande

di tutte le differenze e la carità prevale sulle dispute astratte.

Narvaja José Luis. Il significato della politica internazionale di Francesco, in La

Civiltà Cattolica, vol. III (2017) 4009, p. 8–15

Per cogliere le radici della politica internazionale di papa Francesco è necessario innanzi

tutto evitare semplificazioni. È molto utile partire dalle sue radici biografiche e culturali,

ma è anche necessario andare al di là di esse.

Possiamo individuare così quattro aspetti della politica del Pontefice.

1. Il suo carattere kerigmatico. Per Francesco l’annuncio del Vangelo si fa politica;

pertanto l’impegno politico discende dal Vangelo e non da una ideologia. In un

articolo del 1987 Bergoglio affermava che un determinato fatto è autenticamente

politico quando porta un messaggio, un significato attuale per tutto il popolo di

Dio.

2. L’orientamento al tutto e all’unità. Per il Papa ogni politica è sempre «politica

interna». Egli considera il mondo come un’unica città. In questo contesto, una

politica autenticamente cristiana è una politica che sostiene l’armonizzazione

delle parti nell’accettazione reciproca, senza distruggere le particolarità, ma senza

neppure mettere al primo posto le differenze.

3. L’origine nel discernimento. La politica richiede un processo che avviene nel

tempo, per mezzo del dialogo e del discernimento. Il cristiano impegnato in

politica è consapevole che è necessario un dialogo con la storia che permetta di

scoprire i segni dei tempi; e, contemporaneamente, un dialogo con Dio, perché è

Lui che guida i cuori degli uomini e il corso della storia. Per questo occorre essere

attenti e «discernere gli spiriti». Se per il Papa la politica mondiale è sempre

«politica interna», non sarebbe sbagliato descrivere la politica «estera»-intesa

come l’arte che cerca di difendere la città contro gli interessi esogeni-come una

lotta essenzialmente spirituale.

4. Il legame diretto tra la politica e la carità. La visione politica di papa Francesco

ci ricorda una cosa di una semplicità disarmante: al centro del messaggio di Cristo

c’è l’amore e questo amore si manifesta nel servizio. Lo storico austriaco Friedrich

Heer affermò che la debolezza della Chiesa e la sua perdita di significato nel

mondo era dovuta al fatto che essa non insegnava più l’amore. Tornare a farlo è

un messaggio politico kerigmatico, in quanto annuncia che l’Amore è vivo e che

l’amore è possibile. E il matrimonio e la famiglia, in questo senso, risultano essere

due «palestre» cruciali per la politica.

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La «politica inclusiva», dall’agenda aperta, proposta da papa Francesco è la «politica di

Dio» che si incarna per essere «Dio con noi». Supera così il paradosso di una «politica

cristiana», intesa come politica di parte. Per il Papa, la politica è l’espressione più alta

dell’amore; e un amore che non sia politico è semplicemente amore di se stessi.

Fares, Diego. I giovani, la fede e il discernimento. Verso il sinodo 2018: le indicazioni

di un documento «incompleto», in La Civiltà Cattolica, vol. III (2017)

4014, pag. 449-462

Il 13 gennaio 2017 è stato presentato il Documento preparatorio per il prossimo Sinodo

dei vescovi su «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». Ci troviamo di fronte

a un testo innovativo. La semplicità dello schema – un’introduzione, tre parti che

applicano il metodo «vedere-giudicare-agire» e un questionario – si rivela frutto di un

discernimento maturo, e non lo sviluppo di un modello ideale astratto. Inoltre, appare un

documento «incompleto», che si propone solo come una «mappa» per il cammino

sinodale, che propone una figura concreta, quella di Giovanni, l’evangelista giovane,

come icona dell’esperienza vocazionale.

Il Documento è impostato secondo il duplice aspetto del dialogo e

dell’accompagnamento. Un dialogo in cui le prime parole sono quelle del Signore Gesù,

il quale parla direttamente e presenta il suo come un progetto di felicità per tutti, senza

eccezioni: «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena»

(Gv 15,11).

