Topologia Algebrica

99
versione preliminare (15 - 4 - 2016) Note di Topologia Algebrica Giambattista Marini Queste note sono una sintesi dei risultati principali che si incontrano studiando i fondamenti di topologia algebrica, costituiscono una, spero utile, “overview” sulla materia per lo studente che segue attivamente il corso. Indice 0. Notazioni e richiami 3 Incollamenti 4 CW-complessi 6 Classificazione delle superfici compatte 8 1. Omotopia 14 Deformazioni e Retratti 15 Gruppo Fondamentale 18 Il Teorema di Seifert e Van Kampen 22 Rivestimenti 26 2. Omologia 36 Simplessi singolari: notazione fondamentale 38 Sui simplessi singolari e loro suddivisioni 39 Successione di Mayer-Vietoris 44 Invarianza Omotopica 45 Il Teorema di Hurewicz 46 Omologia della coppia 48 Omologia della sfera 51 Omologia dei Δ-complessi e Omologia Simpliciale 54 Omologia cellulare 59 Omologia con coefficienti 64 Formula di K¨ unneth 65 3. Coomologia 66

description

Notes about Algebraic Topology, in Italian, by Giambattista Marini. 99pp.

Transcript of Topologia Algebrica

v e r s i o n e

p r e l i m i n a r e

(15 - 4 - 2016)Notedi

Topologia Algebrica

Giambattista Marini

Queste note sono una sintesi dei risultati principali che si incontrano studiando i fondamentidi topologia algebrica, costituiscono una, spero utile, “overview” sulla materia per lo studente

che segue attivamente il corso.

Indice

0. Notazioni e richiami 3

• Incollamenti 4

• CW-complessi 6

• Classificazione delle superfici compatte 8

1. Omotopia 14

• Deformazioni e Retratti 15

• Gruppo Fondamentale 18

• Il Teorema di Seifert e Van Kampen 22

• Rivestimenti 26

2. Omologia 36

• Simplessi singolari: notazione fondamentale 38

• Sui simplessi singolari e loro suddivisioni 39

• Successione di Mayer-Vietoris 44

• Invarianza Omotopica 45

• Il Teorema di Hurewicz 46

• Omologia della coppia 48

• Omologia della sfera 51

• Omologia dei ∆-complessi e Omologia Simpliciale 54

• Omologia cellulare 59

• Omologia con coefficienti 64

• Formula di Kunneth 65

3. Coomologia 66

2

4. Varieta Topologiche 70

• Orientazione 70

• Classe Fondamentale 72

• Dualita di Poincare 75

A1. Gruppi liberi e prodotto libero di gruppi 78

• Gruppi abeliani liberi 80

A2. Algebra Omologica 82

• Il prodotto tensoriale ed il funtore “Tor” 88

• Il teorema dei coefficienti universali 92

• La formula di Kunneth in algebra omologica 94

• Funtore Hom e coefficienti universali in coomologia 95

• Cenni sulle categorie abeliane 98

Bibliografia 99

Per gli studenti del corso di Topologia algebrica (a.a. 2015-16),

ho scritto queste note semplicemente con l’idea di riassumere i concetti fondamentali che siincontrano in topologia algebrica. In particolare, con una finalita diversa da quella di scrivere

il libro di testo di questo corso. Cio ha delle implicazioni che voglio sottolineare:

1. queste note non coprono tutto cio che verra discusso a lezione, ne vale il viceversa (ilprogramma del corso sara quello svolto a lezione);

2. motivazioni, esempi ed esercizi, assolutamente fondamentali in un corso di T.A., sono pre-senti in misura minimale in queste note (naturalmente, verranno discussi a lezione). Nel dare

le dimostrazioni ho cercato la sintesi e, nel caso di quelle piu lunghe e noiose, mi sono limitatoa darne le linee guida. In buona parte, l’idea di fondo e che tutto cio che e “straightforward”

venga lasciato al lettore (che si presume segua attivamente il corso). Cio rende queste note didifficile lettura, almeno all’inizio, ...lo studente del terzo anno al primo contatto con la T.A.

non si spaventi!

Il materiale coperto dal corso si trova in [Hat], libro che puo essere usato come testo di

riferimento (e disponibile online sul sito dell’autore). Nella bibliografia indico altri testi che,almeno per quanto riguarda la gran parte degli argomenti, sono validissimi testi di riferimento

(e, almeno per certi versi, a volte preferibili a quello che ho indicato).

Prerequisiti: Argomenti trattati nel primo anno del Corso di Laurea in Matematica, rudimentidi topologia generale (coperti nel corso di geometria 3).

3

§ 0. Notazioni e richiami.

Notazioni e convenzioni.

(1.1) Con il termine funzione si intende funzione continua (in ambito topologico e salvo diversamente speci-ficato);

(1.2) un omeomorfismo e una funzione continua, invertibile con inversa continua;

(1.3) un sottospazio di uno spazio topologico e un sottoinsieme (arbitrario) dotato della topologia indotta.

(1.4) Sia A un sottospazio di uno spazio topologico X . I simboli A eA denotano rispettivamente la chiusura

e l’interiore di A (come sottospazi di X naturalmente);

(1.5) I denota l’intervallo reale [0, 1] con la topologia naturale;

(1.6) Dn ed Sn denotano rispettivamente il disco di dimensione n e la sfera di dimensione n:

Dn = x ∈ Rn | ||x|| ≤ 1 , Sn = x ∈ Rn+1 | ||x|| = 1

dotati della topologia naturale indotta dai rispettivi ambienti Rn e Rn+1. Sottolineiamo che la sferaSn e un sottospazio del disco Dn+1 (ne e la frontiera).

(1.7) Il prodotto cartesiano di spazi topologici, due o piu, si intende dotato della topologia prodotto(cfr. esempio 4.1).

(1.8) Il simbolo “⋃•” denota l’unione disgiunta.

Definizione 1.9. Uno spazio topologico si dice T1 se i punti sono chiusi, si dice T2 (= di Hausdorff ) sesepara i punti (i.e. punti distinti ammettono intorni disgiunti), si dice T4 se1 e T1 e separa i chiusi (i.e. per ognicoppia chiusi disgiunti C

1e C

2e possibile trovare due aperti disgiunti U

1e U

2tali che C

1⊆ U

1, C

2⊆ U

2).

Def. 2. Sia X uno spazio topologico, ∼ una relazione d’equivalenza su X , π : X −→ X/ ∼la proiezione naturale. Lo spazio topologico quoziente, denotato con X/ ∼, e l’insieme

quoziente dotato della topologia definita dalla proprieta che segue:

U ⊆ X/∼ e aperto ⇐⇒ π−1(U) e aperto in X

Esercizio 2.1. Si verifichi che quella introdotta e effettivamente una topologia su X/ ∼ .

Esercizio 2.2. Si verifichi che X/ ∼ e dotato della topologia piu fine per la quale la proiezione π e continua(i.e. della topologia coindotta dalla proiezione, cfr. Def. 3).

Notazione 2.3. Sia A un sottospazio di uno spazio topologico X . Poniamo

X/A := X/ ∼

essendo ∼ la relazione d’equivalenza che identifica i punti di A (p ∼ q ⇐⇒ p = q oppure p, q ∈ A).

Avvertenza 2.4. Secondo quanto visto finora, il quoziente R/Z puo essere interpretato in due modi, inognuno dei due casi dotato della topologia quoziente (def. 2):

• come “quoziente di gruppi”, i.e. come R/∼ dove a ∼ b ⇔ a−b ∈ Z;

• come “quoziente insiemistico”, i.e. come R/∼ dove a ∼ b ⇔ a = b oppure a, b ∈ Z (notazione 2.3).

Nel primo caso si ottiene un cerchio, i.e. uno spazio omeomorfo ad S1, nel secondo caso si ottiene un bouquetdi un’infinita numerabile di cerchi. Per esercizio, ci si convinca di quanto affermato.

Salvo diversamente specificato, R/Z va interpretato nel primo dei due modi (quindi R/Z ∼= S1). Piu ingenerale, Rn

/Zn denota il quoziente di gruppi (in questo caso si ottiene il cosiddetto Toro di dimensione n).

Esercizio 2.5. Sia A un sottospazio di uno spazio topologico X . Provare che

• gli aperti di X/A sono le immagini, tramite la proiezione naturale π : X −→ X/A, degli aperti di X chenon incontrano oppure contengono A;

• se B e un sottoinsieme di X , si ha che:

π(B) ⊆ X/A e aperto ⇐⇒(B ∩ A 6= ∅ e B ∪A e aperto)

oppure(B ∩ A = ∅ e B e aperto)

• se X e T4 ed A e chiuso, allora anche X/A e T4 (cfr. def. 1.9).

1 Qualche autore, nella definizione di spazio T4 non include la richiesta che sia T1, ...noi ce la mettiamo.

4

A partire dallo spazio prodotto (1.7) e dagli spazi quoziente (2) e (2.3) si introducono altri spazi notevoli.Siano X ed Y spazi topologici, x

0∈ X, y

0∈ Y punti. Si definiscono:

(2.6)X×I

/X×0 X×I

/X×0, 1 X×Y × I

/∼ X

⋃• Y/x

0, y

0 X×Y

/X×y

0 ∪ x

0×Y

Cono “Suspension” “Join” “Wedge sum” “Smash product”

dove, nel Join, “∼” e la relazione che in X×Y ×0 contrae le fibre della proiezione su X , in X×Y ×1contrae le fibre della proiezione su Y (ed e banale, nel senso che non fa nulla, sui vari X×Y×t, t 6= 0, 1).In assenza di una traduzione usata diffusamente nella letteratura italiana abbiamo mantenuto il termine inglese.

Esercizio 2.7. Siano X ⊆ Rn, Y ⊆ Rm, x0∈ X, y

0∈ Y . Si descriva la loro Wedge sum come sottospazio

di Rn+m. Assumendo che X ed Y siano chiusi e limitati, si descrivano gli spazi Cono, Suspension e Joinscritti nella (2.6), rispettivamente come sottospazi di Rn+1, Rn+1, Rn+m+1.

Com’e fatto il cono sull’intervallo aperto (0, 1)? E possibile immergerlo in un qualche Rn?

Definizione 3. Sia X un insieme, Wαα∈S una famiglia di spazi topologici,

F =fα : Wα → X

α∈S

una famiglia di applicazioni. Su X , si definisce topologia coindotta dalla famiglia F la topologia piu fine perla quale ogni fα e continua (questa viene detta anche finale o forte, per la famiglia F).

Esercizio 3.1. Nelle ipotesi della definizione (3), provare quanto segue

U ⊆ X e aperto se e solo se f−1α (U) e aperto, per ogni α.

Definizione 4. Sia X un insieme, Wαα∈S una famiglia di spazi topologici,

F =fα : X −→ Wα

α∈S

una famiglia di applicazioni. Su X , si definisce topologia indotta dalla famiglia F la topologia meno fine perla quale ogni fα e continua (questa viene detta anche iniziale o debole , per la famiglia F).

Esempio 4.1. Il prodotto di spazi topologici viene dotato della topologia indotta dalle proiezioni (= debole).Nel caso di prodotti finiti, la topologia debole coincide con quella generata dai prodotti di aperti (generalmentee meno fine).

Incollamenti.

A → YyφX

Def. 5. Si abbiano X, A, Y come nel diagramma a lato, con A sottospazio

chiuso di Y . Lo spazio ottenuto da X attaccandovi Y tramite φ e lo spazio

X∐φ Y := X

⋃• Y/∼

essendo ∼ la relazione d’equivalenza generata dalle identificazioni del tipo a ∼ φ(a), a ∈ A,

dotato della topologia quoziente (cfr. Def. 2).

Componendo le inclusioni di X ed Y in X ∪• Y con la proiezione su X∐φ Y si ottengono due funzioni

continue,i : X → X

∐φ Y e Φ : Y → X

∐φ Y

(n.b. i e iniettiva e Φ estende la composizione i φ), chiamate rispettivamente inclusione e funzione carat-

teristica dell’incollamento.

Osserviamo che, insiemisticamente, l’incollamento si identifica con l’unione disgiunta X ∪• Y rA .

Esercizio 5.1. Siano X, A, Y come nella definizione (5), le funzioni i e Φ come sopra. Verificare che

i) un sottoinsieme U ⊆ X∐φ Y e aperto se e solo se gli insiemi i−1(U) e Φ−1(U) sono entrambi aperti

(la topologia su X∐φ Y e la piu fine per la quale le applicazioni i e Φ sono entrambe continue);

ii) tramite i, lo spazio X e un sottospazio chiuso di X∐φ Y (sottospazio nel senso 1.3);

iii) l’immagine Φ(Y r A) e aperta in X∐φ Y (e il complementare di i(X)) e la restrizione Φ|YrA e un

omeomorfismo sull’immagine (essendo A chiuso per ipotesi, il sottospazio Y rA e aperto).

5

L’esercizio che segue fornisce una maniera alternativa di introdurre l’incollamento.

Esercizio 5.2. Siano X, A, Y, φ come nella definizione (5). Sia inoltre

X∗ := X ∪• (Y rA) con la topologia coindotta (def. 3) dalla famiglia i : X → X∗, Φ: Y → X∗

dove i : X → X∗ = X ∪• (Y r A) e l’inclusione naturale e Φ : Y → X ∪• (Y r A) e l’applicazione cheestende φ nella maniera ovvia: Φ e definita ponendo Φ|A := φ e Φ|YrA := “inclusione in X ∪• (Y rA)”.

Verificare che l’identificazione insiemistica X ∪• (Y rA)(♣)= X

∐φ Y e un omeomorfismo:

X∗ ∼= X∐φ Y

(naturalmente, modulo l’identificazione insiemistica (♣), le funzioni i e Φ introdotte nell’esercizio coincidonocon l’inclusione e la funzione caratteristica introdotte precedentemente).

E possibile effettuare piu incollamenti (anche infiniti) contemporaneamente. Vediamo come:

Def. 5.3. Dato uno spazio X ed una famiglia di terne Aα, Yα, φα : Aα → X dove Aαe un sottospazio chiuso di Yα e φα e una funzione continua, per ogni α, si definisce

X∐αφαYα := X ∪•

⋃α

• Yα/∼

dove ∼ e la relazione d’equivalenza generata dalle identificazioni del tipo a ∼ φα(a), a ∈ Aα ,

al variare di α, sempre dotato della topologia quoziente.

Anche in questo caso abbiamo

l’inclusione i : X → X∐αφα

Yα e le funzioni caratteristiche Φα : Y → X∐αφα

(come nel caso di un solo incollamento, definite componendo le inclusioni di X e degli Yα nell’unione disgiuntacon la proiezione sul quoziente) e continua ad esserci un’identificazione naturale (per ora insiemistica)

X∗ :=

(5.4) X ∪• ∪α

•(YαrAα) = X∐αφα

Yα .

Questa identificazione risulta essere un omeomorfismo qualora si doti l’insieme a sinistra, che abbiamo chiamatoX∗, della topologia coindotta dalla famiglia

i : X → X∗, Φα : Yα → X∗

, dove, come nell’esercizio (5.2),

qui i e le Φα sono definite solo in termini di X∗: i e l’inclusione e le Φα estendono le φα nella manieraovvia. (Stiamo semplicemente dicendo che anche la “definizione alternativa” introdotta con l’esercizio (5.2) sigeneralizza al caso di piu spazi da incollare ad X ).

C’e una terza alternativa, quanto sopra equivale all’incollamento di un’unione disgiunta:

Esercizio 5.5. Verificare che data una famiglia di terne come nella definizione (5.3), posto Y = ∪•Yα,A = ∪•Aα e definito φ ponendo φ|

Aα= φ

α, c’e un omeomorfismo canonico

X∐αφα

Yα ∼= X∐φ Y

(si osservi che essendo Y dotato della topologia dell’unione disgiunta, A e chiuso in Y ).

Valgono risultati analoghi a quelli dell’esercizio (5.1)(per brevita scriveremo2 X∗ invece di X

∐αφα

Yα):

i′) un sottoinsieme U ⊆ X∗ e aperto se e solo se i−1(U) e gli Φ−1α (U) sono aperti (idem per i chiusi);

ii′) X e un sottospazio chiuso di X∗;

iii′) ogni Uα := Yα rAα e un sottospazio aperto di X∗.

Esercizio 5.6. Sia (Y, A) = (Dn, Sn−1) (coppia “disco, frontiera”). Provare che

• se X e di Hausdorff, anche X∐φ Y e di Hausdorff;

• se X e T4, anche X∐φ Y e T4 (cfr. def. 1.9).

Si osservi che, alla luce dell’esercizio (5.5), questi risultati si generalizzano immediatamente al caso di piuincollamenti (def. 5.3).

2 In fin dei conti sono spazi canonicamente omeomorfi.

6

Esercizio 5.7. Siano X, A, Y, φ come nella definizione (5). Provare che

• se φ e suriettiva, allora X∐φ Y e un quoziente Y/ ∼ di Y ;

• se inoltre X e T1, le fibre della proiezione Φ : Y −→ Y/ ∼(= X

∐φ Y

)sono dei chiusi.

CW-complessi.

Def. 6. Un CW-complesso e una successione di spazi topologici e di incollamenti

X0 ⊆ X1 ⊆ X2 ⊆ X3 ... , Xn = Xn−1∐αφαDnα (∀n ≥ 1)

(cfr. def. 5 e 5.3) dove X0 e uno spazio discreto, i vari Dnα sono copie del disco Dn e le

φα : Sn−1α −→ Xn−1

sono funzioni continue (dove Sn−1α denota l’n−1 sfera “frontiera di Dn

α”).

Def. 6.1. Nella situazione della definizione sopra, i vari spazi Xk vengono detti k-scheletri.

Naturalmente si puo anche non incollare nulla, anzi siamo interessati proprio a quei CW-complessi dove daun certo punto in poi non si incolla piu nulla, per cui ∃n | Xn = Xn+k , ∀ k ∈ N . In questo caso, per unintero n con la proprieta appena indicata, si pone X = Xn e si vede il CW-complesso in questione come

“spazio topologico X che ricorda com’e stato costruito”

(per abuso di linguaggio, X stesso viene chiamato CW-complesso).

Anche qualora un tale intero n non esista, in altri termini nel caso di dimensione infinita (cfr. sotto), piuttostoche come sequenza di spazi, un CW-complesso viene visto come spazio topologico che ricorda com’e statocostruito: vi si associa lo spazio topologico

X :=⋃Xn dotato della topologia coindotta dalle inclusioni degli scheletri

(caratterizzata dalla proprieta seguente: un sottoinsieme C ⊆ X e chiuso se e solo se interseca ogni Xn inun chiuso). Si osservi che ogni Xn risulta essere un sottospazio chiuso di X , questo perche ogni Xn contienei precedenti ed e chiuso nei successivi.

Inciso. La topologia dei CW-complessi viene indicata come topologia debole. L’uso di questo termine vienedal fatto che classicamente i CW-complessi vengono introdotti, diversamente da come abbiamo fatto noi, comeunioni disgiunte di “celle” opportunamente topolocizzate: si considera un’unione disgiunta di punti e dischiaperti, quindi si danno degli assiomi che definiscono una topologia su tale insieme (non entreremo nel merito).Avendo in mente la definizione da noi data il termine “debole” appare usato impropriamente: nel caso didimensione finita n, X = Xn e gia uno spazio topologico e non c’e nulla da aggiungere; in dimensioneinfinita, X e dotato della topologia finale (i.e. forte, cfr. def. 3) per la famiglia di inclusioni Xn → X.

Poiche non esistono funzioni da un insieme non-vuoto all’insieme vuoto, l’unico CW-complesso il cui 0-scheletroe l’insieme vuoto e il CW-complesso vuoto. Introduciamo un po’ di terminologia.

(6.2) Una n-cella ℓn e l’immagine del disco aperto Dn r Sn−1 tramite una funzione carat-teristica (cfr. Def. 5 e 5.3):

ℓn := Φ(Dn r Sn−1) , dove Φ = Φα : Dn = Dnα −→ Xn−1 ⊆ X

(la funzione caratteristica viene vista come funzione di codominio X , piuttosto che l’n-scheletro).

Ricordiamo che, per l’esercizio (5.1), o meglio l’esercizio (5.4), la restrizione Φ|DnrSn−1 e un omeomorfismosull’immagine ℓn (la nostra n-cella). Osserviamo che la n-cella ℓn , e un aperto dell’n-scheletro (ed e un apertodi X solo a condizione che non sia coinvolta dagli incollamenti successivi, cioe nelle dimensioni strettamentemaggiori di n). Inoltre,

• diremo che Xn e stato ottenuto da Xn−1 attaccando delle n-celle;• per convenzione, le 0-celle sono i punti dello 0-scheletro;• per abuso di linguaggio, la stessa Φα viene chiamata n-cella, la sua immagine viene chiamata n-cella chiusa.

7

(6.3) La dimensione di un CW-complesso non-vuoto X e il

piu piccolo intero n per il quale risulta X = Xn

(infinita se un tale intero non esiste, −1 se X = ∅).

(6.4) Un CW-complesso finito e un CW-complesso ottenuto attaccando celle in numero finito

(in particolare, un CW-complesso finito ha dimensione finita).

(6.5) Un sottocomplesso di un CW-complesso X e un CW-complesso X ′ dove, ad ogni step,le n-celle che si attaccano sono n-celle di X

(ovviamente, si richiede che le 0-celle di X ′ siano 0-celle di X , i.e. che risulti X ′0 ⊆ X0).

Esercizio 6.6. Sia X un CW-complesso (inteso come spazio topologico che ricorda com’e stato costruito),si provi che

X ′ e un sottocomplesso di X ⇐⇒ X ′ e un sottospazio chiuso di X ed e unione di n-celle di X .

Suggerimento: per cominciare, si verifichi che X stesso e, insiemisticamente, l’unione disgiunta delle sue celle.

Esempio 6.7. Attaccando una n-cella ad un punto (nell’unico modo possibile) si ottiene la sfera Sn . Inalternativa, una volta costruito Sn−1 come CW-complesso, la sfera Sn puo essere realizzata attaccando duen-celle ad Sn−1 tramite l’identita (la frontiera del disco n-dimensionale e una n− 1 sfera).

Esercizio 6.8. Realizzare, il piano proiettivo reale P2(R), il piano proiettivo complesso P2(C), il tororeale R2/Z2, gli spazi proiettivi reale e complesso ed il toro n-dimensionali, Pn(R), Pn(C), Rn/Zn, comeCW-complessi.

Esempio 6.9 (Varieta topologiche triangolate). Per definizione, una varieta topologica e uno spazio topo-logico di Hausdorff dove ogni punto ha un intorno omeomorfo ad Rn (cfr. §4, introduzione), in questo casodiremo che X ha dimensione3 n. Sia X una varieta topologica. Fissiamo subito una notazione:

∆n =x ∈ Rn

∣∣ xi ≥ 1 ∀ i ,∑xi ≤ 1

(dove gli xi denotano le coordinate di x),

l’inviluppo convesso di un sottoinsieme proprio e non-vuoto dei vertici di ∆n lo chiameremo faccia.

• Un n-triangolo in X e un sottospazio T che in una qualche carta locale si identifica con ∆n . Precisamente,si richiede che esistano un aperto U ⊇ T ed un omeomorfismo ϕ : U → Rn (la carta locale) tali cheϕ(T ) = ∆n . Un vertice, ovvero una faccia, di T sono l’immagine via ϕ−1 di un vertice , ovvero unafaccia, di ∆n (n.b. i vertici sono, in particolare, facce).

• Una triangolazione di X e un ricoprimento in triangoli che soddisfi le proprieta seguenti: due triangolipossono esclusivamente avere intersezione vuota o condividere esattamente una faccia; ogni vertice vammette una carta locale ϕ centrata in v dove la triangolazione appare come unione finita di coni divertice ϕ(v) (di conseguenza, l’insieme dei vertici e discreto, ogni vertice e vertice di un numero finito ditriangoli ed ogni faccia di dimensione n− 1 e faccia di esattamente due triangoli).

Una varieta topologica triangolata X ha una naturale struttura di CW-complesso dove i vertici costituisconolo 0-scheletro, le facce di dimensione uno costituiscono l’uno-scheletro e cosı via fino ad n (la dimensionedi X ). Di conseguenza, se X e compatta, la triangolazione e finita (di cio, se ne dia una dimostrazionediretta, i.e. che utilizzi solamente la definizione di triangolazione).

Nella sezione che segue ci occupiamo del caso delle superfici, i.e. dove n = 2.

Def. 7. La caratteristica di Eulero Poincare di un CW-complesso finito X e la somma

χ(X) :=∑

(−1)i ℓi ,

dove ℓi denota il numero delle i-celle.

(7.1)Nel paragrafo §2, sezione omologia cellulare, vedremo che tale numero e un invariante omo-

logico del soggiacente spazio topologico X e, come tale, non dipende dalla realizzazione di Xcome CW-complesso.

3 Vedremo che la dimensione e univocamente determinata: piu in generale, di fatto equivalentemente, dati U aperto di Rn e V

aperto di Rm , se U e V sono omeomorfi, allora n = m (quanto affermato non e affatto ovvio a priori).

8

Classificazione delle superfici compatte.

Ricordiamo che una superficie topologica e uno spazio topologico di Hausdorff dove ogni punto ha un intornoomeomorfo ad R2 (cfr. §4, introduzione). Di seguito, utilizziamo la nozione di triangolazione (cfr. esempio 6.9).

Una superficie compatta connessa puo essere triangolata4, per quanto osservato nell’esempio (6.9) puo essererealizzata come CW-complesso finito, in effetti ammette realizzazioni che utilizzano una sola 0-cella ed unasola 2-cella (cfr. inciso 10.1). Iniziamo con un esempio.

Esempio 8. Attaccando (cfr. Def. 5) una 2-cella D2 ad un bouquet di 2g cerchi (1-sfere) B tramite lacomposizione

φ = ϕ ω : S1 −→ B

indicata in figura, disegnata per g = 2, si ottiene una superficie compatta orientabile di genere g .

λ1

λ1

µ1

µ1

λ2

λ2

µ2

µ2

ω−−−→

ϕ−−−→

•o

• o

λ1

µ1

λ2

µ2

S1 = = B

B∐φD

2 = C2 = “ ”(il genere di una superficie compatta connessa orientabile e unintero che “conta il numero dei buchi”, per ora non ci preoccu-piamo di darne una definizione formale)

(si osservi che tutti i vertici dell’ottagono si identificano con o). Non si esclude il caso dove g = 0 : in questocaso, il bouquet e banale (c’e solo il vertice o) e la funzione ω, quindi la funzione di incollamento φ, fa l’unicacosa possibile, manda S1 in o; la superficie che si ottiene e omeomorfa alla sfera (si contrae S1, la frontieradi D2, ad un punto). Ci sono due cose da comprendere:

(8.1) effettivamente si ottiene una superficie topologica compatta connessa;

(8.2) la superficie che si ottiene ha genere g .

La (8.1) rientra in un risultato piu generale che proponiamo come esercizio con suggerimento (cfr. 8.3). Anchela (8.2) rientra in un discorso piu generale: cfr. inciso (8.6) e lemma (8.7).

Esercizio 8.3. Provare che se si sostituisce l’ottagono con un qualsiasi poligono con i lati identificati a coppie(per il resto, in modo del tutto arbitrario), lo spazio topologico che si ottiene e necessariamente una superficietopologica compatta connessa.

Suggerimento: si deve provare che ogni punto ha un intorno omeomorfo ad un disco (compattezza e connessionesono ovvie, che lo spazio ottenuto sia di Hausdorff segue dall’esercizio 5.6). Prima delle identificazioni, ognipunto p ammette un intorno omeomorfo ad uno spicchio di torta; distinguere i tre casi: “p interno al poligono”(torta intera), “p interno ad uno dei lati” (mezza torta), “p vertice” (quest’ultimo e il caso piu interessante).

(N.b. Per abuso di linguaggio, sopra e ovunque piu avanti, il termine poligono viene utilizzato sia per la “lineaspezzata chiusa” che per la regione di piano che questa delimita).

A questo punto introduciamo una notazione e facciamo qualche osservazione elementare. Un poligono sul qualesono definite delle identificazioni tra i lati (per brevita diremo poligono con identificazioni) e descritto da unaparola che indica i lati da identificare, quello dell’esempio (8) e descritto dalla parola

λ1µ

1λ−1

1µ−1

2λ−1

2µ−1

2

(naturalmente si scegliera un vertice di partenza ed un senso di percorrenza del perimetro, l’esponente “−1”indica che il lato e orientato nel verso opposto al nostro verso di percorrenza; qui abbiamo scelto il punto “o”ed il senso antiorario). Viceversa, una parola arbitraria definisce un poligono con identificazioni (e.g., la parola“παρoλα” definisce il nastro di Mobius con bordo!). Chiaramente puo accadere che due parole definiscanoesattamente lo stesso poligono con identificazioni, cio accade per parole che differiscono

(8.4)

• circolarmente: “ A..... B..... ” e “ B..... A..... ” (si ottengono per scelte diverse del vertice);

• specularmente: “ parola” e “parola−1”, dove, ad esempio, (λµλµ−1)−1 = µλ−1 µ−1λ−1

(si ottengono per scelte diverse del senso di percorrenza del perimetro).

4 Questo e un punto piuttosto delicato sul quale torneremo, cfr. affermazione (9.1) e commenti (10.5).

9

Un poligono con identificazioni e uno spazio topologico, denoteremo con S(parola) lo spazio corrispondentealla parola indicata. Osserviamo che l’esempio (8) non ha nulla di speciale, un poligono con identificazioni ar-bitrarie ha comunque una naturale struttura di CW-complesso (le classi dei vertici costituiranno lo 0-scheletro,quelle dei lati l’uno-scheletro, come ultimo passo si attacchera una 2-cella esattamente come nell’esempio).

Naturalmente, avremo un poligono con lati identificati a coppie se e solo se ogni lettera compare esattamentedue volte. Come gia osservato (esercizio 8.3), in questo caso abbiamo una superficie topologica compatta.

Esercizio 8.5. Provare il “viceversa”: se i lati non sono identificati a coppie, lo spazio quoziente non e unasuperficie topologica.

Inciso 8.6 (“Somma connessa”). La somma connessa X#Y di superfici si definisce privando ciascunadell’interiore di un disco chiuso ed identificando tra loro le frontiere dei due dischi tramite un omeomorfismo

X#Y :=(XrB

X

)∐φ

(Y rB

Y

), φ : S

Y

∼=−−→ SX⊆ XrB

X

dove BX

e BY

denotano gli interiori dei due dischi chiusi, SX

e SY

le rispettive frontiere (sono dei cerchi).Modulo omeomorfismi, il risultato che si ottiene non dipende dalle scelte effettuate5. La figura che segueillustra piu efficacemente di qualsiasi discorso come realizzare la somma connessa di due superfici che sianostate date come poligoni con lati identificati a coppie

...p

...p

...p

p ...p

p ...p

p...

X#Y

(le piccole parti tratteggiate indicano i dischetti che vengono rimossi). Nella notazione introdotta sopra,

(♣) se X = S( A..... ) ed Y = S( B..... ) , allora X#Y = S( A..... B..... )

Attenzione ! Affinche la figura sopra sia rappresentativa della situazione, c’e una condizione che deve esseresoddisfatta (e che nel caso dei poligoni coi lati identificati a coppie eautomaticamente soddisfatta, cio richiede una breve dimostrazione chelasciamo per esercizio): la condizione e che nel poligono aperto le identi-ficazioni sui lati inducano l’uguaglianza p = x (cfr. figura a lato).

...p

...p

x

Nota. Volendo generalizzare la costruzione vista a poligoni con identificazioni arbitrarie, pur assumendodi rimuovere dischetti come in figura, la condizione menzionata e necessaria: ad esempio, se non ci sonoidentificazioni, i.e. ogni lettera compare esattamente una volta, allora S( A..... B..... ) (che e un disco) non e cioche dovrebbe essere (per A..... e B..... entrambe parole non vuote).

Torniamo al caso della somma connessa di superfici. Descrivendo superfici distinte, le parole A..... e B..... nonhanno lettere in comune: nel poligono di X#Y non ci sono lati della parte destra che si identificano con latidi quella sinistra. C’e un’utile chiave di lettura di quanto appena visto:

Lemma 8.7. Una superficie del tipo S( A..... B..... ) con “ A..... ” e “ B..... ” senza lettere in comune e la sommaconnessa delle superfici S( A..... ) e S( B..... ): nell’ipotesi indicata risulta S( A..... B..... ) = S( A..... ) # S( B..... ) .

•o

λ λ

µ

µ

Poiche S(λµλ−1µ−1) = Toro (cfr. figura a lato), dal lemma (8.7) segue che

S(λ1 µ1 λ

−11µ−1

1... λ

gλ−1

gµ−1

g

)

e la somma connessa di g copie del toro (per ragioni induttive). Cio prova la (8.2).

Esempio 8.8 (Tecnica del “cut & paste”). Dato un poligono con identificazioni, se prima lo tagliamo e poiincolliamo i due poligoni ottenuti secondo una delle vecchie identificazioni (vedi figura), otteniamo un nuovopoligono con identificazioni che definisce la stessa superficie compatta del vecchio poligono

λ λ

µ

µ

•o

λλ

µ

µ

σ

σ λ

µ

σ µ

σ

µ

µ

σ

σ•o

λµλµ−1 µ2 σ2

L’esempio in figura mostra che il quadrato modulo le identificazioni “λµλµ−1” ed il quadrato modulo leidentificazioni “µ2 σ2” definiscono la stessa superficie (la bottiglia di Klein).

5 Per il momento preferiamo non soffermarci su questo risultato, cfr. commento finale (10.5).Attenzione: il risultato e falso per varieta topologiche di dimensione superiore.

10

Nel caso della figura abbiamo S(λµλµ−1 ) = S(µ2 σ2), piu in generale (la figura di fatto e la stessa) si ha

• S(λ A..... λ B..... ) = S(σ2 A..... B−..... ) , dove B−..... denota ( B.....)−1

Valgono altre due proprieta (la prima si evince dal disegno a lato; la seconda la lasciamo per esercizio: sidisegnino poligoni e tagli):

• S(λλ−1 A..... ) = S( A..... )

• S(λ A..... µ B..... λ−1 C..... µ−1 D..... ) = S(σ τ σ−1 τ−1 A..... D..... C..... B..... )

λ

λ •

A.....

(sopra, le varie parti “ A..... ”, “ B..... ” eccetera, possono anche essere vuote).

La tecnica del “cut & paste” consiste nel modificare una parola, i.e. il modo di rappresentare una superficie,usando le regole indicate (incluse le invarianze circolare e speculare 8.4, e la regola del lemma 8.7).

Classificazione delle superfici compatte. Ogni superficie topologica compatta ammette una triango-lazione finita, di conseguenza e omeomorfa ad un poligono6 con i lati identificati a coppie. Con la tecnica del“cut & paste” e possibile semplificare la sequenza delle identificazioni ed elencare tutti i casi possibili, in mododa ottenere la classificazione completa delle superfici topologiche compatte connesse:

(9)

sequenza delle identificazioni superficie descrizione

λ1µ

1λ−1

1µ−1

1... λ

gλ−1

gµ−1

gCg superficie orientata di genere g (g ≥ 0)

(= somma connessa di g tori)

λ21... λ2

mP2(R)# ...#P2(R) somma connessa di m piani proiettivi (m ≥ 1)

In definitiva, abbiamo il seguente Teorema di Classificazione

Ogni superficie topologica compatta connessa e omeomorfa ad una, ed una sola, delle superfici

della lista (9), che pertanto e esaustiva e senza ripetizioni.

Ricapitolando, abbiamo i quattro risultati che seguono (ai quali si riduce il teorema di classificazione).

(9.1) Ogni superficie topologica compatta ammette una triangolazione finita.

(9.2) Ogni superficie topologica compatta connessa, dotata di una triangolazione finita, e omeomorfa ad unpoligono con i lati identificati a coppie.

(9.3) Con la tecnica del “cut & paste” e possibile semplificare la sequenza delle identificazioni e ricondursisempre ad uno dei casi elencati nella lista.

(9.4) Le superfici elencate nella lista (9) sono effettivamente distinte (non omeomorfe tra loro).

Il risultato (9.1) e molto profondo (cfr. commento 10.5), non lo dimostreremo7.

La (9.2) e elementare (sara sufficiente disporre i triangoli nel piano), la lasciamo per esercizio.

Dimostrazione (della 9.3 e della 9.4). Poiche ogni lettera compare due volte abbiamo la seguente dicotomia:

i) ogni lettera compare sia con esponente 1 che −1 ; ii) la parola e del tipo λ A..... λ B..... .

Nel primo caso S e orientabile, nel secondo non e orientabile. Senza scomodare il concetto di orientazione,si ha che S contiene un nastro di Mobius se e solo se siamo nel primo caso (questo segue dalla geometriadelle identificazioni, per esercizio). Quindi, una superficie che rientra nel primo caso non e mai omeomorfa aduna superficie che rientra nel secondo caso. Anche le superfici della lista (9) sono divise nei due gruppi checorrispondono ai due casi menzionati. Trattiamo separatamente i due casi, si deve provare quando segue:

a) nel primo caso possiamo ricondurre la parola ad una parola del tipo λ1µ

1λ−1

1µ−1

1... λ

gλ−1

gµ−1

g;

b) nel secondo caso possiamo ricondurre la parola ad una parola del tipo λ21... λ2

m.

Sia per a) che per b) ragioniamo per induzione sulla lunghezza della parola. Useremo senza menzione esplicitale identita circolare e speculare (8.4), e la semplificazione degli eventuali “...λλ−1...”.

La a) segue immediatamente dall’ipotesi induttiva e dalle uguaglianze (cfr. regole del cut & paste)

S(λ A..... µ B..... λ−1 C..... µ−1 D..... ) = S(στ σ−1τ−1 A..... D..... C..... B..... ) = S(στ σ−1τ−1) # S( A..... D..... C..... B..... )

(n.b.: la parola e sicuramente del tipo a sinistra: scelta una lettera λ che abbia distanza minima dall’inversaλ−1, nel segmento tra λ e λ−1 non ci sono lettere che compaiono due volte).

6 Piu di uno, se la superficie non e connessa.7 In fin dei conti, si tratta di un risultato molto ragionevole. Peraltro, ogni superficie, come dire, “esplicita”, che possa venirein mente, si dota di una triangolazione senza troppe difficolta; avere un Teorema di Classificazione “solamente” per le superficitriangolabili e comunque un risultato di assoluto rilievo.

11

Proviamo b). Scriviamo S(λ A..... λ B..... ) = S(σ2 A..... B−

..... ) = S(σ2)#S( C..... ) (cfr. regole del cut & paste).

Se C..... = A..... B−

..... e sempre del secondo tipo concludiamo per ragioni induttive. Altrimenti scriviamoC..... = µ D..... µ−1 E..... e, tornando a S(σ2 C..... ), di nuovo per le regole del cut & paste abbiamo S(σ2 C..... ) =

S(σ2µ D..... µ−1 E..... ) = S(τ µ D..... τ µ E−..... ). La sostituzione ω = τ µ accorcia la lunghezza della parola (duelettere diventano una), di nuovo concludiamo per ragioni induttive.

Proviamo la (9.4). Abbiamo gia osservato che una superficie del primo tipo non puo essere omeomorfa ad unadel secondo. Le formule dell’inciso (10.1) sotto ci dicono che le superfici delle lista (9), di uno fissato dei duetipi, hanno caratteristica di Eulero-Poincare distinta. Per la (7.1) concludiamo.

Vediamo alcuni casi particolari e, tra parentesi, sequenze di identificazioni alternative:

identificazioni alternativa superficie descrizione

∅ (λλ−1) C0

= S2 sfera

λµλ−1µ−1 C1

= T toro

λ2 (λµλµ) P2(R) piano proiettivo

λ2µ2 (λµλµ−1) K ∼= P2(R)#P2(R) bottiglia di Klein

La somma connessa di superfici connesse e associativa e commutativa, la sfera S2 e un elemento neutro per lasomma connessa, i.e. C#S2 ∼= C, ∀ C . Inoltre risulta P2(R)#T ∼= P2(R)#K (attenzione, per la sommaconnessa non vale la legge di cancellazione!).

Osservazione 9.5. Quanto sopra, precisamente

# e assoc. e comm., S2 e un elemento neutro,

K ∼= P2(R)#P2(R) , Cg ∼= T# ...#T , P2(R)#T ∼= P2(R)#K ,

consente di dire qual e la superficie che si ottiene effettuando una qualsiasi combinazione di somme connesseche coinvolga sfere, piani proiettivi, tori e bottiglie di Klein.

Inciso 10.1. Si considerino le superfici compatte e la loro realizzazione effettuata secondo la rappresentazionedella lista (9). Lo 0-scheletro di Cg e costituito da un punto p, l’uno scheletro da un bouquet di 2gcerchi (si attaccano 2g 1-celle al punto p), il 2-scheletro si ottiene attaccando una 2-cella all’uno scheletro.Pertanto χ(Cg) := 1− 2g + 1 = 2− 2g . Nel caso della somma connessa di m piani proiettivi P2(R)#m =P2(R)#...#P2(R), si ha di nuovo una 0-cella ed una 2-cella, mentre le 1-celle sono m (l’uno scheletro ecostituito da un bouquet di m cerchi), quindi χ(P2(R)#m) := 1−m+ 1 = 2−m. Riassumendo:

χ(Cg) = 2− 2g ; χ(P2(R)

#m)

= 2−m .

Esempio 10.2. Come gia osservato (cfr. esempio 6.9), una varieta topologica dotata di una triangolazionefinita ha una naturale struttura di CW-complesso finito, in particolare e compatta. I vertici della triangolazionecostituiscono lo 0-scheletro, gli 1-spigoli l’uno scheletro e cosı via. Nel caso di una superficie S dotata di unatriangolazione finita abbiamo pertanto la seguente formula

χ(S)

(definizione 7)

= v(vertici)

− l(lati)

+ t(triangoli)

Si svolga l’esercizio che segue senza utilizzare il risultato (7.1).

Esercizio 10.3. Siano S ed M due superfici compatte dotate di triangolazioni finite (di conseguenza,realizzate come CW-complessi finiti). Supponiamo di effettuarne la somma connessa rimuovendo gli interioridi dischi chiusi DS ⊆ S e DM ⊆ M che siano sottocomplessi (i.e. “unione di triangoli”), ed identificando lefrontiere ∂DS e ∂DM . Realizzare S#M come CW-complesso (attenzione, a priori S#M non sara “bentriangolata” e nel realizzarla come CW-complesso c’e un minimo di liberta di scelta, questo perche i cerchi∂DS e ∂DM , che identifichiamo, hanno ognuno una sua struttura di CW-complesso). Provare che

(10.3′) χ(S#M) = χ(S) + χ(M) − 2 .

Suggerimento: provare che χ(D) = 1 e che χ(D rD) = 0 (D disco chiuso).

Esercizio 10.4. Si considerino decomposizioni P2(R)#m = S#M e Cg = T#g = S#M. Verificare che

la formula (10.3′) e compatibile con i risultati dell’inciso (10.1).

12

Commenti 10.5. Tornando all’affermazione (9.1), per triangolare una superficie topologica compatta sicomincera, ad esempio, col considerare triangoli su ogni carta locale, i problemi nascono passando da unacarta all’altra: quello che in una carta locale appare come un segmento, in un’altra carta potra essere quasiingestibile, come la curva φ dell’esempio (10.6).

Introducendo la somma connessa (inciso 8.6) abbiamo affermato che il risultato, modulo omeomorfismi, nondipende dalle scelte effettuate; nello specifico, le scelte dei dischi e dell’omeomorfismo che ne identifichi lefrontiere. La dove un disco in una superficie e solamente un sottospazio omeomorfo a D2, nel provare questaaffermazione si incontrano difficolta analoghe a quelle accennate sopra.

Nella dimostrazione della (9.3) abbiamo usato la somma connessa, senza un risultato che ci dica che questanon dipende dalle scelte insite nella sua definizione, la dimostrazione esposta del Teorema di classificazione persuperfici triangolabili appare incompleta. Di fatto non e cosı. Ai fini del lavoro svolto, avremmo potuto persinoevitare di dare la definizione di somma connessa, volendo lasciare cosı com’e tutto quello che abbiamo scritto

sarebbe stato assolutamente sufficiente dare l’uguaglianza S( A..... )#S( B..... )(♣)= S( A..... B..... ) come “definizione

naıve di somma connessa”, sempre nell’ipotesi che A..... e B..... non abbiano lettere in comune8.

Esempio 10.6 (Strani segmenti e triangoli). Definiamo una funzione φ : I = [0, 7] −→ R2 come segue:poniamo f(0) = a, f(1) = h (vertici opposti di un quadrato) e mandiamo i tre intervalli [1, 2], [3, 4], [5, 6]linearmente nei tre segmenti [b, c], [d, e], [f, g] (vedi figura 1):

a

h

o

T

λ

µ

a

= φ(0)

b

c

d

e

f

g

h=φ(7)

• •0 1 2 3 4 5 6 7

φ−−−→

Q1 Q2

Q3 Q4

figura 1 figura 2

Resta da definire φ(t) per t interno ai quattro intervalli I1:= [0, 1], I

2:= [2, 3], I

3:= [4, 5], I

4:= [6, 7] .

Ripetiamo la costruzione sopra con le quattro coppie Ii, Qi (dove i Qi sono i quattro quadrati indicati).Iteriamo questo procedimento (la figura 2 rappresenta una parte di cosa si ottiene dopo tre passi). A questopunto φ(t) e definita per i valori di t ∈ I che in base sette hanno almeno una cifra dispari o un’espressionefinita. Infine, per t con infinite cifre pari non nulle (sempre scritto in base sette) definiamo φ(t) := lim

n→∞φ(tn),

dove tn denota il troncamento di t alle prime n cifre, tutto in base sette.

La funzione φ risulta ben definita, continua e iniettiva, (♠) la sua immagine contiene il complementare dellevarie “croci”, cfr. figura (la prima e il complementare dell’unione di Qi, le quattro successive sono le anologhecroci interne ad ognuno dei Qi, le 16 successive quelle relativa ai 16 quadrati del secondo passo eccetera). Sechiudiamo φ, ad esempio utilizzando λ e µ come in figura, otteniamo una cosiddetta curva semplice chiusa ,i.e. una funzione continua iniettiva ω : S1 −→ R2 (una tale curva viene anche detta curva di Jordan).

La dimostrazione di quanto sopra e macchinosa da scrivere ma tutto sommato elementare (non la scriveremo).La curva semplice chiusa costruita delimita un triangolo (cfr. esempio 6.9), T in figura. Questo risultato segueda due Teoremi profondi (li citiamo entrambi, sebbene di fatto il secondo generalizzi il primo), questi teoremici dicono che se ω : S1 −→ R2 e una curva semplice chiusa, allora:

• R2rIm ω ha due componenti connesse, delle quali Im ω ne e la frontiera comune (teorema di Jordan);

• ω si estende ad un omeomorfismo del piano in se (teorema di Jordan-Schoenflies).

Nel nostro caso, per T che denota la chiusura della componente limitata di R2rIm ω , la coppia (R2, T ) eomeomorfa alla coppia (R2, D2). Si noti che la scelta di tre vertici, ad esempio i punti a, h ed o, rende Tun triangolo, il lato a h e l’immagine di φ. L’aspetto bizzarro e che questo lato puo avere “area”, o megliomisura di Lebesgue in R2, strettamente positiva: per la proprieta (♠), affinche cio accada bastera scegliere levarie croci (cfr. sopra), che sono in quantita numerabile, in modo che la serie delle loro aree converga ad unvalore strettamente inferiore alla misura dell’area del quadrato grande.

La stessa identica costruzione si puo fare con i quadrati adiacenti (croci vuote), in questo caso φ perdel’iniettivita ma guadagna la suriettivita (sempre sul quadrato grande): si ottiene una variante della famosacurva di Peano, una funzione suriettiva da I ad I × I .

8 C’e una precisazione da fare: dando l’uguaglianza (♣) come definizione invece che come lemma, la dimostrazione della (9.3)

continua a funzionare immutata a condizione che si provi, cosa non difficile, l’identita S( A..... B..... ) = S( A..... C..... ) per A..... come

nella classificazione, B..... e C..... che differiscono circolarmente o specularmente (cfr. 8.4).

13

Concludiamo questo paragrafo con una lista avulsa di risultati e nozioni che utilizzeremo in seguito.

Lemma 11. Si consideri In ⊆ Rn e sia Uα un ricoprimento aperto di In. Allora, e possibile suddividereIn in plurintervalli chiusi in numero finito in modo che ogni plurintervallo sia interamente contenuto in almenoun aperto del ricoprimento. In effetti vale un risultato piu forte:

(11.1) ∃ ǫ > 0 | ∀ x ∈ In, Bx, ǫ ⊆ Uα (per un qualche α), essendo Bx, ǫ la sfera di centro x e raggio ǫ.

Un tale ǫ si chiama numero di Lebesgue del ricoprimento.

Definizione 12. Una applicazione9 tra spazi topologici f : X → Y si dice continua nel punto x sel’immagine inversa di ogni intorno di f(x) e un intorno di x .

• f : X → Y e continua in x ⇐⇒ l’immagine inversa di ogni intorno aperto di f(x) e un intorno di x ;

• f : X → Y e continua ⇐⇒ e continua in ogni punto.

Definizione 13. Uno spazio topologico X si dice

• connesso per archi se per ogni coppia di punti esiste un cammino che li congiunge (ricordiamo che uncammino in X e una funzione continua definita sull’intervallo I, a valori in X );

• localmente connesso per archi (l.c.a.) se esiste una base per la topologia costituita da aperti connessi perarchi;

• l.c.a. in x se x ammette una base di intorni costituita da aperti connessi per archi.

Esercizio 13.1. Si verifichi che

• X e l.c.a. ⇐⇒ ∀ x ∈ X, Ux (intorno di x), ∃ V (intorno aperto di x) connesso per archi, V ⊆ Ux;

• X e l.c.a. ⇐⇒ e l.c.a. in x per ogni x ∈ X .

Lemma 14 (di incollamento). Siano X, Y spazi topologici,

X = ∪Uα un ricoprimento aperto, X =n⋃

i=1

Ci un ricoprimento finito chiuso.

(14.1) Se fα : Uα → Y e una collezione di funzioni continue che si raccordano bene, allora

∃ ! funzione continua f : X −→ Y tale che f |Uα= fα , ∀ α .

(14.2) Se gi : Ci → Y e una collezione di funzioni continue che si raccordano bene, allora

∃ ! funzione continua g : X −→ Y tale che g |Ci= gi , ∀ i .

Un ricoprimento aperto e un ricoprimento in insiemi aperti. Un ricoprimento chiuso e un ricoprimento ininsiemi chiusi. L’aggettivo finito indica che gli insiemi del ricoprimento in questione sono in numero finito.Date delle funzioni, diciamo che queste si raccordano bene se a due a due coincidono nelle rispettive intersezioni(nei due casi del lemma abbiamo fα|Uα∩Uβ

= fβ |Uα∩Uβ, ∀ α, β e gi|Ui∩Uj

= gj |Ui∩Uj, ∀ i, j

).

9 Col termine “applicazione” intendiamo “funzione arbitraria”, cioe non necessariamente continua.

14

§ 1. Omotopia.

Questa teoria e essenzialmente legata al nome di H. Poincare.

Def. 1. Siano X ed Y due spazi topologici, sia A ⊆ X un sottoinsieme (arbitrario).

Due funzioni f : X −→ Y e g : X −→ Y si dicono omotope relativamente ad A,scriveremo f ∼

Ag , se esiste una deformazione continua che le collega lasciando fissi i punti

di A, formalmente:

f ∼Ag ⇐⇒ ∃ H : X × I −→ Y t.c.

H(x, 0) = f(x)H(x, 1) = g(x)H(a, t) = f(a) = g(a)

,

∀ x ∈ X, a ∈ A, t ∈ I

Una tale H si chiama omotopia relativa ad A di f e g

(n.b.: affinche f e g possano essere omotope relativamente ad A, devono coincidere su A).

(1.1) L’omotopia relativa ad A e una relazione d’equivalenza su C(X, Y ) (l’insieme delle funzioni continueda X a Y ). Infatti, che ∼

Asia riflessiva e simmetrica e evidente, quanto alla transitivita, date H ,

omotopia relativa ad A di f e f ′, ed H ′, omotopia relativa ad A di f ′ e f ′′, e sufficiente considerare

K(x, t) :=

H(x, 2t) , t ≤ 1

2

H ′(x, 2t− 1) , t ≥ 12

.

(1.2) Se B ⊇ A, la relazione ∼B

e piu fine della relazione ∼A

(cioe f ∼Bg =⇒ f ∼

Ag), in particolare

l’omotopia relativa all’insieme vuoto ∼∅e la meno fine tra le relazioni d’omotopia. La relazione ∼

Xe

la relazione d’uguaglianza.

(1.3) L’omotopia di funzioni e stabile rispetto alla composizione: dati dei morfismi Wk−→X

f−→−→g

Yh−→Z , si

ha chef ∼

Ag =⇒ f k ∼

k−1(A)g k , h f ∼

Ah g

(per provare questa proprieta e sufficiente considerare H (k × IdI) ed h H , per esercizio).

Esercizio 1.4. Provare, utilizzando la (1.3), che dati dei morfismi Xf−→−→g

Yh−→−→

t

Z , vale l’implicazione

seguente:f ∼

Ag , h ∼

Bt =⇒ h f ∼

A∩f−1(B)t g (n.b.: A ∩ f−1(B) = A ∩ g−1(B))

Dedurre che, in particolare, la composizione di funzioni e ben definita a livello di classi d’omotopia relativa alvuoto.

Def. 1.5. Due spazi topologici X ed Y si dicono omotopicamente equivalenti se

∃ Xf−→Y e Y

h−→X tali che

h f ∼

∅IdX

(identita su X)

f h ∼∅IdY

(identita su Y )

In questo caso diremo che f , come pure h, e un’equivalenza omotopica .

Def. 1.6. Uno spazio omotopicamente equivalente ad un punto si dice contraibile .

Dati X non vuoto ed Y = p (spazio costituito da un solo punto), si ha π j = IdY

(π denota laproiezione X → p e j : p → X una qualsiasi funzione). D’altro canto j π e una funzione costante. Diconseguenza, uno spazio contraibile e uno spazio per il quale l’identita e omotopa ad una funzione costante:Id

X∼∅j π = “costante”.

Esercizio 1.7. Provare che gli spazi che seguono sono contraibili:

• X sottospazio stellato di Rn (n.b.: in particolare, Rn ed i suoi sottospazi convessi sono contraibili);

• X = “cono su uno spazio W ” (def. §0, 2.6).

(Scrivere esplicitamente un’omotopia H : X × I −→ X della funzione identica con una funzione costante).

15

Proposizione 1.8. L’equivalenza omotopica e una relazione d’equivalenza.

Dimostrazione. Se X e omotopicamente equivalente ad Y ed Y e omotopicamente equivalente a Z, i.e.assumendo di avere funzioni ed omotopie

Xf−→←−h

Y , h f ∼∅Id

X, f h ∼

∅Id

Y, Y

g−→←−k

Z , k g ∼∅Id

Y, g k ∼

∅Id

Z,

applicando la (1.3), o se si preferisce la parte finale dell’esercizio (1.4), si ottiene

Xgf−−−→←−−−hk

Z , h k g f ∼∅h Id

Y f ∼

∅Id

X, g f h k ∼

∅g Id

Y k ∼

∅Id

Z.

Inciso 1.9. Raccogliamo alcune conseguenze delle definizioni

• Spazi omeomorfi sono omotopicamente equivalenti. Infatti, se f e un omeomorfismo, si ha

f−1 f = IdX

e f f−1 = IdY.

• Se h e un’inversa omotopica sinistra di f (i.e. h f ∼∅Id

X) ed h′ una destra (i.e. f h′ ∼

∅Id

Y), per

la (1.3) abbiamoh = h Id

Y∼∅h f h′ ∼

∅Id

X h′ = h′(

=⇒ h′ f ∼∅h f ∼

∅Id

Xe f h ∼

∅f h′ ∼

∅Id

Y

).

In altri termini, se esistono sia inverse destre che inverse sinistre, allora coincidono le une con le altre.

• Naturalmente, l’esistenza di un’inversa omotopica sinistra non implica l’esistenza di un’inversa omotopicadestra (e viceversa). Ad esempio, l’inclusione di un punto in uno spazio ha certamente un’inversa sinistra(la proiezione su quel punto) sebbene, in generale, non abbia un’inversa omotopica destra (questo e il casodel cerchio S1 dove, come vedremo, l’identita non e omotopa ad una funzione costante).

Deformazioni e Retratti.

Le definizioni discusse in questa sezione concernono l’eventualita che uno spazio possa essere in un qualchesenso equivalente ad un suo sottospazio. Dunque, siano X uno spazio topologico, A ⊆ X un sottospazioed i : A → X l’inclusione. Ci si puo interrogare circa l’esistenza di una funzione r : X → A per laquale risulti r i = Id

A, ovvero circa l’esistenza di un’inversa a sinistra dell’inclusione. In questo caso si

va da A ad A passando X , ottenendo l’identita su A, ed e naturale aspettarsi che il passaggio per X nonfaccia perdere la ricchezza topologica di A. Un’inversa destra non puo esistere (eccetto che nel caso banaledove X = A), pero ci si puo interrogare circa l’esistenza omotopica di una tale inversa destra. In questo caso,la composizione i r : X → A → X e una funzione che va da X ad X passando per A; l’esistenza diun’omotopia di i r ∼

∅Id

Xci dira che le proprieta omotopiche di X non si perdono passando per A.

Prima di procedere indichiamo qual e la logica della terminologia che stiamo per introdurre. Premesso cheil soggetto e l’inclusione i : A → X , un’inversa sinistra viene chiamata retrazione, per le retrazioni si usal’aggettivo debole in ambito omotopico; si usa il termine deformazione sostanzialmente associato ad un’inversaomotopica destra (cfr. def. 2.1 e successivo commento), per le inverse omotopiche si usa l’aggettivo forte se leomotopie sono relative al sottospazio A.

Def. 2.1. Una deformazione di uno spazio X e un’omotopia della funzione identica conun’altra funzione, i.e. e una funzione

D : X × I −→ X∣∣ D|X×0 = Id

X(identita su X).

In questo caso,

se ImD|D×1

⊆ A (sottospazio di X), diciamo che X si deforma ad A.

Nota. Data una deformazione D di X , vista la definizione (1) si ha

IdX∼∅d , dove d : X → X e definita ponendo d(x) = D(x, 1), ∀ x ∈ X .

Se A e un sottospazio di X contenente Imd, possiamo vedere d come funzione δ : X → A, funzioneche risulta essere un inverso omotopico destro dell’inclusione i : A → X (la stessa D e un’omotopiaId

X∼∅d = i δ ). Naturalmente vale anche il “viceversa”: dato A ⊆ X ed un inverso omotopico destro

dell’inclusione i : A → X , i.e. una funzione δ : X → A soddisfacente la condizione i δ ∼∅Id

X, esiste

un’omotopia D come nella definizione (2.1). Ribadiamo quanto appena osservato:

16

Fissato A ⊆ X ,

X si deforma ad A ⇐⇒ ∃ δ : X −→ A∣∣ Id

X∼∅i δ

(i.e. esiste un’inversa omotopica destra dell’inclusione)(2.2)

Alla funzione δ non si da un nome, si preferisce riservare il termine “deformazione” all’omotopia, cioe alla D.

Osservazione 2.3. Se A e costituito da un solo punto, dire che X si deforma ad A equivale a dire che Xe contraibile (cfr. def. 1.6 e successivo commento).

Esempio. Come gia menzionato al termine dell’inciso (1.9), il cerchio S1 non si deforma ad alcuno dei suoipunti (sebbene, come ogni spazio non vuoto, si retragga ad un suo punto arbitrariamente scelto, cfr. def. 2.5).

Esempio. Il disco D2, in quanto contraibile (cfr. esercizio 1.7), si deforma ad ogni suo punto. Pertanto, sideforma ad ogni suo sottoinsieme non vuoto (ma, ad esempio, pur deformandovisi, non si retrae ad S1 ).

Def. Siano X uno spazio topologico, A ⊆ X un sottospazio, i : A → X l’inclusione.

(2.4) Una retrazione debole di X su A e una funzione r : X −→ A∣∣ r i ∼

∅IdA

(i.e., e un’inversa omotopica sinistra dell’inclusione);

(2.5) Una retrazione di X su A e una funzione r : X −→ A∣∣ r i = Id

A

(i.e., e un’inversa sinistra dell’inclusione).

Esercizio. Provare che uno spazio topologico connesso non si retrae, neanche in modo debole, ad alcunsottospazio non connesso. Si provi inoltre quanto segue: dato A ⊆ X , se r : X → A e una retrazionedebole, allora r(p) deve appartenere alla stessa componente connessa per archi di p in A, per ogni p ∈ A(sottolineiamo che cio debba necessariamente valere esclusivamente per i punti di A).

Mettendo insieme le nozioni di retrazione debole e retrazione con la nozione di deformazione

si ottengono le nozioni che seguono:

Def. Siano X uno spazio topologico, A ⊆ X un sottospazio, i : A → X l’inclusione.

(2.6) Una retrazione di deformazione debole (r.d.d.) di X su A e una funzione

r : X −→ A∣∣ r i ∼

∅IdA

e i r ∼∅IdX

(i.e., e un’inversa omotopica dell’inclusione).

Si osservi che se esiste una tale r, allora r : X → A ed i : A → X sono equivalenze omotopiche, l’unal’inversa dell’altra.

(2.7) Una retrazione di deformazione forte (r.d.f.) di X su A e una funzione

r : X −→ A∣∣ r i ∼

A

(i.e. vale “=”)

IdA

e i r ∼AIdX

Incidentalmente, la prima condizione segue dalla seconda (essendo quest’ultima un’omotopia relativa ad A, sideve avere r(a) = ir(a) = Id

X(a) = a, ∀ a ∈ A). Sebbene fosse una condizione ridondante, abbiamo voluta

scriverla ugualmente per sottolineare gia nell’enunciato in bell’evidenza che una retrazione di deformazione fortee un’inversa omotopica (sinistra e destra, dell’inclusione) che fissa A. Osserviamo che, in termini piu sofisticati,la nostra r e un’inversa dell’inclusione nella categoria degli spazi topologici contenenti A ed omotopie chefissano A.

Nota. Quanto sopra spiega perche non abbiamo dato la versione “forte” della definizione (2.1): un’inversaomotopica destra che fissa A, i.e. una funzione r : X → A soddisfacente r i ∼

AId

X(che in accordo con

la terminologia usata si avrebbe voglia di chiamare “d.f.”), e automaticamente una r.d.f..

17

Inoltre, diciamo che A e un retratto debole , ovvero retratto , ovvero retratto di deformazionedebole , ovvero retratto di deformazione forte , di X , se esiste una funzione r come nella (2.4),

ovvero come nella (2.5), ovvero come nella (2.6), ovvero come nella (2.7) ( n.b. “r.d. forte=⇒ r.d. debole”).

Osservazione 2.8. Dato A ⊆ X , alla luce delle definizioni date, abbiamo quanto segue:

i) A e un retratto di deformazione debole di X (i.e. esiste r come nella 2.6)

⇐⇒ l’inclusione i : A → X e un’equivalenza omotopica

(sottolineiamo che nelle ipotesi della prima riga, la retrazione di deformazione debole r e un’inversa omotopicadell’inclusione i, per cui i ed r sono equivalenze omotopiche);

ii) A e un retratto di deformazione forte di X (i.e. esiste r come nella 2.7)

⇐⇒ ∃ F : X × I → X∣∣ F |

X×0= Id

X, F (X × 1) ⊆ A, F |

A×t= Id

A, ∀ t

(le uguaglianze F |X×0

= IdX

e F |A×t

= IdA

si intendono modulo le ovvie identificazioni X × 0 ∼= X

e A× t ∼= A).

Esempio. Chi ha svolto l’esercizio (1.7) presumibilmente ha scritto una retrazione di deformazione forte, i.e.un’omotopia Id

X∼o

o (o denota un punto in X, o la funzione costante x 7→ o). Nel caso del cono su

uno spazio W , come punto o sara stato necessario scegliere il vertice del cono (cfr. esempio 2.11).

Avvertenza 2.9. Cosı come fanno diversi autori (cfr. [Hat] e [Mas]), per brevita ometteremo il termine“forte”: useremo la locuzione “retrazione di deformazione” pur in presenza di una “r.d.forte”. Alcuni autori(cfr. [Vas]), usano una terminologia differente, per loro una r.d. e una r.d. debole. In [Sp], oltre alle r.d. fortie deboli, vengono definite le r.d. tramite una proprieta intermedia, precisamente come retrazioni (def. 2.5) chesono deformazioni (def. 2.1):

una “r.d.” e una retrazione r : X −→ A soddisfacente i r ∼∅Id

X

(quindi si avra r i = IdA

e i r ∼∅Id

X).

Naturalmente ci si puo sbizzarrire, un’altra proprieta intermedia usata frequentemente e la seguente:

una “r.d.2” e una funzione

r : X → A∣∣ ∃ F : X × I → X , F |

X×0= Id

X, F |

X×1= i r, F (A× I) ⊆ A

(una tale F e una deformazione di X ad A che si restringe ad una deformazione di A e, per questa ragione,si restringe automaticamente ad una retrazione debole di X su A ).

Le r.d.f. sono r.d.2 e r.d., a loro volta le r.d.2 e le r.d. sono r.d.d.. In particolare, le esistenze dei vari tipi dir.d. si collocano nel diagramma seguente

(♣)∃ r.d.f. =⇒ ∃ r.d.⇓ ⇓

∃ r.d.2. =⇒ ∃ r.d.d.

Se A = p e un punto le due frecce verticali si invertono, o meglio, si ha quanto segue:

A = p =⇒ una r.d.2 e una r.d.f., una r.d.d. e una r.d. (per esercizio).

In generale, nessuna delle implicazioni indicate nel diagramma (♣) si inverte:

Esempio 2.10 (cfr. [Sp] esempi 7 ed 8, pag. 30). Il pettine del topologo e definito come il sottospazio di R2

seguenteP := [0, 1] × 0

“base”

∪ ([0, 1] ∩Q) × [0, 1]

“denti”

• Ogni punto della base e un r.d.f. del pettine (valgono tutte le condizioni del diagramma (♣)).

• Per X = P ed A = p , se p non appartiene alla base valgono le due condizioni a destra, ma non ledue a sinistra.

• Per X = R2 ed A = P , valgono le due condizioni in basso, ma non le due in alto.

18

Esempio 2.11. Una versione alternativa del pettine del topologo e data dal cono su Q. In questo caso, esisteuna retrazione di deformazione forte sul vertice (come per ogni cono), ma non su alcun altro punto.

Molte affermazioni che per quanto siano “intuitivamente evidenti” sono tutt’altro che banali, seguono in modorigoroso come applicazione immediata della teoria dell’omotopia, come pure dell’omologia. Vediamone alcune.

• non esistono retrazioni (neanche deboli) r : D2 → S1 (idem da Dn a Sn−1);

• il cerchio S1 non si deforma ad alcun sottoinsieme proprio (idem per la sfera S2 nonche in dimensionesuperiore);

• se un aperto di Rn e omeomorfo ad un aperto di Rm allora si deve avere n = m (ciononostante, per citareun risultato controintuitivo, esistono funzioni continue suriettive R → Rn, I → Dn e I → Sn, ∀n);

Gruppo Fondamentale.

Def. 3. Sia X uno spazio topologico. Una funzione continua γ : I −→ X si chiama

cammino . Il prodotto di due cammini γ1 e γ2 soddisfacenti γ1(1) = γ2(0) si definisceponendo

(γ1 ∗ γ2)(t) =

γ1(2t) , t ≤ 1

2

γ2(2t− 1), t > 12

(la condizione γ1(1) = γ

2(0) garantisce la continuita del prodotto γ

1∗ γ

2che pertanto e anch’esso un

cammino). I punti γ(0) e γ(1) di un cammino γ si chiamano rispettivamente estremo iniziale ed estremo

finale. Nella definizione, richiedendo l’uguaglianza γ1(1) = γ

2(0) si chiede che l’estremo finale di γ

1coincida

con l’estremo iniziale di γ2 .

Avvertenza. Considerando prodotti di cammini assumeremo sempre, pur senza farne menzione esplicita,l’ipotesi che siano definiti, cioe che in ogni prodotto l’estremo finale del primo cammino coincida con l’estremoiniziale del secondo.

(3.1) il prodotto γ1∗ γ

2non e altro che “γ

1seguito da γ

2” (percorsi a “velocita doppia”);

(3.2) il prodotto di cammini non e associativo, naturalmente lo diventa se si considerano cammini moduloriparametrizzazioni dell’intervallo I , cioe modulo l’equivalenza che identifica γ con γ r, essendor : I → I un omeomorfismo soddisfacente r(0) = 0, r(1) = 1.

Convenzione 3.3. L’omotopia di cammini si intende sempre relativa all’insieme 0, 1 (non si richiedeche gli estremi iniziale e finale coincidano); in effetti sarebbe di scarsa utilita considerare cammini moduloomotopia rispetto al vuoto o ad uno solo degli estremi in quanto tali omotopie risulterebbero banali (camminiche condividono un estremo sono omotopi rispetto a quell’estremo, cammini in una stessa componente connessaper archi sono omotopi rispetto al vuoto!)

(3.4) L’omotopia di cammini (cfr. convenzione 3.3) definisce una relazione d’equivalenza sull’insieme di tuttii cammini;

(3.5) il prodotto di cammini ∗ e compatibile con l’omotopia: se si sostituisce γ1 con un cammino ad essoomotopo, idem per γ2 , la classe di omotopia di γ1 ∗ γ2 non cambia (come facile esercizio, si verifichiquanto affermato);

(3.6) l’omotopia di cammini e una relazione d’equivalenza piu forte della riparametrizzazione: i cammini γ eγ r della nota (3.2) sono omotopi. Infatti, un’omotopia di γ con γ r si ottiene da un’omotopia Hdi r con l’identita (se ne scriva una esplicitamente per esercizio) semplicemente scrivendo H(γ(s), t).

(3.7) il prodotto di cammini modulo omotopia ha senso ed e associativo (che abbia senso segue dalla (3.5), leproprieta (3.2) e (3.6) ci dicono che e associativo).

Convenzione 3.8. Spesso e utile fissare un rappresentante “canonico” per la classe di omotopia di unprodotto: con il prodotto di cammini γ

1∗ ... ∗ γ

k(l’espressione indicata non ha senso come prodotto di

cammini a meno di disporre opportunamente delle parentesi), si intende il rappresentante che segue: postoti:= i

k, definiamo γ come il cammino il cui tratto nell’intervallo [t

i−1, t

i] e γ

ipercorso a velocita k (e

chiaro cosa si intende, cfr. def. 3 e nota 3.1).

19

Def. 4. Dati X (spazio topologico) ed x0 ∈ X si definisce gruppo fondamentale π1(X, x0)il gruppo dei cammini aventi estremi iniziale e finale x0 , modulo omotopia che fissa gli estremi:

π1(X, x0) :=

I

γ−→ X

∣∣ γ(0) = γ(1) = x0

omotopia relativa a 0, 1

dove il prodotto, per definizione, e il prodotto indotto dal prodotto di cammini.

(4.1) Il prodotto di cammini e ben definito su π1(X, x

0) ed e associativo (infatti, l’osservazione (3.7) si

applica, in particolare, ai cammini con estremi x0). L’elemento neutro e la classe del cammino costante

x0(t) = x

0(che denoteremo con x

0) e l’inverso della classe d’equivalenza del cammino γ e la classe

del cammino γ−, essendo γ−(t) := γ(1− t).

(4.2) Per abuso di notazione, useremo il termine “cammino” intendendo “classe d’omotopia del cammino”.

(4.3) Il gruppo fondamentale viene anche chiamato primo gruppo d’omotopia.

(4.4) Il gruppo π1(X, x

0) “vede” solo la componente connessa per archi di X contenente x

0. D’altro canto,

assumendo che X sia connesso per archi, la scelta di x0

e, in un certo senso, irrilevante: dato unaltro punto x

0ed un cammino α da x

0a x

0, si ha che il morfismo π

1(X, x

0) −→ π

1(X, x

0) ,

γ 7→ α− ∗ γ ∗ α e un isomorfismo di gruppi (l’inverso e il morfismo γ 7→ α ∗ γ ∗ α− ).

Def. 4.5. Uno spazio topologico X si dice

semplicemente connesso se e connesso per archi e risulta π1(X, x0) = 0

(per la nota (4.4) la nozione di semplice connessione non dipende dalla scelta del punto x0).

Convenzione 4.6. A volte specificare qual e il punto x0 , detto punto base, appesantisce il discorso. Perevitare cio si usa scrivere π

1(X) quando la scelta del punto base e ininfluente.

Esercizio 4.7. Sia P ⊆ R2 un poligono. Verificare che il “perimetro” γ percorso a partire da uno dei verticiv di P (lo si definisca formalmente) e omotopo al cammino costante v(t) = v. Dedurre che se f : P → Xe una funzione continua, allora il cammino f γ e omotopo al cammino costante f(v).

Suggerimento: la seconda parte dell’esercizio segue dalla prima e dalla (1.3).

Nota: secondo la definizione che segue, il cammino f γ e il cammino f⋆(γ).

Def. 5. Data una funzione f : X −→ Y ed un punto x0 ∈ X , il morfismo di gruppi

f⋆ : π1(X, x0) −−−→ π1(Y, y0) (y0 := f(x0))

γ 7→ f γ

viene chiamato morfismo indotto sui gruppi d’omotopia .

(5.1) Il fatto che la definizione risulti ben posta segue dal fatto che se H e un’omotopia di due cammini γ eγ′ , allora la composizione f H e un’omotopia dei cammini f γ e f γ′ (cfr. 1.3).

(5.2) la compatibilita di f⋆ col prodotto (3) e con l’inverso (cfr. 4.1), cioe la proprieta

f⋆(γ ∗ δ) = (f⋆γ) ∗ (f⋆δ) , f⋆(γ−) = (f⋆γ)

− , ∀ γ, δ ,

vale addirittura per i cammini (per esercizio), oltre che per le classi d’omotopia.

Funtorialita. Dalla definizione segue che date due funzioni continue Xf−→Y e Y

g−→Z

risulta

(5.3) (g f)⋆ = g⋆ f⋆ , (IdX)⋆ = Id

π1(X, x0)(dove Id sta per “identita”).

Queste due proprieta ci dicono che i morfismi indotti in omotopia sono funtoriali: il gruppo fondamentale π1

e un funtore covariante dalla categoria degli spazi topologici puntati alla categoria dei gruppi (tutto cio epoco piu di un modo complicato per dire che ad ogni spazio topologico puntato viene associato un gruppo,

20

il gruppo fondamentale, e che c’e una legge soddisfacente la (5.3) che a morfismi di spazi topologici puntatiassocia morfismi di gruppi). Naturalmente, con la locuzione “spazio topologico puntato” si intende indicareuna coppia “spazio topologico, punto” (X, x

0), un morfismo di spazi topologici puntati f : (X, x

0) → (Y, y

0)

e una funzione continua f : X → Y soddisfacente f(x0) = (y0).

La proposizione (6) che segue ci dice che tale funtore si fattorizza attraverso la categoria degli spazi topologicipuntati modulo omotopia che fissa il punto. Prima vediamo un’applicazione della funtorialita.

Esercizio 5.4. Provare che se r : X → A e una retrazione, allora

i⋆ : π1(A, x

0) −→ π

1(X, x

0) e iniettiva, r⋆ : π

1(X, x

0) −→ π

1(A, x

0) e suriettiva

(x0∈ A ⊆ X, i : A → X denota l’inclusione) e che se r : X → A e una retrazione di deformazione, allora

i⋆ e r⋆ sono isomorfismi (l’uno l’inverso dell’altro).

Suggerimento: si applichi la funtorialita alla composizione r i = IdA

e, per quel che riguarda la parte finaledell’esercizio, alla composizione i r ∼ Id

X(qui si usi la Proposizione 6 bis enunciata sotto).

Esercizio 5.5. Siano S1 e D2 rispettivamente il cerchio unitario ed il disco di dimensione 2. Fissiamocome punto base il punto o = (1, 0) (questa scelta serve solo a fissare le notazioni, nella sostanza e irrilevante,cfr. nota 4.4 e convenzione 4.6).

• Provare che il cammino I : I → S1, t 7→ (cos 2πt, sin 2πt) non e omotopicamente banale;

• provare che risulta π1(D2, o) = 0; dedurre che non esistono retrazioni π : D2 → S1 .

La prima parte dell’esercizio, utilizzando gli strumenti a disposizione ora non e affatto facile. Comunque, eutile cimentarsi nel problema.

Suggerimento: si ragioni per assurdo, un’omotopia I ∼0, 1

o e una funzione H : I × I −→ S1 che soddisfa

le proprieta della definizione (1). Al cammino hs , dove hs(t) := H(t, s) (si osservi che hs e un cammino avalori in S1 , avente estremi iniziale e finale uguali) si puo associare un intero #hs che indichi “il numero digiri che si fanno su S1” (questo va definito formalmente, indichiamo un modo possibile: si scelgano tre puntidistinti o, x, y ∈ S1 , quindi si definisca una parola associata ad hs utilizzando le volte che hs passa per itre punti, cassando le ripetizioni si otterra una parola finita per ragioni di compattezza di I , per intenderci,si otterra qualcosa del tipo “oxyxoyxyxyxyxoyxyoxo”; si usi questa parola per definire #hs . Lasciamo allettore il compito di scrivere in modo rigoroso quanto indicato sommariamente e di fare le verifiche del caso).A questo punto la strada e in discesa: e sufficiente provare che l’intero #hs e localmente costante (comefunzione del parametro s) e che risulta #I = 1, #o = 0.

Nota 5.5′. Un’eventuale omotopia H come nel suggerimento, induce una funzione H ′ : S1 × I −→ S1 chesu una base del cilindro S1 × I e la funzione identica e sull’altra e una funzione costante. L’argomento vistosopra di fatto ci dice che una tale funzione non puo esistere.

In effetti, come vedremo utilizzando la teoria dei rivestimenti, si ha quanto segue: π1(S1, o) ∼= Z ed il

cammino I ne e un generatore.

Proposizione 6. Due funzioni f , f ′ : X −→ Y omotope relativamente ad x0 induconolo stesso morfismo in omotopia.

Come nel caso della nota (4.4) il ruolo del punto x0e marginale:

Proposizione 6 bis. Due funzioni f , f ′ : X −→ Y omotope relativamente al vuoto

inducono in omotopia morfismi coniugati. Piu precisamente, se H e l’omotopia di f e f ′,posto α(t) = H(x0, t), y0 = f(x0) , y

′0= f ′(x0) , c’e un diagramma commutativo

π1(X, x0)

f⋆ւ ց f ′⋆

π1(Y, y0)≃

−−−→ π1(Y, y′0)

σ 7→ α− ∗ σ ∗ α (n.b. α va da y0a y′

0)

Detto in termini euristici, “i morfismi f⋆ e f ′⋆ sono sostanzialmente lo stesso morfismo di gruppi”.

21

Dimostrazione. Alla luce della nota (4.4), e sufficiente provare che il diagramma commuta, cioe che datoρ ∈ π

1(X, x

0) e posto σ = f⋆ρ si ha che i cammini f ′⋆ρ e α− ∗ σ ∗α sono omotopi. A tal fine si consideri

la composizione

Q : I × I −−−→ X × I −−−→ Y

(t, s) 7→ (ρ(t), s) 7→ H(ρ(t), s)

Tramite tale composizione, ai quattro lati I × 0, I × 1, 0 × I, 1 × I delquadrato I × I (il dominio di Q) corrispondono i cammini indicati in figura. PoicheQ e continua, il “lato” f ′⋆ρ e omotopo al percorso α− ∗σ ∗α (per esercizio, si scrivaesplicitamente un’omotopia; cfr. esercizio 4.7).

σ

αα−

f ′⋆ρ

Nota. La Proposizione (6 bis) generalizza la Proposizione (6). Infatti, nelle ipotesi della Proposizione (6),se H e un’omotopia relativa ad x0, allora α(t) e il cammino costante x0 (che nel gruppo fondamentalerappresenta l’identita) e, per la (6 bis), si ha l’uguaglianza f⋆ = f ′⋆ .

Come conseguenza si deduce che spazi topologici omotopicamente equivalenti hanno lo stesso gruppo fonda-mentale, piu precisamente vale il corollario che segue.

Corollario 7. Sia f : X −→ Y un’equivalenza omotopica, x0 ∈ X, y0 = f(x0). Allora

il morfismo indotto in omotopia

f⋆ : π1(X, x0) −→ π1(Y, y0)

e un isomorfismo.

La dimostrazione non e difficile, la lasciamo per esercizio. Suggerimento: dalla Proposizione (6 bis) segue cheun morfismo di uno spazio topologico in se, omotopo all’identita, induce un isomorfismo in omotopia.

22

Il teorema di Seifert e Van Kampen.

Sia X uno spazio topologico, U un suo sottospazio, ed x0 ∈ U un punto. L’inclusione

j : U → X induce un morfismo naturale

j⋆ : π1(U, x0) −→ π1(X, x0) (cfr. Def. 5).

Di conseguenza, c’e un morfismo naturale definito sul prodotto libero dei gruppi fondamentali di piu sottospazi,tutti contenenti il punto x

0, a valori nel gruppo fondamentale π

1(X, x0) (cio segue dalla proprieta universale

del prodotto libero di gruppi §A1, 10). Il teorema di Seifert-Van Kampen ci dice sotto quali ipotesi questomorfismo e suriettivo e, in questo caso, qual e il suo nucleo. Nelle applicazioni si usano frequentemente duecasi particolari, le affermazioni (9.1) e (9.2), che quindi poniamo in risalto. La dimostrazione del Teoremaviene data piu avanti, dopo la generalizzazione (11).

Teorema 8 (di Seifert-Van Kampen). Sia X uno spazio topologico, U e V due suoi

aperti che lo ricoprono la cui intersezione e connessa per archi, sia inoltre x0 ∈ U ∩ V unpunto, cioe:

(♣) X = U ∪ V , U ∩ V e connesso per archi , x0 ∈ U ∩ V .

Allora il morfismo canonico

(8.1) Φ : π1(U, x0) ⋆ π1(V, x0) −−−→ π1(X, x0)

γ1 · ... · γk 7→ γ1 ∗ ... ∗ γk

e un morfismo suriettivo di gruppi. Inoltre, il nucleo del morfismo Φ e costituito dal sot-

togruppo

(8.2) ker Φ =⟨γU· γ−

V

⟩γ ∈ π1(U∩V, x0)

dove: “⋆” denota il prodotto libero di gruppi (def. §A1, 7); ogni γidenota un cammino in uno dei due

aperti e, per abuso di notazione, anche la sua immagine in X tramite il morfismo indotto dall’inclusione(Def. 5); “∗” denota il prodotto di cammini (def. 3); la notazione a destra della (8.2) indica il sottogrupponormale generato dalle parole del tipo γ

U· γ−

V, essendo γ

Ul’immagine nel gruppo π1(U, x0) di un cammino

γ ∈ π1(U ∩ V, x

0) e γ−

Vl’immagine in π

1(V, x

0) del cammino γ−1 ∈ π

1(U ∩ V, x

0).

Nota 8.3. Il fatto che Φ sia ben definita nonche un morfismo di gruppi segue dalla proprieta universale delprodotto libero di gruppi. In effetti, come gia accennato nell’introduzione al teorema di Seifert-Van Kampen,avremmo potuto definire Φ come il morfismo dato dalla proprieta universale del prodotto libero di gruppiapplicata ai morfismi π1(U, x0) → π1(X, x0) e π1(V, x0) → π1(X, x0) ...ma ci sembrava che introducendoΦ in questo modo avremmo appesantito l’esposizione!

Corollario 9. Siano X , U , V , x0 ed il morfismo Φ come nel Teorema (8).

(9.1) Se π1(U ∩ V, x0) = 0 allora il morfismo canonico Φ e un isomorfismo.

(9.2) Se π1(U, x0) = 0 allora c’e un isomorfismo naturale di gruppi

Υ :π1(V, x0)⟨

Im(π1(U ∩ V, x0)

) ⟩ −−−→ π1(X, x0)

i.e., se π1(U, x0) = 0 (caso 9.2), il morfismo naturale : π

1(V, x

0) −→ π

1(X, x

0) e suriettivo ed il

suo nucleo coincide col sottogruppo normale generato dall’immagine del gruppo π1(U ∩ V, x

0) nel gruppo

π1(V, x0). Naturalmente, i vari morfismi sono quelli indotti dalle corrispondenti inclusioni di spazi topologici,cfr. Def. 5.

Esercizio 10. Si verifichi che le (9.1) e (9.2) sono casi particolari del teorema di Seifert-Van Kampen (8).

23

Torniamo al Teorema (8). La suriettivita di Φ si generalizza al caso di un ricoprimento di piu aperti cosıcom’e, quanto alla descrizione del nucleo di Φ si deve assumere l’ulteriore ipotesi che l’intersezione di ogniterna di aperti sia connessa per archi. Enunciamo la generalizzazione:

Teorema 11. Sia X uno spazio topologico ed x0∈ X un punto. Se F = Uα e un ricoprimento aperto

di X , ogni aperto Uα contiene x0ed ogni intersezione Uα ∩ Uβ e connessa per archi, allora

(11.1) Φ :∐

π1(Uα, x0

) −−−→ π1(X, x

0)

γ1· ... · γ

k7→ γ

1∗ ... ∗ γ

k

e un morfismo suriettivo di gruppi. Assumendo che l’intersezione di ogni terna di aperti sia connessa per archisi ha

(11.2) ker Φ =⟨γ

U· γ−

V

⟩γ ∈ π1(U∩V, x0), U, V ∈ F

i.e. il nucleo di Φ e costituito dal sottogruppo normale generato dalle parole del tipo γU· γ−

Val variare di

U e V in F.

Nota 12. Ai fini della suriettivita di Φ, l’ipotesi che ogni intersezione Uα ∩ Uβ sia connessa per archie cruciale. Quanto ai singoli Uα , sebbene non necessario, non e restrittivo assumere che siano essi stessiconnessi per archi (ed in effetti molti testi assumono quest’ipotesi). Infatti, le eventuali componenti Z di Uαcome nell’esercizio (12.1) sotto non sono “viste” da nessuno dei gruppi che compaiono nella (11.1).

Esercizio 12.1. Assumendo le ipotesi richieste ai fini della suriettivita del morfismo (11.1), verificare che ognicomponente connessa per archi Z di un aperto Uα , con x

06∈ Z , ha intersezione vuota con ogni Uβ (per

β 6= α) e, pertanto, e una componente connessa per archi di X (distinta da quella contenente il punto x0).

Si noti che, in particolare, sempre assumendo le ipotesi menzionate, lo spazio X e connesso per archi se e solose ogni aperto Uα e connesso per archi.

Avvertenza 13. Quanto al nucleo di Φ, l’ipotesi che l’intersezione di ogni terna di aperti sia connessa perarchi e necessaria. Inoltre, se non la si assume, non e affatto possibile descrivere il gruppo π

1(X, x

0) in termini

dei vari morfismi associati al ricoprimento: e possibile dare esempi X = U ∪V ∪W e X ′ = U ′ ∪V ′ ∪W ′

soddisfacenti tutte le altre ipotesi nonche aventi i diagrammi Ξ(X) e Ξ(X ′) isomorfi, pur essendo π1(X, x

0)

e π1(X′, x′

0) non isomorfi! Dove

Ξ(X) :

π1(U ∩ V, x

0) −→ π

1(U, x

0)

π1(U ∩ V ∩W, x

0) −→ π

1(U ∩W, x

0) π

1(V, x

0) −→ π

1(V, x

0)⋆π

1(V, x

0)⋆π

1(V, x

0)

π1(V ∩W, x

0) −→ π

1(W, x

0)

ր ցր ց

ց ցր ր

(idem per Ξ(X ′)). Dire che i diagrammi Ξ(X) e Ξ(X ′) sono isomorfi significa dire che sono “identificabili”:ogni gruppo del primo diagramma e isomorfo al corrispondente gruppo del secondo diagramma ed anche i varimorfismi si corrispondono.

La dimostrazione del Teorema di Seifert-Van Kampen per un ricoprimento costituito da due soli aperti (Thm. 8)e sostanzialmente identica a quella della sua generalizzazione al caso di un ricoprimento aperto arbitrario(Thm. 11). Dimostriamo quest’ultima.

Dimostrazione (del teorema di Seifert-Van Kampen 11). Per prima cosa, proviamo la suriettivita di Φ.

Step 1. Dato un cammino γ : I → X che rappresenta una classe nel gruppo d’omotopia π1(X, x0) , si hache esistono dei punti t

0= 0, t

1, ..., t

k−1, t

k= 1 tali che ogni tratto γ([t

i, t

i+1]) e interamente contenuto

in uno degli aperti di F (quest’affermazione segue dal lemma §0, 11).

Step 2. Per i = 1, ..., k, sia Uαil’aperto contenente il tratto γ([t

i−1, t

i]), naturalmente γ(t

0) = γ(t

k) = x

0

e γ(ti) ∈ Uα

i∩ Uα

i+1, per i = 1, ..., k−1. Di conseguenza risulta γ = γ1 ∗ ... ∗ γk

, dove ogni γi

e un

cammino nell’aperto Uαied i vari γ

isono definiti riparametrizzando nella maniera ovvia la restrizione del

cammino γ al tratto di intervallo [ti−1, t

i].

Step 3. A meno di sostituire γ con un cammino omotopo, possiamo assumere che i due estremi dei vari γi

siano il punto x0: per i = 1, ..., k−1 si scelga un cammino α

iin Uα

i∩Uα

i+1che collega γ

i(ti) con x

0(qui e

cruciale l’ipotesi che l’intersezione dei due aperti sia connessa per archi) e si inserisca tra γie γ

i+1 il camminoα

i∗ α−

i(che non muta la classe d’omotopia di γ). Questo conclude la dimostrazione della suriettivita di Φ.

24

Ora proviamo la (11.2). Chiaramente il nucleo di Φ contiene le parole del tipo γU· γ−

Vcome nell’enunciato

e, di conseguenza, il sottogruppo normale che esse generano. Il problema e quello di provare che non contienenient’altro, cioe che una parola γ

1· ... · γ

kcontenuta nel nucleo di Φ e collegabile alla parola vuota con passi

dei due tipi che seguono:

(♠) i) “come nella def. §A1, 7” ii) “inserimento o cancellazione di espressioni del tipo γU· γ−

V”.

A tale fine consideriamo una parola γ1· ... · γ

k, rappresentanti per i vari γ

i, il prodotto di cammini γ

1∗ ...∗γ

k

come nella convenzione (3.8) ed assumiamo che il cammino γ = γ1 ∗ ... ∗ γksia omotopo al cammino costante

x0. A questo punto l’idea e quella di “seguire” i vari “tratti di γ” nella loro evoluzione attraverso l’omotopia.

In dettaglio:

Step 4. Fissiamo un’omotopia H(t, s) di γ con x0 e poniamo βs(t) = H(t, s) (cosı β0 = γ e β1 = x0 ).

Step 5. Consideriamo un suddivisione di I × I (dominio di H ) in rettangoli chiusi come in figura in modoche ogni rettangolo sia contenuto nella preimmagine di uno degli aperti di F e che ogni vertice appartenga, alpiu, a tre rettangoli. Per ogni rettangolo, scegliamo un aperto di F che lo contiene, che chiameremo apertoad esso associato. Come nello step 1, l’esistenza di una tale suddivisione segue dal Lemma (§0, 11).