Senza abusare di luoghi comuni, il Documento riprende lo sguardo positivo del Concilio

che tratta i giovani come persone mature. L’atteggiamento e il tono della Chiesa sono

dunque quelli di chi accompagna qualcuno che discerne la propria vocazione, andando

incontro ai giovani «lì dove sono», nello stesso modo in cui il Papa invita ad accogliere

le famiglie «come sono». Di fronte alla provvisorietà delle decisioni che caratterizza il

mondo di oggi, l’unico «consiglio» che il Papa dà, è: «Rischia! Chi non rischia non

cammina. “Ma se sbaglio?”. Benedetto il Signore! Sbaglierai di più se tu rimani fermo».

La pedagogia di Francesco non umilia i giovani per i loro limiti, laddove essi sono più

fragili (per esempio, nel dominare le passioni), ed è invece esigente e audace laddove sta

la loro forza: giocarsi tutto per un ideale.

Interessante notare che nel Documento non si parte dal problema della necessità di

vocazioni sacerdotali e religiose, ma si «universalizza la questione vocazionale». Il

discernimento vocazionale viene presentato come «un processo progressivo di

discernimento interiore e di maturazione della fede» che riguarda tutti i cristiani, che

lungo il cammino-che richiede tempo-devono poter contare sull’aiuto di un saggio

accompagnatore. Qui in particolare si può riconoscere il ruolo della Chiesa.

Ecco dunque che infine si affronta la questione dell’«azione pastorale». E viene rivolta

una domanda impegnativa alla Chiesa stessa: «Che cosa significa per essa accompagnare

i giovani ad accogliere la chiamata alla gioia del Vangelo?». Le tracce proposte dal testo

per una possibile risposta permettono anche di rendere concreto il profilo ideale di colui

che accompagna i giovani.

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2018

Papa Francesco. Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace. Messaggio del

Santo Padre Francesco per la 51a Giornata Mondiale della Pace, in La

Civiltà Cattolica, vol. I (2018) 4021, p. 3-9

Nel Messaggio per la 51a Giornata Mondiale della Pace papa Francesco ricorda i 250

milioni di migranti nel mondo, dei quali 22 milioni e mezzo sono rifugiati, ed esorta ad

essere misericordiosi con essi, vittime di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado

ambientale. Le migrazioni sono causate da guerre, soprusi e dalle crisi economiche.

Stigmatizzando discriminazione razziale e xenofobia, papa Francesco ricorda che la

dignità umana deve essere riconosciuta a tutti e invita a considerare le migrazioni con uno

sguardo carico di fiducia, come opportunità per costruire un futuro di pace, promuovendo

la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. «Accogliere,

proteggere, promuovere e integrare» è il modo giusto per affrontare la questione dei

rifugiati e migranti.

Fares, Diego. «Io sono una missione»: verso il sinodo dei giovani, in La Civiltà

Cattolica, vol. 1 (2018) 4025, pag. 417-431

Il prossimo Sinodo sui giovani ha come tema centrale il discernimento vocazionale.

Quando si usa la parola «vocazione», la prima cosa che di solito viene in mente è la

vocazione alla «vita consacrata». Ma la chiamata di Dio-«vocazione universale alla gioia

dell’amore»-è più ampia. Per poter ascoltare questa chiamata e scegliere il tipo di servizio

in cui si concretizza l’amore è necessario crescere nella pratica del discernimento

spirituale.

Si possono individuare tre semplici passi da fare, per aprire la mente ai movimenti del

cuore e ai segni dei tempi e liberarla dalle gabbie intellettuali. Affinché si tratti di un

«discernimento evangelico» e non una scelta tra idee astratte che poi vengono applicate

in modo legalistico.

1. Un passo verso il basso. Il primo passo di un discernimento viene «dall’alto»:

dall’ispirazione dello Spirito che irrompe nella nostra vita. E la risposta è fare un

«passo verso il basso», riconoscendo la grazia e umiliandosi interiormente. Se

manca questo passo di solito sono la vanità e la pretesa di addomesticare la grazia

che si rafforzano.

2. Un passo verso l’esterno. Insieme all’ispirazione, emergono idee, tentativi di

concettualizzare ciò che lo Spirito richiede. Il passo concreto affinché queste

formulazioni non si assolutizzino, bloccando la dinamica dell’ispirazione, è un

«passo verso l’esterno»: uscire in missione, offrire un servizio concreto.