β0

γ0 . . . γk

βtj

β1

Step 6. Per ogni β = βtj

si considera la sua suddivisione in tratti associata

ai vertici vm che incontra, il cammino β ottenuto da β inserendo nei variβ(vm) degli αm ∗α−m come nello step 3 (essendo αm un cammino che collegaβ(v) con x

0interamente contenuto nell’intersezione degli aperti associati ai

rettangoli di cui vm e vertice, che pertanto saranno al piu tre). A tale β ,o meglio alla sua suddivisione, associamo le due parole (nel prodotto liberoin 11.1) βsup e βinf corrispondenti alle due facce di rettangoli di cui e lato.Risulta (lasciamo la verifica per esercizio)

γ1· ... · γ

k∼ βsup

0∼ βinf

t1∼ βsup

t1∼ βinf

t2∼ ... ∼ βsup

tr−1

∼ βinftr =1 ∼ x

0· ... · x

0

essendo ∼ la relazione d’equivalenza, definita sull’insieme delle parole, dei passi dei due tipi considerati soprain (♠). Questo step naturalmente conclude la dimostrazione.

Notazione 13.1. Usiamo il simbolo “∨” per denotare la “wedge sum” (cfr. def. §0, 2.6): poniamo

X ∨ Y := X⋃•

Y/x0 , y0

(X e Y sono spazi topologici, x0 ∈ X e y0 ∈ Y sono punti che si assume siano stati fissati a priori).

Esempio 13.2. Siano (X, x0) e (Y, y

0) due spazi topologici puntati “ragionevolmente buoni” r.b., dove

uno spazio puntato e r.b. se il punto base e un retratto di deformazione forte (cfr. def. 2.7) di un suo intornoaperto opportuno10. Dal teorema di Seifert-Van Kampen segue che il gruppo fondamentale della wedge sume il prodotto libero (cfr. §A1, 7) dei gruppi d’omotopia dei due spazi:

(13.3) π1

(X ∨ Y, o

)∼= π

1(X, x

0)⋆π

1(Y, y

0)

dove o = [x0] = [y

0] denota la classe dei due punti che identifichiamo.

Dimostrazione. Siano UX, U

Y⊆ X ∨ Y aperti per i quali esistono retrazioni di deformazione forti rispetti-

vamente su X ed Y (UX

:= AY∪ X, U

Y:= A

X∪ Y , essendo A

X⊆ X e A

Y⊆ Y gli aperti dell’ipotesi

“r.b.”). Si ha X ⊆ UX, Y ⊆ U

Y, l’intersezione U

X∩ U

Ye semplicemente connessa, si hanno isomorfismi

naturali π1(X, x0)∼= π1(UX

, o) e π1(Y, y0)∼= π1(UY

, o). Inoltre, π1

(X ∨ Y, o

)∼=

(9.2)π1(UX

, o)⋆ π1(UY, o).

Il risultato si generalizza alla wedge sum di una famiglia arbitraria di spazi topologici puntati (sempre r.b.):il corrsispondente gruppo fondamentale e il prodotto libero dei gruppi fondamentali degli spazi in questione.

In particolare, π1

(S1 ∨ S1, o

)= Z⋆Z e

(13.4) π1

(∨j ∈ JS1, o

)= Free(J) (cfr. §A1, 2)

(sopra abbiamo la wedge sum di una famiglia di copie del cerchio S1, parametrizzata da un insieme J ).

Avvertenza: se si omette l’ipotesi r.b., e possibile dare esempi dove la (13.3) non vale, persino con X ed Yentrambi contraibili (cfr. def. 1.6), quindi semplicemente connessi (cosı da avere, nella 13.3, il gruppo a sinistranon nullo e quello a destra nullo). Non entreremo nel merito, si tenga comunque presente che, in generale, lacontraibilita di due spazi puntati non implica11 la contraibilita della loro wedge sum.

10 Quest’ipotesi e automaticamente soddisfatta dalle coppie “CW-complesso, punto” e dalla maggior parte degli spazi topologicipuntati nei quali capita di imbattersi.

11 La implica se per uno dei due spazi, l’omotopia di contrazione sul punto e forte, i.e. fissa il punto.

25

Esempio 13.5. Calcoliamo, usando il teorema di Seifert-Van Kampen, il gruppo fondamentale delle superficicompatte. In tutti i casi vediamo la nostra superficie come poligono con identificazioni (cfr. classificazione §0, 9).Per non appesantire la notazione, omettiamo di fissare, e scrivere, il punto base (cfr. osservazione 4.4 e con-venzione 4.6). Come aperto U consideriamo la parte interna del poligono (quindi U e omeomorfo ad un discoaperto e, per questa ragione, ha gruppo fondamentale banale), come aperto V consideriamo il complementaredi un punto interno al poligono. L’aperto V si retrae al “quoziente del perimetro del poligono” (quoziente perle identificazioni del caso). Nei casi dell’elenco (§0, 9) il quoziente del poligono ha un solo vertice ed il gruppod’omotopia π

1(V ) e il gruppo d’omotopia di una wedge sum di cerchi (cfr. 13.4), nello specifico, e il gruppo

libero generato dalle lettere che compaiono nella sequenza delle identificazioni (nei due casi dell’elenco, rispet-tivamente λ

1, µ

1, ..., λ

g, µ

ge λ

1, ..., , λ

m). Ora, usiamo il Corollario (9), formula (9.2): il gruppo π

1(V )

va quozientato col sottogruppo normale generato dall’immagine del gruppo π1(U ∩ V ) ∼= Z (l’intersezione

U ∩ V e una corona circolare, quindi e omotopicamente equivalente ad S1) nel gruppo π1(V ). Questa imma-gine risulta essere il sottogruppo ciclico generato dalla parola delle identificazioni (il cammino che percorre lacorona U ∩ V e omotopo, come cammino in V , al perimetro del poligono). In definitiva abbiamo

(♣) π1

(Cg)

=Z

⋆ 2g

⟨λ1 µ1 λ

−11µ−1

1.... λg µg λ

−1gµ−1g

⟩ , π1

(P2(R)#...#P2(R)

)=

Z⋆m

⟨λ21... λ2

m

Vediamo qualche esempio piu da vicino:

λ λ

µ

µ

λµλ−1µ−1

Toro

λ

λ

λ2

Piano Proiettivo

λ λ

µ

µ

λµλµ−1

Bottiglia di Klein

λ1

λ1

µ1

µ1

λ2

λ2

µ2

µ2

λ1µ

1λ−1

1µ−1

2λ−1

2µ−1

2

C2

π1(V )

ker Φ=

Z⋆Z

〈λµλ−1µ−1〉∼= Z× Z

Z

2Z∼= Z2

Z⋆Z

〈λµλµ−1〉

Z⋆Z⋆Z⋆Z

〈λ1µ1λ−1

1µ−1

1λ2µ2λ−1

2µ−1

2〉

Avvertenza. Il quadrato modulo le identificazioni λµλµ e il piano proiettivo. D’altro canto il quoziente delgruppo libero generato dalle lettere λ e µ per il sottogruppo normale generato dalla parola λµλµ, i.e. ilgruppo Z⋆Z/〈λµλµ〉, non e il gruppo fondamentale del piano proiettivo! L’errore sta nel fatto che i quattrovertici del quadrato non si identificano in un unico punto (il quoziente del quadrato ha due vertici) ed i duecammini λ e µ non sono cammini chiusi, di conseguenza non sono generatori del gruppo π

1(V ).

La tecnica vista permette di calcolare il gruppo fondamentale di qualsiasi poligono modulo identificazioni,anche quando i lati non sono identificati a coppie (per cui non si ha una superficie topologica). Naturalmente,si dovra fare attenzione a scrivere correttamente il gruppo π

1(V ) , che e sempre il gruppo fondamentale del

grafo associato alla parola che definisce le identificazioni (:= perimetro del poligono modulo identificazioni).Proponiamo qualche esempio come esercizio.

Esercizio 13.6. Sia S(“parola”) lo spazio topologico ottenuto quozientando un poligono di n lati con lasequenza delle identificazioni associata alla parola in questione (n sara la lunghezza della parola). Calcolare ilgruppo fondamentale degli spazi topologici che seguono:

S(λλλ) , S(λλλλ) , S(λn) , S(λλ−1 µ) , S(αβ γ) , S(λµλµλµ) , S(λλ−1 αµµ)

Risposta: rispettivamente Z3 , Z4 , Zn , 0 , 0 , Z3 (generato da λ∗µ), Z⋆Z/〈µ2〉 (le due copie di Z sonogenerate rispettivamente da α e µ).

Esercizio 13.7. Sia S = S(αβ α−1 γ β δ γ δ−1) (definizioni come sopra). Verificare che siamo nelle ipotesidell’esercizio (§0, 8.1), dedurre che S e una superficie topologica compatta, calcolarne il gruppo fondamentale,stabilire di quale superficie si tratta.

Suggerimento: si usi la classificazione delle superdici compatte (§0, 9) e le formule (♣), esempio (13.5).

26

Rivestimenti.

Def. 14. Sia : X −→ X una funzione continua di spazi topologici.

• U ⊆ X si dice ben rivestito se −1(U) e unione disgiunta12 di sottospazi omeomorfi adU :

(⋆) −1(U) =⋃• Ui , |

Ui

e un omeomorfismo.

Gli Ui si chiamano fogli dell’insieme ben rivestito. La nozione di foglio e una nozione relativa: dipendeda U e, in generale, anche dalla decomposizione (⋆) (che non e unica se U non e connesso e |U non ebiunivoca; cfr. nota 14.1, ultimo punto).

• se ogni x ∈ X ha un intorno ben rivestito diciamo che (X, ) e un rivestimento di X .

Per abuso di linguaggio, diremo che e un rivestimento di X , ovvero che X e un rivestimento di X(naturalmente useremo quest’ultima locuzione solo se e chiaro dal contesto chi e ).

Nota 14.1. Con la richiesta che l’unione ∪• Ui sia disgiunta si intende che questa sia topologicamente

disgiunta: ogni Ui , come sottospazio di −1(U) dotato della topologia indotta, e sia aperto che chiuso. Comeconseguenza immediata, se e un rivestimento si hanno le proprieta che seguono (che diamo per esercizio):

• se U e un aperto ben rivestito, ogni Ui e aperto in X ;

• e un omeomorfismo locale, i.e. ∀ x ∈ X, ∃ U (intorno di x) tale che |U: U → (U) e un omeomorfismo;

• e aperta (cioe manda aperti in aperti);

• ogni fibra −1(x) e un sottospazio discreto di X ;

• la cardinalita di −1(x) e localmente costante (in quanto costante su ogni aperto ben rivestito);

• se U e connesso, la decomposizione (⋆) e univocamente determinata.

Esempio 14.2. Se consideriamo un qualsiasi spazio non vuoto X e ne prendiamo due copie “attaccate” (cioecon la topologia meno fine rispetto alla quale la proiezione naturale e continua), nessun sottoinsieme nonvuoto e ben rivestito per , nonostante la restrizione di (che quindi non e un rivestimento) ad ognuna delledue copie di X sia un omeomorfismo!

Esempio 14.3. Un’unione disgiunta di copie di X e un rivestimento. Un rivestimento di questo tipo e pocointeressante, si chiama rivestimento banale.

Osserviamo che, per ragioni tautologiche, ogni rivestimento e localmente banale nel senso che segue:

∀ x ∈ X, ∃ U (intorno di x) tale che la restrizione di a −1(U) e un rivestimento banale di U .

Esempio 14.4. L’esempio piu elementare di rivestimento non banale e il rivestimento R → R/Z ∼= S1, doveil morfismo di rivestimento e la proiezione naturale su R/Z

(andiamo su S1 tramite t 7→ (cos 2πt, sen2πt)

).

(Ricordiamo che R/Z denota il quoziente di gruppi, si veda l’avvertenza §0, 2.4).

Esempio 15.1. La proiezione naturale : Rn −→ Rn/Zn e un rivestimento.

Esercizio 15.2. Sia : R2 −→ R2/Z2 la proiezione naturale (cfr. esempio 15.1). Sia ℓ ⊆ R2 una retta.

Provare che la restrizione |ℓ: ℓ −→ (ℓ) e un rivestimento se e solo se ℓ ha pendenza razionale (se ℓ ha

pendenza irrazionale, non esistono affatto aperti di (ℓ) ben rivestiti).

Consideriamo una funzione f ed un rivestimento come nel diagramma

(16)

Xy (rivestimento)

Yf

−−−→ X

Def. 17. Una funzione f : Y −→ X soddisfacente f = f si chiama sollevamento di f .

Se e dato un punto y0∈ Y , il punto x

0= f(y

0) si chiama punto iniziale del sollevamento. Naturalmente

12 Per convenzione, si richiede che l’unione disgiunta sia non vuota, equivalentemente che −1(U) sia non vuoto.

27

il punto iniziale del sollevamento appartiene alla fibra −1(x0), dove x

0:= f(y

0) (richiederemo implicita-

mente che cio si verifichi, per convenzione, riferendoci all’eventuale assegnazione di un punto iniziale per unsollevamento).

I risultati che seguono concernono esistenza ed unicita dei sollevamenti. Iniziamo col risultato piu evidente:l’unicita del sollevamento con punto iniziale assegnato.

Lemma 18. Dati f e come nel diagramma (16) e dato y0 ∈ Y , se Y e connesso si ha

che esiste al piu un sollevamento

f : Y −→ Xcon punto iniziale assegnato.

In altri termini, nelle ipotesi del Lemma, due sollevamenti f , f ′ : Y −→ X che coincidono in un punto,necessariamente coincidono ovunque.

Dimostrazione. Siano f , f ′ : Y −→ X due sollevamenti di f . Dato y ∈ Y , fissiamo un intorno aperto ben

rivestito U di x = f(y), quindi scriviamo −1(U) =⋃•

Ui (per la nota 14.1, tali Ui sono aperti di X). Se

Uj ed Uj′ sono i fogli contenenti rispettivamente f(y) e f ′(y), allora V := f−1(Uj)∩ f ′−1

(Uj′) e un aperto

soddisfacente la proprieta che segue: f(V ) ⊆ Uj , f′(V ) ⊆ Uj′ . Essendo questi due aperti omeomorfi ad U

via , e poiche f = f ′, si ha la seguente dicotomia: o f ed f ′ coincidono in V (se j = j′), oppure

non hanno alcun punto in comune in V (se j 6= j′). Ne segue che l’insieme dove i due sollevamenti f ed f ′

coincidono e sia aperto che chiuso. Essendo lo spazio Y connesso per ipotesi, si ha la tesi: due sollevamentiche coincidono in un punto, necessariamente coincidono ovunque.

Quanto all’esistenza del sollevamento, osserviamo che dati f e come nel diagramma (16)

ed un sollevamento f : Y → X , essendo il gruppo fondamentale funtoriale (cfr. formule 5.3),

dall’uguaglianza f = f si deduce la condizione

(19) f⋆ π1(Y, y0) ⊆ ⋆π1(X, x0)(x0 := f(y0)

).

Cioe, l’inclusione (19) e una condizione necessaria per l’esistenza di un sollevamento f con punto inizialeassegnato x0 ∈ −1

(f(y0)

).

Inciso 19.1. Entriamo meglio nel merito della condizione (19). Come vedremo (cfr. 22.1), un camminoγ : I → X si solleva sempre. Se γ(0) = γ(1), e definito il corrispondente laccio γ′ : I/0, 1 ∼= S1 → X(usiamo il termine “laccio” per sottolineare il fatto di aver identificato i due estremi del dominio I). In questo

caso, comunque, affinche si sollevi anche il laccio γ′, si deve avere γ(0)(♣)= γ(1) (dove γ denota il sollevamento

di γ). Se l’immagine f⋆π1(Y, y

0) contiene un cammino γ che non soddisfa la condizione (♣), chiaramente

non sara possibile sollevare f . L’idea e che se facciamo un giro (che immaginiamo di sollevare man mano chelo facciamo), anche il sollevamento, affinche possa completarsi “ad un sollevamento del laccio”, deve tornare alpunto di partenza. Fin qui abbiamo solo ribadito la condizione (19), il problema e che la stessa patologia puoverificarsi pur in assenza di cammini in f⋆π1

(Y, y0) non soddisfacenti (♣). Una condizione che escluda tale

patologia e anche sufficiente (cfr. Teoremi 21 e 22). L’esempio che segue chiarisce qual e il punto e suggeriscela condizione giusta da assumere per l’esistenza del sollevamento: la connessione per archi locale.

Esempio 20. Consideriamo Y = R/Z ed Y ′′ = [0, 1). Naturalmente si tratta dello stesso identico insieme(a meno di un’ovvia identificazione) dotato di due topologie differenti. Lo spazio Y ′′ e piu ricco di aperti diY . Quindi consideriamo un terzo spazio topologico Y ′ : consideriamo sempre lo stesso insieme ma dotato diuna topologia che abbia piu aperti di quella di Y ma meno di quella di Y ′′ (esiste, cfr. esercizio 20.1). Infineconsideriamo i tre diagrammi che seguono

R

Y = R/Zf−→ R/Z

R

Y ′f−→ R/Z

R

Y ′′ = [0, 1)f−→ R/Z

essendo la proiezione naturale ed f l’identita (ribadiamo che, come insiemi, Y = Y ′ = Y ′′). Giusto per

fissare le idee, in tutti e tre i casi cerchiamo un sollevamento f con punto iniziale f(0) = 0 (ma la scelta delpunto iniziale e irrilevante). Nel terzo caso, dove avendo π

1(Y ′′, 0) = 0 la condizione (19) non e violata, il

28

sollevamento esiste (e la funzione f(y) = y). Nel primo caso viene violata la condizione (19) e, di conseguenza,non esiste alcun sollevamento; il problema e quello gia descritto prima di quest’esempio: il sollevamento delterzo caso (l’unico eventuale candidato) non funziona nel primo caso perche avvicinandoci al punto 0 = 1

dal “lato di 1” si deduce che si dovrebbe avere f(0) = 1 (mentre f(0) = 0).

Il secondo caso e interessante: abbiamo messo piu aperti (nel passaggio da Y a Y ′) cosı da avere gruppofondamentale banale come nel terzo caso, ma non ne abbiamo messi abbastanza da eliminare la patologiariscontrata nel primo caso (anche nel secondo caso, e per la stessa ragione, il sollevamento del terzo caso

“f(y) = y” non funziona).

Esercizio 20.1. Provare che esiste uno spazio Y ′ come nell’esempio.

Suggerimento: visto che Y r 0 e Y ′′ r 0 sono omeomorfi, la questione riguarda la topologia locale in 0,...si consideri

(−∞, 0]× 0⋃(x, sin 1

x)x> 0 ⊆ R2

(che come insieme e parametrizzato da R) con la topologia indotta dal piano R2 (spazio noto come seno del

topologo).

Teorema 21. Dati f e come nel diagramma (16), e dato y0 ∈ Y , se Y e connesso perarchi e localmente connesso per archi (§0, 13) si ha che esiste un sollevamento

f : Y −→ X con punto iniziale x0 (x0 ∈ −1(x0 = f(y0)))

se e solo se e verificata la condizione (19). Inoltre, un tale f e unico.

Teorema 22. Data una funzione F : Y ×I −→ X, un rivestimento : X −→ X, un

sollevamento f della restrizione f := F |Y×0, si ha che

∃ ! sollevamento F di F che estende f .

Questo secondo Teorema, noto come Teorema del sollevamento dell’omotopia, ci dice che se due funzionif : Y → X e g : Y → X sono omotope ed f si solleva, allora l’omotopia si solleva (in particolare sisolleva anche g). Si osservi che la condizione (19), essendo soddisfatta da f ed essendo Y × I un retratto dideformazione di Y × 0, e soddisfatta anche da F .

Nella dimostrazione che segue si usa piu volte, peraltro senza menzione esplicita, il fatto che una funzione traspazi topologici e continua se e solo se e localmente continua in ogni punto (§0, 12.2).

Dimostrazione (dei Teoremi 21 e 22). Premettiamo un fatto ovvio.

Localmente, i sollevamenti esistono sempre: la restrizione di f (ovvero F ) ad un sottospaziola cui immagine e ben rivestita si solleva con punto iniziale arbitrariamente scelto.

(♣)

Comune ai due Teoremi, esistenza ed unicita del sollevamento di un cammino con dato punto iniziale:

dato un rivestimento : X → X , un cammino γ : I → X , x0∈ −1(0), si ha che

esiste, ed e unico, un sollevamento γ di γ con punto iniziale γ(0) = x0 .(22.1)

Step 1. Dimostriamo (22.1). Si considerino le immagini inverse via γ degli aperti ben rivestiti di X . Peril Lemma (§0, 11) esiste una suddivisione finita di I in intervallini chiusi ognuno dei quali e interamentecontenuto in almeno uno di tali aperti (per cui avra immagine ben rivestita). Solleviamo le restrizioni di γ atali intervallini, ognuna con punto iniziale il punto finale del sollevamento del tratto precedente, cio e possibileper la premessa (♣). I sollevamenti dei singoli intervallini si raccordano bene (per costruzione), quindi per illemma di incollamento (§0, 14.2) abbiamo un sollevamento di γ . L’unicita segue dal lemma (18).

Step 2. Dimostriamo il Teorema (22). Definiamo F (y, t) = γy(t), essendo γy il sollevamento del cammino

γy(t) = F (y, t) con punto iniziale γ(0) = f(y) (qui usiamo esistenza ed unicita asserite nella (22.1)). La

continuita di F e piu delicata, a priori sappiamo che F e continua solo come funzione di t, per y fissato

(questo perche γy e continua). Proviamo che F e continua. Fissato un punto y ∈ Y , sia τ l’estremo

superiore dei t per i quali la restrizione F |U×[0, t] e continua, per un qualche intorno aperto U di y. Poiche

per ipotesi f solleva F |U×0, si ha τ ≥ 0 . Consideriamo un intorno del punto (y, τ) ∈ Y× I con immagine

29

ben rivestita, che assumiamo essere del tipo W = U ′ × (τ−ǫ, τ+ǫ) ∩ I , ǫ > 0 (gli aperti di questi tipocostituiscono una base per la topologia prodotto). Affermiamo quanto segue:

(a) F e continua in U∩ U ′ × [0, τ+ǫ) ∩ I, U intorno di y tale che F |U×[0, τ−ǫ′] e continua, ǫ′ = ǫ/2

(se τ < ǫ/2, poniamo ǫ′ = 0). L’affermazione (a), a sua volta, per ragioni di lemma di incollamento seguedalla continuita nel “pezzettino in piu”, cioe dalla proprieta

(b) la restrizione di F ad Ω := U∩ U ′ × [τ−ǫ′, τ+ǫ) ∩ I e continua.

Quest’ultima segue da quello che sappiamo: la restrizione di F a U∩ U ′ × τ−ǫ′ e

continua, F e continua come funzione di t, F solleva insiemisticamente F (la quale econtinua), nel diagramma a lato il rivestimento e banale (questo perche Ω ⊆W , che haimmagine e ben rivestita). Cfr. esercizio (22.2) sotto.

−1F (Ω)yΩ F−→ F (Ω)

Infine, dall’affermazione (a) segue che si deve avere τ = 1. Cio garantisce la continuita locale di F in ognipunto e conclude la dimostrazione di questo step.

Step 3. Dimostriamo che sollevamenti con stesso punto iniziale di cammini omotopi, hanno stesso punto finale(non si richiede che i cammini da sollevare siano chiusi: l’estremo iniziale puo essere diverso da quello finale).Per il risultato precedente, l’omotopia si solleva. Essendo l’omotopia di cammini relativa agli estremi, gliestremi iniziale e finale dei cammini dell’omotopia sono costanti. Ne segue la tesi.

Step 4. Dimostriamo il Teorema (21). Per ogni punto y ∈ Y , si scelga un cammino γ = γy

da y0a y ,

quindi si sollevi il cammino f γ con punto iniziale x0

(gia abbiamo la (22.1), un risultato di esistenza eunicita per i sollevamenti dei cammini). Si denoti con γ tale sollevamento. A posteriori,

se f si solleva ad una funzione f , si deve avere f(y)(♠)= γ(1). Usiamo l’uguaglianza (♠) per definire f .

Si deve provare che la funzione f cosı ottenuta

(∗) non dipende dai cammini γyscelti; (∗∗) e continua.

Quanto ad (∗), si deve provare che dati γ e δ cammini da y0a y, risulta γ(1) = δ(1), dove γ e δ denotano

i sollevamenti di f γ ed f δ con punto iniziale x0. In generale, i cammini γ e δ non sono omotopi (se lo

fossero, si solleverebbero con lo stesso punto finale per lo step 3), ma grazie alla condizione (19) si sollevanocomunque a cammini con lo stesso punto finale. Per provare cio usiamo un piccolo trucco, consideriamo

δ := “sollevamento di f δ con punto finale γ(1)”.

Proveremo che risulta δ = δ , equivalentemente che δ e δ coincidono in un punto: proveremo che risulta

δ(0) = x0(estremo iniziale di δ). Il cammino γ∗δ− e un cammino chiuso di estremi y

0. Per la condizione (19),

esiste un cammino ω in X di estremi x0(quindi chiuso) soddisfacente la condizione f⋆(γ ∗ δ−) = ⋆(ω) ∈

π1(X, x0). Essendo i cammini f⋆(γ ∗ δ−) e ⋆(ω) omotopi, per lo step 3 i rispettivi sollevamenti con puntoiniziale x

0hanno stesso punto finale, d’altro canto per come sono stati costruiti si sollevano rispettivamente

a γ ∗ δ− ed ω. Cio prova l’uguaglianza γ ∗ δ−(1) = ω(1) (punti finali dei due cammini), i.e. l’uguaglianza

δ(0) = x0(che e l’uguaglianza che volevamo provare).

Per provare (∗∗), i.e. la continuita di f , si deve usare il fatto che Y e localmente connesso per archi: datoy ∈ Y , esiste un intorno U connesso per archi che ha immagine ben rivestita, sia g il sollevamento di tale

intorno con punto iniziale g(y) = f(y) (cfr. premessa (♣)). Essendo U connesso per archi, alla luce di come

viene costruita f si ha g ≡ f su U (questo perche, per y′ ∈ U , si puo ottenere f(y′) avendo in mentecome scelta iniziale un cammino del tipo γ

y′= γ

y∗ β , con β cammino da y a y′ interamente contenuto

in U ; qui si usano (∗) e l’ipotesi di locale connessione per archi in modo cruciale). Essendo g continua, anche

f e continua in U e, per l’arbitrarieta di y, e continua.

Si noti che il “candidato sollevamento” f(y) = y della funzione f : Y ′ → R/Z dell’esempio (20), e esat-tamente cio che si ottiene applicando la ricetta di cui alla dimostrazione del Teorema (21). Ma, in perfettasintonia con la parte finale di tale dimostrazione, e una funzione continua ovunque eccetto che nel punto 0dove Y ′ non e localmente connesso per archi.

L’esercizio che segue chiede di scrivere i dettagli della dimostrazione della proprieta (b), cfr. step 2 sopra.

Esercizio 22.2. Sia : X −→ X un rivestimento banale, Y uno spazio topologico, J ⊆ R un intervallo,

t0∈ J , F : Y × J −→ X una funzione continua nell’argomento t ∈ J , per ogni y ∈ Y fissato. Si provi che

se F |Y×t0 ed F := F sono continue, allora F e anch’essa continua.

Suggerimento: I fogli di inducono una decomposizione di Y ×J in insiemi sia aperti che chiusi.

Come corollario del teorema del sollevamento dell’omotopia (22), si deducono le affermazioni che seguono.

30

Corollario 23. Sia : X −→ X un rivestimento di spazi topologici, x0 ∈ X, x0 ∈ −1(x0).

Allora

(23.1) il morfismo indotto in omotopia ⋆ : π1(X, x0) −→ π1(X, x0) e iniettivo;

(23.2) sollevamenti con stesso punto iniziale di cammini omotopi, hanno stesso punto finale

(non si richiede che i cammini da sollevare siano chiusi: l’estremo iniziale puo essere diverso da quello finale).

Dimostrazione. Come gia visto, la (23.2) segue dal sollevamento dell’omotopia (step 3 della dimostrazione

precedente). Proviamo l’iniettivita di ⋆. Dato un cammino γ in X, buttandolo giu e risollevandolo con puntoiniziale γ(0) si ottiene di nuovo γ. Se ⋆(γ) e omotopo al cammino costante, il sollevamento dell’omotopiaci dice che lo stesso γ e omotopo al cammino costante.

Nella parte finale di questo paragrafo ci proponiamo di studiare certi legami tra la teoria dell’omotopia equella dei rivestimenti. E importante assumere che X sia localmente connesso per archi; non tanto in quantoipotesi semplificativa, quanto piuttosto per il fatto che solamente sotto tale ipotesi il gruppo fondamentale necodifica meglio la topologia (si veda l’esempio 20 del “quasi cerchio” Y ′ con gruppo fondamentale banale).D’altro canto, sotto questa ipotesi le componenti connesse di uno spazio X sono aperte (oltre che chiuse), diconseguenza studiare i rivestimenti di X equivale a studiare i rivestimenti delle sue componenti connesse. Perquesta ragione assumeremo che X sia connesso e localmente connesso per archi (c.l.c.a.). Ugualmente, un

rivestimento X di uno spazio c.l.c.a.X , in quanto ne eredita le proprieta locali, e anch’esso localmente connessoper archi e studiarlo equivale a studiarne le componenti connesse (che sono aperte e chiuse). Assumendo che il

nostro rivestimento X sia connesso, e anch’esso c.l.c.a. (per esercizio). Si osservi che mettendo insieme le duecose, connessione e locale connessione per archi, si ottengono spazi connessi per archi e localmente connessi perarchi (c.a.l.c.a.), i.e. c.l.c.a. = c.a.l.c.a. (per esercizio). Per eventuali riferimenti futuri stabiliamo la seguentedefinizione:

Def. 24. Uno spazio c.l.c.a. e uno spazio topologico connesso per archi e localmente connesso

per archi.

Sia dunque : X −→ X un rivestimento di spazi connessi per archi (qui l’“l.c.a.” non serve), si fissix

0∈ X , si considerino due punti nella corrispondente fibra x

0, x′

0∈ −1(x

0) ed un cammino α da x

0a

x′0. Dall’osservazione (4.4) sappiamo che c’e un isomorfismo di gruppi

π1(X, x

0) −→ π

1(X, x′

0) , β 7→ α− ∗ β ∗ α

Posto α = ⋆(α), per funtorialita abbiamo quindi

(24.1) ⋆ π1(X, x′

0) = α− ∗ ⋆ π1

(X, x0) ∗ α

i.e. i gruppi ⋆ π1(X, x

0) e ⋆ π1

(X, x′0) sono coniugati (come sottogruppi di π

1(X, x

0) naturalmente).

D’altro canto avremmo potuto fissare arbitrariamente un elemento α ∈ π1(X, x0) e definire conseguentemente

α (sollevamento con punto iniziale x0 , cosı da avere α = ⋆(α)) nonche definire x′0= α(1), Questo prova

che qualsiasi sottogruppo coniugato a ⋆ π1(X, x0) si ottiene nel modo descritto, i.e. e del tipo ⋆ π1(X, x′0)

per un qualche x′0(cfr. 24.1). Abbiamo pertanto il risultato che segue.

Proposizione 25. Un rivestimento : X −→ X di spazi c.l.c.a. individua una classe di

coniugio di sottogruppi del gruppo fondamentale. Precisamente, fissato x0 ∈ X , la funzione

−1(x0) −−−→ sottogruppi di π1(X, x0)

x0 7→ ⋆ π1(X, x0)

ha come immagine i gruppi di una classe di coniugio [H ].

Puo accadere che tale classe di coniugio sia costituita da un solo elemento, i.e. che H sia normale. Cio, adesempio, accade nei due casi estremi che seguono:

• se X = X e e l’identita, si ha H = π1(X, x0);

• se X e semplicemente connesso (i.e. e il rivestimento universale di X , cfr. def. 31 e Teorema 34 sotto),allora H e il sottogruppo banale (costituito dal solo elemento neutro).

31

Def. 25.1. Se H e normale, il rivestimento si dice normale ( ed H come nella Propo-sizione precedente).

La nozione appena introdotta concerne esclusivamente il rivestimento: la normalita di ⋆ π1(X, x0) non

dipende dalle scelte di x0 e x0 ∈ −1(x0). Per x0 fissato, che non dipenda da x0 segue dal fatto che lanormalita in teoria dei gruppi e invariante per coniugio, quanto all’indipendenza da x

0e sufficiente osservare

che la condizione in questione e aperta (se e vera per x0lo e anche per ogni x in un intorno ben rivestito

di x0). Al termine di questo paragrafo vedremo una caratterizzazione geometrica dei rivestimenti normali

e giustificheremo meglio quanto affermato (oss. 37). Il lemma che segue ci dice che il gruppo fondamentaleπ1(X, x0

) agisce sulla fibra −1(x0) del rivestimento e descrive tale azione.

Lemma 26. Sia : X −→ X un rivestimento di spazi c.l.c.a., x0 ∈ X . C’e un’azionetransitiva

Ψ : π1(X, x0) × −1(x0) −−−→ −1(x0)

( γ , x0 ) 7→ γ x0 := γx0(1)

con Stabilizzatore (x0) = ⋆π1(X, x0) (γx0

denota il sollevamento di γ con punto iniziale x0).

(Com’e consuetudine trattando l’azione di un gruppo su un insieme, la giustapposizione γ x0denota Ψ(γ, x

0)).

Che Ψ sia un’azione significa che e compatibile con la moltiplicazione in π1(X, x0), che sia transitiva significa

che c’e un’unica orbita, in altri termini che l’azione collega ogni coppia di punti, lo stabilizzatore di un elementoe il sottogruppo costituito dagli elementi del gruppo che lo lasciano fisso. In formule:

i) x0 x0 = x0 , δ (γ x0) = (γ ∗ δ) x0 , ∀ γ, δ ∈ π1(X, x0) , x0 ∈ −1(x0) ;

ii) ∀ x0, x′

0∈ π1(X, x0

) , ∃ γ ∈ π1(X, x0) | γ x

0= x′

0;

iii) Stabilizzatore (x0) := γ ∈ π1(X, x0

) | γx0= x

0 .

dove ricordiamo che x0denota l’elemento neutro del gruppo π1(X, x0

), cioe il cammino costante x0(t) = x

0.

Dimostrazione. Il teorema del sollevamento dell’omotopia (22), o meglio l’affermazione (23.2), garantisce che

Ψ e ben definita. La i) e evidente, quanto alla ii) e sufficiente considerare un cammino γ in X da x0a x′

0e

buttarlo giu in X , i.e. prendere γ = ⋆(γ). Infine, quanto all’uguaglianza Stabilizzatore (x0) = ⋆π1(X, x0

),l’inclusione “⊇” segue dal fatto che se si prende un cammino con estremi x0 , lo si butta giu e lo sollevacon estremo iniziale x

0si ottiene il cammino dal quale si era partiti, in particolare con estremo finale x

0,

l’inclusione “⊆” e analoga.

Nelle ipotesi del Lemma (26), assumendo che X sia semplicemente connesso, ogni punto x0 ∈ −1(x0 ) hastabilizzatore banale e, di conseguenza, corrispondente orbita che si identifica col gruppo π1(X, x0

). D’altrocanto, per la transitivita dell’azione, sappiamo che tale orbita e tutta la fibra −1(x

0). In altri termini, si ha

il risultato seguente:

Corollario 27. Sia : X −→ X un rivestimento di spazi c.l.c.a.. Se X e semplicementeconnesso, la funzione

ψ0 : π1(X, x0) −→ −1(x0) (x0= (x

0), x

0fissato)

γ 7→ γx0

e biunivoca.

Ricordiamo che γx0 denota l’estremo finale del sollevamento di γ con punto iniziale x0 (i.e. γx0 = γx0(1),

cfr. lemma. 26).

Considerando cammini con estremo finale arbitrario (non fissato), questa corrispondenza si estende: le classi

d’omotopia di cammini con estremo iniziale x0si identificano con l’intero spazio X , cioe c’e una corrispondenza

biunivoca

(27.1)ψ : Γ =

(x, γx

0, x)

∣∣ x ∈ X , γx0, x ∈ x

0, x

1:1←−−→ X

( x , γx0 , x) 7→ γ

x0

(1)

dove x0, x denota l’insieme delle classi d’omotopia di cammini da x

0ad x e dove, come al solito, γ

x0

denota

32

il sollevamento di γ = γx0, x con punto iniziale x

0. (Naturalmente, cammini γx

0, x e coppie (x, γx

0, x) sono

sostanzialmente la stessa cosa, abbiamo preferito usare i secondi semplicemente per enfatizzare il ruolo di x).

N.b.: la composizione Γ → X → X e la proiezione (x, γ) 7→ x. Ribadiamo alcuni punti: il sollevamento

dei cammini e dell’omotopia ci dicono che tale funzione e ben definita, la connessione per archi di X da

la suriettivita, la semplice connessione di X da l’iniettivita: per come e definita ψ, dire che due elementi

(x, γ), (x′, γ′) ∈ Γ hanno la stessa immagine in X, significa dire che i sollevamenti γ di γ e γ′ di γ′

hanno lo stesso estremo finale; essendo X semplicemente connesso, γ e γ′ sono omotopi, buttando giu in Xl’omotopia si ottiene (x, γ) = (x′, γ′).

Nota. Di nuovo, fin qui e sufficiente assumere la connessione per archi: l’“l.c.a.” non l’abbiamo mai utilizzata.

A questo punto siamo pronti ad introdurre il cosiddetto rivestimento universale. Premettiamo una definizioneed alcune considerazioni. Consideriamo un diagramma commutativo

(28)X1

f−−→→ X2

1 ցy2X

(1 e 2 rivestimenti, f suriettiva, 1 = 2 f )

Def. 29. Nella situazione del diagramma (28) diciamo che 1 domina 2 tramite f .

Esercizio 29.1. Si provi che nelle ipotesi della definizione (29), se X e c.l.c.a., anche f e un rivestimento.

Esercizio 29.2. Siano X ′′′

−→X ′ e X ′−→X due rivestimenti. Si provi che se e finito (le fibre sono

finite), allora la composizione ′ e anch’essa un rivestimento.

Avvertenza. Per quanto possa sorprendere, in generale puo accadere che la composizione di rivestimenti nonsia un rivestimento (per dare un controesempio, nelle notazioni dell’esercizio, gli aperti ben rivestiti per ′

dei punti di una fibra −1(x) di devono “essere via via piu piccoli”, cosı da fare in modo che x non abbiaintorni ben rivestiti per ′).

Accanto al diagramma (28), c’e un diagramma analogo per i corrispondenti gruppi d’omotopia. Qui, natural-mente, abbiamo fissato dei punti

x0 ∈ X , x2 ∈ −12

(x0), x1 ∈ f−1(x2).

Come conseguenza del sollevamento dell’omotopia, sappiamo che tuttii morfismi sono iniettivi (

1⋆ e 2⋆ lo sono per l’esercizio (23.1), di

conseguenza lo e anche f⋆):

1⋆ π1(X1

, x1) <

2⋆ π1(X2, x

2) < π1(X, x0

)

π1(X1 , x1)f⋆−−→ π1(X2 , x2)

1⋆ ց

y2⋆

π1(X, x0)

Grazie al teorema del sollevamento (21) il discorso appena fatto si inverte:

Lemma 30. Siano 1 e 2 rivestimenti puntati di spazi c.l.c.a.,come nel diagramma a lato. La condizione

(♣) 1⋆ π1(X1, x1) ⊆ 2⋆ π1(X2, x2)

e c.n.e.s. affinche 1 domini 2 tramite un morfismo di rivestimenti puntati.

(X1, x1) (X2, x2)

y2(X, x0)

Per definizione, un rivestimento puntato e un rivestimento : (X, x) → (X, x) di spazi puntati, i.e.soddisfacente la condizione (x) = x (nel lemma, i punti x

0, x

1, x

2sono fissati,

1(x

1) = x

0e

2(x

2) = x

0,

dire che 1

domina 2

tramite un morfismo di rivestimenti puntati significa dire che esiste f come neldiagramma (28) soddisfacente f(x

2) = x

1.

Dimostrazione. Il fatto che la condizione (♣) sia una condizione necessaria e stato gia osservato. Proviamo chee una condizione sufficiente. Nella situazione del diagramma, sappiamo che esiste un unico sollevamento f di1 con punto iniziale f(x

1) = x

2se e solo se e soddisfatta la condizione (19), condizione che nel nostro caso

e la condizione (♣). Essendo X2 connesso per archi, tale sollevamento e necessariamente suriettivo (facile,per esercizio).

33

Osservazione 30.1. Nelle ipotesi del Lemma, se risulta 1⋆ π1(X1

, x1) =

2⋆ π1(X2, x

2), si ha anche

f⋆ π1(X1, x

1) = π1(X2

, x2) (essendo

1⋆ = 2⋆ f⋆, cio segue dall’iniettivita di

2⋆). In questo caso fe necessariamente un isomorfismo di rivestimenti. Per esercizio, si provi quanto affermato e si descriva f−1

(suggerimento: e possibile scambiare i ruoli di X1 ed X2).

Osservazione 30.2. Se inoltre X1

e semplicemente connesso, avendo gruppo fondamentale banale e, diconseguenza, essendo la condizione (♣) una condizione vuota (i.e. “certamente verificata”), il rivestimento 1

domina ogni altro rivestimento connesso. Cio suggerisce la definizione che segue.

Def. 31. Un rivestimento universale di uno spazio X connesso per archi e un rivestimento

: X −−−→ X

dove X e semplicemente connesso.

La corrispondenza biunivoca (27.1) fornisce un candidato naturale per la costruzione del rivestimento univer-sale, l’insieme ivi indicato delle coppie “punto x, classe d’omotopia di un cammino da x

0ad x” (essendo

x0

un punto fissato). Osserviamo che tale insieme e dotato di una proiezione naturale sullo spazio X , laproiezione sul primo fattore. Non e detto che vada sempre bene:

p

Un’ostruzione all’esistenza del rivestimento universale puo venire dall’omotopia locale, ad esempio, l’orecchinohawaiano (l’unione dei cerchi di raggio 1/n come in figura, con la topologia indotta dalpiano), non ammette rivestimento universale. Naturalmente, non e detto che l’omotopia lo-cale sia sempre un’ostruzione: il cono sull’orecchino hawaiano, in quanto spazio contraibile,e il rivestimento universale di se stesso pur avendo omotopia locale non banale.

Stabiliremo una condizione necessaria per l’esistenza del rivestimento universale13, condizione non soddisfattadall’orecchino hawaiano (cfr. esercizio 35). Per ora ci limitiamo ad osservare che ogni intorno di p ha gruppodi omotopia non banale; d’altro canto, dato un rivestimento, il punto p deve avere un intorno ben rivestito!

Definizione 32. Uno spazio topologico X si dice

(32.1) localmente semplicemente connesso se ogni punto x ∈ X ha una base di intorni semplicemente connessi;

(32.2) semilocalmente semplicemente connesso se

ogni punto x ∈ X ha un intorno U per il quale

il morfismo π1(U, x) −→ π1(X, x) e banale (=nullo)

Chiaramente, valgono le implicazioni schematizzate:

semplice connessione =⇒

locale semplice connessione =⇒semilocale semplice connessione.

(Il cono sull’orecchino hawaiano e semplicemente connesso pur non essendo localmente semplicemente con-nesso).

Osservazione 33. Se : X → X e un rivestimento universale, gli spazi X ed X sono entrambi semilo-

calmente semplicemente connessi. Infatti, il rivestimento universale X lo e in quanto spazio semplicemente

connesso, mentre X lo e perche lo e X (dato x ∈ X , ogni intorno ben rivestito U soddisfa automaticamente

la condizione della definizione (31.2): fissato un Ui come nella def. 14, possiamo scrivere l’inclusione U → X

come composizione U≃−→ Ui → X

−→X ; il corrispondente morfismo in omotopia, fattorizzandosi per un

gruppo nullo, deve essere nullo). Questa considerazione ci dice quanto segue

(♠) la semilocale semplice connessione e una condizione necessaria per l’esistenza del rivestimento universale.

Il Teorema (34) che segue ci dice che tale condizione e anche sufficiente: assumere che una spazio c.l.c.a. abbiaun rivestimento universale equivale ad assumere che sia semilocalmente semplicemente connesso.

Teorema 34. Sia X uno spazio topologico c.l.c.a. semilocalmente semplicemente connesso.Si ha che esiste, ed e unico a meno di omeomorfismi di rivestimenti, il rivestimento universale.

13 In effetti, poi proveremo che e anche sufficiente.

34

Esercizio 35. Verificare che l’orecchino hawaiano (vedi sopra) non e semilocalmente semplicemente connesso epertanto non ammette rivestimento universale (oss. 33, ♠). Considerare il candidato dato dalla corrispondenzabiunivoca (27.1), studiarlo e comprendere perche non e un rivestimento universale.

Dimostriamo ora il Teorema (34) di esistenza e unicita del rivestimento universale.

Dimostrazione. Fissiamo x0∈ X , quindi consideriamo l’insieme a sinistra della (27.1) e la proiezione sul

primo fattoreX :=

(x, γx

0, x)

∣∣ x ∈ X , γx0, x ∈ x

0, x

−−−−→ X

Gli aperti connessi per archi U ⊆ X per i quali il morfismo π1(U) → π1(X) e banale (cfr. convenzione4.6), chiamiamoli buoni aperti. Per ogni buon aperto U consideriamo gli insiemi del tipo indicato:

fissato un cammino γ in X con γ(0) = x0, γ(1) ∈ U , si considera

Uγ :=(x, [γ ∗ β])

β cammino in U da γ(1) a x

dove [γ∗β] denota la classe d’omotopia di γ∗β. Per le ipotesi su U , la proiezione sul primo fattore : U ′ → Ue biunivoca. Osserviamo che se U e un buon aperto, lo sono anche le componenti connesse V degli apertiin esso contenuti. Inoltre, c’e un’inclusione naturale Vγ ⊆ Uγ , (γ come sopra, con γ(1) ∈ V ). Da ciosegue che l’intersezione di due insiemi della famiglia degli Uγ e unione di insiemi della famiglia, ovvero che

tale famiglia e una base per una qualche topologia su X , dotiamo X di tale topologia. Fissato U , l’immagineinversa −1(U) coincide con l’unione su tutti i possibili γ dei vari Uγ (per esercizio), nonche per due apertiUγ e Uγ′ vale la seguente dicotomia: o coincidono (cio accade se γ e γ′ sono omotopi), o sono disgiunti

(altrimenti). Ne segue che la proiezione : X → X e un rivestimento: gli aperti U considerati sono aperti

ben rivestiti. Resta da verificare che X e semplicemente connesso. La connessione per archi e immediata

(di nuovo per esercizio), il fatto che X ha gruppo fondamentale banale segue dal lemma (26): il cammino

γ ∈ π1(X, x0) si solleva con punto finale γ(1) = (x

0, γ) ∈ X, di conseguenza lo stabilizzatore del punto

x0:= (x

0, x

0) ∈ X e banale, essendo il morfismo indotto in omotopia iniettivo si deve avere π1(X, x0

) = 0(notazioni come nel lemma 26).

Infine, l’unicita a meno di isomorfismi di rivestimenti segue dal lemma (30): nelle notazioni ivi utilizzate, se

1e

2sono rivestimenti universali, la condizione (♣) e vuota ed il corrispondente morfismo di rivestimenti

f e un isomorfismo per l’osservazione (30.1).

Dato un rivestimento : (X, x0) −→ (X, x

0) di spazi puntati, il morfismo indotto ⋆ e iniettivo e

⋆ π1(X, x0) e un sottogruppo del gruppo fondamentale π1(X, x0

) (cfr. 23.1). Di contro, se partiamo daun sottogruppo G < π1(X, x0

), nelle stesse ipotesi del teorema (34) e possibile trovare un rivestimento di

spazi puntati : (X, x0) −→ (X, x

0) in modo che risulti ⋆ π1(X, x0

) = G. Inoltre, un tale rivestimentoe unico (modulo isomorfismi di rivestimenti di spazi puntati). Sottolineiamo che il gia citato Teorema (34)stabilisce quanto affermato nel caso G = 0.

Teorema 36. Sia (X, x0) uno spazio puntato c.l.c.a. semilocalmente semplicemente con-nesso. C’e una corrispondenza biunivoca

rivestimenti puntati di (X, x0) /Iso

1:1−−−→ sottogruppi di π1(X, x0)

: (X, x0) −→ (X, x0) 7→ ⋆ π1(X, x0)

(ricordiamo che, per definizione di rivestimento puntato, nella notazione di cui sopra si deve avere (x0) = x

0).

Dimostrazione (indicazione). Il lemma (30) e l’osservazione (30.1) garantiscono l’iniettivita. Per provare lasuriettivita si puo procedere in due modi.

I metodo: Lo spazio X , in quanto ammette rivestimento universale, e semilocalmente semplicemente connesso.A questo punto, assegnato un sottogruppo G < π1(X, x0

), si costruisce un rivestimento

′ : (X ′, x′) → (X, x0) tale che risulti ′⋆(X

′, x′) = G

come nella dimostrazione dell’esistenza del rivestimento universale (che e il caso G = 0).

II metodo: Dato G < π1(X, x0), si costruisce un quoziente opportuno del rivestimento universale. L’idea

e molto semplice: si identificano i punti nell’orbita di x0

tramite G (lemma 26), quindi si trasporta tale

35

identificazione. Precisamente, sul rivestimento universale X si definisce la relazione d’equivalenza che segue:

x ∼ x′ ⇐⇒ x := (x) = (x′), ∃ g ∈ G, γ cammino da x0 ad x∣∣ x = γ(1), x′ = γ′(1) (γ′ := g ∗ γ)

dove γ e γ′ come al solito denotano e sollevamenti di γ e γ′ con punto iniziale x0 . Si osservi che se si sceglieγ = x

0(cammino costante) si ottiene x = x

0e x′ = gx

0(cfr. lemma 26), ovvero come gia menzionato i

punti dell’orbita Gx0vengono identificati tra loro. Nei termini dell’idea intuitiva di cui sopra, il cammino γ

funge da trasporto per tale identificazione. A questo punto si deve fare solo una noiosa serie di verifiche:

Xq

−−→→ X/ ∼

ցy′

X

i) ∼ e una relazione d’equivalenza;

ii) passa al quoziente modulo ∼ (i.e. c’e un diagramma commutativo come a lato);

iii) il diagramma a lato e un diagramma di rivestimenti;

iv) effettivamente risulta G = ′⋆ π1(X/ ∼, [x0]) (essendo [x

0] ∈ X/ ∼ la classe di x

0).

Le prime tre verifiche sono, come dire, di “routine” e le lasciamo per esercizio. Ai fini dell’ultima verifica, allaluce del lemma (26) e sufficiente verificare che lo stabilizzatore di [x

0] coincide col sottogruppo G, cio segue

immediatamente da come e stata definita la relazione ∼.

Supponiamo di avere un rivestimento di spazi c.l.c.a. puntati

: (X, x0) −→ (X, x0).

(X, x0) (X, x′0)

ցy′

(X, x0)

La scelta di un altro punto x′0della fibra −1(x

0) consente di scrivere il diagramma

a lato. Questo non e altro che il diagramma del lemma (30) per X1= X

2= X .

Come conseguenza del gia citato lemma (30) e dell’osservazione (30.1), assumendoche si abbia

(♠) ′⋆ π1(X, x′0) = ⋆ π1(X, x0

)

c’e un omeomorfismo di rivestimenti puntati f : (X, x0) −→ (X, x′0).

Assumendo che il sottogruppo ⋆ π1(X, x0) < π1(X, x0

) sia normale, si ha che la condizione (♠) e automati-camente soddisfatta per ogni scelta di x′

0. Infatti, per la Proposizione (25), o meglio per le considerazioni che

la precedono, sappiamo i due gruppi ′⋆ π1(X, x′0) e ⋆ π1(X, x0

) sono coniugati. In questo caso pertanto,

esiste un omeomorfismo di rivestimenti puntati f : (X, x0) −→ (X, x′

0) per ogni scelta di x′

0.

Viceversa, l’esistenza di un omeomorfismo di rivestimenti puntati f : (X, x0) −→ (X, x′

0) implica la con-

dizione (♠). Se cio accade per ogni scelta di x′0, per la Proposizione (25) abbiamo che ⋆ π1(X, x0

) coincidecon ogni suo coniugato, di conseguenza e normale.

Osservazione 37. Un omeomorfismo di rivestimenti f : X → X che porta x0

in x′0

non e altro che

un omeomorfismo di rivestimenti f : X → X che porta il foglio contenente x0

in quello contenente x′0,

relativamente ad un intorno ben rivestito U di x0 (cfr. def. 14). Di conseguenza, l’esistenza di un taleomeomorfismo non dipende da x

0∈ U . Tornando alle considerazioni che seguono la definizione (25.1), cio

prova quanto gia ivi preannunciato: la condizione di normalita (di ⋆ π1(X, x0) per un −equivalentemente

ogni− punto x0

nella fibra di x0), vale per x

0se e solo se vale anche per ogni x in un suo intorno ben

rivestito e, di conseguenza, non dipende da x0

(il luogo dove e verificata e sia aperto che chiuso, ed X econnesso per ipotesi).

In definitiva, abbiamo provato il risultato che segue.

Proposizione 38. Sia : X −→ X un rivestimento di spazi c.l.c.a.. Le condizioni che

seguono sono equivalenti :

i) e un rivestimento normale;

ii) fissato x0 ∈ X , per ogni coppia di punti x0 , x′0∈ −1(x0) esiste un omeomorfismo di

rivestimenti puntati

f : (X, x0) −→ (X, x′0) .

36

§ 2. Omologia.

“L’omologia e l’omologia singolare”. Introduciamo la notazione seguente14:

(1.1) ∆n = n-simplesso standard =x ∈ Rn

∣∣ 0 ≤ xi ,∑xi ≤ 1

(1.2) per j che va da 0 ad n si definisce la “faccia j di ∆n” Fj ponendo

Fj : ∆n−1 −→ ∆n , (x1, ..., xn−1) 7→

(1−

∑xi , x1, ..., xn−1) , j = 0

(x1, ..., xj−1, 0, xj , ..., xn−1) , j ≥ 1

(si noti che, per definizione, la faccia j di ∆n e una funzione).

Per convenzione, si pone ∆0= pt (un punto), che non ha facce. L’intervallo ∆

1= I ha due facce, queste

sono F0: pt → I, pt 7→ 1 e F

1: pt → I, pt 7→ 0. Il 2-simplesso standard ∆

2e un triangolo ed ha

tre facce (i tre morfismi da I ai lati del triangolo). Il 3-simplesso standard ∆3 e un tetraedro (4 facce).

Def. 2. Sia X uno spazio topologico. Un n-simplesso singolare di X e una funzione continua

(2.1) σ : ∆n −−−→ X .

Si definisce il gruppo delle n-catene di X come il gruppo abeliano libero (cfr. §A1, 11) generatodagli n-simplessi singolari:

(2.2) Cn(X) := ∑

ni σini ∈Z, σi ∈n−simplessi singolari

Inoltre, si definisce l’operatore di bordo

(2.3) ∂n : Cn(X) −−−→ Cn−1(X)∑i

niσi 7→∑i

ni∑j

(−1)jσiFj

Per convenzione, si pone Cn(X) = 0 per n < 0. Le somme che compaiono nella (2.2) sono somme formalifinite e l’operazione di gruppo e la somma di somme formali, l’elemento neutro e dato dalla somma vuota,che si denota con 0. La faccia j di un n-simplesso singolare σ e la composizione σ Fj , il bordo di σ ela somma alterna delle sue facce, la definizione viene estesa alle n-catene per linearita. La somma diretta deivari Cn(X) viene denotata con C•(X). Si noti che C•(X) coincide col gruppo abeliano libero generato datutti (non si fissa n) i simplessi singolari e che mettendo insieme i vari ∂n si ottiene un operatore

(3) ∂ : C•(X) −→ C•(X) .

Lemma 4. Risulta ∂ ∂ = 0 (la verifica e elementare, la lasciamo per esercizio).

Per il lemma (4), il gruppo graduato C•(X), con l’operatore di bordo ∂ , e un complesso di catene discendente(cfr. Def. §A2, 4). Naturalmente e un complesso di catene libero, cioe costituito da gruppi abeliani liberi. Ladefinizione che segue ci dice che l’omologia dello spazio topologico X e l’omologia di tale complesso di catene:

Def. 5. Sia X uno spazio topologico. Si definisce l’omologia singolare di X ponendo

(5.1) Hn(X) := Hn

(C•(X), ∂

)=

ker ∂nimage ∂n+1

. (cfr. §A2, 3)

Inoltre, si definisco i numeri di Betti di X ponendo

(5.2) βn(X) := rangoHn(X) (cfr. §A1, 16)

Gli elementi in ker ∂n si chiamano n -cicli, quelli in image ∂n+1 si chiamano n -bordi.

14 Alcuni testi considerano come n-simplesso standard l’insieme x ∈ Rn+1 | 0 ≤ xi ,∑

xi = 1, per quanto cio possa disturbare(...perche vedere l’intervallo I nel piano, un triangolo in R

3 eccetera!), presenta il vantaggio che nel definire le facce non si devedistinguere il caso j = 0 e cio, in retrospettiva, presenta vantaggi combinatorici.

37

Esempio 6. Se X = pt e un punto, allora il complesso C•(X) e il complesso

...0−→ Z

Id−→ Z

0−→ Z

Id−→ Z

0−→ Z

Id−→ Z

0−→ Z

(=C0)−→ 0

Ne segue che H0(X) = Z e Hk(X) = 0 per k ≥ 1.

Osservazione 7. Sia C = Xα l’insieme delle componenti connesse per archi di X . Risulta

(7.1) Hn(X) =⊕

αHn(Xα) ;

(7.2) H0(X) = “gruppo abeliano libero generato da C ” (cioe, una copia di Z per ogni componente Xα).

La (7.1) segue dal fatto che essendo i simplessi standard connessi per archi, l’immagine di ogni simplessosingolare e contenuta in una qualche componente Xα e, di conseguenza, c’e un isomorfismo naturale dicomplessi C•(X) =

⊕α C•(Xα). Premesso che C

0(X) si identifica col gruppo abeliano libero sui punti di

X e che la differenza di due punti di una stessa componente connessa per archi e il bordo di un 1-simplesso(un cammino che li collega), si ha che la (7.2) segue dalla (7.1) e dal fatto uno 0-simplesso

∑nipi di una

componente connessa per archi e un bordo se e solo se ha grado∑ni = 0 (per ogni componente Xα , la

funzione H0(Xα) → Z,∑nipi 7→

∑ni e un isomorfismo di gruppi).

Definizione 8. Diremo che un simplesso e supportato su un insieme se la sua immagine e contenuta in esso.

Proposizione 9. Una funzione continua f : X −→ Y tra spazi topologici induce un

morfismo di complessi

(9.1)f♯: C•(X) −−−→ C•(Y )

∑ni σi 7→

∑ni (f σi)

e pertanto induce dei morfismi in omologia (cfr. §A2, 8.1)

(9.2) f⋆ : Hn(X) −−−→ Hn(Y )

Notazione 9.3. Utilizzeremo sistematicamente la notazione appena introdotta: data f come sopra denote-remo con f

♯il corrispondente morfismo di catene e con f⋆ il morfismo indotto in omologia.

Dimostrazione. Per il corollario (§A2, 8.1) e sufficiente verificare che f♯e un morfismo di complessi (cfr. §A2, 6),

ovvero che il diagramma

. . . −→ Cn(X)∂n−→ Cn−1(X) −→ . . . −→ C2(X)

∂2−→ C1(X)∂1−→ C0(X) −→ 0

yf♯

yf♯

yf♯

yf♯

yf♯

. . . −→ Cn(Y )∂n−→ Cn−1(Y ) −→ . . . −→ C2(Y )

∂2−→ C1(Y )∂1−→ C0(Y ) −→ 0

e un diagramma commutativo. Questo segue immediatamente dalla definizione di f♯.

I morfismi indotti in omologia sono funtoriali: date Xf−→Y e Y

g−→Z risulta

(10) (g f)⋆ = g⋆ f⋆ , (IdX)⋆ = Id

H•(X)(dove Id sta per “identita”).

La funtorialita e una conseguenza immediata delle definizioni. Un risultato che vedremo piu avanti, meno imme-diato (ma per un certo verso elementare), e il fatto che funzioni f, g : X −→ Y omotope inducono morfismidi complessi di catene omotopi e, di conseguenza, inducono lo stesso morfismo in omologia (Lemma 19). Daquesti risultati segue che uno spazio contraibile ha gli stessi gruppi di omologia del punto (cfr. Cor. 19.1).Sottolineiamo che gia per X = R i vari Ck(X) sono gruppi liberi generati da insiemi non numerabili, percui, a priori, non e affatto ovvio che R abbia la stessa omologia del punto!

Definizione 11. Dato X non-vuoto, si ha che esiste unico π : X −→ pt (spazio costituito da un punto).Se il morfismo indotto in omologia π⋆ : Hn(X) −→ Hn(pt) e un isomorfismo per ogni n diciamo che Xe aciclico.

Esercizio 11.1. Sia X non-vuoto, provare che

X e aciclico ⇐⇒ Hn(X) = 0, n ≥ 1, H0(X) ∼= Z (i.e. X ha la stessa omologia del punto).

38

Come conseguenza della funtorialita, in omologia troviamo un risultato gia visto in omotopia (esercizio §1, 5.4)che di nuovo proponiamo come esercizio.

Esercizio 12. Provare che se π : X → A e una retrazione, allora i⋆ e iniettiva e π⋆ e suriettiva(A ⊆ X, i : A → X denota l’inclusione) e se π : X → A e una retrazione di deformazione, allora i⋆ e π⋆sono isomorfismi l’uno l’inverso dell’altro (naturalmente, ai fini di quest’ultima affermazione si utilizzi il giacitato lemma 19 enunciato piu avanti).

Come osservato, gia per X = R il complesso C•(X) e costituito in ogni grado da gruppi abeliani enormi,eppure la sua omologia si riduce all’omologia del punto. Nelle due sezioni che seguono entriamo nel meritodella combinatorica dei simplessi con un duplice scopo, il primo e quello di illustrare i principi per i qualinel passaggio dal complesso C•(X) alla sua omologia sparisce “tutto cio che deve sparire” (cosa e perche),o meglio di comprendere un po’ la natura dell’omologia, il secondo e quello di fissare gli strumenti che ciserviranno in seguito, in particolare dimostrare la Proposizione (15) enunciata sotto.

Simplessi singolari: notazione fondamentale

In questa sezione introduciamo una notazione che risulta particolarmente utile quando si vogliono fare deicalcoli espliciti e che useremo abbondantemente nelle due sezioni che successive, sezioni dedicate a due risultatitecnici di base la cui dimostrazione richiede di entrare nel merito della combinatoria dei simplessi singolari edelle catene:

• Teorema di raffinamento (Prop. 15); • Teorema di invarianza omotopica (Teorema 19).

Dato un insieme ordinato di punti v0, ..., v

n di uno spazio reale affine A (sottolineiamo che non si fa alcuna

ipotesi sui punti in questione, che pertanto possono anche coincidere), poniamo

(13.0) ⌊v0, ..., v

n⌋ := inviluppo convesso dei vi

(:= intersezione di tutti i sottoinsiemi convessi di A contenenti i vi).

C’e una, unica, (restrizione di una) trasformazione affine Γ : ∆n → ⌊v0, ..., v

n⌋ che manda ordinatamente

i vertici del simplesso standard ∆n nei vi . Se X e uno spazio topologico e D un sottoinsieme dello spazioaffine A, contenente l’inviluppo convesso dei v

i, una funzione continua φ : D → X puo essere vista

come n-simplesso singolare (Def. 2) considerando la composizione φ Γ (ad essere rigorosi, la composizioneφ|⌊v

0, ..., vn ⌋

Γ). Introduciamo la notazione seguente.

Notazione 13.1. Dati v0, ..., vn e φ come sopra, definito Γ anch’esso come sopra, sipone

[v0 , ..., vn ]φ := φ′ Γ (essendo φ′ la restrizione φ′ = φ|⌊...⌋)

Ribadiamo che quello appena introdotto e un n-simplesso singolare di X (def. 2). In termini intuitivi, lanotazione appena introdotta e un modo formale di “vedere n-triangoli a valori in X come n-simplessi singolari

di X”.

Denotiamo con ℓ0 , ..., ℓn i vertici di ∆n . I simplessi singolari sono essi stessi funzioni ed i simplessi standard∆n sono sottoinsiemi dei vari Rn (che sono spazi affini). Pertanto, un n-simplesso singolare σ : ∆n → Xed il suo bordo ∂σ possono essere scritti nella notazione appena introdotta. Risulta

(13.2) σ = [ℓ0, ..., ℓ

n]σ, ∂σ =

n∑i=0

(−1)i

[ℓ0, ..., ℓ

i, ..., ℓ

n]σ

e, piu in generale risulta

(13.3) ∂ [v0, ..., v

n]φ

=n∑

i=0

(−1)i

[v0, ..., v

i, ..., v

n]φ

dove il cappuccio “ ... ” indica che il termine indicato viene omesso, ad esempio, [v0, ..., v

i, ..., v

n]φ

:=[v

0, ..., v

i−1, v

i+1, ..., v

n]φ.

Dimostrazione. Le uguaglianze nelle (13.2) e (13.3) sono sostanzialmente delle tautologie. Nel caso di[ℓ

0, ..., ℓ

n]σ

la funzione Γ e caratterizzata dal portare ogni ℓiin se stesso, di conseguenza e la funzione

identita Id∆n

: ∆n → ∆n . Applicando alla lettera la ricetta della notazione (13.1) si ha [ℓ0, ..., ℓ

n]σ

=(σ Id

∆n

)= σ. Nel caso di [ℓ

0, ..., ℓ

i, ..., ℓ

n]σ, la funzione Γ porta i vertici di ∆n−1 nei vertici di ∆n

39

che compaiono nella sequenza (ℓ0, ..., ℓ

i, ..., ℓ

n), di conseguenza coincide con la funzione Fi (cfr. def. 1.2),

ne segue che i vari [ℓ0 , ..., ℓi , ..., ℓn ]σ sono i vari contributi σ Fi che compaiono nella definizione del bordodi σ (cfr. def. 2.3). L’uguaglianza (13.3) segue in modo analogo.

In particolare, se σ : ∆1 = [0, 1] → X e un 1-simplesso singolare, abbiamo σ = [0, 1]σ . Anticipiamo,in dimensione 1, una definizione che daremo piu avanti in generale (def. 14.4), una suddivisione di σ e unacatena del tipo

[0, x1]σ+ [x

1, x

2]σ+ ... + [x

k, 1]

σ, 0 < x

1< x

2< ... < x

k< 1 .

Dato σ : [0, 1] → X , calcolando il bordo del 2-simplesso degenere [0, x, 1]σ (con 0 < x < 1) si trova la1-catena ∂ [0, x, 1]σ = [x, 1]σ − [0, 1]φ + [0, x]σ . Riscrivendo questa equazione nella forma

(13.4) [0, 1]σ = [0, x]σ + [x, 1]σ

(suddivisione)

− ∂ [0, x, 1]σ

(bordo)

si evince che il simplesso σ = [0, 1]σ e la sua suddivisione [0, x]σ + [x, 1]σ coincidono a meno di un bordo.Piu in generale,

(13.5)dato un 1-simplesso singolare σ ed una sua suddivisione , esiste una 2-catena η tale che

σ = + ∂ η

(questo per induzione sul numero dei simplessi della suddivisione ). Come corollario importante della (13.5)si deduce che se

∑niσi e un 1-ciclo (i.e. ha bordo nullo) allora la sua classe di omologia coincide con la

classe che si ottiene sostituendo i vari σi con delle loro suddivisioni (non si richiede affatto che questi venganosuddivisi nello stesso modo).

Nella sezione che segue affrontiamo la questione delle suddivisioni in dimensione arbitraria e stabiliamo la giacitata Proposizione (15).

Sui simplessi singolari e loro suddivisioni

Riprendendo le notazioni della sezione precedente, siano A uno spazio reale affine, v0 , ..., vn un insieme

ordinato di punti di A, ⌊v0, ..., v

n⌋ l’inviluppo convesso dei v

ie Γ : ∆n −→ ⌊v0

, ..., vn⌋ la restrizione della

trasformazione affine che ai vertici di ∆n associa ordinatamente i vi. Quanto segue introduce formalmente

l’idea intuitiva di suddivisione.

(14.1) Dati n+1 punti di uno spazio affine, diciamo che questi sono in posizione generale se non sono contenutiin alcun sottospazio affine di dimensione n− 1 (osserviamo che questa eventualita si verifica se e solose la funzione Γ di cui sopra, corrispondente ai punti in questione, e un omeomorfismo).

(14.2) Una triangolazione del simplesso standard ∆n e un ricoprimento finito in insiemi Di convessi, ognunodei quali inviluppo convesso di n + 1 punti in posizione generale (detti vertici), i.e. del tipo Di =⌊v(i)

0, ..., v(i)

n⌋, che a due a due si intersecano nell’inviluppo convesso dei vertici in comune (nel vuoto,

se non hanno vertici in comune).

(14.3) Una suddivisione dell’identita (o meglio, del simplesso singolare Id : ∆n → ∆n) e una catena del tipo

S(Id) :=∑ǫi Γi (ǫi = ±1)

dove: ∪Di e una triangolazione di ∆n; Γi : ∆n → Di e il diffeomorfismo indotto da un ordinamentodei vertici di Di (se ne sceglie uno per ogni i); il bordo ∂S(Id) e supportato sulla frontiera di ∆n ,i.e. non ha contributi interni a ∆n; esiste i tale che ǫio(Di) = 1, essendo o(Di) = ±1 := orientazionedi Di (= “segno(Γi)”).

N.b.: dalla condizione che il bordo ∂S(Id) non abbia contributi interni a ∆n (che di seguito chiamiamo(♣)), segue l’uguaglianza ǫio(Di) = ǫjo(Dj) per triangoli Di e Dj adiacenti e, di conseguenza, cheil prodotto ǫio(Di) non dipende da i (per cui si avra ǫio(Di) = 1, ∀ i). Osserviamo inoltre che se sifissa un ordinamento totale per l’insieme dei vertici della triangolazione compatibile con l’ordinamentodei vertici di ∆n, su ogni Di si considera l’ordinamento indotto ed infine si pone ǫi := o(Di), allorala condizione (♣) e automaticamente soddisfatta.

40

(14.4) La suddivisione di un n-simplesso σ : ∆n → X associata ad una suddivisione dell’identita S(Id) ela n-catena

σ♯(S(Id)) =

∑ǫiσ Γi (i simplessi sono funzioni, se ne puo prendere “l’f

♯”, cfr. 9.1.)

Una suddivisione di una catena e la catena che si ottiene suddividendo ognuno dei suoi simplessi (nonsi richiede che si usi la stessa suddivisione dell’identita per ciascuno di essi).

Al termine della sezione precedente abbiamo visto che un qualsiasi 1-simplesso singolare ed una sua qualsiasisuddivisione differiscono per un bordo (cfr. 13.5). Per n ≥ 2 la situazione e leggermente diversa. Ad esempio,un 2-simplesso non puo essere scritto come somma di una sua suddivisione in due 2-simplessi con un bordo(semplicemente perche il bordo di una 3-catena ha un numero pari di facce mentre 1 + 2 e dispari). D’altrocanto, se T e un triangolo di vertici a, b, c e φ : T → X una funzione, posto σ = [a, b, c] = [a, b, c]φ e

dato un punto x interno al lato a b, calcolando il bordo del 3-simplesso [a, x, b, c] si ha

(14.5) ∂ [a, x, b, c] = [x, b, c] + [a, x, c] − [a, x, b] − [a, b, c]

(bordo) (suddivisione) (degenere) σ

e se abbiamo un 2-ciclo (= 2-catena avente bordo nullo), e ragionevole sperare che tra i suoi simplessi ce nesia uno, che chiameremo σ′, che ha anch’esso a b come lato, ma con segno “opposto”, e.g. σ′ = [a, d, b]φ′

(si assuma che T ed il dominio T ′ di φ′ condividano il lato a b e che, su questo, coincidano). Scrivendo perquesto simplesso un’equazione simile alla precedente si puo fare in modo che i contributi degeneri si cancellino,si veda la figura qui sotto:

a

c

b

d

a

c

b

dx

a

c

b

dx

σ + σ′ [x, b, c] + [a, x, c] + σ′

non differisce da σ + σ′ per un bordo

[x, b, c] + [a, x, c] − [a, x, d] + [x, d, b]

differisce da σ + σ′ per un bordo

(si scriva il bordo di [a, x, b, c] + [a, x, d, b]). A questo punto ammettiamo che la nostra speranza era malriposta: non e escluso che un tale σ′ distinto da σ possa non esistere (e.g. che a b si cancelli con a c , cosa cheaccade se a b ed a c coincidono in X , i.e. φ(ta+ (1− t)b) = φ(ta+ (1− t)c), ∀ 0 ≤ t ≤ 1). Inoltre, passandoa dimensione superiore coinvolgere simplessi “adiacenti” ci mette in un ginepraio (gia dividendo un tetraedroin due tetraedri, gli altri 3-simplessi da coinvolgere saranno due, ognuno dei quali a sua volta ne coinvolgeraaltri). In effetti la situazione non e brutta come sembra, le patologie appena riscontrate spariscono tutte se,partendo da un ciclo (= catena con bordo nullo), si assume che la sua suddivisione sia essa stessa un ciclo:

(14.6) un n-ciclo e omologicamente equivalente ad ogni sua suddivisione che abbia bordo nullo.

Sebbene elegante, e per quanto vada nella direzione della comprensione della natura dell’omologia, quest’affer-mazione ha due limiti: i) non si possono suddividere arbitrariamente i singoli simplessi che costituiscono ilciclo in questione (in generale non si otterra un n-ciclo ma solo una n-catena); ii) e necessario avere unrisultato che concerna le catene.

La (14.6) non la utilizzeremo e, per questa ragione, solamente al termine di questa sezione (cfr. inciso 16) nediscuteremo sia le conseguenze che i limiti i) e ii) esposti sopra.

A questo punto andiamo dritti allo scopo. Premettiamo una definizione.

Sia U = Uh un ricoprimento di uno spazio topologico X e sia CU• (X) il sottocomplesso

di C•(X) generato dai simplessi singolari supportati (def. 8) in almeno un sottospazio delricoprimento:

CU• (X) :=

∑niσi ∈ C•(X)

∣∣ image σi ⊆ Uh per un qualche h

Si osservi che CU• (X) e effettivamente un sottocomplesso di catene di C•(X). Infatti, visto che se un simplessoe supportato su un insieme lo sono anche le sue facce, si ha ∂CU• (X) ⊆ CU• (X). L’obiettivo che ci si prefiggee quello di provare che CU• (X), sotto un’ipotesi ragionevole, calcola l’omologia di X (Prop. 15). Per provarequesto risultato abbiamo bisogno delle suddivisioni delle catene.

41

Proposizione 15. Sia X uno spazio topologico e U = Uh una collezione di sottospazi icui interiori ricoprono X . Allora l’inclusione di complessi di catene

ι : CU• (X) → C•(X)

e un’equivalenza omotopica. In particolare induce isomorfismi in omologia.

Gli Uh non sono necessariamente aperti, comunque si richiede che i loro interiori ricoprano X . Naturalmentequesta ipotesi e cruciale: ad esempio, se X e il ricoprimento costituito dai punti di X , il complesso CX• (X)non ha nulla a che vedere con l’omologia di X (e costituito dai simplessi singolari costanti e pertanto haomologia banale in ogni grado eccetto che in grado zero dove il gruppo H0(C

X• (X)) e il gruppo abeliano libero

sui punti di X ).

Per provare la Proposizione (15) abbiamo bisogno di introdurre la suddivisione baricentrica.

Premessa 15.1. Dati dei punti in posizione generale x0 , ..., xndi uno spazio affine, una triangolazione

dell’inviluppo convesso ⌊x0, ..., x

n⌋ (notazione 13.0) ed un punto p non contenuto nel sottospazio affine

generato dagli xi (equivalentemente, anche i punti p, x0, ..., x

nsono in posizione generale), c’e una naturale

triangolazione di ⌊p, x0, ..., x

n⌋ ottenuta congiungendo a p la triangolazione di partenza.

Definizione 15.2. Dato D = ⌊v0, ..., v

n⌋, con i vi in posizione generale (punti di uno spazio affine). Si

definisce la triangolazione baricentrica di D, induttivamente: per n = 0 e la triangolazione banale, per narbitrario si prende il baricentro di D e lo si congiunge alle triangolazioni baricentriche delle sue facce propriedi dimensione n − 1. Essendo queste in numero uguale a n + 1, la triangolazione baricentrica di D saracostituita da (n+1)! (fattoriale) n-triangoli (...si moltiplica per il numero delle facce ad ogni step). PoniamoV = v

0, ..., v

n.

I vertici di un n-triangolo τ della triangolazione baricentrica di D, ripercorrendo a ritroso il processo induttivoche la definisce, sono i seguenti: w

0:= “baricentro di D”; w

1:= “baricentro di una faccia di D”, ovvero

il baricentro di un insieme V r vi0 di n punti di V ; w

2:= “baricentro di n− 1 vertici tra i precedenti”

eccetera. In definitiva, c’e una corrispondenza biunivoca che consente sia di descrivere che di identificare talin-triangoli:

(15.3)Ω : Θ 1:1−−−−−→ n− triangoli della suddivisione baricentrica di D

(i0, ..., i

n) 7→ ⌊bar(V ), bar(V r vi

0), ..., bar(vi

n−1, vin ), vin ⌋

(=: ⌊w0, ..., w

n⌋)

dove Θ denota l’insieme delle permutazioni di 0, 1, ..., n, “bar” denota la funzione che ad un insiemedi punti associa il loro baricentro. Si noti che i vertici (tutti) della triangolazione baricentrica di D sono ibaricentri dei sottoinsiemi non vuoti dell’insieme V = v

0, ..., v

n (in particolare, sono in numero uguale a

2n+1 − 1).

Un elemento Ω(i0, ..., i

n) non solo e un n-triangolo ma e un n-triangolo con un ordinamento dei vertici, questo

di fatto lo rende un n-simplesso singolare e permette di definire la suddivisione baricentrica del simplessosingolare [v

0, ..., v

n] (questo, coerentemente con la notazione (13.1) e che continueremo ad usare anche nel

proseguo, e la trasformazione affine Γ : ∆n → D che manda ordinatamente i vertici del simplesso standardnei vari v

i):

Definizione 15.4. Si definisce la suddivisione baricentrica di [v0 , ..., vn] ponendo

S([v0 , ..., vn]) :=

∑∈Θ

ǫ() [w0 , ..., wn]

dove ǫ() = ±1 e il segno della permutazione , i vari wi

sono i vari baricentri indicati nella (15.3)(sottolineiamo che sono funzione di ) e dove, come sempre, [w

0, ..., w

n] denota il simplesso singolare

∆n → ⌊w0 , ..., wn⌋. Si definisce inoltre l’omotopia baricentrica (non e un nome dato “a caso”) di [v0 , ..., vn

]ponendo

J([v0]) := 0 e definendo, induttivamente su n, J (σ) := ξ

σ(σ) − ξ

σ

(J ∂(σ)

)

dove σ = [v0, ..., v

n] e, posto w

0:= bar(v

0, ..., v

n) = “bar(σ)”, ξ

σe l’operatore [x

0, ..., x

k] 7→

[w0, x

0, ..., x

k].

Naturalmente tutte le definizioni si intendono estese alle combinazioni lineari (sia per S che per J che per

42

ξσ, questo affinche J ∂ e ξ

σ(...) abbiano senso). Si osservi che J ha grado 1, i.e. porta n catene in n+ 1

catene.

Vediamo piu da vicino i casi dove n e basso:

n = 0

S([a]) = [a] , J([a]) = 0 .

n = 1

S([a, b]) = −[x, a] + [x, b] , J([a, b]) = [x, a, b].a b

•x

n = 2

S([a, b, c]) = −[o, x, a] + [o, x, b] J([a, b, c]) = [o, a, b, c][o, z, a]− [o, z, c] −[o, y, b, c]−[o, y, b] + [o, y, c] +[o, z, a, c]

−[o, x, a, b]

a

c

b

x

y

z

o−1

1

−11

−1

1

Le due figure rappresentano S. Nella seconda (caso n = 2), le freccetratteggiate (dove indicate) indicano l’ordine dei vertici dei vari simplessi,il numero al centro (1 oppure −1) indica il coefficiente.

Un effetto della “simmetria” della costruzione, e che l’ordine dei vertici di un simplesso della suddivisionebaricentrica di σ = [v0 , ..., vn

] e definito geometricamente (Def. 15.2 e successive considerazioni). La suddi-visione baricentrica S(σ) ha la peculiarita di essere esplicita ma soprattutto permette di scrivere una formulatipo (14.5) che abbia una sorta di natura ricorsiva: i vari contributi degeneri sono i vari simplessi dei quali siprende il bordo (a sinistra nella 14.5) delle analoghe formule in dimensione n − 1 scritte per le facce di ∆n.Precisamente, vale la formula seguente:

(15.5) σ = S(σ)

(suddivisione)

+ ∂J(σ)

(bordo)

+ J(∂σ)

(degenere)

dove S e J denotano la suddivisione baricentrica e l’omotopia baricentrica definite sopra. La (15.5) sidimostra per induzione (si tratta di un lungo calcolo che, per quanto sia piuttosto delicato, al di la degliaspetti combinatorici non e interessante, lo lasciamo per esercizio): nella (15.4) abbiamo due formule esplicite,basta usarle!

Se v0 , ..., vnsono i vertici di ∆n, si ha [v0 , ..., vn

] = Id = Id∆n. Dato ora uno spazio topologico X si

possono considerare

SX(σ) := σ♯(S(Id)) e JX(σ) := σ

♯(J(Id))

essendo σ un n-simplesso singolare su X . Estendendo per linearita alle catene otteniamo due morfismi indotti

SX : C•(X) −→ C•(X) e JX : C•(X) −→ C•(X)

Si ha che SX ha grado 0, i.e. porta n-catene in n-catene, mentre JX ha grado 1, i.e. porta n-catene in n+1catene. Naturalmente la formula (15.5), che vale per i singoli simplessi, continua a valere, o meglio assume laforma

(15.6) IdC•(X)

− SX = ∂ JX + JX ∂

Questa formula ci dice che l’operatore di suddivisione e omotopo all’identita su C•(X) (§A2, 10). L’operatoreJX e l’omotopia di complessi, per questa ragione nella (15.4) abbiamo chiamato l’operatore J “omotopiabaricentrica”.

43

Dimostrazione (della Proposizione 15). Cosı come SX e omotopo all’identita (formula 15.6), anche le suepotenze SmX : C•(X) → C•(X) sono omotope all’identita (§A2, 10.2), quindi esiste Jm : C•(X) → C•(X)soddisfacente

(♠) IdC•(X)

− SmX = ∂ Jm + Jm ∂ .

Ora entra in gioco il ricoprimento U . L’obiettivo15 e il seguente:

definire un inverso omotopico S

U : C•(X) → CU• (X) dell’inclusione di complessi i : CU• (X) → C•(X)

(cfr. §A2, 12). Definiremo S

U in modo che risulti

S

U i = IdCU• (X)

e i S

U ∼omotopo

IdC•(X)

(cfr. §A2, 10.1).

Essendo i un’inclusione, cio equivale a definire un morfismo SU : C•(X) → C•(X) che sia una proiezionesu CU• (X) (i.e. soddisfi Im SU ⊆ CU• (X) e SU (σ) = σ , ∀ σ ∈ CU• (X)) e che soddisfi la condizione

(♠U ) IdC•(X)

− SU = ∂ JU + JU ∂ .

La questione e algebrica. Per ogni n-simplesso σ definiamo

m(σ) := mink ∈ N | SkX(σ) ∈ CU• (X)

(l’esistenza di un tale minimo e assicurata dal lemma di Lebesgue §0, 11.1, affinche lo si possa applicaresi osservi che partendo da un qualsiasi n-triangolo in Rn, il massimo dei diametri degli n-triangoli che siottengono iterando la suddivisione baricentrica converge a zero). Poniamo JU(σ) = Jm(σ)(σ) ed infine

SU (σ) = Sm(σ)X + “correttivo(σ)” dove “correttivo(σ)” := Jm(σ)(∂σ) − JU (∂σ) serve a fare in modo che

effettivamente sia soddisfatta la condizione (♠U) (essendo m funzione del simplesso, (♠U) non funzionerebbesenza il termine correttivo: nel termine JU ∂ gli m delle facce di σ possono essere minori di m(σ)).

Un corollario importante della Proposizione (15) e la successione esatta lunga di Mayer-Vietoris. Questa lavedremo nella prossima sezione. Concludiamo questa sezione con alcune considerazioni che, sebbene non leutilizzeremo mai, ci sembrano interessanti (come promesso, queste considerazioni riguardano anche limiti econseguenze della (14.6)).

Inciso 16. Tornando alla (14.6), affinche la si possa utilizzare, e importante stabilire la proprieta che segue:

(♣) ogni ciclo σ ammette suddivisioni con bordo nullo “sufficientemente fini”

(dove “sufficientemente fini” significa “i cui simplessi sono supportati sugli aperti di un ricoprimento fissato apriori”). Infatti, mettendo insieme la (14.6) con la proprieta (♣) si deduce immediatamente quanto segue:

dato uno spazio topologico ed un ricoprimento aperto, per ogni classe di omologia e possibile trovarne

un rappresentante con ogni n-simplesso singolare supportato su un aperto del ricoprimento.(16.1)

La proprieta (♣) sappiamo essere vera: come abbiamo visto le potenze della suddivisione baricentrica sonosufficientemente fini. Anzi, in effetti vale molto di piu: fissato un ciclo σ ed una sua suddivisione arbitrariaesiste un raffinamento di quest’ultima avente bordo nullo (questo giusto per dire che di suddivisioni aventibordo nullo ne troviamo a iosa). Da questo punto di vista, avremmo potuto evitare di parlare della suddivisionebaricentrica.

Il vero problema e che la (16.1) ci dice solamente che l’inclusione di complessi di catene CU• (X) → C•(X)induce morfismi suriettivi in omologia (cfr. esercizio §A2, 8.3). La Proposizione (15) e molto piu forte: ci diceche tali morfismi indotti provengono da un’equivalenza omotopica, in particolare sono isomorfismi.

Tornando ai limiti i) e ii) della (14.6) (si veda sopra), a costo di apparire ripetitivi diciamo che il primoin realta non rappresenta un problema: sebbene le suddivisioni arbitrarie non vadano bene, di suddivisioni“buone” ce ne sono piu che a sufficienza. Il secondo invece effettivamente e un limite della (14.6): se non silavora con le catene non si riesce ad andare oltre la (16.1) e, in definitiva, non si riesce a provare l’iniettivitadei morfismi indotti in omologia dall’inclusione di complessi di catene CU• (X) → C•(X).

15 Ogni catena in C•(X) viene mandata in CU• (X) da una potenza Sm

Xdi S

X, purtroppo m dipende dalla catena in questione,

altrimenti il fatto che Sm

Xe omotopo all’identita (§A2, 10.2) permetterebbe di concludere rapidamente.

44

Successione di Mayer-Vietoris

Come applicazione importante della Proposizione (15) si ottiene la successione esatta lunga

diMayer-Vietoris. Sia X uno spazio topologico, A e B due sottospazi i cui interiori ricopronoX , sia U = A, B. Allora, la successione esatta corta di complessi16

(17)

0 −−−→ C•(A ∩B)j

−−−→ C•(A)⊕ C•(B)q

−−−→ CU• (X) −−−→ 0

σ 7→ (σ, −σ)

(α, β) 7→ α + β

induce una successione esatta lunga in omologia (lemma §A2, 9) che, grazie all’equivalenza

omotopica di complessi di catene CU• (X) ≃ C•(X) asserita dalla Proposizione (15), puo

essere scritta nella forma

(18) . . . −→ Hn(A ∩ B) −→ Hn(A)⊕Hn(B) −→ Hn(X) −→ Hn−1(A ∩B) −→ . . .

(successione di Mayer-Vietoris).

Ricordiamo che l’ipotesi che gli interiori dei due sottospazi A e B ricoprano X e cruciale ai fini del lemma (15)e, di conseguenza, lo e anche ai fini della successione di Mayer-Vietoris.

Concludiamo questa sezione con una facile applicazione della successione di Mayer-Vietoris. A tale fine abbiamobisogno di anticipare un risultato che vedremo nella prossima sezione:

L’equivalenza omotopica di spazi topologici induce isomorfismi in omologia.

In particolare, se un sottospazio e un retratto di deformazione di uno spazio X , allora l’inclusione di quelsottospazio in X induce isomorfismi in omologia. Consideriamo il cerchio unitario S1 e la composizione

(♣) I : I −→ S1 , t 7→ (cos 2πt, sin 2πt).

Consideriamo un ricoprimento di S1 costituito da due aperti contraibili, e.g. A = S1 r (0,−1), B =S1 r (0, 1). Gli spazi A e B si retraggono ad un punto, lo spazio A ∩ B, essendo costituito da duecomponenti connesse ognuna delle quali contraibile, si retrae ad una coppia di punti. Per quanto anticipatoabbiamo

Hi(A) = Hi(B) = Hi(A ∩B) = 0 , i ≥ 1 ; H0(A) ∼= Z , H0(B) ∼= Z , H0(A ∩B) ∼= Z⊕ Z

(gli isomorfismi sono naturali, solo per quel che riguarda l’ultimo dobbiamo decidere in quale ordine scrivere ledue componenti di A∩B). Tenendo conto di come sono definiti i vari morfismi, la successione di Mayer-Vietorise la successione

Hi(A)⊕Hi(B) −→ Hi(S1) −→ Hi−1(A ∩B) ...= 0 = 0

(qui a sinistra, i ≥ 2)

... H1(A) ⊕H

1(B) −→ H1(S1)

δ−→ H0(A ∩B)j⋆−→ H

0(A)⊕H

0(B)

q⋆−→ H0(S1) −→ 0

= 0 ∼= Z⊕ Z ∼= Z⊕ Z ∼= Z

(r, s) 7→ (r + s, −r − s)(h, k) 7→ h+ k

Ne segue che risulta Hi(S1) = 0 , ∀ i ≥ 2, nonche H1(S1) ∼= kerj⋆ ∼= Z (n.b. il primo isomorfismo eindotto da δ, in particolare e naturale). I punti o = (1, 0) e p = (1, 0) sono punti nelle due componenti diA∩B, le corrispondenti classi di omologia generano il gruppo H0(A∩B) , mentre il gruppo kerj⋆ e generatodalla classe di o − p. Ricordando com’e definito il morfismo di incollamento δ si puo verificare che risultaδ(I) = o − p (cfr. esercizio 18.2). Riassumendo, abbiamo

(18.1) H1(S1) ∼= Z ed I ne e un generatore

(cio giustifica la notazione). Il generatore (♣) e il cosiddetto generatore canonico di H1(S1).

Esercizio 18.2. Si verifichi che risulta δ(I) = o− p.

16 Ci si convinca dell’esattezza della successione (17).

45

Suggerimento: la successione di Mayer-Vietoris e stata scritta modulo l’omotopia di complessi di catene

CU = A,B• (S1) ≃ C•(S1)

data dall’inclusione. Come primo passo si rappresenti la classe di omologia di I in CU1 (S1) (a tal fine

consigliamo di osservare che nella notazione (13.1) risulta I = [0, 1]I

= [0, 12 ]I + [ 12 , 1]I − ∂ [0, 1

2 , 1]I ,

che la 0-catena σ := [0, 12 ]I + [ 12 , 1]I e in CU1 (S

1) e rappresenta la stessa classe di omologia di I). Sicalcoli esplicitamente δ(σ) usando la descrizione (§A2, 9.1) del morfismo di incollamento (n.b. nel complessoal centro si ha ∂σ = (p− o, o− p)) e si verifichi che risulta δ(σ) = o− p (notazioni come sopra).