3. Un passo indietro. Il terzo passo del discernimento è un «passo indietro», in due

sensi: nel senso che abbraccia i due momenti precedenti e non permette che

vengano separate l’umiltà interiore e l’uscita missionaria verso un servizio

concreto; e nel senso che, prima di mettere in atto ciò su cui si è fatto

discernimento, occorre attendere una triplice conferma: quella della consolazione

dello Spirito, che è interiore; quella della Chiesa gerarchica, che è giuridica; e

quella del popolo fedele, che si esprime con la gioia, l’affetto e la collaborazione

nella missione.

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Il «luogo teologico» dei 3 passi. Nella logica e nel dinamismo dell’Incarnazione, i passi

che abbiamo considerato non sono solo passi mentali: sono passi che hanno bisogno di

un ambito concreto in cui camminare, cioè di un «luogo teologico». Questo «luogo

teologico» sono i popoli verso i quali il Signore ci manda in missione. Francesco,

nell’Evangelii gaudium, ne dà questa formulazione: «La missione al cuore del popolo

non è una parte della mia vita o un ornamento che posso togliere […]. Io sono una

missione […]. Tuttavia, se uno divide da una parte il suo dovere e dall’altra la propria

vita privata, […] smetterà di essere popolo» (EG 273). Il popolo fedele ci insegna che la

volontà di Dio si rivela strada facendo. Discernere è concretizzare, e non si concretizza

sulla carta, ma nella vita.

Editoriale: La Civiltà Cattolica. Cinque anni di papa Francesco. Il cammino del

pontificato si apre strada facendo, in La Civiltà Cattolica, vol. I (2018)

4026, pag. 521-528

Abbiamo appena celebrato il quinto anniversario dell’elezione di papa Francesco. «Come

è cambiata la Chiesa in questo quinquennio?»: questa sembra essere stata la domanda alla

quale di frequente i giornalisti hanno cercato di rispondere raccogliendo analisi e opinioni.

Tuttavia, rischia di essere una questione che mette in ombra un dato: la Chiesa vive un

cambiamento continuo, perché è in cammino con la storia degli uomini. E ogni pontefice

ha avuto un influsso sui suoi tempi e ha contribuito, in un modo o nell’altro, al cammino

della Chiesa nel mondo. Come ogni pontefice, Francesco si è sentito chiamato a esprimere

il suo proprio sguardo sul mondo e sulla Chiesa.

In particolare, la proposta di papa Francesco è «profetica», cioè realizzata da chi sa

conferire al movimento del tempo il suo vero rapporto con il disegno di Dio. Francesco è

un papa del Concilio Vaticano II, non perché lo affermi e lo difenda costantemente, ma

perché ne coglie il valore intimo di rilettura del Vangelo alla luce dell’esperienza

contemporanea. In particolare, ricordiamo che Paolo VI, nel suo discorso di chiusura della

IV sessione conciliare, aveva definito la carità come «la religione del nostro Concilio»,

ricordando «l’antica storia del Samaritano». E per Francesco questa deve essere la Chiesa:

una «Chiesa samaritana», «ospedale da campo»-come l’ha descritta nella sua prima

intervista che ha concesso a La Civiltà Cattolica nell’agosto del 2013 –, una Chiesa che

è «casa per tutti», come ha ribadito più volte.

* * *

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Riforme. Alcuni commentatori hanno voluto leggere i cambiamenti nel corso del

pontificato di Francesco con un’ottica esclusivamente sociologica, e hanno appiattito il

tema della «riforma» sulla questione della riforma della Curia romana. Si tratta di una

prospettiva miope.

Già all’inizio del pontificato, Francesco aveva affermato che la riforma della Curia poteva

essere solo l’espressione di una riforma interiore, profonda della Chiesa (cfr. A. Spadaro,

«Intervista a Papa Francesco», in Civ. Catt. 2013 III 449–477). Come il nostro Direttore

ha testimoniato, alla domanda che egli ha posto al Papa un anno fa, se volesse fare la

riforma della Chiesa, il Papa rispose che lui voleva semplicemente mettere Cristo sempre

più al centro della Chiesa; poi sarebbe stato Lui a fare le riforme necessarie.