Invarianza Omotopica

Quanto visto nelle due sezioni precedenti concerne le suddivisioni dei simplessi, in questa sezione diamo unrisultato, il lemma (19), che invece concerne l’omotopia di funzioni e, in un certo senso, le deformazioni dellecatene. Date due funzioni f, g : X → Y , un’omotopia H : X × I −→ Y (cfr. §1, 1) ed un n-simplessosingolare σ : ∆n −→ X , possiamo considerare la composizione

φσ

: ∆n × Iσ×Id−−−−→ X × I

H−−−→ Y

I due n-simplessi φ(0)σ

: ∆n → Y, z 7→ φ(z, 0) e φ(1)σ

: ∆n → Y, z 7→ φ(z, 1), sono rispettivamente f♯(σ)

e g♯(σ). Passando a combinazioni lineari formali, tutto cio si estende alle catene. Essendo ∆n × I contenuto

in uno spazio affine, dato un qualsiasi sottoinsieme di punti x0, ..., x

k, ha senso il corrispondente simplesso

[x0, ..., x

k]φ (cfr. 13.1). Triangolando ∆n × I in modo opportuno si puo provare che

un n-ciclo∑niσi ∈ C•(X) induce n-cicli

∑niφ

(0)σi,

∑niφ

(1)σi∈ C•(Y ) che differiscono per un bordo

(si noti che quando X = Y ed H(x, 0) e l’identita stiamo deformando con continuita un ciclo), i.e. vale illemma che segue:

Lemma 19. Funzioni f , g : X −→ Y omotope (cfr. §1, 1) inducono lo stesso morfismo inomologia:

f ∼∅g =⇒ f⋆ = g⋆

In altri termini, il morfismo f⋆ dipendo solo dalla classe d’omotopia della funzione f .

Dimostrazione. Abbiamo due morfismi di complessi di catene f♯e g

. . . −→ Cn(X)∂n−→ Cn−1(X) −→ . . . −→ C2(X)

∂2−→ C1(X)∂1−→ C0(X) −→ 0

f♯

yyg♯ f

yyg♯ f

yyg♯ f

yyg♯ f

yyg♯

. . . −→ Cn(Y )∂n−→ Cn−1(Y ) −→ . . . −→ C2(Y )

∂2−→ C1(Y )∂1−→ C0(Y ) −→ 0

A questo punto la dimostrazione si divide in due parti:

Step 1. I due morfismi di complessi di catene f♯

e g♯

risultano omotopi (cfr. Def. §A2, 10). Per provarequesta affermazione si devono costruire morfismi Jn : Cn(X) → Cn+1(Y ) come nella definizione (§A2, 10).Sia H : X × I → Y l’omotopia f ∼

∅g. Siano v0 , ..., vn

i vertici del simplesso standard ∆n e sia

v(t)i := (vi, t) ∈ ∆n × I, dato un n-simplesso σ in X definiamo una n-catena in Y ponendo (qui sotto lanotazione e quella definita nella 13.1):

J(σ) :=n∑

j=0

(−1)j+1 [v(0)0 , ..., v

(0)j , v

(1)j , ..., v

(1)n ]φσ =σ×IdH ∈ Cn+1(Y )

(di fatto, si triangolarizza ∆n × I ). Otteniamo i morfismi desiderati Jn : Cn(X) −→ Cn+1(Y ) estendendola definizione per linearita e facendo variare n. Nella stessa notazione, sempre per un n-simplesso σ in X ,abbiamo

f♯(σ) = [v

(0)0 , ..., v

(0)n ]φ

σ

, g♯(σ) = [v

(1)0 , ..., v

(1)n ]φ

σ

A questo punto si verifica che siamo nelle ipotesi del Teorema (§A2, 11), ovvero che risulta

f♯(σ) − g

♯(σ) = ∂ J(σ) + J ∂(σ)

(si tratta di un calcolo, per quanto lungo e noioso, abbastanza elementare, lo lasciamo per esercizio).

Step 2. Essendo f♯

e g♯

omotopi, la tesi che si vuole provare segue dal Teorema (§A2, 11) (si noti chequest’ultimo e un risultato puramente algebrico).

46

Il corollario che segue ci dice che la classe d’omotopia di uno spazio topologico e un invariante omologico...risultato che dovrebbe essere stato gia intuito da chi ha svolto l’esercizio (12)!

Corollario 19.1. Spazi omotopicamente equivalenti (cfr. §1, 1.5) hanno gruppi d’omologiaisomorfi.

In particolare, se X e uno spazio contraibile, allora e aciclico (cfr. Definizione 11 e Esercizio 11.1):

H0(X) = Z , Hk(X) = 0 , ∀ k ≥ 1 .

Ad esempio, l’n-simplesso standard ∆n ha la stessa omologia del punto (e aciclico).

Dimostrazione. Siano f ed h come nella definizione (§1, 1.5). Si ha

h⋆ f⋆ = (h f)⋆ = (IdX)⋆ = Id

H•(X)nonche f⋆ h⋆ = (f h)⋆ = (Id

Y)⋆ = Id

H•(Y )

pertanto i morfismi f⋆ ed h⋆ sono l’uno l’inverso dell’altro, in particolare sono isomorfismi.

Il Teorema di Hurewicz

Il Lemma (19) ci permette di mettere in relazione il gruppo fondamentale (Def. §1, 4) colprimo gruppo d’omologia (teorema di Hurewicz 21).

Poiche ∆1 = I, un cammino γ : I → X (Def. §1, 3) e anche una 1-catena. Se gli estremi iniziale e finaledi γ coincidono, il bordo della 1-catena γ e nullo e di conseguenza γ definisce una classe in omologia. Per illemma (19) tale classe d’omologia dipende esclusivamente dalla classe d’omotopia (cfr. precisazione 20.1 sotto)di γ e, di conseguenza, la funzione (per ora solo di insiemi)

(20) Υ : π1(X, x0) −−−−→ H1(X)

che ad un cammino in π1(X, x0) associa la classe d’omologia di cui sopra e ben definita.

Precisazione 20.1. Attenzione! Sebbene nel lemma (19) si richieda solamente che f e g siano omotoperispetto al vuoto, nel nostro caso e necessario che l’omotopia mantenga l’estremo iniziale uguale a quellofinale. In effetti abbiamo glissato su come applicare il lemma (19) correttamente. Ecco come: si considera

γ come composizione γ : I → I/0, 1∼=−→S1

ω−→X e si osserva che la classe d’omologia definita sopra a

chiacchiere e la classe ω⋆(I) , essendo I il generatore canonico di H1(S1) (cfr. 18.1), a questo punto si applica

il lemma (19) alla funzione ω (n.b. la classe d’omotopia di ω e di fatto la classe d’omotopia di γ che mantienegli estremi uguali).

Abbiamo visto che dato un 1-simplesso singolare σ ed una sua suddivisione , esiste una 2-catena η tale che

(♣) σ = + ∂2η (cfr. 13.5).

Ora, se σ e il simplesso singolare associato ad un prodotto di cammini γ1 ∗ γ2 , quindi σ = Υ(γ1 ∗ γ2), percome e definito il prodotto, la suddivisone di σ associata ad [0, 1

2 ] + [ 12 , 1] (notazioni come nella 13.1)coincide esattamente con la somma della classe d’omologia associata a γ

1con la classe d’omologia associata

a γ2, quindi = Υ(γ

1) + Υ(γ

2). Per la (♣), tali σ e rappresentano la stessa classe in omologia e,

di conseguenza, abbiamo che la funzione (20) e un morfismo di gruppi. Fissato un cammino γ con estremoiniziale x0 e posto x0 = “cammino costante” (§1, 4.1), si ha quanto segue

(20.2) 0 = Υ(x0) = Υ(γ ∗ γ−) = Υ(γ) + Υ(γ−) =⇒ γ− = −γ ∈ H1(X)

(a destra i cammini sono visti come classi d’omologia). Una verifica diretta ci consente di migliorare quantosopra:

(20.3) se γ e un cammino (estremi arbitrari, anche distinti), allora −γ e γ− differiscono per un bordo

Infatti, nella notazione (13.1) abbiamo

γ = [0, 1]γ , γ− = [1, 0]γ , nonche [0, 1]γ + [1, 0]γ = ∂[1, 0, 1]γ − ∂[1, 1, 1]γ .

47

Teorema 21 (di Hurewicz). Sia X uno spazio connesso per archi. Il morfismo naturale digruppi

Υ : π1(X, x0) −−−→ H1(X)

e suriettivo ed il suo nucleo e costituito dal sottogruppo dei commutatori di π1(X, x0).

Di conseguenza, il primo gruppo d’omologia H1(X) e l’abelianizzato del gruppo fondamentale. Quantoall’ipotesi che X sia connesso per archi, ricordiamo che il gruppo fondamentale vede solamente la compo-nente connessa per archi contenente il punto x0 , mentre l’omologia e la somma diretta delle omologie dellevarie componenti connesse per archi di X (Oss. 7.1). Da qui e chiaro il perche dell’ipotesi che X non abbiacomponenti connesse per archi oltre quella contenente il punto x

0.

Dimostrazione. Abbiamo gia visto che Υ e ben definita e che e un morfismo di gruppi. Resta da provareche Υ e suriettiva e che risulta ker Υ = “commutatori di π1(X, x0

)” (si osservi che l’inclusione “⊇” segueimmediatamente dal fatto che H1(X) e un gruppo abeliano). Fissiamo, una volta per tutte, un cammino ξ

x

da x0ad x, per ogni x ∈ X (la famiglia degli ξ potra essere discontinua); nel fissarli, scegliamo ξ

x0= x

0

(cammino costante). Proviamo la suriettivita di Υ. Per la (20.3), una classe σ ∈ H1(X) ammette unrappresentante dove i coefficienti sono tutti uguali a +1, i.e. un rappresentante del tipo

∑σ

i(essendo i σi

cammini, non necessariamente distinti). Risulta

σ =∑σ

i=

∑ξσi(0)

+ σi− ξ

σi(1)

=∑ (

ξσi(0)

+ σi+ ξ−

σi(1)

)

Infatti, poiche σ ha bordo nullo, i termini che abbiamo aggiunto si cancellano (risulta σi(1) = σ

j(i)(0), ∀ i,

essendo j una qualche permutazione degli indici). Quanto alla seconda uguaglianza, usiamo di nuovo la (20.3).Questa scrittura ha il vantaggio che ogni terna tra parentesi e suddivisione di (quindi omologa a) un camminocon estremo iniziale e finale x

0e, come tale, e nell’immagine di Υ. Essendo Υ un morfismo di gruppi, anche

la somma di tali terne e nella sua immagine. Proviamo che il nucleo di Υ contiene solamente i camminiche appartengono al sottogruppo dei commutatori. Sia γ un cammino con estremi x

0. Assumere che risulti

Υ(γ) = 0 ∈ H1(X) significa poter scrivere γ come bordo, i.e. poter scrivere

(♠) γ =∑± ∂ ϑ

i∈ C1(X)

(nell’espressione a destra si cancellano tutti i termini tranne uno, che coincide con γ).

Per ogni termine ∂ϑi(ovvero −∂ϑ

i) scriviamo il “perimetro” λ := [ℓ1, ℓ2]ϑ, µ := [ℓ2, ℓ0]ϑ, ν := [ℓ0, ℓ1]ϑ,

cfr. (13.1) e 13.2) (ovvero λ := [ℓ0, ℓ2]ϑ, µ := [ℓ2, ℓ1]ϑ, ν := [ℓ1, ℓ0]ϑ). Quindi consideriamo il prodotto dicammini (cfr. def. §1, 3)

(21.1) ω := . . . ∗(ξλi(0)∗ λi ∗ ξ−λ

i(1)

)∗

(ξµi(0)∗ µi ∗ ξ−µ

i(1)

)∗

(ξνi(0)∗ νi ∗ ξ−ν

i(1)

)∗ . . .

Affermiamo che questo prodotto soddisfa le due proprieta che seguono (cosa che conclude la dimostrazione):

i) e omotopo al cammino costante x0; ii) a meno di un riordino dei termini e omotopo al cammino γ .

La i) segue dalla (§1, 4.1) e dall’esercizio (§1, 4.7). Quanto alla ii), ricordandosi delle cancellazioni nell’espres-sione a destra di (♠) sappiamo tra i vari termini a destra della (21.1) c’e x

0∗ γ ∗ x

0∼ γ e che, per ogni

altra terna ξ ∗ α ∗ ξ′−, c’e l’inversa ξ′ ∗ α− ∗ ξ−.

48

Omologia della coppia.

Sia X uno spazio topologico ed A ⊆ X un suo sottospazio (arbitrario). Il morfismo di

complessi j♯: C•(A) −→ C•(X) e chiaramente un’inclusione di gruppi graduati. Il gruppo

graduato quoziente C•(X, A) :=C•(X)C•(A)

, con l’operatore di bordo indotto da quello di C•(X),

e anch’esso un complesso, detto complesso della coppia (cfr. §A2).

Def. 23. Sia X uno spazio topologico ed A ⊆ X un suo sottospazio. Poniamo

C•(X, A) :=C•(X)

C•(A).

L’omologia della coppia (X, A) e l’omologia del complesso della coppia, cioe

Hn(X, A) := Hn

(C•(X, A)

), n ∈ N .

Una conseguenza immediata dell’iniettivita di j♯e delle definizioni e che c’e una successione esatta corta di

complessi

(23.1) 0 −−−→ C•(A)j♯

−−−→ C•(X)π

−−−−→ C•(X, A) −−−→ 0

Per il Lemma (§A2, 9) c’e una successione esatta lunga in omologia detta successione esatta della coppia

(24) ... −−−→ Hn(A)j⋆−−−→ Hn(X)

π⋆−−−→ Hn(X, A)δ

−−−→ Hn−1(A) −−−→ ...

dove δ e il morfismo di incollamento (cfr. Nota §A2, 9.1). Per il teorema di omomorfismo di gruppi abbiamo

(24.1) Hn(X, A) :=

α ∈

Cn(X)

Cn(A)

∣∣∣ ∂α=0

∂β

∣∣∣ β ∈Cn+1(X)

Cn+1(A)

=

α∈Cn(X) | ∂α ∈ j

♯Cn−1(A)

∂ Cn+1(X)+Cn(A)

i.e. l’omologia della coppia (X, A) e data dalle catene in X con bordo supportato in A modulo catene in Ae bordi di catene in X . Quanto al morfismo δ della successione esatta (24), interpretando la descrizione delmorfismo di incollamento (cfr. §A2, 9.1) abbiamo δ [α] = [j

−1∂α] (attenzione: il “∂” che compare a destrae il bordo di catene in X ).

Convenzione 25. L’insieme dei simplessi a valori nell’insieme vuoto ∅ e esso stesso vuoto ed il gruppoabeliano libero sul vuoto e il gruppo 0. Per questa ragione si pone C•(∅) = 0 (costituito dal gruppo 0 inogni grado). Di conseguenza, dato uno spazio topologico X risulta C•(X) = C•(X, ∅), quindi Hn(X) =Hn(X, ∅) , ∀n. Cio consente di vedere l’omologia di uno spazio topologico X come l’omologia di una coppia,precisamente della coppia (X, ∅).

La Proposizione (9) si generalizza alle coppie: date (X, A) ed (Y, B), una funzione continua f : X −→ Ysoddisfacente f(A) ⊆ B induce un morfismo di complessi

(25.1) f♯

: C•(X, A) −−→ C•(Y, B)

e pertanto induce dei morfismi in omologia (cfr. §A2, 8.1)

(25.2) f⋆ : Hn(X, A) −−−→ Hn(Y, B)

Una f come sopra la chiameremo morfismo di coppie e la denoteremo scrivendo f : (X, A) −→ (Y, B).Come nel caso dei morfismi di spazi topologici (cfr. Notazione 9.3), per un morfismo di coppie f denoteremosempre con f

♯il corrispondente morfismo di catene e con f⋆ il morfismo indotto in omologia.

Inciso 26. L’omologia ridotta, i cui gruppi vengono denotati con Hn(X), e definita come l’omologia delcomplesso

C•(X) := ... −→ C3(X) −→ C2(X) −→ C1(X) −→ C0(X)deg−−→ Z

ottenuto dal complesso C•(X) sostituendo il gruppo zero in grado −1 col gruppo Z, essendo l’ultimo morfismo

49

il grado: deg∑nipi =

∑ni . L’omologia ridotta coincide con l’omologia singolare nei gradi strettamente

positivi e, in grado zero, detto in termini intuitivi, presenta “una copia in meno di Z”. Per evitare omologianon-zero in grado −1, quando si considera l’omologia ridotta si assume X non-vuoto.

C’e qualche piccolo vantaggio nel considerare l’omologia ridotta. Quanto alla sua relazione con l’omologia

singolare osserviamo che c’e una proiezione naturale di complessi C•(X) −→ C•(X) (si noti che l’inclusione

naturale C•(X) −→ C•(X) non e un morfismo di complessi, l’ultimo quadrato non commuta!) e che dato Xnon vuoto e fissato un punto x ∈ X , posto Zx := H

0(x), ci sono due successioni esatte corte (entrambe

naturali, delle quali solamente la seconda dipende da x),

0 −→ H0(X) −→ H0(X)deg−−→ Z −→ 0 , 0 −→ Zx −→ H0(X) −→ H0(X, x) −→ 0

Cioe, l’omologia ridotta appare in modo naturale come sottogruppo dell’omologia, solo la scelta di un puntox (o meglio, di una componente connessa per archi di X) consente di vederla come quoziente: l’identificazionenaturale Zx ∼= Z determina uno splitting della successione esatta corta di sinistra e consente di scrivere un

isomorfismo naturale H0(X, x) ∼= H0(X) (per esercizio).

Teorema 27 (Escissione). Sia X uno spazio topologico. Si abbia Z ⊆ A ⊆ X con

Z ⊆

A. Allora

j⋆ : Hn(X r Z, A r Z) −−−→ Hn(X, A) e un isomorfismo, per ogni n .

Nel Teorema, j : (X r Z, Ar Z) −→ (X, A) denota l’inclusione di coppie.

Dimostrazione. Posto B = XrZ , si ha che U = A, B e un ricoprimento di X in sottospazi i cui interioriricoprono anch’essi X . Osserviamo che (X r Z, A r Z) = (B, A ∩ B). C’e un diagramma commutativo dicomplessi di catene

C•(B, A ∩B)yq

0 −−−−→ C•(A) −−−−→ CU• (X) −−−−→ CU• (X)C•(A) −−−−→ 0y=

yιyϕ

0 −−−−→ C•(A) −−−−→ C•(X) −−−−→ C•(X, A) −−−−→ 0

Essendo ι un’equivalenza omotopica di complessi di catene (cfr. Proposizione 15) si ha che ϕ induce unisomorfismo in omologia. Infatti, il lemma dei cinque (§A2, 15), o meglio il suo corollario (§A2, 15.1), cidice che ϕ⋆ deve essere un isomorfismo in ogni grado. D’altro canto q e un isomorfismo per il teorema diomomorfismo di gruppi, infatti i gruppi C•(B, A ∩B) e CU• (X)C•(A) si identificano entrambi col gruppoabeliano libero sui simplessi di B non contenuti in A (in particolare si identificano tra loro). Infine, lacomposizione ϕ q e esattamente il morfismo j

♯e, di conseguenza, j⋆ e un isomorfismo.

L’omologia della coppia e l’escissione vengono utilizzate per il calcolo dell’omologia degli spazi ottenuti con-traendo sottospazi chiusi, un esempio significativo e quello della sfera Sn ottenuta dal disco Dn contraendoil suo bordo.

Corollario 28. Sia X uno spazio topologico e Z ⊆ X un sottoinsieme chiuso non vuoto,

X/Z lo spazio quoziente e π : X → X/Z la proiezione naturale. Se Z e un retratto dideformazione di un suo intorno aperto U allora il morfismo

π⋆ : Hn(X, Z) −−−→ Hn(X/Z)

e un isomorfismo per ogni n.

Quanto alla notazione utilizzata: lo spazio quoziente X/Z e lo spazio ottenuto contraendo Z (cfr. Def. §0, 2.3);il morfismo π⋆ denota la composizione

π⋆ : Hn(X, Z)π⋆−→ Hn(X/Z, z) ∼= Hn(X/Z),

dove z denota il punto di X/Z sul quale si contrae Z, per abuso di notazione π denota (anche) il morfismodi coppie π : (X, Z) → (X/Z, z) ed infine quello a destra e l’isomorfismo dell’inciso (26).

50

Sotto le ipotesi del corollario (28), i.e. che Z sia chiuso, non-vuoto, retratto di deformazione di un suo intornoaperto, e come conseguenza del corollario stesso, la successione esatta della coppia (24) puo essere scritta nellaforma

(28.1) ... −−−→ Hn(Z)j⋆−−−→ Hn(X)

π⋆−−−−→ Hn(X/Z)δ

−−−→ Hn−1(Z) −−−→ ...

dove, ad essere rigorosi, per n = 0 sulla freccia al centro ci sarebbe dovuto essere scritto s π⋆ invece di π⋆,

essendo s : H0(X/Z) → H0(X/Z) lo splitting dell’inclusione naturale H0(X/Z) → H0(X/Z) associato az (cfr. inciso 26).

Esercizio. Sia X uno spazio topologico e Z ⊆ X un sottoinsieme chiuso non vuoto. Verificare che gli apertidi X/Z sono le immagini degli aperti di X contenenti Z oppure aventi intersezione vuota con Z . Inoltre,la proiezione naturale π : X → X/Z e chiusa (porta chiusi in chiusi), in particolare z e chiuso.

Dimostrazione (del cor. 28). Sia q : (X, U) −→ (X/Z, U/Z) la proiezione di coppie. Ci sono duediagrammi commutativi

Hn(X, Z)ω

−−−−→ Hn(X, U) Hn(X r Z, U r Z)∼=−−−−−−→

escissioneHn(X, U)

π⋆

yyq⋆ ∼=

yyq⋆

Hn(X/Z, z)

−−−−→ Hn(X/Z, U/Z) Hn(X/Z r z, U/Z r z)∼=−−−−−−→

escissioneHn(X/Z, U/Z)

La proiezione (XrZ, U rZ) −→ Hn(X/Zrz, U/Zrz) e un omeomorfismo di coppie, di conseguenzadal diagramma di destra si evince che q

⋆e un isomorfismo. I morfismi ω e sono isomorfismi perche Z e

un retratto di deformazione di U (e, di conseguenza, z e un retratto di deformazione di U/Z ). Ne segueche π⋆ e un isomorfismo.

Vediamo un altro corollario dell’escissione.

Corollario 29. Sia X uno spazio topologico, x ∈ X un punto chiuso, U un intorno apertodi x. L’inclusione di coppie

(U, U r x

)⊆

(X, X r x

)induce degli isomorfismi

Hk

(U, U r x

) ∼=−−−−−−→(escissione)

Hk

(X, X r x

), ∀ k .

Dimostrazione. Si applichi l’escissione con Z = X r U (si osservi che le ipotesi del Teorema (27) sonosoddisfatte: Z e chiuso ed e contenuto in X r x che e aperto).

Naturalmente questo risultato vale anche con U un intorno arbitrario di x (non necessariamente aperto).

Def. 29.1. Si definiscono gruppi di omologia locale di X nel punto x i gruppi

Hk

(X, X r x

), k ∈ N .

Il corollario precedente ci dice che i gruppi di omologia locale sono effettivamente “locali”, i.e. sono determinatida un qualsiasi intorno di x in X (cio, almeno sotto l’ipotesi piuttosto blanda che x sia un punto chiuso).

51

Omologia della sfera.

“L’omologia e racchiusa nelle sfere”. Questo tweet vuole suggerire qual e l’essenza dell’omologia, al di la dicio, il calcolo dell’omologia delle sfere e uno dei mattoni per il calcolo dell’omologia in generale, nonche lostrumento col quale si costruisce l’omologia cellulare (efficace strumento trattato piu avanti). In altri termini,e di fondamentale importanza. Richiamiamo alcune notazioni:

Dn = x ∈ Rn | ||x || ≤ 1 , Sn = x ∈ Dn+1 | ||x || = 1 , i : Sn → Dn+1

(disco di dimensione n, sfera di dimensione n, inclusione Sn ⊆ Dn+1).

Proposizione 30. Sia n ≥ 1. Si ha

Hn(Sn) ∼= Z , Hi(Sn) = 0 per i 6= 0, n , H0(Sn) ∼= Z

Inoltre, gli isomorfismi di cui sopra sono canonici.

Nota 30.1. In termini piu sintetici, nonche inclusivi anche del caso n = 0, l’omologia ridotta della sfera Sn

e canonicamente isomorfa al gruppo degli interi Z in grado n ed e nulla negli altri gradi. Si osservi che

la scelta di un isomorfismo “canonico” Hn(Sn) ∼= Z (equivalentemente, di un generatore di Hn(Sn))

e sicuramente possibile in quanto Sn e uno spazio esplicito, ma e pur sempre una scelta (cfr. def. 30.4).

Dimostrazione. E sufficiente dimostrare quanto affermato nella nota (30.1). Procediamo per induzione su n.

La base dell’induzione e immediata: S0 e costituito da due punti e la tesi e banale. Sia dunque n ≥ 1.Consideriamo la coppia (Dn, Sn−1). Per ogni intero i abbiamo degli isomorfismi

(30.2) Hi(Dn, Sn−1) ∼=

(cor. 28)Hi(D

n/Sn−1) ∼= Hi(Sn)

Il primo, essendo la sfera Sn−1 un retratto di deformazione di Dnr0 (per esercizio), segue dal corollario (28).Il secondo segue dal fatto che gli spazi Dn/Sn−1 e Sn sono omeomorfi. Per l’ipotesi induttiva ed il fattoche il disco Dn, in quanto contraibile, ha la stessa omologia del punto, la successione esatta della coppia e lasuccessione

(30.3). . . Hi+1(D

n)

= 0

−−−−→ Hi+1(Dn, Sn−1)

∼= Hi+1(Sn)

−−−−→ Hi(Sn−1) −−−−→ Hi(Dn)

= 0

. . .

Da questa si evince la tesi. Il generatore canonico del gruppo ciclico Hn(Sn) e il ciclo definito sotto (def. 30.4).

Indichiamo qual e il generatore canonico εn ∈ Hn(Sn) (n ≥ 0):

i) si considera l’identita ∆n+1 → ∆n+1 come n + 1 simplesso singolare dello spazio ∆n+1 (def. 2.1), ilcorrispondente bordo (def. 2.3) come n-ciclo supportato sulla frontiera di ∆n+1 (che denoteremo conF∆n+1) e la classe in omologia ǫn ∈ Hn(F∆n+1) corrispondente a tale n-ciclo;

ii) si definisce l’omeomorfismo

(♣) F∆n+1 −→ Sn , x 7→ (x− b)/||x− b||

essendo b il baricentro di ∆n+1 (F∆n+1 e Dn+1 sono entrambi sottospazi di Rn+1);

iii) si considera la classe εn ∈ Hn(Sn) corrispondente alla classe ǫn ∈ Hn(F∆n+1) tramite l’identificazione (♣).

Naturalmente, a questo punto si deve verificare (per esercizio), che εn e effettivamente un generatore del

gruppo Hn(Sn). Ai fini del punto ii), si poteva fissare un qualsiasi punto b interno a ∆n+1, l’omeomorfismosarebbe cambiato un po’, ma non la classe di omologia ǫn (si veda l’inciso 30.6 per un commento).

Definizione 30.4. Il generatore εn ∈ Hn(Sn) introdotto sopra e il generatore canonico(ricordiamo che Hn(X) = Hn(X), per n ≥ 1).

Nota 30.5. Per n = 0 ed n = 1 possiamo essere ancora piu espliciti:

per n = 0 (che e l’unico caso per il quale e necessario passare all’omologia ridotta),

si ha S0 = 1, −1 e l’identificazione (♣) da ε0 = σ+ − σ− ∈ H0(S0) , dove σ+(∆0) = 1, σ−(∆0) = −1;

per n = 1 , si ha ε1 = I (cfr. def. 18.1).

52

Inciso 30.6. Piu avanti parleremo di orientazione (per varieta topologiche), nozione che corrisponde all’omo-nima nozione data in algebra lineare (per Rn) o geometria differenziale (per varieta differenziabili). Il genera-tore canonico εn e, in un senso che verra precisato in seguito, il generatore che corrisponde all’orientazione diSn ⊆ Rn+1 vista come “varieta differenziabile vista dall’interno”, cio significa che dato x ∈ Sn ed una basepositivamente orientata (i.e. coerente con l’orientazione di Sn) b

1, ..., b

n dello spazio tangente immerso

Tx(Sn) ⊆ Rn+1, allora b1, ..., b

n, −x e una base positivamente orientata di Rn+1).

Nota 30.7. Abbiamo incontrato alcuni gruppi “espliciti”, i gruppi della (30.2) per i = n (tutti isomorfia Z, i.e. ciclici infiniti). Di quello a destra, andando dritti allo scopo che avevamo in quel momento, neabbiamo indicato il generatore canonico. Vogliamo essere espliciti nell’indicare i generatori canonici degli altridue gruppi. Iniziamo con una premessa: l’identificazione (♣) si estende in modo naturale (lineare) ad unomeomorfismo

(♣′) ϑ : ∆n+1 −→ Dn+1 , x 7→ (x− b)/||x− b||

dove x := ∆n+1∩ r , essendo r la semiretta uscente da b e direzione x− b. Pertanto, per ogni intero m ≥ 1abbiamo un omeomorfismo di coppie (che continueremo a chiamare ϑ)

ϑ : (∆m, F∆m) −→ (Dm, Sm−1)

Si ha che Id∆m

e un generatore del gruppo Hm(∆m, F∆m) (per esercizio). Di conseguenza, ϑ⋆ Id∆me

un generatore del gruppo Hm(Dm, Sm−1). Mettendo insieme quanto visto abbiamo isomorfismi di gruppi egeneratori come indicato:

(m ≥ 1)(30.8)Hm(Dm, Sm−1) ∼= Hm(Dm/Sm−1) ∼= Hm(Sm)ε′′m := ϑ⋆ Id∆m

←→ ε′m ←→ εm

dove ε′m e il ciclo che corrisponde a ε′′m tramite l’isomorfismo dato dal corollario (28); non e difficile darneuna descrizione esplicita: ε′′m e un m-simplesso di Dm con bordo supportato su Sm−1, ovvero su un puntoquando lo si guarda come catena dello spazio quoziente Dm/Sm−1 (per m dispari ha bordo nullo, per mpari vi si dovra sottrarre l’m-simplesso degenere costante che manda ∆m sul punto al quale si contrae Sm−1

in Dm/Sm−1).

Si osservi che, di fatto, pur avendo glissato su quale sia l’omeomorfismo Dn/Sn−1 ∼= Sn, abbiamo fissatoun isomorfismo “canonico” Hn(D

n/Sn−1) ∼= Hn(Sn). Avendo a disposizione la nozione di orientazione, sipuo verificare che i generatori introdotti sopra ε′m ed εm si corrispondono tramite qualsiasi omeomorfismoDn/Sn−1 ∼= Sn che conservi l’orientazione (per una definizione “omologica” dell’orientazione si veda la sezionesuccessiva; il disco Dn e naturalmente orientato in quanto dominio di Rn, la sfera Sn e orientata come sopra).

Gli endomorfismi (=morfismi in se) di un gruppo ciclico infinito, si identificano in modo naturale col gruppodegli interi Z. Per questa ragione, data una funzione continua f : Sn −→ Sn, il morfismo indotto inomologia f⋆ : Hn(Sn) −→ Hn(Sn) di fatto e un numero intero (naturalmente, per n = 0 si deveconsiderare l’omologia ridotta), detto grado di f . Si definisce

(31) deg f := f⋆ ∈ Z ∼= End(Hn(Sn)

)

Il grado di f e un intero, scrivere in bell’evidenza deg f = f⋆ ha, come dire, una sua ruvidezza. Cio che sivuole comunicare con la definizione (31) e che l’intero deg f , piu che un “mero dato associato a f⋆” sia proprio“il morfismo f⋆”. Sottolineiamo che se deg f = n, allora f⋆(σ) = σ+ ...+ σ (n-volte). Di conseguenza, adesempio, considerando omologia con coefficienti in un gruppo abeliano G arbitrario (trattata in una sezionesuccessiva), si ha che f⋆ e la moltiplicazione per n indipendentemente dal gruppo G utilizzato.

L’intero deg f ha le proprieta di f⋆ (31.1 e 31.2), alcune proprieta di immediata verifica (dalla 31.3 alla 31.6),altre piu profonde (dalla 31.7 in poi):

(31.1) deg IdSn

= 1 , deg(f g) = deg f · deg g (funtorialita, cfr. 10);

(31.2) deg f e un invariante omotopico, i.e. funzioni omotopicamente equivalenti hanno lo stesso grado(lemma 19);

(31.3) deg f = ± 1 se f e un omeomorfismo (f⋆ deve essere un automorfismo);

(31.4) deg f = 0 se f non e suriettiva (f si fattorizza per Sn r pt ∼= Rn, che e contraibile);

(31.5) deg f = −1 se f e la riflessione rispetto ad uno dei piani coordinati (per esercizio);

(31.6) deg f = (−1)n+1 se f = −IdSn

e la funzione antipodale (segue dalla 31.5).

53

Una funzione f : Sn −→ Sn senza punti fissi e omotopa alla funzione antipodale (se f(x) 6= −x, lo simuova lungo il semicerchio passante per x, f(x), −x fino a raggiungere il punto −x; per esercizio, si scrivauna formula esplicita per l’omotopia descritta). Dalle (31.2) e (31.6) segue che una tale f ha grado (−1)n+1.In modo del tutto analogo, l’eventuale esistenza di un campo vettoriale mai nullo su Sn, consentirebbe didefinire un’omotopia dell’identita con la funzione antipodale (muovendo il punto x lungo la direzione definitadal campo in x fino a raggiungere il punto −x; di nuovo, per esercizio, si scriva esplicitamente l’omotopiadescritta) e, di conseguenza, consentirebbe di scrivere 1 = (−1)n+1 (uguaglianza che per n pari costituisceun assurdo). Cio dimostra quanto segue:

(31.7) deg f = (−1)n+1 se f non ha punti fissi;

(31.8) per n pari, non esistono campi vettoriali mai nulli su Sn (in particolare, la sfera S2 non e pettinabile).

Un altro risultato importante legato al grado e il seguente Teorema che inverte la (31.2):

(31.9) (teorema di Hopf) deg f determina la classe di omotopia di f , eccetto che in dimensione zero.

(S0 e costituito da due punti, le due possibili funzioni costanti hanno entrambe grado 0, pur non essendoomotope).

Questo risultato non lo dimostriamo (proponiamo come esercizio il caso decisamente piu elementare doven = 1).

Esercizio 32. Sia θ la coordinata angolare su S1 (un punto di S1 e individuato da un angolo, θ e la misuradi tale angolo).

i) provare che la funzione n : S1 → S1 , θ 7→ nθ, ha grado n;

ii) provare che se f : S1 → S1 ha grado n allora f e omotopa ad n.

Suggerimento: si consideri il cammino I : I → S1, s 7→ 2πθ (cfr. 18.1 e 31.1) ed il rivestimento universaleq : R → S1, r 7→ 2πr; si calcoli n⋆(I) utilizzando una opportuna suddivisione di I; si verifichi che f I en I si sollevano a funzioni da I ad R con estremo finale n (essendo 0 l’estremo iniziale del sollevamento);

si scriva un’omotopia f I ∼0, n

n I (la tilde su una funzione ne denota il sollevamento); si utilizziquest’omotopia per scrivere un’omotopia f ∼

∅n .

54

Omologia dei ∆-complessi e Omologia Simpliciale.

Abbiamo esordito dicendo “L’omologia e l’omologia singolare”. Tuttavia esistono altre teorie omologiche chepur essendo per certi versi meno generali e forse piu artificiose sono significative sia per ragioni storiche cheper il fatto di offrire dei vantaggi computazionali.

Questa sezione e motivata dall’interesse all’omologia dei ∆-complessi come strumento esplicito di calcolo.

Per quanto l’omologia dei ∆-complessi e l’omologia simpliciale (introdotte piu avanti inquesta sezione) siano teorie astratte che possono essere introdotte in maniera completamente

indipendente dall’omologia singolare, il principio che meglio le interpreta e il seguente:

Se uno spazio topologico X e stato costruito attaccando simplessi (o meglio, copie del

simplesso standard), ai fini del calcolo dell’omologia singolare il complesso C•(X) puoessere sostituito dal sottocomplesso dei simplessi coinvolti nella costruzione.

Prima di enunciare un teorema preciso (cfr. Thm 45) che formalizzi questo principio vediamo

due esempi e lasciamo per esercizio un terzo esempio.

Qui, anche grazie alle figure, le notazioni sono abbastanza autoesplicative, quindi non ci soffermiamo adinserirle in un setting matematicamente rigoroso, setting che peraltro introduciamo piu avanti (cfr. Def. 43,Def. 44 e Thm. 45).

Esempio 40. Il piano proiettivo reale X = P2(R) si puo realizzare attaccando due triangoliV = [v0 , v1 , v2 ] e P = [p0 , p1, p2] come indicato

v0 = p0 p2

v2 v1 = p1

simplessi: V = [v0, v

1, v

2] , P = [p

0, p

1, p

2] e loro facce

identificazioni: [v1, v

2] = [p

0, p

2], [v

0, v

2] = [p

1, p

2] , [v

0, v

1] = [p

0, p

1]

(e, di conseguenza, [v0] = [p

0] = [v

1] = [p

1] , [v

2] = [p

2])

Il complesso C∆• = C∆

• (X) costituito dai due 2-simplessi V = [v0 , v1 , v2 ] e P = [p0 , p1, p2]

e dalle loro facce e il complesso

(40′)ZV⊕ Z

P

∂2−−−→ Z[v0 , v1 ]

⊕ Z[v0 , v2 ]⊕ Z[v1 , v2 ]

∂1−−−→ Z[v0 ]

⊕ Z[v2 ]−−→ 0

( a , b ) 7→ ( a+ b , −a+ b , a− b )( λ , µ , ν ) 7→ (−µ− ν , µ+ ν )

Calcolandone l’omologia si ottiene:

Hk(C∆• ) = 0 , per k ≥ 2 (per k ≥ 3 e evidente, per k = 2 segue da ker ∂2 = 0);

H1(Cƥ ) =

ker∂1Im∂2

=〈(1, 0, 0), (0, 1,−1)〉

〈(1,−1, 1), (1, 1,−1)〉∼= Z2

(generato dalla classe ℓ di (1, 0, 0), si ha 2ℓ = 0);

H0(C∆• ) ∼=

Z[v0 ]⊕ Z[v2 ]

Im∂1

∼= Z (e generato dalla classe di (1, −1)).

L’omologia del complesso C∆• coincide con l’omologia singolare del piano proiettivo reale.

Si noti che, a priori, non e affatto ovvio, ad esempio, neanche che risulti H3(X) = 0. Infatti, il gruppoC3(X), essendo generato da tutti i 3-simplessi singolari, che sono una infinita non numerabile, e un gruppolibero enorme!

55

Esempio 41. Il Toro reale X = R2/Z2 si puo realizzare attaccando due triangoli V =

[v0 , v1 , v2 ] e P = [p0 , p1, p2] come indicato

v0 = p0 p2

v2 v1 = p1

simplessi: V = [v0 , v1 , v2 ] , P = [p0 , p1 , p2 ] e loro facce

identificazioni: [v1 , v2 ] = [p0 , p1 ] , [v0 , v2 ] = [p0 , p2 ] , [v0 , v1 ] = [p1 , p2 ]

(e, di conseguenza, [v0] = [p

0] = [v

1] = [p

1] = [v

2] = [p

2])

In questo caso, il complesso C∆• = C∆

• (X) costituito dai due 2-simplessi V = [v0 , v1, v2]

e P = [p0, p1 , p2] e loro facce e il complesso

(41′)ZV⊕ Z

P

∂2−−−→ Z[v0 , v1 ]

⊕ Z[v0 , v2 ]⊕ Z[v1 , v2 ]

∂1−−−→ Z[v0 ]

−−→ 0

( a , b ) 7→ ( a+ b , −a− b , a+ b )( λ , µ , ν ) 7→ 0

Calcolandone l’omologia si ottiene:

Hk(C∆• ) = 0 , per k ≥ 3 ;

H2(C∆• ) = ker ∂2 ∼= Z (e generato dalla classe di (1, −1));

H1(Cƥ ) =

ker∂1Im∂2

=Z[v0 , v1 ]

⊕ Z[v0 , v2 ]⊕ Z[v1 , v2 ]

〈(1,−1, 1)〉∼= Z⊕ Z

(e generato dalle classi di (0, 1, 0) e (0, 0, 1));

H0(Cƥ ) = Z[v0 ]

(che e una copia di Z).

L’omologia del complesso C∆• coincide con l’omologia singolare del Toro.

Esercizio 42. Realizzare la sfera

S2 =x ∈ R3

∣∣ ||x|| = 1

attaccando due triangoli V = [v0, v

1, v

2] e P = [p

0, p

1, p

2] e calcolare l’omologia del complesso C∆

corrispondente.

Risposta. H2(C∆• )∼= Z (generato da V −P ), H1(C

ƥ ) = 0, H0(C

∆• )∼= Z (generato da uno dei vertici).

Passiamo alla teoria generale.

Def. 43. Un n-simplesso astratto S = [v0, ..., vn ] e un insieme ordinato di n+ 1 elementi,

detti vertici. Una faccia di un simplesso astratto e un qualsiasi sottoinsieme non-vuoto conl’ordinamento indotto. Sia Sα una famiglia di simplessi astratti (disgiunti) e sia Ω l’unione

di tutte le loro facce (le Sα incluse). Una relazione d’equivalenza ∼ sull’insieme Ω si dicedi tipo simpliciale se soddisfa la proprieta che segue:

[v0, ..., vk ] ∼ [p0, ..., ph ] =⇒ k = h e [vi1 , ..., vir ] ∼ [pi1, ..., pir ] , ∀ i1 ≤ ... ≤ ir

Sia ∼ una relazione d’equivalenza di tipo simpliciale e sia Ω/ ∼ l’insieme delle classi d’equiva-

lenza. Inoltre, denotiamo con C∆• (Ω/ ∼ ) il complesso

(43.1) . . . C∆n

∂n−−−→ C∆

n−1

∂n−1−−−→ . . . C∆

2

∂2−−−→ C∆

1

∂1−−−→ C∆

0 −−−→ 0

dove C∆n = C∆

n (Ω/ ∼ ) denota il gruppo abeliano libero generato dalle classi d’equivalenza

56

degli n simplessi di Ω e dove l’operatore ∂n e definito ponendo

∂nS =∑

(−1)i [v0, ..., vi−1 , vi+1 ..., vn] (somma alterna delle n−1 facce di S ).

Infine, un ∆-complesso astratto e un complesso ottenuto come sopra.

Esercizio 43.2. Si verifichi che la successine (43.1) e effettivamente un complesso (cioe che ∂n−1 ∂n = 0, ∀n).

Si noti che una faccia di un simplesso astratto e anch’essa un simplesso astratto. Che la relazione ∼ sia ditipo simpliciale significa che possiamo identificare solo simplessi (= facce) della stessa dimensione (= “numerovertici meno uno”) e che se identifichiamo due k-simplessi (che essendo insiemi ordinati sono in naturalecorrispondenza biunivoca), allora identifichiamo anche ogni faccia del primo con la corrispondente faccia delsecondo.

Naturalmente, poiche possono essere equivalenti solo simplessi della stessa dimensione, la relazione ∼ sifattorizza in una relazione d’equivalenza su ogni Ωn (essendo questo l’insieme degli n simplessi) e possiamoscrivere Ω/ ∼ =

⋃•n Ωn/ ∼ .

La definizione (43) e puramente combinatorica e non coinvolge affatto la topologia. Ciononostante, possiamo usare i dati ivi considerati per costruire uno spazio topologico. Premet-

tiamo una notazione. Per ogni n-simplesso astratto S = [v0, ..., vn] consideriamo lo spazio∆(S) (che chiameremo simplesso) definito come l’insieme delle combinazioni lineari formali

(43.3) ∆(S) :=n∑i=0

ti vi , ti ∈ R+ ,∑

ti = 1

dotato della topologia naturale.(Presi ordinatamente dei punti u0 , ..., un

∈ Rn non contenuti in alcun iperpiano, l’insieme convesso D cheli contiene si identifica in modo naturale con ∆(S), a quest’ultimo diamo la topologia indotta da D tramitequesta identificazione. Chiaramente questa topologia non dipende dalla scelta degli ui).

Def. 44. Lo spazio topologico ottenuto considerando l’unione disgiunta dei simplessi ∆(Sα)ed attaccando le facce che sono in relazione secondo la relazione d’equivalenza di tipo simpli-ciale ∼ lo chiamiamo spazio topologico associato ai dati (Sα, Ω, ∼ ) , o piu brevemente,

∆-complesso.

Precisazione 44.1. Due facce della stessa dimensione, in quanto marcate dall’ordine dei vertici, sono cano-nicamente omeomorfe, “attaccarle” significa attaccarle secondo tale omeomorfismo, i.e. significa quozientarel’unione disgiunta per la relazione che identifica punti che si corrispondono tramite l’omeomorfismo (Def. §0, 2).

Nota 44.2. Naturalmente c’e un abuso di linguaggio nell’usare il termine ∆-complesso sia per indicare lasequenza di morfismi (43.1) che lo spazio topologico della definizione (44). D’altro canto, trattandosi di oggettiassociati agli stessi dati e considerato che di certo non si corre il rischio di confonderli...

Osservazione 44.3. Poiche si considerano insiemi ordinati e le facce sono definite scrivendo i vertici nell’ordinein cui compaiono nel simplesso iniziale, l’interno di ogni faccia si immerge omeomorficamente nel ∆-complesso(def. 44). In altri termini, non puo accadere che, effettuate le identificazioni, una faccia risulti attaccata a sestessa in modo non banale. Questa proprieta e cruciale ai fini del Teorema (45).