Non è un caso che il card. Bergoglio, divenuto papa, abbia scelto il nome «Francesco».

Non lo ha fatto soltanto per sottolineare il legame evangelico con i poveri e i piccoli, ma

lo ha fatto perché sente come sua la missione di Francesco d’Assisi: «ricostruire» la

Chiesa, cominciando, come il santo di Assisi, dal fare il muratore che ricostruisce una

chiesetta. La sua è e vuole essere essenzialmente una riforma spirituale.

In questo senso, l’obiettivo di Francesco è stato quello di avviare le riforme interne alla

Curia, ma non quello di portarle tutte e subito a compimento. L’umiltà gli impedisce di

immaginare se stesso come il «Don Chisciotte» della riforma, che «è come pulire la

Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti», per usare una sua immagine eloquente (cfr.

Francesco, Discorso natalizio alla Curia romana, 21 dicembre 2017). Questa è l’ironica

e smaliziata constatazione che lo ha guidato sin dall’inizio.

D’altra parte, la narrativa che nulla sia andato in porto è palesemente falsa. Francesco

«mette mano» alle cose e scioglie i nodi uno ad uno, nei limiti del possibile. Chi invece

si immaginava un deus ex machina donchisciottesco può rimanere deluso. Il Papa sa che

si possono fare errori e ha l’umiltà di riconoscerlo e di provare altre strade. Poi «testa» la

bontà dei processi in corso e si consulta. Per questo esiste il gruppo dei cardinali, il

cosiddetto «C9». Ma Francesco non crede in soluzioni prêt-à-porter. Non vi ha mai

creduto. La riforma si sta compiendo passo passo. Per dirla in altro modo: generalmente

parlando, si può affermare che questo è un pontificato di semi. La quantità di semi che

esso sta spargendo è ampia e maggiore rispetto a quella del primo raccolto.

Spadaro, Antonio. GAUDETE ET EXSULTATE. Radici, struttura e significato della

Esortazione apostolica di papa Francesco, in La Civiltà Cattolica, vol. II

(2018) 4028, pag. 107-123

A cinque anni dalla sua elezione papa Francesco ha deciso di pubblicare la sua terza

Esortazione apostolica dal titolo Gaudete et exsultate (GE). Essa, come è detto

esplicitamente nel sottotitolo, ha come argomento la «chiamata alla santità nel mondo

contemporaneo». Il Pontefice lancia un messaggio «nudo», essenziale, che indica ciò che

conta, il significato stesso della vita cristiana, che è, nei termini di sant’Ignazio di Loyola,

«cercare e trovare Dio in tutte le cose», seguendo l’indicazione del suo invito ai gesuiti:

curet primo Deum. Questo è il cuore di ogni riforma, personale ed ecclesiale: mettere al

centro Dio.

Il cardinale Bergoglio, divenuto papa, ha scelto il nome «Francesco» proprio per questo;

come pontefice, ha sposato la missione di Francesco d’Assisi: «ricostruire» la Chiesa nel

senso di una riforma spirituale che abbia Dio al centro. Afferma: «Il Signore chiede tutto,

e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole

santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata,

inconsistente» (GE 1).

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L’Esortazione non vuole essere un «trattato sulla santità, con tante definizioni e

distinzioni che potrebbero arricchire questo importante tema, o con analisi che si

potrebbero fare circa i mezzi di santificazione». L’«umile obiettivo» del Papa è quello di

«far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel

contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità» (GE 2). E in questo

senso spera che le sue «pagine siano utili perché tutta la Chiesa si dedichi a promuovere

il desiderio della santità» (GE 177). Come vedremo, questo desiderio del Papa ha nel

discernimento il suo cuore pulsante.

La Gaudete et exsultate si compone di cinque capitoli. Il punto di partenza è «la chiamata

alla santità» rivolta a tutti. Da qui si passa alla chiara individuazione di «due sottili

nemici» che tendono a risolvere la santità in forme elitarie, intellettuali o volontaristiche.

Quindi si prendono le beatitudini evangeliche come modello positivo di una santità che

consiste nel seguire la via «alla luce del Maestro» e non una vaga ideologia religiosa. Si

descrivono poi «alcune caratteristiche della santità nel mondo attuale»: pazienza e

mitezza, umorismo, audacia e fervore, vita comunitaria e preghiera costante.

L’Esortazione si conclude con un capitolo dedicato alla vita spirituale come

«combattimento, vigilanza e discernimento».

Editoriale: I giovani hanno risvegliato la sinodalità della Chiesa, in La Civiltà

Cattolica, vol. IV (2018) 4041, pag. 209-212

Si è appena concluso il Sinodo dei vescovi dedicato a «Giovani, fede e discernimento

vocazionale». Scriviamo queste righe poco prima di andare in stampa, rinviando la

riflessione più organica-sia sul processo sinodale sia sul Documento finale (DF)-a un

contributo successivo.

Una cosa è emersa con chiarezza dai lavori e dall’intero processo sinodale avviato nel

gennaio 2017: si deve evitare di parlare di Chiesa «e» giovani, perché i giovani non sono

un «oggetto», così come invece purtroppo lo sono del marketing. Organizzare un Sinodo

sui giovani senza i giovani sarebbe stato privo di senso.

Che cosa lo Spirito sta dicendo alla Chiesa oggi attraverso le ricerche, le speranze, le

angosce e le richieste dei giovani che a volte si fa pure fatica a comprendere? San Paolo

VI lo aveva detto: «C’è un’intima connessione, cari giovani, tra la vostra fede e la vostra

vita. Proprio nell’insoddisfazione che vi tormenta, nella vostra critica di quella società

[…] c’è un elemento di luce» (2 dicembre 1970).

Tutti abbiamo molto da imparare dalle inquietudini non addomesticabili dei giovani,

dentro e fuori la Chiesa. La parola «inquietudine» risuona nel testo del Documento finale

8 volte e in vari contesti; con i suoi sinonimi è una delle parole chiave dell’intero

documento.

La sfida vera, dunque, è quella di fare compagnia ai giovani e di accompagnarli per

aiutarli a porsi e a condividere tra loro le domande giuste, quelle vere, importanti, quelle

fondamentali, davanti a un mondo diviso, al vuoto interiore e al loro desiderio di vita

piena e felice. E anzi, il Sinodo-nella Lettera ai giovani-chiede ai giovani di farsi a loro

volta «compagni di strada dei più fragili, dei poveri, dei feriti dalla vita». Da qui, dunque,

l’appello a che siano i giovani a mettersi al lavoro per restituire alla Chiesa quell’istinto

di felicità e pienezza che la rende aperta al soffio dello Spirito.

In un mondo in cui gli adulti sono in competizione con i giovani – con i loro stessi figli,

se li hanno! –, il Sinodo ci ha parlato ancora di un’umanità alla ricerca di pienezza, che

spera ancora, umilmente, nella promessa del futuro. La Chiesa è una canoa – ha detto uno

dei 36 giovani uditori sinodali, proveniente delle isole Samoa – in cui i vecchi aiutano a

tenere la direzione interpretando la posizione delle stelle, e i giovani, in dialogo con loro,

remano con forza. Per Francesco, il giovane è un profeta, ma può davvero profetizzare

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solo ascoltando i sogni di chi lo precede nel cammino della vita (cfr. il volume di

Francesco La saggezza del tempo, Venezia, Marsilio, 2018, presentato nel contesto del

Sinodo).

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2019

Fares, Diego-Spadaro, Antonio. Un nuovo modo di costruire la storia. Francesco alla

GMG di Panama, in La Civiltà Cattolica CLXX (2019) 4048, p. 377-390

Dal 23 al 28 gennaio papa Francesco si è recato a Panama in occasione della 34’ Giornata

Mondiale della Gioventù. Dal discorso del Papa alle autorità (il 24 gennaio), Panama è

emersa come terra di incontro e di sogni. E intorno a questi due fili conduttori Francesco

ha organizzato, sviluppato e approfondito i suoi discorsi, messaggi e omelie-in ogni

evento con interlocutori diversi-, sempre mantenendo al centro i giovani della GMG. Ad

essi il Papa ha detto che Gesù ci invita ad ‘attuare il sogno di Dio’, che consiste nel rendere

carne la misericordia del Padre nella vita della gente. Per Francesco, i giovani ‘non sono

il futuro, ma l’adesso di Dio’, non sono in sala d’attesa, ma sono già protagonisti.