Inciso 44.4. Naturalmente, volendo costruire spazi topologici, si possono considerare simplessi e si possonoattaccare le loro facce in modo arbitrario. Ci si puo chiedere perche la definizione (43) mette in gioco unordinamento dei vertici e perche poi la definizione (44) consente un unico modo di attaccare due facce (quelloche rispetta tale ordinamento). Ecco la risposta: i) cio non e “sostanzialmente” restrittivo; ii) si evita diappesantire il discorso ed il proliferare di notazioni; iii) un approccio che consentisse incollamenti arbitrarinon sarebbe funzionale.

Entriamo nel dettaglio di quanto appena affermato. Sia X uno spazio topologico ottenuto considerandosimplessi ∆(Sα) ed attaccando le facce in modo arbitrario (date due facce, si considera una qualsiasi cor-rispondenza biunivoca dei vertici dell’una coi vertici dell’altra, quindi si attaccano secondo l’omeomorfismoassociato a tale corrispondenza). Avendo in mente quali facce attaccare, e “sostanzialmente sempre possibile”ordinare i vertici degli Sα di partenza in modo che tutti gli incollamenti rispettino l’ordine (in altri termini,

57

che la relazione ∼ associata agli incollamenti sia come richiesto nella definizione (43), cioe compatibile), dove“sostanzialmente sempre possibile” significa che qualora cio non sia possibile, lo diventa a meno di suddividerei vari ∆(Sα). Il punto ii) e evidente. Quanto al punto iii), consentendo incollamenti arbitrari non varrebbepiu il Teorema (45), o meglio, volendo che valga questo Teorema, dovremmo comunque assumere delle ipotesisulla geometria dei simplessi Sα in questione, o in alternativa suddividerli!

Teorema 45. Sia X lo spazio topologico come nella definizione (44). Il complesso Cƥ

(Ω/ ∼

)

e un sottocomplesso del complesso C•(X). Inoltre, l’inclusione induce isomorfismi canonici

Hn(X) ∼= Hn

(C∆• (Ω/ ∼)

), ∀ n .

In effetti, l’inclusione C∆• (Ω/ ∼ ) → C•(X) e un’omotopia di complessi (ma questo non lo dimostreremo).

Dimostrazione. Dimostreremo il Teorema solamente nel caso che ci interessa: quello dove Ω/ ∼ e un insiemefinito. Assumiamo che la collezione degli Sα che definisce X sia finita e ragioniamo per induzione sullacardinalita di Ω/ ∼, che denotiamo con N(X). Un simplesso ∆(S) privato di un punto interno si retrae al∆-complesso delle sue facce. Sia dunque X ′ il ∆-complesso ottenuto da X privato di un punto interno adun simplesso di dimensione massima e sul quale si sia effettuata la retrazione di cui sopra. Si ha N(X ′) =N(X) − 1, naturalmente non affermiamo nulla sul numero degli Sα , che puo anche crescere: ad esempio untriangolo T ha #Sα = 1 ed N(T ) = 7 (oltre a T , ci sono i suoi tre lati ed i suoi tre vertici) mentre il suo“perimetro” T ′ (cio che si ottiene retraendo T privato di un punto interno) ha #Sα = 3 ed N(T ) = 6.

Per ipotesi induttiva possiamo assumere che X ′ soddisfi la tesi (la base dell’induzione essendo banale). SiaΩ′/ ∼ l’insieme dei simplessi di X ′. Abbiamo un’inclusione di complessi di catene C∆

• (Ω′/ ∼) → C∆

• (Ω/ ∼)(le cui omologie sono rispettivamente l’omologia dei ∆-complessi di X ′ e quella di X ). A questo punto,osservando che X si ottiene da X ′ attaccandovi una n-cella, la tesi segue dall’ipotesi induttiva e dal confrontodell’inclusione di cui sopra con la successione esatta della coppia (X, X ′). Non entriamo nel dettaglio di questoconfronto, confronto che si riduce alla relazione dell’omologia di uno spazio con quella dello spazio ottenutoattaccandovi una n-cella, quest’ultima e la relazione (50.1) enunciata e dimostrata nella prossima sezione.

Classicamente si considera l’omologia simpliciale piuttosto che quella dei ∆-complessi.

L’omologia simpliciale viene introdotta in modo geometricamente piu naturale e senza passare attraversol’omologia dei ∆-complessi:

• si considerano simplessi ∆(Sα) (cfr. 43.3), che chiameremo simplessi simpliciali, privi dell’informazioneaggiuntiva topologicamente irrilevante concernente l’ordine dei vertici;

• si attaccano facce dei simplessi considerati, i singoli incollamenti possono essere arbitrari (nel senso chenon c’e alcun ordine dei vertici da rispettare), pero si richiede che il risultato finale, il cosiddetto complesso

simpliciale, sia “buono”: ogni ∆(Sα) deve immergervisi e due tali simplessi possono avere in comune alpiu una faccia (e le sottofacce di questa naturalmente);

• si definisce un complesso di catene libero analogo al complesso (43.1): i gruppi del complesso sono i gruppiabeliani liberi generati dai simplessi considerati e loro facce, e l’operatore di bordo e definito nella manieraopportuna (a questo punto, il modo piu semplice per definirlo e quello di fissare un’orientazione per ognisingolo simplesso ed usare una formula tipo quella della def. 43). Non entriamo nel dettaglio.

Osservazione 46. Dalle richieste sul risultato finale, quello post-incollamenti per intenderci, due facce di unostesso simplesso simpliciale sono necessariamente distinte, in particolare un n-simplesso simpliciale ha n+ 1vertici distinti in X , ogni simplesso simpliciale e univocamente individuato dai suoi vertici in X , un insiemedi vertici in X e al piu l’insieme dei vertici di un simplesso simpliciale (cosı, se due simplessi simpliciali hannoin comune k vertici, allora condividono una faccia che contiene tali vertici).

Come conseguenza di quanto appena osservato, un ordine totale dei vertici in X (che ne esista uno seguedal lemma di Zorn) induce un ordinamento dei vertici di ogni simplesso simpliciale ed e automatico che leidentificazioni rispettino tale ordinamenti indotti (banalmente per il fatto di essere partiti da X). Pertanto,

di fatto, un complesso simpliciale e anche un ∆-complesso.

Avremmo potuto introdurre i complessi simpliciali come ∆-complessi astratti con la proprieta di avere isimplessi univocamente individuati dai loro vertici in X (in particolare, classi di equivalenza di due facce diuno stesso simplesso necessariamente distinte).

58

Nota 47. L’omologia simpliciale appare geometricamente piu naturale e meno artificiosa di quella dei∆-complessi. D’altro canto negli esempi (40) e (41) gli spazi in questione sono divisi in due soli triangoli,i lati di uno stesso triangolo non vengono identificati ma cio non vale per alcuni vertici (che sono anch’essifacce). Questo significa che quelle date non sono realizzazioni del Piano Proiettivo e del Toro come complessisimpliciali (una tale realizzazione richiede necessariamente una suddivisione di questi spazi in ben piu di duetriangoli, cosa che complicherebbe sensibilmente i complessi che calcolano l’omologia (40′) e (41′)). Vediamol’esempio di possibili realizzazioni del Toro:

∆-complesso

T

T ′

non e un complesso simpliciale

a

b

ℓ′

b

complesso simpliciale

(nelle due figure a destra non abbiamo disegnato le identificazioni dei lati del quadrato grande, ma ci sono!)

• Nel caso a sinistra, nessuno dei due 2-simplessi si immerge nel Toro;

• nel caso al centro, i singoli simplessi si immergono nel Toro ma ci sono molte coppie di triangoli checondividono due vertici pur non avendo in comune il lato che li collega, ad esempio, i triangoli T e T ′, nelToro (i.e. dopo le identificazioni), condividono i vertici a e b pur non condividendo “il” lato che li collega;che in effetti non e neanche univocamente determinato, essendo ℓ ed ℓ′ distinti, entrambi di vertici a, b.Sottolineiamo che la coppia a, b non individua “un” lato, essendo a, b la coppia dei vertici sia di ℓ chedi ℓ′.

Oss. 48. Visto che i complessi simpliciali sono ∆-complessi, anche per essi vale il Teorema (45):

se X e un complesso simpliciale,

la sua omologia simpliciale e canonicamente isomorfa alla sua omologia singolare.

59

Omologia cellulare.

Come primo passo, calcoliamo l’omologia di una coppia (W, X) dove W si ottiene attaccando ad X deidischi lungo la loro frontiera (lemma 50.3 sotto). Ricordiamo la notazione, per n ≥ 0, poniamo

Dn = x ∈ Rn | ||x || ≤ 1 , Sn = x ∈ Dn+1 | ||x || = 1 , i : Sn → Dn+1 , εn ∈ Hn(Sn)

(disco di dimensione n, sfera di dimensione n, inclusione Sn ⊆ Dn+1 , generatore canonico di Hn(Sn) ∼= Z,cfr. Def. 30.4). Ricordiamo che l’omologia ridotta della sfera Sn e Z in grado n ed e nulla negli altri gradi(Proposizione 30 e nota 30.1).

Se attacchiamo un disco Dn (n ≥ 1) ad uno spazio topologico X tramite una funzione φ : Sn−1 → X(cfr. §0, def. 5), la funzione caratteristica Φ : Dn → X

∐φD

n da una identificazione

(50.0) Dn/Sn−1 ∼= X

∐φD

n/X

Poiche X e un retratto di deformazione di un suo intorno aperto in X∐φD

n (non importa chi e X , quanto

asserito segue dal fatto che il disco privato dell’origine Dnr0 si ritrae alla sua frontiera e che, naturalmente,X

∐φD

n r 0 e un intorno aperto di X), la coppia (X∐φD

n, X) soddisfa le ipotesi del Corollario (28).

Di conseguenza, tenuto conto del fatto che Dn/Sn−1 e omeomorfo alla sfera Sn si ottiene

(50.1) Hk(X∐φD

n, X) =

(Cor. 28)

Hk(X∐φD

n/X) =

(50.0)

Hk(Dn/Sn−1) =

(30.8)

Hk(Sn) =

Z , k = n0 , k 6= n

Abbiamo scritto dei segni di uguaglianza “=” perche in effetti le identificazioni sono tutte naturali: la compo-sizione ∆n → Dn → X

∐φD

n e il generatore in Hn(X∐φD

n, X) (una n-catena con bordo nell’immagine

di X in X∐φD

n), che corrisponde al generatore canonico εn ∈ Hn(Sn) (def. 30.4) (si osservi che, alla luce

di come’e definito εn, quanto appena affermato e sostanzialmente una tautologia).

Naturalmente, la (50.1) si generalizza al caso dove ad X attacchiamo piu dischi (cfr. §0, 5.4, usiamo la stessanotazione): abbiamo una copia di Z in grado n per ogni n-disco attaccato, precisamente

(50.2) Hn

(X

∐α

Dnα , X

)= Hn

(X

∐α

Dnα

/X

)= Hn

(∨α

Dnα

/Sn−1α

)= Hn

(∨α

Sn)

=⊕α

αZ

(ed i vari “Hk” saranno nulli per k 6= n), dove αZ ∼= Z denota la copia di Z corrispondente alla n-cella Dnα .

Riassumiamo quanto stabilito.

Lemma 50.3.

(50.3′) Hk

(X

∐αφαDnα , X

)=

⊕αZ , k = n

0 , k 6= n

(nell’omologia della coppia, abbiamo una copia di Z in grado n per ogni n-disco attaccato).

Inciso. Fissato un indice α, corrispondentemente abbiamo un’inclusione αZ ⊆ ⊕ αZ e una proiezione⊕ αZ −→ αZ canonici, questi possono essere visti come morfismi indotti in omologia da funzioni tra coppie:

(X

∐αDnα , X

)→

(X

∐αDnα , X

∐α6=α

Dnα

)induce

⊕αZ −→ αZ

(X

∐Dnα , X

)

(∼=(X

∐α

Dnα , X

∐α6=α

Dnα

))

→(X

∐α

Dnα , X

)induce αZ ⊆

⊕αZ

dove consideriamo X∐α6=α

Dnα come sottospazio di X

∐αDnα . Per esercizio, ci si convinca di quanto affermato.

Osservazione. Come conseguenza della (50.3′), la successione esatta della coppia da delle

identificazioni (i.e. degli isomorfismi naturali)

(50.4) Hk

(X

∐αDnα

)= Hk(X) , k 6= n−1, n .

60

Quanto visto sopra si applica perfettamente al caso dei CW-complessi. Sia dunque X unCW-complesso. Consideriamo il diagramma

0y

Hn+1

(Xn+1, Xn

) δn+1−−−→ Hn

(Xn

)−−−→ Hn

(Xn+1

)−−−→ 0

πn

yHn

(Xn, Xn−1

)

δn

y

0 −−−→ Hn−1

(Xn−1

) πn−1−−−→ Hn−1

(Xn−1, Xn−2

)

dn+1

dn

(50.5)

dove ognuna delle tre successioni (due orizzontali e una verticale) e la successione esatta della coppia ivivisualizzata ed i morfismi diagonali sono definiti in modo che il diagramma commuti.

Quello scritto in diagonale e un complesso, infatti dn dn+1 = ... (δn πn) ... = 0 (i due morfismi alcentro sono morfismi consecutivi di una stessa successione esatta della coppia). Il seguente Teorema (52) cidice che tale complesso calcola l’omologia di X .

Def. 51. Sia X un CW-complesso. Il complesso Cell (X) :

... −−→ Hn+1

(Xn+1, Xn

) dn+1−−−→ Hn

(Xn, Xn−1

) dn−−→ Hn−1

(Xn−1, Xn−2

)−−→ ...

si chiama complesso cellulare di X .

Teorema 52. Sia X un CW-complesso. L’omologia del complesso cellulare Cell (X) e

canonicamente isomorfa all’omologia singolare dello spazio X :

Hn

(Cell(X)

)∼= Hn(X) .

Dimostrazione. Risulta

Hn(X) ∼=(1)

Hn(Xn+1) ∼=

(2)

cokerδn+1 =(3)

Hn(Xn)

δn+1[...]∼=(4)

πn(Hn(Xn))

πn(δn+1[...])

=(5)

πn(Hn(Xn))

Im dn+1=(6)

ker δnIm dn+1

=(7)

ker (πn−1 δn)

Im dn+1=(8)

ker dnIm dn+1

Quanto all’isomorfismo (1), risulta

(52.1) Hn(X) = Hn(Xn+r)

(♣)

= Hn(Xn+1) , r ≥ 1 .

La (♣) segue iterando la (50.4), sottolineiamo che vale per ogni r ≥ 1. Di conseguenza, almeno nel casoin cui X ha dimensione finita si ha l’uguaglianza Hn(X) = Hn(X

n+1). In effetti, poiche i simplessi sonocompatti, ogni catena e supportata su un qualche scheletro, come pure ogni bordo in X e il bordo di unacatena supportata su un qualche scheletro. Tenendo conto di cio, si prova l’uguaglianza desiderata anche nelcaso di complessi di dimensione infinita (per esercizio).

La veridicita delle uguaglianze da (2) a (8), tenendo presente che righe e colonne del diagramma sono esatte,segue direttamente dal diagramma stesso (convincersene, per esercizio).

Il gruppo Hn(Xn, Xn−1) e il gruppo abeliano libero generato dalle n-celle. Infatti, la (50.2) ci dice che

Hn(Xn, Xn−1) = ⊕

ααZ ,

(abbiamo una copia di Z per ogni n-cella). D’altro canto questi gruppi sono i gruppi che compaiono nel

61

complesso cellulare, che per il Teorema (52) calcola l’omologia di X . Cio da molte informazioni sull’omologiadi X e permette di calcolarla a partire dai dati combinatorici della realizzazione di X come CW-complesso.Iniziamo col sottolineare alcune conseguenze immediate di quanto appena osservato:

• il rango dell’omologia in grado n non puo eccedere la cardinalita dell’insieme delle n-celle di una qualsiasirealizzazione di X come CW-complesso;

• i gruppi di omologia di un CW-complesso finito (cfr. §0, 6.1 e 6.2) sono finitamente generati, i.e. i vari Hn

hanno rango finito;

• se possiamo realizzare X senza utilizzare n-celle, allora si deve avere Hn(X) = 0.

I CW-complessi che si incontrano usualmente studiando varieta differenziali, algebriche o complesse sono finiti,per cui si applica quanto asserito nel secondo punto qui sopra. Il terzo punto e il caso dell’omologia in gradodispari degli spazi proiettivi complessi, risultato gia non banale e interessante di per se (cfr. esempio 56). Aquesto punto, approfondiamo il discorso per i CW-complessi finiti.

Se X e un CW-complesso finito di dimensione n, il complesso cellulare Cell(X) e un

complesso del tipo

(53) Zℓndn−−→ Zℓn−1

dn−1−−−→ Zℓn−2 . . . Zℓ3

d3−−→ Zℓ2d2−−→ Zℓ1

d1−−→ Zℓ0 ,

essendo ℓi il numero delle i-celle.

Questa chiave di lettura del complesso cellulare di un CW-complesso finito e molto utile, ad esempio, insiemeal Teorema (52) ci dice che la caratteristica di Eulero-Poincare e un invariante omologico:

Corollario 54. Sia X un CW-complesso finito. Si ha

χ(X) =∑

(−1)i rangoHi(X)

Abbiamo introdotto (cfr. §0, def. 10) la caratteristica di Eulero Poincare di un CW-complesso finito X comela somma alterna χ(X) :=

∑(−1)i ℓi , essendo ℓi il numero delle i-celle.

Dimostrazione. Sappiamo che il complesso (53) calcola l’omologia di X , la tesi segue dall’esercizio (55) sotto.

Esercizio 55. Provare che dato un complesso di gruppi abeliani liberi di rango finito C•, risulta∑

(−1)i rango(Ci) =∑

(−1)i rangoHi(C•) .

Suggerimento: si scrivano le due espressioni come somme che coinvolgono nuclei e immagini dei vari di (comestep preliminare, puo essere utile, sebbene non indispensabile, verificare che il risultato vale su Z se e solo sevale su R, cosı da ridursi a gestire spazi vettoriali).

Esempio 56. Lo spazio proiettivo complesso Pn(C) si ottiene dallo spazio Pn−1(C) incollando un 2n-disco.Partendo da P0(C) = pt cio da una sua possibile realizzazione come CW-complesso:

k-scheletrok =

pt

0

= pt

1

⊆ P1(C)

2

= P1(C)

3

⊆ P2(C)

4

= P2(C)

5

... Pn(C)

2n

In questo caso nella successione (53) si alternano il gruppo Z col gruppo zero, i morfismi sono necessariamentetutti nulli e di conseguenza si ha

Hk

(Pn(C)

)=

Z per k pari da 0 a 2n

0 altrimenti

Inciso 57. Per sfruttare pienamente la (53) abbiamo bisogno di dire chi sono i morfismi dn in termini di cellee morfismi di incollamento. Se indichiamo con φα : Sn−1α → Xn−1 il morfismo di incollamento relativo allan-cella (cfr. §0, def. 5 e def. 6, utilizziamo le notazioni ivi utilizzate), abbiamo quanto segue:

il generatore corrispondente alla n-cella Dnα va tramite dn nell’immagine del generatore di Sn−1α

tramite il morfismo indotto in omologia da φα .

In termini tecnici, questo risultato si traduce in una formula inevitabilmente pesante (cfr. lemma 60 sotto);sostanzialmente segue dal diagramma (50.5). Vediamo subito qualche esempio che, oltre ad essere interessantedi per se, ci aiuti a comprenderlo.

62

Esempio 58. Nel caso della superficie compatta C2di genere 2 realizzata come CW-complesso come

nell’esempio §0, 8 (utilizziamo le stesse notazioni ivi utilizzate), la successione (53) e la successione

Z

(grado 2)

d2 =0−−−−−→ Z

4

(grado 1)

d1 =0−−−−−→ Z

(grado 0)

.

Secondo il principio affermato nell’inciso, l’immagine del generatore in grado 2, i.e. d2(1), e l’elemento φ⋆(I),dove I denota il generatore di S1 (frontiera della 2-cella) e φ il morfismo di incollamento sull’1-scheletro.Quanto all’incollamento della 2-cella abbiamo φ = ϕω , di conseguenza φ⋆(I) = 0 ∈ Z4, questo perche ilcammino che percorre il bordo della 2-cella e il cammino λ

1∗µ

1∗λ−1

1∗µ−1

1∗λ

2∗µ

2∗λ−1

2∗µ−1

2(la notazione

e sempre quella in §0, 8, cfr. figura) che, in omologia, e nullo (i vari termini si cancellano).

La stessa cosa avviene per i quattro generatori λ1, µ

1, λ

2, µ

2di Z4 : ognuno di questi manda i due estremi

di D1 in o, ovvero ε0(generatore di H

0(S0)) in o − o = 0 ∈ H

0(X0) per cui d1 = 0. Essendo d

2e d

1

morfismi nulli si ottieneH2(C2) = Z , H1(C2) = Z4 , H0(C2) = Z .

Naturalmente, in modo del tutto analogo si ottiene H2(Cg ) = Z , H1(Cg ) = Z2g, H0(Cg ) = Z (per esercizio,convincersene).

Esempio 59. Nell’esempio §0, 8 e inciso §0, 9 abbiamo visto due possibili realizzazioni del piano proiettivoreale come CW-complesso: quella dove si attacca il disco ad S1 usando la sequenza λ2 e quella dove si attaccail disco ad un bouquet di due S1 usando la sequenza λµλµ. Utilizzando come al solito le stesse notazioni iviutilizzate, quanto all’incollamento della 2-cella nel primo caso abbiamo φ⋆(I) = λ2 , ovvero d

2= 2, mentre

nel secondo caso abbiamo φ⋆(I) = λµλµ, ovvero d2= (2, 2). Quanto all’incollamento dello 1-scheletro allo

0-scheletro (che nel primo caso e costituito da un punto o mentre nel secondo caso da una coppia di puntio, p), nel primo caso λ 7→ o − o, e nel secondo λ 7→ p− o, µ 7→ o − p (si faccia un disegno, nel primocaso di un poligono con due lati, nel secondo di un quadrato, e si disegnino le identificazioni). In definitiva,nei due casi l’omologia cellulare viene calcolata dalle successioni

Zd2−→ Z

d1−→ Z Z

d2−→ Z2

d1−→ Z2

1 7→ 2 1 7→ (2, 2)1 7→ 0 λ=(1, 0) 7→ (−1, 1)

µ= (0, 1) 7→ (1,−1)

Coerentemente col Teorema (52), calcolando l’omologia cellulare delle due realizzazioni del piano proiet-tivo reale come CW-complesso si arriva sempre allo stesso risultato, che e il risultato che gia conosciamo(cfr. esempio 40):

H2

(P2(R)

)= 0 , H1

(P2(R)

)= Z2 , H0

(P2(R)

)= Z .

Tornando al caso generale, diamo una formula che risponde al nostro proposito (cfr. inciso 57) di dire chi sonoi morfismi dn in termini di celle e morfismi di incollamento.

Lemma 60 (del bordo cellulare). Sia X un CW -complesso, Xn = Xn−1∐α

Dnα e Xn−1 = Xn−2

∐β

Dn−1β .

Posto Qnα := Dnα

/Sn−1α e Qn−1β := Dn−1

β

/Sn−2β , modulo le identificazioni

Hn

(Xn, Xn−1

)= Hn

(∨α

Qnα)

= ⊕ αZ e Hn

(Xn−1, Xn−2

)= Hn−1

(∨α

Qn−1β

)= ⊕ βZ

il morfismo dn del complesso cellulare Cell(X) assume la forma

dn :⊕

n celle α

αZ −−−→⊕

n−1 celle β

βZ

e risulta

(dn)α, β = deg(Sn−1α

φα−−→ Xn−1qβ−−→ Qn−1

β

)

(n.b. gli spazi Sn−1α = Frontiera(Dnα) e Qn−1β = Dn−1

β /Sn−1β sono entrambi n − 1 sfere), dove qβ

e ilmorfismo che contrae tutto tranne la n − 1 cella corrispondente all’indice β , i.e. contrae il complementare

della cella apertaDn−1β ⊆ Xn−1 .

63

Dimostrazione (cenno). Si deve studiare come opera il morfismo dn := πn−1 δn (cfr. diagramma 50.5). Ungeneratore di Hn(X

n, Xn−1) ∼= ⊕αZ e rappresentato da una catena σ a valori in una n-cella Dnα. Tale

σ, tramite il morfismo di incollamento δn, va nel ciclo in Hn−1(Xn−1) rappresentato da ∂σ (attenzione,

non siamo piu Xn, in Xn−1 quello indicato non e detto che sia un bordo), cfr. nota (§A2, 9.1). D’altrocanto ∂σ si fattorizza per Sn−1α (frontiera della nostra cella Dn

α), del quale per quanto visto nella sezionesull’omologia della sfera ne rappresenta il generatore dell’omologia. Il morfismo tramite il quale Sn−1α vain Xn−1 e il morfismo di incollamento φα . Infine, calcolare l’immagine di ∂σ nella n−1-cella di indice βsignifica applicare qβ.

Esempio 61. Lo spazio proiettivo reale Pn(R) puo essere realizzato attaccando una cella in ogni dimensione(fino ad n):

X0 = p (un punto);

...

Xk = Xk−1∐φD

k ,

dove φ e il morfismo 2:1 che identifica punti antipodali di Sk−1:

Sk−1 → Dk

φ

y

Pk−1(R) ∼= Xk−1...

Il complesso Cell(Pn(R)

)della realizzazione di cui sopra di Pn(R) come CW-complesso e il complesso

(61.1) Z

(grado n)

dn =

2, n pari

0, n dispari−−−−−−−−−−−−−→ Z . . . Z

d4 =2−−−−→ Z

d3 =0−−−−→ Z

d2 =2−−−−→ Z

d1 =0−−−−→ Z

(grado 0)

.

(dk = 2 per k pari e dk = 0 per k dispari).

Di conseguenza, i gruppi di omologia dello spazio proiettivo reale sono i gruppi

H0(Pn(R)

)= Z , Hk

(Pn(R)

)=

Z2 , k dispari0 , k pari

(questo per 1 < k < n− 1 )

, Hn(Pn(R)

)=

Z , n dispari0 , n pari

Dimostrazione. Per il lemma (60) si ha

dk = deg(Sk−1

φ−−→ Pk−1(R)

q−−→ Pk−1(R)

/Pk−2(R)

(∼= Sk−1)

).

La restrizione di q alla k−1 cella aperta di Pk−1(R) e un omeomorfismo sull’immagine (che chiameremo A) ela composizione qφ contrae l’equatore di Sk−1 ed identifica le due k−1 sfere ottenute come risultato di talecontrazione. Per calcolare il grado di qφ possiamo prendere un punto y ∈ A e, posto x

1, x

2 = (qφ)−1(y),

calcolare i gradi locali deg(q φ)|x1

e deg(q φ)|x2. La funzione q φ e un omeomorfismo locale sia in x

1

che in x2= −x

1(per cui, in entrambi i punti avra grado ±1). Resta da capire quali sono i valori corretti.

Poiche φ e invariante per antipodalita (e l’antipodalita scambia x1con x

2), si deve necessariamente avere

deg(q φ)|x1

= deg(−Id) · deg(q φ)|x2. D’altro canto per la (31.6) si ha deg(−Id) = (−1)k−1+1. In

definitiva, dk = ±2 per k pari e dk = 0 per k dispari.

Il fatto che per k pari risulti effettivamente dk = 2 (e non −2) e, in certo senso irrilevante: che sia dk = 2 odk = −2 l’omologia del complesso non cambia. Si tenga peraltro presente che i gruppi del nostro complessocellulare sono i vari gruppi ciclici Gk = Hk(X

k, Xk−1), il fatto che per k pari il morfismo dk porti “il”generatore di Gk nel doppio “del” generatore di Gk−1 dipende da come sono stati scelti i generatori.

64

Omologia con coefficienti.

Nel paragrafo §A2, dato un complesso di catene libero (C•, ∂) ed un gruppo abeliano G, che interpretiamocome Z-modulo, introduciamo il complesso

C• ⊗G , ∂G

:= ∂ ⊗ IG (I

Gdenota l’identita su G)

detto complesso delle catene a coefficienti in G in quanto si ottiene considerando catene a coefficienti in Gpiuttosto che negli interi Z. Questo non e altro che il complesso ottenuto considerando le espressioni deltipo

∑niσi con gli ni in G (invece che in Z) ed i σi, come sempre, simplessi singolari; cfr. (2.2), essendo

l’operatore di bordo ∂G

definito dalla stessa formula che definisce ∂ (def. 2.3 e 3). Il gruppo G si chiamagruppo dei coefficienti e l’omologia di questo nuovo complesso omologia a coefficienti in G.

Def. 65. Sia X uno spazio topologico e G un gruppo abeliano. I gruppi

Hn(X ; G) := Hn

(C•(X)⊗G

)

si definiscono gruppi di omologia singolare di X a coefficienti in G .

Naturalmente, lo studente che non avesse ancora incontrato il prodotto tensoriale, puo assumere la descrizionedi cui sopra come definizione del complesso delle catene a coefficienti in G.

Nota 65.1. Le definizioni ed i risultati visti nelle sezioni precedenti continuano ad essere validi per l’omologia acoefficienti in G (funtorialita e passaggio modulo omotopia dei morfismi indotti in omologia, risultati sulle sud-divisioni dei simplessi, successioni di Mayer-Vietoris e della coppia, escissione eccetera). Anche il Teorema (45),l’osservazione (48) ed il Teorema (52) continuano a valere: l’omologia dei ∆-complessi, l’omologia simpliciale,l’omologia cellulare e l’omologia singolare, tutte a coefficienti in G, coincidono. Al fine di provare quantoaffermato basti osservare che nelle varie dimostrazioni non si utilizza mai il fatto di lavorare con coefficientiin Z. Attenzione: come dimostrano le considerazioni che seguono, quanto appena affermato non significa chetensorizzando i gruppi d’omologia con G si ottiene l’omologia a coefficienti in G!

Consideriamo l’esempio del piano proiettivo reale. Se tensorizziamo il complesso C∆• (X) (cfr. 40′) con Z2 ,

ovvero uno dei due complessi Ccell• (X) dell’esempio (59), si ottiene il complesso

C∆• (X ; Z2) := C∆

• (X)⊗ Z2 , ovvero il complesso Ccell• (X ; Z2) := Cell (X)⊗ Z2 ,

Ricordando che per complessi di catene liberi tensorizzare con Z2 significa sostituire le varie copie di Z

con altrettante copie di Z2 , il complesso C∆• (X ; Z2) e sempre il complesso (40′), ma con i vari generatori

nel gruppo Z2 (idem per Ccell• (X ; Z2)). Calcolando l’omologia di uno qualsiasi dei complessi in questione etenendo presente che le varie teorie omologiche coincidono (nota 65.1), si ottiene

(66) H2

(C•(X ; Z2)

)∼= Z2 , H1

(C•(X ; Z2)

)∼= Z2 , H0

(C•(X ; Z2)

)∼= Z2

(lasciamo la verifica come facile esercizio, che consigliamo di fare almeno nel caso piu semplice, quello delprimo dei due complessi nell’esempio 59).

Dalla (66) si evince che il gruppo H2(C•(X ; Z2)) (che e Z2) non coincide con il gruppo H2(X)⊗Z2 (che e ilgruppo zero). D’altro canto il complesso C•(X ; Z2) si definisce esclusivamente a partire dal complesso C•(X),questo potrebbe suggerire che quest’ultimo complesso possa contenere dell’informazione non rilevabile dal merodato dell’omologia a coefficienti interi; ma non e cosı, l’omologia a coefficienti in G puo effettivamente essererecuperata dall’omologia a coefficienti interi (teorema dei coefficienti universali 67). Ciononostante lavorarecon coefficienti puo avere dei vantaggi dovuti al fatto che, in un certo senso, l’informazione e organizzata inmaniera diversa.

Il gia citato teorema dei Coefficienti Universali (§A2, 34), formula che esprime l’omologia a coefficienti in Gdi un complesso di catene, in termini dell’omologia a coefficienti interi, e un risultato di algebra omologica(cfr. §A2, 34). Per comodita enunciamo cosa ci dice nel caso del complesso delle catene dei simplessi singolaridi uno spazio topologico X :

Teorema 67 (dei Coefficienti Universali). Sia X, uno spazio topologico e G un gruppoabeliano. Per ogni intero n c’e una successione esatta naturale

0 −−−→ Hn(X)⊗G −−−→ Hn(X ; G) −−−→ Tor(Hn−1(X), G

)−−−→ 0

Dimostrazione. Si applichi il Teorema (§A2, 34) al complesso C•(X).

65

Formula di Kunneth

La formula di Kunneth esprime l’omologia del prodotto di due spazi topologici in terminidelle omologie dei singoli spazi.

Teorema 70. Siano X ed Y due spazi topologici. Ci sono un isomorfismo naturale

(70.1) Hn(X × Y ) ∼= Hn

(C•(X)⊗ C•(Y )

)

ed una successione esatta naturale

0 −−→⊕

i+j=n

Hi(X)⊗Hj(Y )ξ−−→ Hn (X×Y ) −−→

⊕p+q=n−1

Tor(Hp(X), Hq(Y )

)−−→ 0

Il complesso C•(X)⊗ C•(Y ) viene definito nell’appendice di algebra omologica (cfr. §A2, 35).

Dimostrazione. L’isomorfismo (70.1) e la “parte topologica” della formula di Kunneth:

i complessi di catene C•(X × Y ) e C•(X)⊗ C•(Y ) sono complessi di catene omotopi.

Questo risultato non lo dimostriamo, ci limitiamo a dare l’idea della costruzione che c’e sotto: dati due simplessisingolari σ : ∆i → X e τ : ∆j → Y si considera σ × τ : ∆i ×∆j → X × Y , triangolando ∆i ×∆j siottiene una i+ j catena in X × Y ; si ottiene cosı un morfismo di complessi C•(X)⊗C•(Y ) −→ C•(X × Y )che risulta essere un’equivalenza omotopica di complessi di catene, ne segue che anche il primo dei due calcolal’omologia dello spazio X × Y .

La successione esatta segue dalla “parte algebrica” della formula di Kunneth, i.e. la successione esatta delTeorema (§A2, 36)

0 −−→⊕

i+j =n

Hi(C•)⊗Hj(D•)ξ−−→ Hn(C• ⊗D•) −−→

⊕p+q=n−1

Tor(Hp(C•), Hq(D•)

)−−→ 0 ,

sostituendo Hn(C•(X)⊗ C•(Y )) con Hn(X × Y ) (per C• = C•(X), D• = C•(Y )).

66

§ 3. Coomologia.

Partendo da uno spazio topologico X , si considera il complesso di catene dei simplessi singolari (cfr. §2, 2)

(C•(X), ∂) : . . . −−−→ Cn+1(X)∂n+1

−−−→ Cn(X)∂n−−−→ Cn−1(X) −−−→ . . .

(che e un complesso di catene libero, i.e. costituito da gruppi abeliani liberi) e, fissato un gruppo abeliano G,si puo considerare il complesso duale a valori in G (cfr. §A2, 42)

(1)

(C•(X ; G), d

): . . . −−→ Cn−1(X ; G)

dn−1

−−−→ Cn(X ; G)dn−−−→ Cn+1(X ; G) −−→ . . .

:=

(Hom(C•(X), G), ∂∗ )

:=

Hom(Cn−1(X), G)

:=

Hom(Cn(X), G)

:=

Hom(Cn+1(X), G)

Di quest’ultimo se ne puo calcolare la coomologia (cfr. §A2, 43). Si da la definizione che segue:

Def. 2. Dati X e G come sopra, i gruppi di coomologia di X a coefficienti in G sono i

gruppi di coomologia del complesso (1), chiamato complesso delle cocatene di X :

H n(X ; G) := H n(Hom(C•(X), G), ∂∗)

.

Il Teorema dei coefficienti universali (§A2, 45) ci dice che c’e una successione esatta naturale

(2) 0 −−→ Ext(Hn−1(X), G

) j−−→ H n(X ; G)

q−−→ Hom

(Hn(X), G

)−−→ 0

In appendice §A2 viene dimostrato il Teorema e viene data una descrizione dettagliata dei morfismi j eq . Per comodita, ricordiamo alcuni punti cruciali. Quanto al morfismo q , una n-classe di coomologia erappresentata da una funzione ϕ, definita sulle n-catene, che va a zero tramite dn, ovvero che svanisce suglin-bordi (= Im∂n+1). La sua immagine q(ϕ) e quella stessa funzione vista come funzione definita sulle classidi omologia (n-cicli modulo n-bordi). Poiche ogni morfismo definito sugli n-cicli si estende alle n-catene, ilmorfismo q e suriettivo. D’altro canto puo accadere che il morfismo q non sia iniettivo: gli n-cocicli chehanno immagine nulla in Hom(Hn(X), G), possono essere un po’ di piu degli n-cobordi (cfr. §A2, 43.1, 45.2e dimostrazione del Teorema 45).

Praticamente tutti i risultati visti in omologia valgono anche in coomologia. Vediamone i principali.

(3.1) Una funzione continua f : X −→ Y tra spazi topologici induce un morfismo di complessi

f♯

: C•(Y ; G) −−→ C•(X ; G) ,(f

♯ϕ)(σ) := ϕ(f⋆σ)

che commuta con l’operatore di cobordo d e pertanto induce dei morfismi in coomologia

f⋆ : Hn(Y ) −−→ Hn(X)

(3.2) Naturalmente i morfismi indotti in coomologia sono controvarianti: date Xf−→Y e Y

g−→Z si ha

(g f)♯

= f♯ g

♯, Id

X

= IdC•(X)

; (g f)⋆ = f⋆ g⋆, IdX

= IdHn(X)

, ∀ n .

(3.3) Data un’inclusione j : A → X , dualizzando la successione esatta corta di complessi di catene (§2, 23.1)si ottiene la successione esatta corta di complessi di cocatene

0 −−−→ C•(X, A; G)

(:= Hom(C•(X,A), G))

−−−→ C•(X ; G)j♯

−−−−→ C•(A; G) −−−→ 0

(si provi l’esattezza, per esercizio). Per l’inciso (§A2, 3) ed il lemma (§A2, 9) c’e una successione esattalunga in coomologia chiamata successione esatta lunga della coppia in coomologia

... −−→ Hn(X, A; G) −−→ Hn(X, G)j⋆

−−→ Hn(A; G) −−→ Hn+1(X, A; G) −−→ ...

(3.4) Funzioni f, g : X −→ Y omotope, inducono morfismi f♯, g

♯di complessi di cocatene omotopi e, di

conseguenza, inducono lo stesso morfismo in coomologia, i.e. f⋆ = g⋆ (lo stesso risultato vale ancheper le coppie).

67

(3.5) Nelle ipotesi del Teorema di Escissione (§2, 27), i.e. data una coppia (X, A) e dato Z soddisfacente

Z ⊆A, vale l’analogo dell’escissione in coomologia

j⋆ : Hn(X, A; G) −−−→ Hn(X r Z, Ar Z; G) e un isomorfismo, per ogni n .

dove j : (X r Z, Ar Z) → (X, A) denota l’inclusione di coppie.

(3.6) Dato un ricoprimento aperto U = A, B di uno spazio X , dualizzando la successione esatta cortadi complessi di catene (§2, 17) si ottiene la successione esatta corta di complessi di cocatene

0 −−→ C• U(X ; G)

(:= Hom(CU•(X), G))

−−→ C•(A; G)⊕ C•(B; G) −−→ C•(A ∩B; G) −−→ 0

Questa, induce una successione esatta lunga in coomologia (inciso §A2, 3 e lemma §A2, 9):

. . . −→ Hn(X ; G) −→ Hn(A; G) ⊕ Hn(B; G) −→ Hn(A ∩B; G) −→ Hn+1(X ; G) −→ . . .

dove abbiamo potuto omettere la dipendenza dal ricoprimento U (primo e quarto termine) grazieall’equivalenza omotopica dei complessi di cocatene C•U (X ; G) ≃ C•(X ; G) ottenuta dualizzandol’equivalenza omotopica della Proposizione (§2, 15)).

Per il Teorema dei coefficienti universali, “l’informazione racchiusa” nella coomologia (che a priori e determinatadal complesso di catene ma non dalla sua omologia) puo essere recuperata dall’omologia. Il fatto che taleinformazione sia organizzata in maniera leggermente diversa rende la coomologia piu funzionale, e consente didefinire un’utile struttura aggiuntiva in modo naturale.

Consideriamo coefficienti in un anello commutativo R (siamo interessati esclusivamente agli anelli che seguono:R = Z, Zp, Q, R, C). Osserviamo che C•(X ; R) ha una naturale struttura di R-modulo. (L’ipotesi cheR sia un anello commutativo non e necessaria ai fini della definizione di prodotto cup ne ai fini della maggiorparte delle affermazioni che faremo).

Def. 4. Sia R un anello commutativo. Si definisce il prodotto cup di cocatene

` : C r(X ; R)× C s(X ; R) −−−→ C r+s(X ; R)

ponendo

ϕ ` ψ : Cr+s(X) −−−→ R∑

ni σi 7→∑

ni ϕ([e0, ..., er ]σi ) · ψ([er , ..., er+s ]σi )

dove ϕ ∈ Cr(X ; R), ψ ∈ Cs(X ; R), e0 , ..., er+s sono i vertici del simplesso standard ∆r+s , i σi sonor + s simplessi singolari, i vari [ ... ]σi

sono simplessi singolari definiti dalla notazione (§2, 13.1), il prodotto“·” denota il prodotto in R.

Nota 4.1. Il prodotto cup e associativo. E utile osservare, una volta per tutte, che risulta

(ϕ1` ... ` ϕ

m)(σ) = ϕ

1([e

0, ..., e

r1]σ) · ϕ2

([er1, ..., e

r1+r2]σ) · ... ,

ϕi∈ C

ri(X ; R), σ e un

∑ri simplesso singolare.

Nota 4.2. Dalla definizione appare evidente che il prodotto cup e distributivo, o meglio R-lineare in ognunodei due argomenti: fissato uno dei due argomenti, il prodotto cup e un morfismo di R-moduli nell’altroargomento, i.e. le due funzioni - ` ψ : ϕ 7→ ϕ ` ψ e ϕ ` - : ψ 7→ ϕ ` ψ sono morfismi di R-moduli.

Nota 4.3. Il prodotto cup e compatibile con i morfismi indotti: data f : Y −→ X e date ϕ, ψ comesopra, si ha

f♯ϕ ` f

♯ψ = f

♯(ϕ ` ψ)

Lemma 5. Date ϕ e ψ come nella definizione (4), risulta

(5.1) d(ϕ ` ψ) = dϕ ` ψ + (−1)rϕ ` dψ .

Dimostrazione. E sufficiente verificare che le cocatene ai due lati dell’uguaglianza agiscono allo stesso modosugli r+s+1 simplessi singolari. Si ha

(d(ϕ ` ψ)

)(σ) = (ϕ ` ψ)(∂σ) = ... =

(dϕ ` ψ + (−1)rϕ ` dψ

)(σ)

(lasciamo i dettagli per esercizio).

68

Come corollario del Lemma (5) si deduce che il prodotto cup e ben-definito in coomologia:

Cor./Def. 6. C’e un’applicazione ben definita, sempre indicata come prodotto cup,

` : H r(X ; R)×H s(X ; R) −−−→ H r+s(X ; R)

( ϕ , ψ ) 7→ ϕ ` ψ

Dimostrazione. Se ϕ e ψ sono cocicli (i.e. hanno cobordo nullo), dalla (5.1) segue la relazione d(ϕ ` ψ) = 0,i.e. che ϕ ` ψ e anch’essa un cociclo. Se oltre ad essere cocicli una delle due e un cobordo, e.g. ϕ = dη,allora ϕ ` ψ = (dη) ` ψ = d(η ` ψ), i.e. ϕ ` ψ e un cobordo (stessa cosa se e ψ ad essere un cobordo).

Naturalmente il prodotto cup in coomologia eredita tutte le proprieta del prodotto cup definito a livello dirappresentanti, (cfr. note 4.1, 4.2 e 4.3). Date f : Y → X, ϕ e ψ come sopra, la (4.3) assume la forma

(7) f⋆ϕ ` f⋆ψ = f⋆(ϕ ` ψ),

Lemma 8. Date ϕ ∈ C r(X ; R) e ψ ∈ C s(X ; R), risulta

(8.1) ϕ ` ψ = (−1)rs

ψ ` ϕ .

(qui si usa la commutativita di R).

Dimostrazione. Dato un r+s simplesso singolare σ, i due termini (ϕ ` ψ)(σ) e (ψ ` ϕ)(σ) sonorispettivamente

ϕ([e

0, ..., e

r]σ

)· ψ

([e

r, ..., e

r+s]σ

)e ϕ

([e

s+1, ..., e

r+s]σ

)· ψ

([e

0, ..., e

s]σ

)= (ϕ ` ψ)

(T (σ)

)

dove T e la trasformazione definita ponendo T (σ) = [es+1, ..., e

r+s, e

0, ..., e

s]σ

(ricordiamo che σ =[e

0, ..., e

r+s]σ, cfr. §2, 13.2). Entrando nella combinatoria della trasformazione T si ottiene l’uguaglianza

T⋆ = (−1)rs (questo conto lo omettiamo), quindi si deduce la tesi: (ψ ` ϕ)(σ) = (ϕ ` ψ)(T (σ)

)=

(ϕ ` ψ)((−1)rsσ

).