Spadaro, Antonio. «Sentinelle di fraternità nella notte». Il viaggio apostolico di papa

Francesco ad Abu Dhabi, in La Civiltà Cattolica, vol. I (2019) 4049, pag.

467-477

Dal 3 al 5 febbraio 2019 papa Francesco si è recato negli Emirati Arabi Uniti. L’occasione

di questa visita del Papa è stata offerta dal «Convegno Internazionale sulla Fratellanza»,

promosso dal Consiglio islamico degli anziani.

In questa circostanza il Papa e il Grande Imam hanno firmato insieme un Documento

«sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune». Prima della

storica firma, il Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyib e Francesco hanno tenuto i

loro discorsi. In particolare, il discorso di Francesco non si è limitato al rapporto tra

cristiani e musulmani. La sua portata è stata universale, e il messaggio rivolto a un mondo

lacerato. «Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro. Le

religioni, in particolare, non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra

i popoli e le culture. È giunto il tempo in cui le religioni si spendano più attivamente, con

coraggio e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la

capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace».

La lettura del Documento richiederà specifici approfondimenti. Intanto si può dire che

esso segna un punto di svolta, perché sostanzialmente supera la logica stessa del

«dialogo», cioè il solo discutere su temi importanti. I firmatari partono dall’esperienza

del loro incontro e dal fatto che varie volte hanno condiviso «le gioie, le tristezze e i

problemi del mondo contemporaneo». Per questo si leveranno certamente voci dissonanti.

E tuttavia non si può più tornare indietro: il processo è aperto.

Il giorno successivo, 5 febbraio, il Papa si è recato alla St. Joseph Cathedral, una delle

due sole chiese cattoliche nell’Emirato di Abu Dhabi e poi ha ripreso il cammino per

recarsi allo stadio per la celebrazione della Messa.

La croce nello stadio di Abu Dhabi sull’altare della messa con Papa Francesco.

Una Messa in un luogo pubblico, all’aperto, cosa che normalmente è impossibile fare:

anche questa è una novità storica. Palpabili sono stati l’emozione e il clima di festa, fuori

e dentro lo stadio, dei 180.000 presenti, migranti cattolici-che costituiscono il 10% della

popolazione-venuti negli Emirati per lavorare e sono divenuti manodopera insostituibile:

il volto nuovo della Penisola arabica. Di riti, lingue e 100 nazionalità diverse, essi sono

uniti dalla fede. Il Papa ha voluto proprio ringraziare per questa peculiare e intensa

cattolicità: «Voi qui conoscete la melodia del Vangelo-ha detto-e vivete l’entusiasmo del

suo ritmo. Siete un coro che comprende una varietà di nazioni, lingue e riti; una diversità

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che lo Spirito Santo ama e vuole sempre più armonizzare, per farne una sinfonia. Questa

gioiosa polifonia della fede è una testimonianza che date a tutti e che edifica la Chiesa».

Spadaro, Antonio. Giovani che “volano con i piedi”. Analisi dell’Esortazione

apostolica “Christus vivit” di papa Francesco, in La Civiltà Cattolica, vol.

2 (2019) 4051, pag. 3-17

¡Él vive y te quiere vivo! Egli è vivo e ti vuole vivo! Così si apre la nuova Esortazione

apostolica di papa Francesco, firmata il 25 marzo 2019. L’esclamazione riassume il senso

profondo del testo bergogliano che ha il titolo latino di Christus vivit. «Vita», «vivo»,

«vivere» sono termini che ricorrono nel documento ben 280 volte, esattamente quanto la

parola «giovani», che è la parola chiave dell’Esortazione. Una vita vissuta pienamente:

questo è il perno attorno al quale ruota tutto il discorso di Francesco sui giovani. Le pagine

scorrono con un ritmo sostenuto, pieno di energia, come a voler scuotere, a voler

letteralmente «esortare» a una vita piena.