Le cocatene, per definizione, agiscono sulle catene. Cio puo essere visto in termini duali e, per m ≥ k, sigeneralizza ad una azione delle m-catene sulle k-cocatene, a valori nelle m− k catene (di seguito, omettiamodalla notazione il gruppo dei coefficienti, che per il momento assumiamo sia il gruppo degli interi Z):

Oss./Def. 9. Dato uno spazio topologico X e due interi k ≤ m, si definisce il prodotto cap

ponendo

(9.1)Cm(X) × Ck(X) −−−→ Cm−k(X)

( σ ϕ ) 7→ ϕ([v0 , ..., vk ]φ) · [vk , ..., vm ]φ

dove σ = [v0, ..., vm ]φ (cfr. notazione §2, 13.1). Naturalmente la definizione si intende estesaalle m-catene per linearita. Il prodotto cap soddisfa la formula

(9.2) ∂(σ ϕ) = (−1)k(∂σ ϕ − σ dϕ)

Come funzione a valori in Hm−k(X), il prodotto cap e ben definito a livello di classi di omologiae coomologia, i.e. induce un morfismo

(9.3) Hm(X) × Hk(X) −−−→ Hm−k(X)

69

Infine, soddisfa la cosiddetta Formula di Proiezione:

(9.4) f⋆(σ) ψ = f⋆(σ f⋆ψ)

dove f : X −→ Y denota una funzione continua, σ ∈ Hm(X), ψ ∈ Hk(Y ).

Dimostrazione. La (9.2) si verifica con un conto esplicito, che lasciamo per esercizio. Dalla formula (9.2), conun argomento analogo a quello della dimostrazione del cor. (6), segue immediatamente che il prodotto cape ben definito a livello di classi di omologia e coomologia (lasciamo questo passaggio per esercizio). Infine,la Formula di Proiezione (9.4) segue dalle definizioni: se σ e un m-simplesso (in X ) e ψ ∈ Ck(Y ), si haf⋆σ = f σ (cfr. §2, 9) ed f⋆ψ = ψ f⋆ (cfr. §3, 3.1).

Nota 9.5. Sia σ un m-simplesso, ϕ ∈ Hm(X) (n.b.: k = m). Si ha σ ϕ = ϕ(σ)v, dove v e uno(l’ultimo) dei vertici di σ. Di conseguenza, a livello di classi di omologia e coomologia, per m = k il prodottocap si interpreta come segue: il valore ϕ(σ), che a priori e solo un intero, viene visto come l’elemento in H0(X)corrispondente alla componente connessa individuata da σ (naturalmente, quanto osservato si generalizza nelmodo ovvio alle m-catene

∑niσi).

70

§ 4. Varieta Topologiche.

Assumiamo che chi legge abbia un minimo di familiarita con la nozione di varieta topolo-gica. Per comodita ricordiamo la definizione: una varieta topologica di dimensione n e uno

spazio topologico di Hausdorff dove ogni punto ammette un intorno U omeomorfo ad Rn , unomeomorfismo ϕ : U → Rn si chiama carta locale.

L’ipotesi che lo spazio sia di Hausdorff serve ad escludere dalla definizione alcune patologie, il tipico esempioe quello di una copia di Rn con un punto doppio (cioe lo spazio che si ottiene considerando due copie di Rn

ed identificandole ovunque eccetto che in un punto, i.e. Rn∐Id

URn, U = Rn r p (cfr. §0, 5).

Orientazione.

Iniziamo con alcune considerazioni concernenti Rn (n ≥ 1). Per ogni p ∈Dn ⊆ Rn esistono degli isomorfismi

naturali

(1) Hk(Rn, Rn r p) ∼= Hk−1(R

n r p) ∼= Hk−1(Sn−1) ∼=

Z , k = n0 , k 6= n

dove: il primo e dato dalla successione della coppia; il secondo dalla retrazione di deformazione di Rn r xsu Sn−1 (cfr. §1, 2.7); il terzo dal calcolo dell’omologia della sfera (della quale, per k = n, ne e stato dato ilgeneratore canonico). Naturalmente, quanto sopra si estende a p ∈ Rn arbitrario: e sufficiente considerareun disco piu grande. In particolare, dati due punti in Rn , c’e un isomorfismo naturale tra i corrispondentigruppi di n-omologia locale. Per utilizzi futuri, e utile osservare che tale isomorfismo si caratterizza in quantocomposizione degli isomorfismi indicati

(1.1)

Hn(Rn, Rn r B)

∼= ւ ց∼=

Hn(Rn, Rn r p) Hn(R

n, Rn r q)

(dove: B e un n-disco, p, q ∈ B , i dueisomorfismi sono i morfismi indotti dalledue inclusioni di coppie)

Detto in altri termini, abbiamo un criterio che consente un confronto “immediato” dei gruppi di omologialocale in due punti distinti p, q ∈ Rn : due elementi σp ∈ Hn(R

n, Rn r p) e σq ∈ Hn(Rn, Rn r q) si

corrispondono se provengono da uno stesso elemento in un qualche Hn(Rn, Rn r B) ∼= Z (B come sopra).

Sia ora X una varieta topologica di dimensione n ≥ 1, x ∈ X un punto e ϕ : U → Rn una carta localeintorno ad x (i.e. ϕ e un omeomorfismo soddisfacente ϕ(x) = 0). Abbiamo degli isomorfismi

(1.2) Hn(X, X r x) ∼=

(cor. §2, 29)

Hn(U, U r x)ϕ⋆−−−→ Hn(R

n, Rn r 0) ∼=

(cfr. 1)

Z

L’isomorfismo ϕ⋆ dipende dalla carta locale ed i due isomorfismi esistenti a priori sono ottenibili entrambi,per cui il gruppo d’omologia locale Hn(X, X r x) (def. §2, 29.1) non ha un generatore canonico. Diamola seguente definizione.

Definizione 2. Sia X una varieta topologica di dimensione n ≥ 1 ed x ∈ X un punto.

• Un’orientazione locale di X in x e la scelta di un generatore del gruppo di omologia locale Hn(X, Xrx);

• due orientazioni locali ox ed oy si dicono concordi relativamente alla carta locale ϕ : U → Rn (che siassume contenga i punti x ed y), se risulta ϕ⋆ox = ϕ⋆oy . In questo caso scriveremo

ox ∼ϕ

oy(l’uguaglianza ϕ⋆ox = ϕ⋆oy e da intendersi via l’isomorfismo canonico (1.1) Hn(R

n, Rn r ϕ(x)) ∼=Hn(R

n, Rn r ϕ(y))).

• Un’orientazione (globale) di X e una scelta di un’orientazione locale ox per ogni x ∈ X soddisfacenteuna delle proprieta che seguono (tra loro equivalenti):

i) ogni coppia ox ed oy e concorde relativamente ad ogni carta locale contenente x ed y ;

ii) esistono carte locali ϕα : Uα → Rn che ricoprono X tali che ox ∼ϕαoy , ∀α, ∀x, y ∈ Uα ;

iii) x 7→ (x, ox) e una sezione globale del rivestimento π : X −→ X (definito sotto, cfr. inciso 2.2).

• X si dira orientabile se ammette un’orientazione globale.

71

Quanto osservato sopra (cfr. 1.1 e successiva considerazione), si traduce nel criterio che segue:

Criterio 2.1. Data X come sopra, ϕ : U −→ Rn carta locale, x, y ∈ U ,

ox ∼ϕ oy ⇐⇒

esistono B ⊆ U con ϕ(B) = “disco” ⊆ Rn, η ∈ Hn(U, U rB)

tali che ox = j(x)⋆ (η) , oy = j

(y)⋆ (η)

dove j(x) denota l’inclusione di coppie j(x) : (U, UrB) ⊆ (U, U rx) (e j(y) e analoga).

Inciso 2.2. Sia X l’insieme delle coppie (x, ox), essendo ox un’orientazione locale in x. Consideriamo lacorrispondente proiezione naturale 2:1

π : X :=(x, ox)

∣∣ ox orientazione locale in x 2:1−−−→ X

Si ha che l’insieme X ha una naturale struttura di varieta topologica rispetto alla quale π e un rivestimento2:1 di varieta, dove gli aperti delle carte locali di X sono ben rivestiti. Infatti, se ϕ : U → Rn e una cartalocale, il “concordare relativamente a ϕ” ci consente di spezzare π−1(U) in due insiemi in corrispondenzabiunivoca con U tramite π:

π−1(U) = U+ ∪ U−, U+ := (x, ox) |x ∈ U, o

x= ϕ−1⋆ (1), U− := (x, o

x) |x ∈ U, o

x= ϕ−1⋆ (−1)

dove 1 denota il generatore canonico di Hn(Rn, Rn − p), per ogni p. Naturalmente, −1 denota il suoopposto.

Esercizio 2.3. Si verifichi che i), ii) e iii) sono equivalenti. (Suggerimento: “i) ⇒ ii)” e banale, provareche “ii) ⇒ iii)” e che “iii) ⇒ i)” di fatto si riduce a verificare che l’inciso 2.2 definisce effettivamente unrivestimento di varieta soddisfacente le proprieta ivi indicate). Si osservi che come corollario immediato si

deduce che X e orientabile se e solo se π : X −→ X e un rivestimento banale, i.e. X e unione disgiunta

di due copie di X (cio, nel caso in cui X e una varieta connessa, equivale a che X sia sconnessa).

Osserviamo quanto segue.

(2.4) Dalla ii) segue immediatamente che ogni aperto di Rn e orientabile (per esercizio).

(2.5) Dalla i) segue facilmente che il nastro di Mobius non e orientabile:

• ∗

σ

0

1

2

• ∗

τ

ℓ0

2

1Nella figura (che abbiamo ripetuto due volte per chiarezza), il 2-simplessoσ (vertici ordinati come indicato), genera un opportuno H2(U, UrB) conU carta locale e B palla contenente i due punti “•” e “∗”. Lo stesso vale

per τ per una qualche carta locale V . Nonostante cio, σ e τ definisconola stessa orientazione sul punto “•” e orientazioni opposte sul punto “∗”(si osservi come “gira” il percorso “012” intorno ai due punti “•” e “∗”...nella figura a destra si faccia attenzione alle identificazioni: si guardi ℓ).

Ne segue che se le orientazioni locali dei due punti “•” e “∗” sono concordi relativamente ad una delle duecarte locali (U e V ), necessariamente non lo sono rispetto all’altra.

In (1) abbiamo fissato degli isomorfismi, va da se che sono quelli che si utilizzano per definire l’orientazionecanonica di Rn:

Def. 2.6. Si definisce l’orientazione canonica di Rn scegliendo

ox ←→ 1 tramite l’isomorfismo canonico Hn

(Rn, Rn r x

)∼= Z

per ogni x ∈ Rn .

Esercizio 2.7. Si verifichi che l’inclusione σ : ∆n → Rn (∆n = n-simplesso standard) e un rappresentantedell’orientazione canonica ox per ogni x interno a ∆n .

Naturalmente σ puo essere dilatato e traslato: anche σ′ := λσ + µ : ∆n −→ Rn (0 < λ ∈ R, µ ∈ Rn) eun rappresentante dell’orientazione canonica (per i punti interni all’immagine di σ′).

Proposizione 3. Sia X una varieta topologica. La varieta X e orientabile (sempre).

Dimostrazione. Definiamo un’orientazione globale di X scegliendo ox come orientazione locale nel punto (x, ox).

72

Classe Fondamentale.

Sia X una varieta topologica di dimensione n ≥ 1. Esiste un rivestimento naturale di

varieta topologiche

(4)

Xom.loc.

:=(x, σx)

∣∣ σx ∈ Hn(X, X r x)

πyX

Per quel che concerne la struttura di rivestimento topologico dell’oggetto introdotto (a priori Xom.loc. e soloun insieme), la costruzione e di fatto quella gia vista nell’inciso (2.2). In effetti possiamo osservare subito cheinsiemisticamente risulta

(4.1) Xom.loc. = (x, 0) ∪· ∪·c∈N∗

(x, ±cox) = X⋃•

c∈N∗

X (N∗ := Nr 0)

dove ox denota un generatore dell’omologia locale in x e le varie unioni sono unioni disgiunte (abbiamo una

copia di X , che corrisponde a σx = 0, ed una copia di X per ogni c ∈ N∗). Questa scrittura ci consente di

vedere l’insieme Xom.loc. come unione disgiunta di rivestimenti, quindi di vederlo come rivestimento topologico.

Naturalmente possiamo essere diretti nell’introdurre la struttura topologica di Xom.loc.:

se ϕ : U → Rn e una carta locale, scriviamo

(4.2) π−1(U) = (x, m) | m ∈ Z = U × Z , m := ϕ−1⋆ (m) , m ∈ Hn

(Rn, Rn r p

) (♣)

= Z

(come gia sottolineato piu volte, l’identificazione (♣) e canonica, non dipende da p ∈ Rn). Quindi, tramitel’identificazione (4.2), dotiamo π−1(U) della struttura di U × Z di rivestimento banale di U . Ripetendoquesta operazione per ogni carta locale ϕ : Uϕ → Rn , abbiamo un rivestimento banale Uϕ × Z di Uϕ perogni aperto Uϕ. Questi rivestimenti “locali-banali” si raccordano in un rivestimento di X . Infatti, date duecarte locali ϕ : U → Rn , ψ : V → Rn ed un punto x ∈ U ∩ V , dal diagramma di isomorfismi

Hn(U′, U ′ rB)

րց

Hn(U,U rB)

Hn(V, V rB)

ցր

Hn(X,X rB) , U ∩ V ⊇ U ′ ⊇ B ⊇B

(=: Ux)

∋ x,

(U ′ carta locale, B disco in U ′), diagramma fornito dall’escissione, si evince che le due carte locali, o megliole due strutture di rivestimento banale π−1(U) = U ×Z e π−1(V ) = V ×Z, inducono la stessa struttura di

rivestimento banale su π−1(Ux), Ux :=B (quella indotta dalla carta U ′).

Fissiamo alcune conseguenze immediate di quanto visto sopra.

(4.3) Il rivestimento Xom.loc. e banale se e solo se X e banale, i.e. se e solo se X e orientabile;

(4.4) gli aperti delle carte locali sono aperti ben rivestiti per ragioni tautologiche;

(4.5) localmente, e.g. inB (B “disco” ⊆ U “carta locale”), le sezioni di π sono definite dagli elementi

η ∈ Hn(U, U rB): un tale η definisce la sezione locale x 7→ (x, j(x)(η)), dove j(x) : (U, U rB) ⊆(U, U r x) denota l’inclusione di coppie.

Oss. 4.6. Un elemento σ ∈ Hn(X) definisce una sezione globale

sσ : X −→ Xom.loc.

, sσ(x) =(x, ηx(σ)

)

dove ηx : Hn(X) −→ Hn

(X, X r x

)denota il morfismo della successione della coppia.

Dimostrazione. Il morfismo ηx si fattorizza per Hn(X, X rB) ∼= Hn(U, U rB), dove U e una carta localee B ⊆ U un disco. Dalla (4.5) segue la continuita locale di s nel punto x .

73

Lemma 5. Sia X una varieta topologica di dimensione n, K ⊆ X un compatto.

i) Se s : X −→ Xom.loc.

e una sezione globale di π. Allora

∃ ! σ ∈ Hn(X, X rK) tale che jK,x⋆

(σ) = sx , ∀ x ∈ K

ii) Hi(X, X rK) = 0 , ∀ i > n.

La notazione usata e la seguente: sx e definito da s(x) = (x, sx), jK,x e l’inclusione di coppie (X, XrK) ⊆

(X, X r x) e jK, x⋆

: Hn(X, X rK) −→ Hn(X, X r x) il morfismo indotto in omologia in grado n.

Dimostrazione. L’idea e quella di provare il lemma per gradi: lo si prova

Step 1. per K = B , disco in una qualche carta locale U ;

Step 2. per K = ∪Bi , unione finita di dischi e punti, tutti in una qualche carta locale U ;

Step 3. per K ⊆ U , compatto, sempre in una qualche carta locale U ;

Step 4. per K arbitrario.

Lo step 1 e banale. Gli step 2 e 4 si provano allo stesso modo: per induzione sul numero degli elementidell’unione, la successione di Mayer Vietoris mostra che se il lemma (sia i) che ii)) vale per due compatti ela loro intersezione, allora vale anche per la loro unione. Quanto allo step 3, la ii) e evidente e per quel checoncerne l’esistenza di σ in i) e sufficiente considerare un disco che contenga K . Per provare l’unicita di unelemento σ ∈ Hi(X, X r K) come in i), si ricopre K con dei dischi che non intersecano il supporto delbordo di σ, con cio ci si riconduce alla tesi dello step precedente.

Corollario 5.1. Se X e connessa, non compatta, allora Hi(X) = 0 , ∀ i ≥ n.

Dimostrazione. Procediamo per assurdo. Se esiste una classe non nulla in Hi(X), scelto un rappresentanteσ e posto K = supporto(σ), siamo in grado di trovare un aperto U ⊇ K , con U anch’esso compatto.Affermiamo che la tesi segue dal lemma e dal diagramma

0 = Hi+1(X, X r T ) −→ Hi(X r T, X r U) −→ Hi(X, X r U)

(i ≥ n) x∼=x

Hi(U, ∅)

σ.−→ Hi(X)

σ

(T := U r U )

Innanzi tutto, σ puo essere considerato come elemento σ. in Hi(U, ∅) (dove continua ad essere non nullo).D’altro canto, per il lemma 5, si ha Hi(X, X r U) = 0 per i > n. Per i = n, il nostro σ definisce unasezione s

σ(cfr. oss. 4.6); risulta s

σ= 0, infatti s

σ(x) = 0 per x ∈ X rK (che e non vuoto), essendo X

connessa, l’annullarsi (= “coincidere con la sezione nulla”) in un punto implica l’annullarsi ovunque. Per illemma 5, unicita in i), s

σ= 0 implica che σ si annulla in Hn(X, X r U). In ogni caso (per i ≥ n), σ si

annulla in Hi(X, X r U). Cio e assurdo per l’esattezza della riga in alto.

Teorema 6. Sia X una varieta compatta, connessa, di dimensione n. Allora

i) se X e orientabile, si ha Hn(X) ∼= Z e

ηx : Hn(X) −→ Hn(X, X r x) e un isomorfismo per ogni x ∈ X ;

ii) se X non e orientabile, si ha Hn(X) = 0 .

In ogni caso (anche per varieta non connesse e/o non compatte), si ha Hi(X) = 0 , i > n.

• Come nella (4.6), ηx : Hn(X) −→ Hn(X, X r x) denota il morfismo della successione della coppia.

Dimostrazione. Iniziamo con l’ultimissima affermazione: proviamo che ogni componente connessa X ′ di X haomologia nulla nei gradi strettamente maggiori di n (per X , eventualmente, non connessa e/o non compatta).Se X ′ non e compatta, cio segue dal corollario (5.1); se invece X ′ e compatta, cio segue dal lemma (5) con

74

K = X ′ . Per l’osservazione (§2, 7.1) abbiamo concluso.

Proviamo la i). Un’orientazione e una sezione globale s : X → Xom.loc. tale che s(x) ∈ Hn(X,X r x) eun generatore per ogni x ∈ X . Il lemma (5), sempre per K = X , ci dice che esiste, unico, σ ∈ Hn(X) taleche ηx(σ) = s(x) per ogni x ∈ X . Di conseguenza, il sottogruppo 〈σ〉 generato da tale σ e isomorfo a Z

e va isomorficamente su ogni Hn(X, X r x). Se per assurdo esiste σ′ ∈ Hn(X)r 〈σ〉, esiste una costantec tale che la sezione sσ′−cσ (cfr. oss. 4.5) si annulla in un punto fissato x ∈ X e, essendo X connessa, siannulla in ogni x ∈ X . D’altro canto, per il lemma 5, sσ′−cσ = 0 implica σ′ − cσ = 0.

Proviamo la ii). Poiche X non e orientabile e connessa (cio serve ad escludere che possa avere una qualchecomponente orientabile), l’unica sezione globale di π e la sezione nulla. Di conseguenza, ogni elementoσ ∈ Hn(X) definisce la sezione nulla di π. Per l’unicita in lemma 5, i), si deve avere σ = 0.

Def. 7. Sia X una varieta topologica compatta, connessa, orientata, di dimensione n. Sipone

[X ] = “classe fondamentale” = “generatore di Hn(X) che definisce l’orientazione”

(per il Teorema 6, esiste un (unico) elemento in Hn(X) ∼= Z che definisce l’orientazione; cfr. oss. 4.6).

Inciso 8. Considerando coefficienti in Z2, per il Teorema dei Coefficienti Universali (cfr. §2, 67) si ha

Hn(X, X r x; Z2) ∼= Z2

e la nozione di orientazione, intesa come esistenza di una sezione di X , diventa una nozione automaticamente

soddisfatta da ogni varieta (semplicemente perche si ha X = X , si osservi che Xom.loc. = X ∪• X dove ledue copie corrispondono alle sezioni 0 ed 1). Nel senso di cui sopra possiamo affermare che ogni varieta eZ2-orientabile. Pur lavorando con Z2 i risultati enunciati sopra continuano a valere, in particolare continuaa valere il Teorema 6 (si osservi che nella dimostrazione del teorema 6, si distinguono i due casi i) e ii)

esclusivamente sulla base dell’esistenza o meno di una sezione di X). In definitiva,

se X e una varieta connessa, compatta, di dimensione n, risulta Hn(X ; Z2) ∼= Z2

Sottolineiamo che, essendo ogni varieta Z2-orientabile, considerando coefficienti in Z2, ogni varieta compattae connessa rientra nel caso i) del Teorema (6).

Si osservi che quanto affermato e in accordo col risultato H2

(P2(R); Z2

)∼= Z2 (cfr. §2, 66).

75

Dualita di Poincare.

Sia X una varieta topologica compatta, connessa, orientata, di dimensione n. Scriviamo

la classe fondamentale, o meglio una n-catena che la rappresenti, nella forma

(8.1) [X ] =∑

ni [v0 , ..., vn]φi

(cfr. notazione §2, 13.1)

Si ha che esiste un morfismo ben definito (cfr. Oss./Def. §3, 9), detto morfismo di dualita:

(8.2)D : H k(X ; Z) −−−→ Hn−k(X ; Z)

ϕ 7→ [X ] ϕ :=∑

ni ϕ([v0, ..., vk ]φi) · [v

k, ..., vn ]φ

i

Teorema 9 (Dualita di Poincare). Sia X come sopra. Il morfismo D e un isomorfismo.

Questo risultato non lo dimostriamo. In estrema sintesi, l’idea di base della dimostrazione consiste nel procedereper induzione sugli aperti di un ricoprimento in carte locali. La formalizzazione di questa idea richiede un po’di lavoro:

i) si introduce una nuova teoria coomologica, la cosiddetta coomologia a supporto compatto Hkcomp(X ; Z);

ii) si introduce un morfismo di dualita Dc: Hk

comp(X ; Z) → Hn−k(X ; Z);

iii) si dimostra che Dc

e un isomorfismo per ogni varieta orientata, di dimensione n (non si assume necompattezza ne connessione). Come accennavamo, questo step si prova sostanzialmente per induzione(richiede una notevole quantita di lavoro e l’introduzione di risultati e tecniche non elementari);

iv) si osserva che se X e compatta e connessa allora Hkcomp(X ; Z) = Hk(X ; Z) e D = D

c(naturalmente,

l’ipotesi che X sia connessa e sostanzialmente irrilevante: si puo considerare la classe fondamentale diogni componente connessa, quindi introdurre D anche in presenza di piu d’una componente connessa,eccetera).

Nota 10. Le varieta topologiche compatte nelle quali capita di imbattersi sono CW-complessi. In effetti sicongettura che ogni varieta topologica compatta sia un CW-complesso (che, per ragioni di compattezza, saranecessariamente finito). In un CW-complesso finito, l’omologia cellulare e finitamente generata (e generata dallen-celle, che in un CW-complesso finito sono in numero finito per definizione). Per l’equivalenza dell’omologiacellulare con quella singolare (Teorema §2, 52), i CW-complessi finiti hanno gruppi di omologia finitamentegenerati.

Lemma 11. Se X e una varieta topologica compatta, allora

Hk(X) e finitamente generato, per ogni k .

Questo lemma non lo dimostriamo. Sottolineiamo che l’argomento nella nota (10) dimostra il lemma in uncaso che, almeno congetturalmente, esaurisce tutti i casi possibili (ed include tutte le varieta conosciute)!

Osservazione 11.1. Per il lemma (11), e definita la caratteristica di Eulero Poincare delle varieta compatte:

χ(X) :=∑

(−1)i βi(X)

(ricordiamo che βi(X) := rangoHi(X), cfr. §2, 5.2).

Come conseguenza immediata della dualita di Poincare si deduce il seguente risultato.

Corollario 12. Se X e una varieta topologica compatta, connessa, orientata di dimensione dispari, allora lasua caratteristica di Eulero Poincare e nulla:

dimX = 2k + 1

(i.e. e dispari)

=⇒ χ(X) = 0 .

Dimostrazione. Nell’espressione χ(X) =∑

(−1)iβi(X), i termini (−1)iβi(X) e (−1)n−1βn−i(X) si cancel-lano, per ogni i. Infatti, per la dualita di Poincare si ha

βi(X) = βn−i(X) , ∀ i .

76

La dualita di Poincare permette un’utile interpretazione del prodotto cup. Si consideri ildiagramma che segue:

(13)

B : H k(X ; Z) × H n−k(X ; Z)`−−−→ H n(X ; Z)

f[X]−−−→ Z

( ϕ , ψ ) 7→ ϕ ` ψ 7→ (ϕ ` ψ) ([X ])

l

σ ( =

(♣)

ψ([X]ϕ) = ψ(σ) )(

:= [X ] ϕ∈ Hn−k(X ; Z)

)

Nella parte bassa abbiamo indicato cio che si ottiene sostituendo il fattore Hk(X ; Z) col suo duale di PoincareHn−k(X ; Z), ovvero sostituendo ϕ col suo duale di Poincare σ := [X ] ϕ. L’uguaglianza (♣) segue dauna formula generale che vale a livello di catene e cocatene (che noi applichiamo per ω = [X ]):

(ϕ ` ψ) (ω) = ψ(ω ϕ) , ∀ ω ∈ Ck+h

(X), ϕ ∈ Ck(X), ψ ∈ Ch(X)

(quest’ultima segue dalle definizioni §3, 4 e 9.1, la si verifichi per esercizio). Quanto osservato ci dice che lacomposizione alla prima riga del diagramma (13), cioe la forma bilineare f

[X] ` , non e altro che la forma

(13.1)B′ : Hn−k(X ; Z) × H

n−k(X ; Z) −−−−→ Z

( σ , ψ ) 7→ ψ(σ)

La forma B′ soddisfa la proprieta che segue (qui poniamo h := n− k):

(13.2) ∀ ξ ∈ Hom(Hh(X ; Z), Z

), ∃ ψ

∣∣ ξ(-) = B′(-, ψ) ; ψ e di torsione

(i.e. ∃m≥ 1 |mψ=0)

⇐⇒ B′(-, ψ) = 0 .

Infatti, la prima parte e la suriettivita del morfismo q che appare nella successione esatta §3, 2, per G = Z

(teorema dei coefficienti universali in coomologia). Quanto alla seconda parte, la successione esatta §3, 2, cidice anche che B′(-, ψ) = 0 se e solo se ψ appartiene all’immagine del gruppo Ext

(H

h−1(X), Z

), gruppo

che, per il lemma 11, coincide col suo sottogruppo degli elementi di torsione. Ne segue che anche gli elementiψ provenienti da tale Ext debbano essere elementi di torsione.

Come gia osservato, la forma bilineare B = f[X] ` (diagramma 13, prima riga), non e altro che la forma

B′ . Quindi soddisfa anch’essa la proprieta (13.2). Alla luce dell’uguaglianza ϕ ` ψ = ±ψ ` ϕ (§3, 8), dove ilsegno dipende solo da k ed n−k, le proprieta (13.2) scritte per gli indici k e k′ = n−k danno la proposizioneche segue.

Proposizione 14. Sia X una varieta topologica compatta, connessa, orientata, di dimen-sione n. La forma bilineare

(14.1) B : H k(X ; Z) × H n−k(X ; Z)`−−−→ H n(X ; Z)

f[X]−−−→ Z

( ϕ , ψ ) 7→ ϕ ` ψ 7→(ϕ ` ψ

)([X ])

e unimodulare.

Cio significa che soddisfa la “(13.2)” sia nel primo che nel secondo argomento: ogni funzione lineare nel primoargomento (a valori in Z) e del tipo B(-, ψ), ogni funzione lineare nel secondo argomento e del tipo B(ϕ, -)e, inoltre, B(-, ψ) (ovvero B(ϕ, -)) e identicamente nulla se e solo se ψ (ovvero ϕ) e di torsione.

Def. 15. Il prodotto “duale di Poincare” della forma (14.1), ovvero la forma bilineare

(15.1)Hn−k(X ; Z) × Hk(X ; Z) •−−−→ H0(X ; Z)

deg−−−→ Z

( σ , τ ) 7→ σ•τ 7→ deg (σ•τ)

definita semplicemente traducendo la (14.1) via D, ovvero ponendo

(15.2) σ•τ := D(D−1(σ) ` D−1(τ)

),

viene chiamato prodotto di intersezione .

77

Il risultato interessante e che il prodotto di intersezione appena definito ha un’interpretazione geometricaassolutamente notevole: coincide con una nozione di intersezione molto piu “geometrica e familiare”, la nozionedi intersezione di cicli introdotta nell’inciso che segue.

Premessa. Sia X una varieta topologica compatta, connessa, orientata, di dimensione n. Sia V una sot-tovarieta di X , anch’essa compatta e orientata, di dimensione k. La classe fondamentale di V puo esserevista come k-ciclo in X tramite il morfismo indotto in omologia dall’inclusione (cfr. §2, 9). Se W e un’altrasottovarieta compatta orientata, di dimensione n − k, e ragionevole attendersi che l’intersezione V ∩W siacostituita da un insieme finito di punti p

1, ..., pm e possa essere considerata come 0-ciclo V.W =

∑±pi,

essendo i segni definiti in modo opportuno (cfr. sotto). Questa premessa vuole suggerire due cose:

• l’idea che le sottovarieta compatte orientate (ed anche le loro combinazioni lineari formali) possano esserepensate come cicli;

• l’idea che l’intersezione insiemistica possa essere vista in termini omologici.

Ai fini della strada che vogliamo percorrere si devono considerare varieta differenziabili.

Inciso 15.3. Sia X una varieta differenziabile orientata, di dimensione n, A e B sottovarieta17 diffeomorfead Rk ed Rn−k (quindi anch’esse orientate) che si incontrano trasversalmente in un punto p (i.e. la sommadi sottospazi tangenti s : Tp(A) + Tp(B) −→ Tp(X) e un isomorfismo), si definisce l’intersezione locale diA e B in p ponendo (A.B)p = ±p (inteso come 0-ciclo), dove il segno “±” dipende dalle orientazioni: e ilsegno del determinante di s, scritta relativamente a basi positivamente orientate di Tp(A), Tp(B) e Tp(X).A questo punto introduciamo una nozione: un k-simplesso liscio σ : ∆k → X e la restrizione di unafunzione C∞ definita in un intorno aperto di ∆k, una catena liscia e una combinazione lineare di simplessilisci. Le nozioni di trasversalita e di intersezione di cui sopra si estendono ai simplessi lisci e, con un minimodi accorgimenti (lasciamo i dettagli per esercizio), alle catene. Vale il seguente notevole risultato: i) se X euna varieta differenziabile, ogni classe di omologia ammette rappresentanti lisci; ii) se X e orientata, fissatedue classi di omologia di dimensione k e n − k, e possibile trovare dei rappresentanti lisci σ ∈ Ck(X) eτ ∈ Cn−k(X) che si incontrano trasversalmente e, per X compatta, risulta σ.τ = σ•τ (a sinistra comparel’intersezione geometrica appena introdotta, a destra l’intersezione 15.2).

Concludiamo menzionando un altro risultato assolutamente notevole. Sempre nel caso in cui X sia unavarieta differenziabile, vale il Teorema di de Rham che consente di identificare la coomologia di de Rham conla coomologia a coefficienti reali, modulo questa identificazione il prodotto cup corrisponde al prodotto wedgedi forme differenziali e, in omologia, al prodotto di intersezione, inoltre, il passaggio dalla coomologia di deRham all’omologia e dato dall’integrazione delle k-forme chiuse sui k-cicli. ...per i dettagli rimandiamo alcorso di geometria differenziale!

Generalizzazione 16. La dualita di Poincare continua a valere quando si considerano omologia e coomologiaa coefficienti in un gruppo abeliano G arbitrario: se X e una varieta orientata di dimensione n, allora imorfismi

Dc: Hk

comp(X ; G) → Hn−k(X ; G) e, per X compatta, D : Hk(X ; G) → Hn−k(X ; G)

sono isomorfismi. Inoltre, per G = Z2 , l’ipotesi che X sia orientabile puo essere rimossa (cio che serve e laZ

2-orientabilita, che e un’ipotesi vuota, cfr. inciso 8): per G = Z

2, D

ce un isomorfismo e, se X e compatta,

lo e anche D.

17 Qui, non chiediamo che siano chiuse in X. Naturalmente saranno localmente chiuse.

78

§ A1. Gruppi liberi e prodotto libero di gruppi.

Ogni gruppo contenente un dato insieme S conterra espressioni del tipo σj11 · ... · σ

jkk ,

σi ∈ S , ji ∈ Z . Per definizione, il gruppo libero su S e il gruppo di tali espressioni modulo

esclusivamente le relazioni “necessarie”, cioe del tipo σi·σj = σi+j e σ0 = 1. E opportuno

essere piu precisi:

Sia S un insieme. Consideriamo espressioni formali, che chiameremo S-parole, del tipo

(1) σ = σj11 · ... · σ

jkk , σi ∈ S , ji ∈ Z

(non si richiede che i vari σi , detti lettere, siano distinti, si considera anche la parola vuota).

(1.1) l’intero k ∈ N si chiama lunghezza di σ (l’espressione vuota ha lunghezza zero);

(1.2) il prodotto di S-parole si definisce nella maniera ovvia, cioe ponendo(σj1

1· ... · σjk

k

)·(τ ι11· ... · τ ιh

h

):= σj1

1· ... · σjk

k· τ ι1

1· ... · τ ιh

h

(si osservi che la parola vuota e un elemento neutro per il prodotto);

(1.3) una S-parola σj11· ... · σjk

ksi dice minimale se σi 6= σi+1 , i = 1, ..., k − 1 (lettere consecutive sono

distinte) e ji 6= 0, ∀ i, altrimenti si dice riducibile;

(1.4) una riduzione elementare di una S-parola e la S-parola che si ottiene sostituendo due termini consecutiviσi · σj (stessa lettera) con σi+j , ovvero cancellando lettere con esponente zero; una riduzione e unasequenza di riduzioni elementari;

(1.5) sull’insieme delle S-parole si considera la relazione d’equivalenza generata dalle riduzioni elementari:due S-parole σ e τ sono equivalenti se esiste una sequenza finita di S-parole

σ = ω0, ω

1, ... , ω

m−1, ω

m= τ

dove le S-parole ωie ω

i+1sono collegate da un passo elementare, i.e. una delle due si ottiene dall’altra

tramite una riduzione elementare, per i = 1, ..., m− 1.

A partire dalle S-parole, ci sono due modi equivalenti di definire il gruppo libero su un insieme S (cfr. def. 2e oss. 4).

Def. 2. Il gruppo libero su S e il gruppo delle classi d’equivalenza di S-parole col prodotto (1.2).

E chiaro che effettivamente si sia definito un gruppo:

(2.1) il prodotto di S-parole (1.2) e associativo nonche compatibile con la relazione d’equivalenza (1.5);

(2.2) l’elemento neutro e la S-parola vuota e l’inverso della S-parola σj11· ... ·σjk

ke la S-parola σ−jk

k· ... ·σ−j1

1.

Il lemma che segue ci permette di comprendere chi sono gli elementi di tale gruppo (cosa non affatto chiara apriori) nonche ha come corollario il fatto che il gruppo delle classi di equivalenza di S-parole appena introdottodi fatto coincide con il gruppo libero su S cosı come viene introdotto nell’osservazione (4).

Lemma 3. Ogni classe di equivalenza di S-parole ha un unico rappresentante minimale.

Dimostrazione. Data una S-parola σ consideriamo la “riduzione da destra”, che denoteremo con rdx(σ),

definita dall’algoritmo seguente: se σ e minimale non si fa nulla e l’algoritmo termina, se non lo e si effettuala riduzione elementare piu a destra, quindi si itera questa procedura (l’algoritmo termina perche la lunghezzadella parola diminuisce ad ogni passo). Due S-parole equivalenti σ e τ sono, per definizione, collegate da unasequenza come nella (1.5), assumendo che siano minimali si deve avere una catena di uguaglianze di S-parole

σ = rdx(σ) = r

dx(ω

0) = r

dx(ω

1) = ... = r

dx(ω

m−1) = r

dx(ω

m) = r

dx(τ) = τ

Le uguaglianze σ = rdx(σ) e τ = r

dx(τ) seguono da come e definita la riduzione da destra, le altre uguaglianze

seguono dal fatto che le riduzioni da destra di due parole collegate da un passo elementare coincidono (questosi verifica facilmente considerando i vari casi possibili, lo lasciamo come facile, ma non banale, esercizio).

Osservazione 4. Si puo considerare il gruppo MS delle S-parole minimali, essendo il prodotto definitodalla ricetta che segue: si scrive l’espressione a destra della (1.2) e la si riduce fino a renderla minimale (segia minimale, la riduzione consistera nel non fare nulla). Quanto appena introdotto e non ambiguo ed e un

79

gruppo. Infatti:

(4.1) partendo da un prodotto di due S-parole minimali, l’eventuale riduzione di cui sopra e univocamentedeterminata (essendo le due S-parole minimali, potra esserci qualcosa da ridurre solo a partire dal loro“punto di contatto”);

(4.2) il prodotto descritto e associativo (questo non e totalmente ovvio, ma si dimostra facilmente);

(4.3) elemento neutro e inversi (cosı come nella 2.2) hanno senso nel mondo delle parole minimali.

Come gia accennato, quanto appena visto da un modo equivalente di definire il gruppo libero su S : il lemma (3)di fatto ci dice che il morfismo naturale che ad una S-parola minimale associa la sua classe d’equivalenza, eun isomorfismo da MS al gruppo libero su S cosı come definito nella def. (2).

Il gruppo libero su S , che denotiamo con Free(S), e caratterizzato dalla seguente proprieta

universale:

(5) ∀ G

(gruppo)

ed f : S −→ G

(funzione)

, ∃ ! f : Free(S) −→ G

(morfismo di gruppi che estende f )

.

Dimostrazione. L’unicita di un tale f e immediata: si deve avere f (σj11· ... · σjk

k) = gj1

1· ... · gjk

k, essendo

gi := f(σi). Quanto all’esistenza, si definisce f su tutte le S-parole usando la formula indicata, quindi si

verifica che la definizione e ben posta (basta ragionare con parole che differiscono per una riduzione elementare).La funzione ottenuta e chiaramente moltiplicativa. In alternativa, per chi preferisce la definizione di gruppo

libero data nell’osservazione (4), si definisce f sulle S-parole minimali (sempre usando la formula indicata),quindi si verifica che e moltiplicativa.

Esempio. Se S = σ e costituito da un solo elemento, allora c’e un isomorfismo naturale

fσ : Free(S) −−−→ Z , σn 7→ n (e il morfismo che estende σ 7→ 1 ∈ Z, cfr. (5)).

Se S e costituito da due o piu elementi, allora Free(S) non e commutativo.

Def. 7. Il prodotto libero di una famiglia di gruppi Gσ σ∈S parametrizzata da un

insieme S , che denoteremo con∐σ∈S Gσ , e il gruppo delle classi d’equivalenza di espressioni

formali gσ1· ... · gσk:

σ ∈S

Gσ :=g = gσ1 · ... · gσk

∣∣ gσi∈ Gσi , σi ∈ S

dove il prodotto e definito nel modo naturale, cioe ponendo(gσ1 · ... · gσk

)·(hτ1 · ... · hτk

):= gσ1 · ... · gσk

· hτ1 · ... · hτke l’equivalenza e quella generata dalle riduzioni elementari che seguono:

• “sostituire gσ · hσ col loro prodotto in Gσ”;

• “omettere gli eventuali elementi neutri 1σ ∈ Gσ”.

Non si richiede che i vari σi siano distinti, si considera anche la parola vuota.

A parte l’assenza degli esponenti (che qui e non necessaria perche i vari Gσsono gruppi), valgono considerazioni

analoghe a quelle viste nel caso del gruppo libero su un insieme:

(7.1) la definizione e ben posta (cfr. (2.1) e (2.2));

(7.2) ogni elemento g ∈∐σ∈S Gσ ammette un unico rappresentante minimale (cfr. lemma (3)).

Avvertenza. Il prodotto libero di gruppi, in generale, non e un gruppo libero (il prodotto libero di gruppiliberi lo e).

Il prodotto libero di due gruppi H e G lo denoteremo con H⋆G . Occasionalmente useremo anche lenotazioni

G1⋆ ...⋆Gk (prodotto libero dei gruppi indicati) e G⋆k (prodotto libero di k copie di G)

80

Esempio 8. Sia S un insieme e, per ogni elemento σ ∈ S , sia σZ una copia di Z. C’e un isomorfismonaturale

Free(S) −−−→∐σ ∈S

σZ

(definito dalla proprieta universale (4) applicata ad f : S →∐σZ , σ 7→ 1 ∈ σZ). Cio rende possibile

vedere la definizione di gruppo libero su un insieme come caso particolare della definizione di prodotto liberodi gruppi: si definisce il prodotto libero di gruppi quindi si introduce il gruppo libero su un insieme come ilprodotto

∐σZ.

Oss. 9. Per ogni σ c’e un’inclusione canonica di gruppi iσ: Gσ →

∐Gσ , g 7→ g (all’elemento g ∈ Gσ

si associa l’espressione formale costituita dal solo elemento g).

Il prodotto libero di gruppi e caratterizzato dalla seguente proprieta universale:

per ogni gruppo H ed ogni collezione di morfismi

(10)ϕσ : Gσ −→ H

σ ∈S

esiste unico Φ che fa commutare il diagramma qui a lato

y ց ϕσ

∐Gσ −

Φ− → H

Gruppi abeliani liberi

Si puo ripetere quanto visto nella sezione precedente considerando espressioni formali modulo permutazioni,cosı facendo si costruisce il gruppo abeliano libero su un insieme. Come spesso accade per i gruppi abeliani,si preferisce una notazione additiva:

Def. 11. Il gruppo abeliano libero su un insieme S e il gruppo delle somme formali

σ =k∑i=1

niσi, σ

i∈ S , n

i∈ Z

(modulo permutazioni) con l’operazione di gruppo definita nella maniera naturale.

Naturalmente, i termini dove il coefficiente ni e nullo si considerano come se fossero assenti. L’elemento neutrodel gruppo e la somma vuota, i.e. quella dove k = 0.

Inciso 12. Tornando per un momento a quanto visto nella sezione precedente, nel gruppo libero su S (cfr. 2)modulo commutatori, ovvero modulo l’equivalenza generata dalle permutazioni, ogni elemento ammette unrappresentante del tipo

σ = σj11· ... · σjk

k, con i σi distinti e ji 6= 0 , ∀ i

unico a meno di permutazioni. Deve essere ben chiaro che il gruppo quoziente appena introdotto di fattodifferisce da quello della definizione (11) esclusivamente per un cambio di notazione: il passaggio da unanotazione additiva ad una moltiplicativa.

Osservazione 13. Un modo equivalente di introdurre il gruppo abeliano libero su S consiste nel definirlocome il gruppo delle funzioni

f : S −→ Z tali che l’insieme σ ∈ S | f(σ) 6= 0 e un insieme finito

dove l’operazione di gruppo e la somma di funzioni.

Il gruppo abeliano libero su S , che qui denotiamo con SZ, e caratterizzato dal fatto di essere il gruppoabeliano, unico a meno di isomorfismi di gruppi, soddisfacente la seguente proprieta universale:

(14) ∀ G

(gruppo abeliano)

, f : S −→ G

(funzione)

∃ ! f : SZ −→ G

(morfismo di gruppi che estende f )

81

Def. 15. Un gruppo abeliano libero e un gruppo abeliano isomorfo ad un qualche SZ.

(15.1) In un gruppo abeliano libero non esistono elementi di torsione (elementi σ 6= 0 con nσ = 0 per unqualche n 6= 0), naturalmente il viceversa non e vero: Q non e libero sebbene non abbia torsione.

(15.2) Dato un gruppo abeliano G, un suo sottoinsieme S si dice indipendente se il morfismo f : SZ −→ Gdato dalla proprieta universale e iniettivo, equivalentemente, se in G non esistono relazioni non banali

tra gli elementi di S (i.e. uguaglianze del tipo∑k

i=1 niσi = 0 con i σi ∈ S e gli ni ∈ Z non tuttinulli).

(15.3) Ogni sottogruppo di un gruppo abeliano libero e anch’esso un gruppo abeliano libero.

(15.4) Dato un gruppo abeliano G, se S e un insieme massimale indipendente, allora

cardinalita(S) ≥ cardinalita(S ′) per ogni S ′ indipendente

Le proprieta (15.3) e (15.4) non sono cosı ovvie come si potrebbe pensare. Per la dimostrazione e approfondi-menti rimandiamo lo studente ad un corso di algebra.

Esercizio. Si dimostri la (15.3) per il gruppo Zn e si dimostri la (15.4) nell’ipotesi che S sia un insiemefinito.

L’esistenza di insiemi massimali indipendenti e garantita dal lemma di Zorn (da applicarsi al sottoinsieme,dell’insieme delle parti di G, i cui elementi sono gli insiemi indipendenti), grazie alla (15.4) due insiemimassimali indipendenti hanno la stessa cardinalita e, di conseguenza, la definizione che segue risulta benposta.

Def. 16. Sia G un gruppo abeliano. Si definisce

rango(G) := “cardinalita di un insieme massimale indipendente”

82

§ A2. Algebra Omologica.

I risultati che trattiamo in questo paragrafo, e piu in generale che rientrano nell’ambito dell’algebra omologica,valgono in un contesto astratto molto generale, quello delle categorie abeliane. Questi risultati ci interessanoai fini dello studio dell’omologia singolare, ovvero come macchinario algebrico per lo studio dell’omologiadi complessi nella categoria dei gruppi abeliani. Da un lato e importante che passi l’idea che si tratta dirisultati generali, d’altro canto i complessi che si incontrano in omologia e coomologia (anche nello studio divarieta di differenziabili come il complesso di de Rham, o nello studio di varieta analitiche o algebriche) sonogeneralmente complessi nella categoria dei gruppi abeliani o in quella degli spazi vettoriali su un campo (disolito R o C). Una trattazione che tenga conto di cio consente di dare definizioni, teoremi e dimostrazioniin un linguaggio piu comprensibile. Per le ragioni esposte almeno in questa prima sezione usiamo un termineproprio della teoria delle categorie, il termine “oggetto”, avvertendo chi legge che tale termine puo essereletto intendendo indifferentemente “gruppo abeliano” o “spazio vettoriale”; conseguentemente, col termine“morfismo” si intende “morfismo di gruppi abeliani” ovvero, nel caso si pensi agli oggetti come spazi vettoriali,si intende “applicazione lineare”. (Sottolineiamo che per la lettura di cio che segue non c’e alcun bisogno diconoscere cos’e una categoria. Comunque, nell’ultima sezione di questo paragrafo diamo una breve introduzionealla teoria delle categorie).

Dato un morfismo f : A −→ B di oggetti (= gruppi abeliani/spazi vettoriali) A e B

denotiamo nucleo, immagine e conucleo di f rispettivamente con

kerf(nucleo di f)

, Imf(immagine di f)

, cokerf(conucleo di f)

(essendo il conucleo di un morfismo f : A −→ B definito come il quoziente B/Imf ).

Def. 1. Un complesso di catene C• e una sequenza di morfismi detti bordi

(1.1) . . . −−→ Ci+1∂i+1−−−→ Ci

∂i−−−→ Ci−1 −−→ . . .

soddisfacente ∂i ∂i+1 = 0, per ogni i.

Naturalmente, l’intero i puo variare in Z come pure in un suo intervallo finito o infinito, ad esempio N.

Convenzione 1.2. All’occorrenza, qualora tale intero vari in un intervallo proprio di Z, si assumono ugualia zero gli oggetti e i morfismi non definiti.

Def. 2. Si definisce l’omologia in grado n di un complesso di catene C• (def. 1) ponendo

(2.1) Hn(C•) =ker ∂nIm ∂n+1

Gli elementi in Im ∂n+1 vengono chiamati n-bordi, quelli in ker ∂n vengono chiamati n-cicli.

Nota 2.2. La condizione ∂n ∂n+1 = 0 (def. 1) equivale alla condizione Im ∂n+1 ⊆ ker ∂n .

Inciso 3. Nel complesso (1.1) gli indici decrescono, per questa ragione parliamo di complesso discendente dicatene. Se gli indici crescono parliamo di complesso ascendente di cocatene e gli indici vengono posti in alto:

. . . −−→ Ci−1di−1−−−→ Ci

di−−→ Ci+1 −−→ . . .

In questo caso si definisce la coomologia del complesso C• ponendo Hn(C•) =kerdn

Imdn−1. Il prefisso “co” sta

a sottolineare che si tratta di un complesso ascendente, si usera tale prefisso anche nell’indicare gli elementi dikerdn (cocicli) e quelli di Imdn−1 (cobordi). Naturalmente, tutti i risultati di questo paragrafo valgono ancheper i complessi ascendenti.

Def. 4. Una successione di morfismi si dice esatta se l’immagine di ogni morfismo coincidecol nucleo del successivo.

83

Ad esempio, la successione (1.1) e esatta se risulta ker∂i = Im∂i+1 , ∀ i (i.e. C• ha omologia nulla). Inparticolare:

• dire che Bf−→C

g−→D e esatta equivale a dire che Imf = kerg ;

• dire che C −→ D −→ 0 e esatta equivale a dire che il morfismo C −→ D e suriettivo;

• dire che 0 −→ B −→ C e esatta equivale a dire che il morfismo B −→ C e iniettivo;

• dire che la successione 0 −→ C −→ C′ −→ 0 e esatta equivale a dire che il morfismo C −→ C′ e unisomorfismo;

Si sara notato che, parlando di esattezza, la convenzione (1.2) non si applica.

Def. 4.1. Una successione esatta del tipo

0 −−−→ Bf

−−−→ Cg

−−−→ D −−−→ 0

viene chiamata successione esatta corta.

Esercizio 4.2. Si verifichi che per la successione esatta corta della definizione (4.1) ci sono delle identificazioninaturali

B = ker g e D = coker f

(in particolare, il primo dei due morfismi al centro e iniettivo ed il secondo e suriettivo).

Notazione 5. Si puo considerare C• come oggetto graduato ⊕Cn dotato di un endomorfismo (=morfismoin se stesso) ∂ : C• → C• di grado −1 di oggetti graduati (in generale, un oggetto graduato e una sommadiretta di oggetti indicizzati da un intero e un morfismo di oggetti graduati si dice di grado d se gli oggettidi grado k vengono mandati in quelli di grado k + d). Si osservi che la condizione “ ∂i ∂i+1 = 0, ∀ i” siriassume nella formula ∂ ∂ = 0.

Def. 6. Un morfismo di complessi f : C• −→ D• e un morfismo

f : ⊕Cn −→ ⊕Dn di grado zero18 che commuta con i bordi,

i.e. soddisfa la relazione f ∂ = δ f (dove ∂ e δ denotano rispettivamente il bordo in C•

ed il bordo in D•). Detto in termini piu estesi, e una collezione di morfismi fn come neldiagramma

(6.1)

. . . −−−→ Cn+1∂n+1−−−→ Cn

∂n−−−→ Cn−1∂n−1−−−→ Cn−2 −−−→ . . .yfn+1

yfnyfn−1

yfn−2

. . . −−−→ Dn+1δn+1−−−→ Dn

δn−−−→ Dn−1δn−1−−−→ Dn−2 −−−→ . . .

soddisfacente la proprieta che ogni quadrato commuti (i.e. δn fn = fn−1 ∂n , ∀ n).

Oss. 7. Un diagramma commutativo

A∂

−−−→ A′

f

yyf ′

−−−→ B′

induce morfismi f |ker∂

: ker ∂ −→ ker δ e f ′|Im∂

: Im ∂ −→ Im δ ,

i.e. risulta f(ker∂) ⊆ kerδ e f ′(Im∂) ⊆ Imδ.

Come corollario di quanto appena osservato, a morfismi di complessi corrispondono morfismi

in omologia:

(8.1)un morfismo di complessi f : C• −→ D•

induce morfismi in omologia f⋆ : Hn(C•) −→ Hn(D•)

definiti associando ad una classe d’omologia la classe dell’immagine di un suo rappresentante.

18 Salvo diversamente specificato.

84

Dimostrazione. Che gli f⋆ siano ben definiti segue dall’osservazione (7): per la (i), se un elemento in α ∈ Cnrappresenta una classe d’omologia, i.e. ha bordo nullo, anche la sua immagine f(α) ha bordo nullo, ovverorappresenta una classe in Hn(D•); per la (ii), se α ed α′ rappresentano la stessa classe, ovvero differisconoper un bordo, anche le loro immagini differiscono per un bordo. Che siano morfismi segue dal fatto che, essendof un morfismo, gia a livello di rappresentanti viene rispettata l’operazione di gruppo.

Una proprieta evidente (di fatto tautologica), ma fondamentale, dei morfismi indotti inomologia e la funtorialita:

(8.2) (g f)⋆ = g⋆ f⋆ ,(IdC•

)⋆

= IdH•(C•)

dove f : C• −→ D• e g : D• −→ E• sono morfismi di complessi ed Id sta per “identita”.

Esercizio 8.3. Sia i : C• → D• un’inclusione di complessi di catene. Provare che se ogni classe in Hn(D•)ammette un rappresentante α ∈ Cn, allora il morfismo indotto i⋆ : Hn(C•) −→ Hn(D•) e suriettivo.

Non vale un risultato analogo per l’iniettivita: nel caso dell’esempio a lato, puressendo nelle ipotesi dell’esercizio (inclusione di complessi di catene dove ogniclasse di omologia del codominio ammette un rappresentante nel dominio), ilmorfismo indotto in omologia non e iniettivo.

0 −→ 0 −→ Z −→ 0↓ ↓ Id

0 −→ ZId−−→ Z −→ 0

Avendo a disposizione la nozione di morfismo di complessi (cfr. def. 6), possiamo parlare di successioni dicomplessi. Il lemma che segue mette in relazione i gruppi di omologia dei complessi di una successione esattacorta di complessi.

Lemma 9. Una successione esatta corta di complessi di catene

(♣) 0 −−−→ B•β

−−−→ C•γ

−−−→ D• −−−→ 0

induce una successione esatta lunga in omologia

... −−−→ Hn(B•)β⋆

−−−−→ Hn(C•)γ⋆

−−−−→ Hn(D•)δ

−−−→ Hn−1(B•) −−−→ ...

Dove δ e il morfismo di incollamento definito sotto (9.1). In termini estesi, la successione (♣) e un enormediagramma commutativo ...

......y

yy

0 −−→ Bn+1β

−−−→ Cn+1γ

−−−→ Dn+1 −−→ 0y∂

y∂y∂

0 −−→ Bnβ

−−−→ Cnγ

−−−→ Dn −−→ 0y∂

y∂y∂

0 −−→ Bn−1β

−−−→ Cn−1γ

−−−→ Dn−1 −−→ 0y

yy

......

...

dove ogni riga e esatta e dove le colonne sono complessi.

Nota 9.1. Il morfismo δ , detto morfismo di incollamento, e definito come segue: data una classe in Hn(D•)si sceglie un rappresentante d ∈ Dn (con ∂d = 0), questo si solleva a c ∈ Cn , vi si associa ∂c ∈ Cn−1 ,quest’ultimo (che soddisfa γ∂c = ∂γc = ∂d = 0) si solleva a b ∈ Bn−1 , di tale b se ne prende la classed’omologia. L’ultimo sollevamento, essendo β iniettiva, e unico; quanto alla scelta del rappresentante d e delsollevamento d c, una scelta differente conduce ad un risultato finale b′ con b − b′ ∈ ∂Bn , cioe con b eb′ che definiscono la stessa classe di omologia (per esercizio).

85

La dimostrazione del lemma (9) si riduce ad una serie di verifiche, l’esattezza nei vari punti della successione.Ad esempio, l’esattezza in Hn(C•) , che e l’uguaglianza Imβ⋆ = kerγ⋆ in grado n, per quanto concernel’inclusione “⊆” segue dall’uguaglianza γβ = 0 (e dalla funtorialita), mentre per quanto concerne l’inclusione“⊇” si deve lavorare un po’ di piu:

[c] ∈ kerγ⋆ =⇒ ∃ d′ ∈ Dn+1 | ∂d′ = γ(c) =⇒(1)∃ c′ ∈ Cn+1 | c− ∂c′ ∈ kerγ

=⇒(2)∃ b ∈ Bn |β(b) = c− ∂c′ e ∂b = 0 =⇒ [c] ∈ Imβ⋆

(in (1) utilizziamo la suriettivita di γ, in (2) utilizziamo l’esattezza in Cn e l’iniettivita di β). Lasciamo leverifiche rimanenti (esattezza in Hn(B•) ed esattezza in Hn(D•)) per esercizio.

Nota 9.2. Data un’inclusione di complessi di catene B• → C• e possibile considerare il complesso quozienteC•/B• e scrivere la successione esatta corta di complessi di catene

0 −−→ B•ι

−−−→ C•π

−−−→ C•/B• −−→ 0

(ci si convinca del fatto che la proiezione naturale π sia effettivamente un morfismo di complessi di catene).Conseguentemente si puo scrivere la successione esatta lunga in omologia data dal lemma (9):

... −−→ Hn(B•)ι⋆−−−→ Hn(C•)

π⋆−−−−→ Hn(C•/B•)δ

−−−→ Hn−1(B•) −−→ ...

Def. 10. Due morfismi di complessi f , g : C• −→ D• si dicono omotopi se esiste

J : C• −→ D• di grado 1 soddisfacente la relazione δ J + J ∂ = f − g . In formule:

(10.1) f ∼omotopo g ⇐⇒ ∃ J ∈ Hom1(C•, D•)∣∣ δ J + J ∂ = f − g

In termini piu estesi, un’omotopia di complessi e una collezione di morfismi jn

come nel diagramma

. . . −−−−→ Cn+1∂n+1−−−−→ Cn

∂n−−−−→ Cn−1∂n−1−−−−→ Cn−2 −−−−→ . . .

f

yyg ւjn f

yyg ւj

n−1f

yyg ւj

n−2f

yyg

. . . −−−−→ Dn+1 −−−−→δn+1

Dn −−−−→δn

Dn−1 −−−−→δn−1

Dn−2 −−−−→ . . .

soddisfacenti δn+1 j

n+ j

n−1 ∂

n= f

n− g

n, ∀ n .

L’omotopia di morfismi di complessi di catene e una relazione d’equivalenza. Inoltre, e compatibile con lacomposizione, questa seconda affermazione si traduce nella seguente implicazione

(10.2) C•f−→−→g

D•h−→−→

t

E• , f ∼omotopo

g, h ∼omotopo

t =⇒ h f ∼omotopo

t g

La dimostrazione delle due affermazioni e un conto, la lasciamo per esercizio. Si osservi che come corollarioimmediato si deduce che se f : C• → C• e omotopicamente banale, i.e. f ∼

omotopoId

C•, allora anche le

potenze di f sono omotope all’identita di C• .

Come gia osservato, un morfismo di complessi induce morfismi in omologia (cfr. 8.1). Vale il seguente risultatofondamentale:

Teorema 11. Morfismi di complessi f , g : C• −→ D• omotopi inducono lo stesso

morfismo in omologia:

f ∼omotopo g =⇒ f⋆ = g⋆ : Hn(C•) −→ Hn(D•) , ∀ n .

Dimostrazione. Se α ∈ Cn rappresenta una classe d’omologia, si ha (f−g)(α) = (δn+1j

n+ j

n−1∂

n)(α) =

0 ∈ Hn(D•). Infatti, δn+1 j

n(α) e nullo in omologia in quanto e un bordo, si ha (j

n−1 ∂

n)(α) = 0

semplicemente perche ∂nα = 0.

86

Def. 12. Un inverso omotopico di un morfismo di complessi f : C• −→ D• e un morfismo

h : D• −→ C•

∣∣ h f ∼omotopo IdC• e f h ∼omotopo IdD•

Se un tale inverso omotopico esiste, f si dice equivalenza omotopica.

Come al solito, “Id” sta per identita, per cui IdC•

= “identita su C•” e IdD•

= “identita su D•”.

Osservazione 12.1. Come accade in casi del genere, se f ha un “inverso sinistro” h ed un “inverso destro”h′ , allora si deve avere

h = h IdD•∼ h (f h′) = (h f) h′ ∼ Id

C• h′ = h′ e, di conseguenza,

f h ∼ f h′ ∼ IdD•, h′ f ∼ h f ∼ Id

C•

(usiamo la 10.2). In altri termini, se esistono sia inversi omotopici sinistri che destri, allora coincidono gli unicon gli altri. Il conto appena fatto ci dice anche che l’inverso omotopico di un morfismo di complessi e unicoa meno di omotopia di complessi: se h ed h′ sono inversi omotopici di f , allora sono omotopi (e gia scrittonel rigo in evidenza).

Corollario 13. Se f : C• −→ D• e un’equivalenza omotopica ed h una sua inversa, allora

i morfismi indotti in omologia f⋆ e h⋆ sono l’uno l’inverso dell’altro,

in particolare sono isomorfismi.

Dimostrazione. Per il Teorema (11) si deve avere

h⋆ f⋆ =(Thm 11)

(IdC•

)⋆ = IdHn(C•)

e f⋆ h⋆ =(Thm 11)

(IdD•

)⋆ = IdHn(D•)

, ∀ n

(che l’identita su un complesso induca l’identita in omologia e ovvio).

Tutto questo suggerisce la definizione che segue:

Def. 14. Un morfismo di complessi f : C• −→ D• si dice equivalenza debole se induceisomorfismi in omologia.

Vale la pena ribadirlo, il corollario (13) ci dice quanto segue:

l’equivalenza omotopica implica l’equivalenza debole, ovvero induce isomorfismi in omologia

Un caso interessante e quello di un’inclusione di complessi:

Esercizio 14.1. Sia ι : B• → C• un morfismo iniettivo di complessi liberi di catene (i vari Bn e Cnsono gruppi abeliani liberi). Provare che le affermazioni che seguono sono equivalenti tra loro:

i) ι e un’equivalenza debole;

i′) il complesso quoziente C•/B• (cfr. nota 9.2) e esatto, i.e. ha omologia nulla in ogni grado;

ii) ∀ c ∈ Cn tale che ∂c ∈ Bn−1 , ∃ b ∈ Bn , c′ ∈ Cn+1

∣∣ c = b + ∂c′

(e molto piu che chiedere che ogni classe in Hn(C•) ammetta un rappresentante in Bn);

iii) ι e un’equivalenza omotopica.

Suggerimento. L’equivalenza tra i) e i′) segue immediatamente dalla successione esatta lunga in omologia(cfr. 9.2)

... −−→ Hn+1(C•/B•)δ

−−−→ Hn(B•)ι⋆−−−→ Hn(C•)

π⋆−−−−→ Hn(C•/B•) −−→ ...

L’equivalenza tra i) e ii) puo essere dimostrata sia direttamente che passando per la i′).

Che la iii) implichi le altre ce lo dice il Teorema (11). La cosa piu difficile e provare il viceversa: cioe, assumendola ii), definire un morfismo : C• → B• in modo che vi siano delle equivalenze omotopiche ι ∼ Id

C•e

ι ∼ IdB•

(si inizi col caso, piu facile, quello dove il complesso B• e il complesso nullo: in questo caso sidovra provare che se C• e esatto allora Id

C•∼ 0).

87

Lemma (dei cinque) 15. In un diagramma come quello indicato, avente righe esatte,

A∂−−→ B

∂−−→ C

∂−−→ D

∂−−→ Eyα

yβyγ

yδyǫ

A′ ∂−−→ B′ ∂

−−→ C ′ ∂−−→ D′ ∂

−−→ E′

se α, β, δ, ǫ sono isomorfismi, allora anche il morfismo al centro γ e un isomorfismo.

Il lemma dei cinque si dimostra con la tecnica del “diagram chasing” (lasciamo la dimostrazione come esercizio).Quello che segue e un utile corollario.

Corollario 15.1. Dato un diagramma commutativo di complessi di catene

0 −−−→ A•j

−−−→ B•π

−−−−→ C• −−−→ 0yαyβ

0 −−−→ A′•j′

−−−−→ B′•π′

−−−−→ C′• −−−→ 0

se due morfismi verticali (non importa quali dei tre) inducono isomorfismi in omologia, anche il rimanentemorfismo induce un isomorfismo in omologia. Ad esempio, se α⋆ e β⋆ sono isomorfismi, anche γ⋆ e unisomorfismo.

Dimostrazione. E sufficiente applicare il lemma dei cinque al diagramma commutativo

... −−−→ Hn(A•) −−−→ Hn(B•) −−−→ Hn(C•) −−−→ Hn−1(A•) −−−→ Hn−1(B•) −−−→ ...yα⋆

yβ⋆

yγ⋆yα⋆

yβ⋆

... −−−→ Hn(A′•) −−−→ Hn(B

′•) −−−→ Hn(C

′•) −−−→ Hn−1(A

′•) −−−→ Hn−1(B

′•) −−−→ ...

(dove le righe sono le successioni esatte lunghe relative alle due righe del diagramma dato).

Concludiamo questa sezione con dei risultati, in parte proposti come esercizio, che ci saranno utili in seguito.

Esercizio 16. Si verifichi che data una successione esatta Aλ−→B −→ C −→ D

µ−→E , c’e una successione

esatta corta0 −→ cokerλ −→ C −→ kerµ −→ 0 .

Esercizio 17. Si consideri una successione esatta corta di gruppi abeliani

(17′) 0 −−→ Bj−−→ C

q−−→ D −−→ 0 .

Verificare che le condizioni che seguono sono equivalenti

i) ∃ s : D −→ C | q s = IdD

;

ii) ∃ π : C −→ B | π j = IdB;

iii) esiste un diagramma commutativo ( i1e π

2sono l’inclusione nel primo fattore e la proiezione sul secondo)

0 −−→ Bj−−→ C

l ∼=

q−−→ D −−→ 0 .

B ⊕Di1ց րπ

2

Definizione 17.1. Una successione esatta corta che soddisfi una (tutte) le condizioni di cui sopra si dice chespacca.

Esempio 17.2. Se D e un gruppo abeliano libero, la successione (17′) spacca. Infatti, in questo caso esufficiente fissare una base di D e definire s : D → C scegliendo preimmagini degli elementi della base edestendendo linearmente.

Esempio 17.3. La successione esatta 0 −→ Z·2−→ Z

π−→ Z

2−→ 0 non spacca (nonostante i primi

due gruppi siano gruppi liberi).

88

Il prodotto tensoriale ed il funtore “Tor”.

Per comodita ricordiamo brevemente la definizione di prodotto tensoriale. Dati due gruppi abeliani A e B sidefinisce il prodotto tensoriale di A con B come il gruppo abeliano libero generato dal prodotto cartesianoA×B modulo il sottogruppo delle relazioni naturali :

(18.1) A⊗B =∑

ni (ai ⊗ bi)∣∣ ni ∈ Z, ai ∈ A, bi ∈ B

〈 (a+ a′)⊗ b− a⊗ b− a′ ⊗ b , a⊗ (b+ b′)− a⊗ b− a⊗ b′ 〉

dove “〈 ... 〉” sta per “sottogruppo generato da ...”. Per gli elementi del prodotto tensoriale si usa la notazionea⊗ b (per abuso di notazione, nella 18.1 abbiamo usato questa stessa simbologia per i generatori del prodottotensoriale).

Se V e W sono spazi vettoriali su un campo K si da una definizione analoga:

(18.2) V ⊗KW =

λi (vi ⊗ wi)∣∣ λi ∈ K, vi ∈ V, wi ∈ W

〈 (λv+µv′)⊗ w − λ(v ⊗w)− µ(v′⊗ w) , v ⊗ (λw+µw′)− λ(v ⊗w)− µ(v ⊗w′)〉

Si verifica senza difficolta, almeno nel caso di spazi di dimensione finita, che se bi e una base di V e di euna base di W , allora l’insieme bi⊗di e una base di V ⊗

KW (in particolare, dimV ⊗

KW = dimV ·dimW ).

Nota. Piu in generale, se A e un anello commutativo, V e W sono A-moduli, si definisce V ⊗AW in modoanalogo: come l’A-modulo libero generato dagli elementi di V ×W , modulo la relazione compatibile con lastruttura di A-modulo generata dalle uguaglianze a(v ⊗ w) = (av) ⊗ w = v ⊗ (aw) , (v + v′) ⊗ w =v⊗w+ v′ ⊗w , v⊗ (w+w′) = v⊗w+ v⊗w′ , dove a ∈ A, v ∈ V, w ∈ W . Ogni gruppo abeliano e unoZ-modulo e, per i gruppi abeliani, la definizione appena data si specializza alla (18.1) (e, naturalmente, pergli spazi vettoriali si specializza alla definizione 18.2).

Per quanto concerne la proprieta universale del prodotto tensoriale rimandiamo lo studente ad un testo dialgebra.

Funtorialita. Un morfismo di gruppi abeliani f : A −→ B induce un morfismo A ⊗ Gf⊗Id

G−−−−→ B ⊗ Gnaturale. Cio rende la tensorizzazione funtoriale: fissato un gruppo abeliano G, risulta

(19) (g f)⊗ IdG

= (g ⊗ IdG) (f ⊗ Id

G) , Id

A⊗ Id

G= Id

A⊗G

(f : A → B, g : B → C sono morfismi di gruppi, e, come sempre, Id sta per “identita”).

Come conseguenza importante della funtorialita si ha che

(19.1) il prodotto tensoriale con un gruppo abeliano G porta complessi di catene in complessi di catene

Infatti, se C• e un complesso di catene, risulta (∂IdG)(∂Id

G) = (∂∂)⊗Id

G= 0 (cfr. def. 1 e notazione 5).

D’altro canto la tensorizzazione con G non conserva l’esattezza, in effetti non mantiene l’iniettivita dei mor-fismi, ad esempio, pur essendo Z → Q un morfismo iniettivo, il morfismo associato Z ⊗ Z2 −→ Q ⊗ Z2

non lo e (ne potrebbe esserlo, visto che Z⊗ Z2 = Z2 mentre Q⊗ Z2 = 0). In ogni modo,

(19.2) la tensorizzazione con un gruppo abeliano e esatta a destra, i.e. se Ai−→ B

π−→ C −→ 0 e

una successione esatta di gruppi abeliani, allora tensorizzando con un gruppo abeliano si mantienel’esattezza a destra:

la successione A⊗Gi⊗Id

G−−−−→ B ⊗Gπ⊗Id

G−−−−→ C ⊗G −−−→ 0 e esatta (G arbitrario);

(19.3) la tensorizzazione con un gruppo abeliano libero e esatta, i.e. se 0 −→ Ai−→ B

π−→ C −→ 0

e una successione esatta di gruppi abeliani, tensorizzando con un gruppo abeliano libero si mantienel’esattezza:

la successione 0 −−−→ A⊗Gi⊗Id

G−−−−→ B ⊗Gπ⊗Id

G−−−−→ C ⊗G −−−→ 0 e esatta (G libero).

Questi due risultati non sono difficili, per quel che riguarda la (19.2) rimandiamo ad un testo di algebra.

Dimostrazione (della 19.3). Un gruppo abeliano libero e una somma diretta di copie di Z, d’altro canto latensorizzazione commuta con le somme dirette. Questo permette di ridursi al caso dove G = Z (caso che ebanale, essendo la tensorizzazione con Z, di fatto, l’identita).

89

Def. 20. Sia A un gruppo abeliano. Una risoluzione libera L• = L•(A) e una successioneesatta

L• = ... −−−→ L3∂3−−−→ L2

∂2−−−→ L1∂1−−−→ L0

π−−−→ A −−−→ 0

dove gli Li sono gruppi abeliani liberi (n.b. A e in grado −1).

Innanzi tutto, osserviamo che esistono risoluzioni libere di ogni gruppo abeliano. Infatti, dato A, basta prendereil gruppo libero su un insieme di generatori di A (ad esempio, lo stesso insieme A), questo sara il nostro L0 esara dotato di un morfismo π : L0 → A, quindi prendere il gruppo abeliano libero generato dal nucleo di π,e, induttivamente, prendere quello generato da ker∂i . In effetti, poiche i sottogruppi di un gruppo abelianolibero sono gruppi abeliani liberi (§A1, 15.3), esiste una risoluzione libera di A del tipo “generatori / relazioni”,cioe del tipo

(20.1) 0 −−→ R∂−−→ F −−→ A −−→ 0

(L0= F = “gruppo libero su un insieme di generatori”, L

1= R = “sottogruppo delle relazioni”).

Il lemma che segue (21) ci dice che risoluzioni libere di uno stesso gruppo abeliano sono omotope, in altritermini un gruppo abeliano ammette un’unica risoluzione libera modulo omotopia.

Lemma 21. Siano L• e L′• due risoluzioni libere di un gruppo abeliano A. Si ha che esiste un’equivalenzaomotopica di complessi

ω : L• −→ L′• tale che ω−1= Id

A(identita su A)

(i.e. L• e unico a meno di omotopia).

Dimostrazione. La dimostrazione poggia su due affermazioni tecniche (che non dimostriamo):

i) esiste un morfismo ω : L• −→ L′• ; ii) due tali morfismi ω e ϕ sono necessariamente omotopi.

(operativamente, sia per la costruzione di ω che per la costruzione dell’omotopia tra ω e ϕ si procedeper induzione). Detto cio si conclude facilmente: scambiando i ruoli di L• e L′• deve esistere un morfismoω′ : L′• −→ L• e, per la ii), le composizioni ω′ω e ωω′ devono essere omotope rispettivamente all’identitasu L• e all’identita su L′• .

Def. 22. Siano A e B gruppi abeliani, sia inoltre L• una risoluzione libera di A. Si pone

Tor(A, B) := H1(L• ⊗ B) =ker (∂1⊗Id

B)image (∂2⊗Id

B)

La definizione e ben posta, ovvero il gruppo Tor(A, B) non dipende dalla risoluzione L• scelta. Infatti,essendo il prodotto tensoriale con B funtoriale, a due risoluzioni L• e L′• (necessariamente omotopicamenteequivalenti per il lemma 21), corrispondono complessi di catene L•⊗B e L′•⊗B anch’essi omotopicamenteequivalenti, che pertanto hanno gruppi di omologia isomorfi (cfr. Teorema 11 e Corollario 14).

Usando la risoluzione libera “generatori / relazioni” (20.1), essendo ∂2 = 0 e ∂1 = ∂, si

ottiene

(22.1) Tor(A, B) = ker(∂ ⊗ Id

B: R ⊗B −−−→ F ⊗B

).

Inciso 23. Quello visto e un caso particolare di una teoria piu generale. Si definiscono i funtori derivati di“⊗B” ponendo

Tori(A, B) = Hi

(L·• ⊗B

)

dove L·• denota il complesso associato ad una risoluzione libera L• (def. 20), definito cassando il termine A:

L·• := ... −−→ L3∂3−−→ L2

∂2−−→ L1∂1−−→ L0

∂0−−→ 0 .

Si osservi che L·• e caratterizzato dalla proprieta di essere un complesso di gruppi liberi, nullo nei gradi negativi,soddisfacente le identita H0(L

·•) = A, Hi(L

·•) = 0 , ∀ i 6= 0 (la sua omologia in grado zero coincide con A ed

e un complesso esatto nei gradi strettamente positivi). I complessi L•⊗B e L·•⊗B hanno la stessa omologianei gradi strettamente positivi (semplicemente perche coincidono nei gradi non negativi). Quanto al gruppo

90

Tor0(A, B), risulta Tor0(A, B) := H0(L·•⊗B) = F⊗B/Im(R⊗B) = A⊗B dove l’ultima uguaglianza segue

dall’esattezza a destra, precisamente dall’esattezza della successione R⊗B −→ F ⊗B −→ A⊗B −→ 0 (einteressante osservare che dall’esattezza di questa successione segue lo svanimento H0(L• ⊗ B) = 0, per cuise si usasse il complesso L• invece del complesso L·• , in grado zero si otterrebbe il gruppo nullo). Essendo larisoluzione (20.1) nulla nei gradi i ≥ 2, risulta Hi(L• ⊗B) = 0 per i ≥ 2. Riassumendo:

Tor0(A, B) = A⊗B , Tor1(A, B) = Tor(A, B) , Tori(A, B) = 0 per i ≥ 2 .

Esercizio. Si verifichi quanto segue:

(23.1) Se G e un gruppo abeliano libero, allora Tor(A, G) = 0 ;

(23.2) Tor(Zm, B) = kerB·m−−→ B (nucleo della moltiplicazione per m).

Suggerimento: Per la (23.1), si applichi alla (20.1) il fatto che la tensorizzazione con G mantiene l’esattezza

(cfr. 19.3). Per la (23.2), si tensorizzi con B la risoluzione libera 0 −→ Z·m−−→ Z −→ Zm −→ 0 , quindi

si applichi la definizione (22.1).

Stabiliamo ora alcune conseguenze elementari della teoria svolta.

Corollario 24. Se 0 −→ R∂−→ F −→ A −→ 0 e una successione esatta di gruppi abeliani ed F e

libero, allora la tensorizzazione con un gruppo abeliano B da la successione esatta

(24.1) 0 −−−→ Tor(A, B) −−−→ R⊗B∂⊗Id

B−−−−→ F ⊗B −−−→ A⊗B −−−→ 0

Dimostrazione. Il gruppo R e libero in quanto sottogruppo di F che e libero per ipotesi (§A1, 15.3), ne segueche quella data e una risoluzione libera di A. L’esattezza della (24.1) segue dall’esattezza a destra (19.2) edalla definizione stessa di Tor(A, B) (cfr. 22.1).

In particolare, se A e un gruppo abeliano libero, si puo prendere F = A ed R = 0 (e nella 24.1 si haR ⊗B = 0). Pertanto:

(24.2) Tor(A, B) = 0 (se A e un gruppo abeliano libero).

Corollario 25. Tensorizzando con un gruppo abeliano arbitrario G una successione esatta di gruppi abelianiliberi

Ln −→ Ln−1 −→ ... −→ L2−→ L

1−→ L

0−→ 0

si ottiene una successione esatta (in particolare, cio vale anche per le successioni dove a sinistra c’e il grupponullo!).

Dimostrazione. Quella indicata, puo essere interpretata come troncamento al grado n di una risoluzionelibera del gruppo nullo (omotopa alla successione nulla per il lemma 21), la tensorizzazione con G ne conserval’esattezza per il ragionamento che segue la definizione 22 (oppure, se preferite, perche se L• = L·• e unarisoluzione libera del gruppo nullo, si deve avere HiL• ⊗G = Tori(0, G) = 0, ∀ i).

Sebbene la definizione non sia simmetrica, dati due gruppi abeliani A e B c’e un isomor-fismo naturale

(26) Tor(A, B) ∼= Tor(B, A)

Dimostrazione. Consideriamo risoluzioni libere generatori/relazioni di A e di B , rispettivamente

0 −→ RA∂−→ FA −→ A −→ 0 , 0 −→ RB

δ−→ FB −→ B −→ 0 .

Tensorizzando la risoluzione di B con RA e con FA , per la (19.3) si ottengono due successioni esatte

0 → RB ⊗RA → FB ⊗RA → B ⊗RA → 0 e 0 → RB ⊗ FA → FB ⊗ FA → B ⊗ FA → 0 .

Queste due successioni esatte possono essere scritte nel diagramma che segue

91

0 0 0

↓ ↓ ↓

0 −−→ RB ⊗RA −−→ FB ⊗RA −−→ B ⊗RA −−→ 0yαyβ

0 −−→ RB ⊗ FA −−→ FB ⊗ FA −−→ B ⊗ FA −−→ 0↓ ↓ ↓0 0 0

dove i morfismi verticali α, β e γ sono rispettivamente IdRB⊗ ∂ , Id

FB⊗ ∂ e Id

B⊗ ∂ (∂ : RA → FA come

sopra). Sappiamo che le righe del diagramma sono esatte, d’altro canto le colonne sono complessi per ragionibanali. Di conseguenza, il diagramma e una successione esatta corta di complessi (verticali). La corrispondentesuccessione esatta lunga in omologia e la successione

(26.1) 0 −−→ ker α

(= 0)

−−→ ker β

(= 0)

−→ ker γ

(∼= Tor(A, B))

δ−−→ RB ⊗A

ω−−→ FB ⊗A −−→ B ⊗ A −−→ 0

(essendo δ il morfismo di incollamento). Per quel che concerne i risultati tra parentesi, i morfismi α e β sonoiniettivi in quanto si ottengono tensorizziamo a sinistra ∂ : RA −→ FA (che e un morfismo iniettivo) con ungruppo libero, inoltre risulta

ker γ = ker(B ⊗RA −→ B ⊗ FA

)∼= ker

(RA ⊗B −→ FA ⊗B

):=

(22.1)

Tor(A, B)

A questo punto abbiamo concluso:ker γ ∼= ker ω = Tor(B, A)

dove l’isomorfismo segue dall’esattezza della (26.1), ed e naturale in quanto dato dal morfismo di incollamento δ,l’uguaglianza segue dalla definizione stessa di Tor(B, A) .

Alla luce dell’isomorfismo (26), la (23.1) e la (24.2) sono le due facce di una stessa medaglia: Tor(A, B) = 0se uno dei due gruppi in questione e libero. In effetti vale un risultato piu forte:

(27) Tor(A, B) = 0 se uno dei due gruppi in questione e privo di torsione

(questo risultato non lo dimostriamo).

92

Il teorema dei coefficienti universali.

Dato un complesso di catene libero (C•, ∂) ed un gruppo abeliano G, consideriamo il

complesso

(28) (C• ⊗G , ∂G

:= ∂ ⊗ IdG) (Id

Gdenota l’identita su G)

detto complesso delle catene a coefficienti in G .

Nota 28.1. Poiche C• e libero, si identifica con l’insieme delle espressioni del tipo∑niσi, essendo S = σi

un insieme di generatori e gli ni interi (cfr. §A1, 5). Il complesso (C• ⊗G, ∂G) non e altro che il complesso

ottenuto considerando le espressioni del tipo∑niσi con gli ni in G invece che in Z, essendo l’operatore di

bordo ∂G

definito tramite ∂ :

dato σ ∈ S , se ∂σ =∑ciςi , ci ∈ Z, ςi ∈ S , si pone ∂

G(gσ) =

∑cig ςi

(nello scrivere cig stiamo vedendo G come Z-modulo: cig = g+...+g, ci volte). Naturalmente la definizionesi estende per linearita: ∂

G(∑giσi) =

∑∂

G(giσi).

Ci si pone il problema di determinare l’omologia del complesso C•⊗G in funzione dell’omologia

del complesso C•. Iniziamo con alcune considerazioni. Premettiamo una notazione:

Z• = complesso dei cicli di C• (i.e. ker ∂);

B′• = complesso dei bordi scalati di un grado: B′

n := Bn−1 (essendo Bn−1 := ∂Cn),

entrambi col bordo indotto da C•, quindi nullo. Poiche Zn := ker∂n , c’e una successione

esatta corta di complessi19

(29) 0 −−−→ Z•i

−−−→ C•∂

−−−→ B′• −−−→ 0

Di conseguenza, abbiamo una successione esatta lunga in omologia con le caratteristiche indi-

cate:0

ր ց

(29.1)... Hn+1(B

′•)

δ−−−→ Hn(Z•)

i⋆−−−→ Hn(C•)∂⋆−−−→ Hn(B

′•) −−−→

= Bn ⊆

(inclusione naturale)

= Zn = Bn−1

i.e.:

(♣) il morfismo di incollamento δ e l’inclusione naturale degli n-bordi negli n-cicli; i⋆ e suriettiva; ∂⋆ = 0.

Dimostrazione. Le uguaglianze scritte nell’ultima riga seguono dal fatto che Z• e B′• hanno entrambi bordonullo (in generale, i gruppi di omologia di un complesso avente bordo nullo coincidono con i gruppi del complessostesso). Per come e definito il morfismo di incollamento (nota 9.1), si deve prendere un n-bordo, sollevarload una catena tramite ∂ (morfismo nella 29), quindi prenderne di nuovo il bordo, cioe tornare al bordo dipartenza! Infine vedere quest’ultimo come ciclo. La suriettivita di i⋆ segue dalla definizione di omologia.Essendo la successione (29.1) esatta, la relazione ∂⋆ = 0 segue dalla suriettivita di i⋆.

Come conseguenza delle proprieta (♣), la successione esatta lunga (29.1) si spezza in successioni esatte corte

(29.2) 0 −−−−→ Bnδ

−−−−→ Zni⋆−−−−→ Hn(C•) −−−−→ 0

Fin qui non abbiamo scoperto nulla di nuovo: dalla (29.2) ritroviamo la definizione di omologia Hn(C•) =Zn/Bn . Il punto e che quanto visto ci serve sia da guida che da termine di confronto, volendo ripetere ildiscorso lavorando con coefficienti.

19 Attenzione! sebbene come successione di gruppi abeliani spacchi, il complesso C• in generale non ha bordo nullo, di conseguenzanon e somma diretta dei due complessi ai lati Z• e B′

• .

93

Tensorizzato la successione (29) col gruppo G, questa resta esatta (perche C• e libero e sottogruppi di gruppiliberi sono anch’essi liberi), di conseguenza si ottiene la successione

(30) 0 −−→ Z• ⊗Gi

−−−→ C• ⊗G∂G−−−→ B′• ⊗G −−→ 0

La corrispondente successione esatta lunga in omologia e la successione

(30.1)... Hn+1(B

′• ⊗G)

δn−−−−→ Hn(Z• ⊗G)i⋆−−−−→ Hn(C• ⊗G)

∂G⋆−−−−→ Hn(B

′• ⊗G)

δn−1−−−−→ ...

= Bn ⊗G = Zn ⊗G = Bn−1 ⊗G

Questa volta le cose non vanno bene come prima: il morfismo ∂G⋆ non si fattorizza piu tramite il morfismo

nullo, cosa che invece accadeva per ∂⋆ (cfr. 29.1). Ciononostante siamo in grado di interpretare i vari terminidella successione esatta corta

(31) 0 −−→ coker δni⋆−−−→ Hn(C• ⊗G)

∂G⋆−−−→ ker δn−1 −−→ 0

associata alla (30.1) (cfr. esercizio 16). L’interpretazione ce la fornisce il lemma che segue.

Lemma 32. Si ha

coker δn = Hn(C•)⊗G , ker δn−1 = Tor(Hn−1(C•), G

).

Nota 33. Ricordiamo dalla sezione precedente che dati due gruppi abeliani H e G, e data una qualsiasi

risoluzione libera 0 −→ Ri−→F −→ H −→ 0 di H , si definisce

Tor(H, G) := ker(i⊗ IdG

: R⊗G −→ F ⊗G)

(questo gruppo non dipende dalla risoluzione scelta).

Dimostrazione (del Lemma 32). L’uguaglianza coker δn = Hn(C•) ⊗G segue dal fatto che tensorizzandola (29.2) con G l’esattezza a destra si mantiene, ovvero si ottiene la successione

Bn ⊗Gδn−−→ Zn ⊗G −−→ Hn(C•)⊗G −−→ 0 .

La (29.2), scritta per l’indice n − 1, e la successione 0 −−→ Bn−1δn−1−−−→ Zn−1 −−→ Hn−1(C•) −−→ 0 .

Essendo questa una risoluzione libera del gruppo Hn−1(C•), tensorizzandola con G, per definizione stessadell’operatore “Tor” si ottiene ker (δn−1 ⊗ IdG) = Tor

(Hn−1(C•), G

)(cfr. nota 33).

Enunciamo quanto si ottiene mettendo insieme la successione (31) e l’interpretazione dei termini che vi com-paiono (lemma 32), risultato noto col nome di Teorema dei coefficienti universali.

Teorema 34 (dei coefficienti universali). Dato un complesso di catene libero (C•, ∂) ed

un gruppo abeliano G c’e una successione esatta naturale

0 −−−→ Hn(C•)⊗Gi⋆−−−→ Hn(C• ⊗G)

∂G⋆−−−→ Tor

(Hn−1(C•), G

)−−−→ 0

94

La formula di Kunneth in algebra omologica.

Def. 35. Siano (C•, ∂) e (D•, δ) due complessi di catene liberi. Si definisce il complesso(C• ⊗D•, ∂ ⊗ δ

)

ponendo

(C• ⊗D•)n =⊕

i+j=n

Ci ⊗Dj , ∂ ⊗ δ(σi ⊗ τj ) = ∂σi ⊗ τj + (−1)iσi ⊗ δτj

(σi∈ Ci, τj ∈ Dj , la definizione viene estesa per linearita). Si verifica facilmente che risulta (∂⊗δ)(∂⊗δ) = 0,

per cui quello introdotto e effettivamente un complesso.

Nota. I gruppi C• e D• sono gruppi abeliani graduati, in particolare sono gruppi abeliani, per cui haperfettamente senso considerare il gruppo C• ⊗D• , la definizione serve solo a dotarlo di una graduazione e diun endomorfismo di grado −1 che lo rende un complesso (cfr. Notazione 5).

Teorema 36. Dati due complessi di catene liberi (C•, ∂) e (D•, δ) c’e una successione

esatta naturale

0 −→⊕

i+j=n

Hi(C•)⊗Hj(D•)ξ−−→ Hn(C•⊗D•) −−→

⊕p+q=n−1

Tor(Hp(C•), Hq(D•)

)−→ 0

La dimostrazione di questo risultato non e particolarmente difficile ma richiede un po’ di lavoro. Esulaabbastanza dai nostri obiettivi per cui non la daremo. Piuttosto, ci limitiamo ad alcune osservazioni che cisembrano interessanti.

(36.1) Il morfismo ξ e il morfismo indotto dal morfismo definito a livello di catene (dalla definizione di ∂ ⊗ δsegue che se ∂σi = 0 e δτj = 0, i.e. rappresentano classi di omologia, allora risulta ∂⊗ δ(σi⊗ τj) = 0,i.e. anche σi ⊗ τj rappresenta una classe di omologia).

Il Teorema (36) generalizza il Teorema dei coefficienti universali (34), infatti:

(36.2) Se G e un gruppo abeliano (arbitrario), e D• = L·•(G) e il complesso associato ad una risoluzione liberadi G (cfr. Def. 20 e inciso 23), in quanto risulta H0(D•) = G, Hi(D•) = 0 ∀ i 6= 0, la successioneesatta del Teorema (36) si riduce alla successione esatta del Teorema (34).

95

Funtore Hom e coefficienti universali in coomologia.

Iniziamo con alcune osservazioni. Sia G un gruppo abeliano che fissiamo una volta per tutte. Si ha che

(40.1) un morfismo di gruppi abeliani f : A −→ B

induce un morfismo f∗ : Hom(B, G) −→ Hom(A, G) , φ 7→ φ f ;(40.2) funtorialita:

IdA

∗ = IdHom(A, G)

;

(g f)∗ = f∗ g∗ , dove f : A −→ B e g : B −→ C sono morfismi di gruppi abeliani.

Tutto cio si puo esprimere dicendo che l’operatore Hom(-, G) che ad un gruppo abeliano A associa il gruppoabeliano Hom(A, G) ed a un morfismo di gruppi abeliani f associa il morfismo f∗ e un funtore controvariante(la freccia di f∗ va nella direzione opposta a quella di f) della categoria dei gruppi abeliani in se.

Lemma 41. Di seguito, consideriamo successioni esatte di gruppi abeliani

i) una successione esatta Df−−→ C

q−−→ B −−→ 0

induce una successione esatta 0 −−→ Hom(B, G)q∗

−−→ Hom(C, G)f∗

−−→ Hom(D, G) ;

ii) una successione esatta che spacca (def. 17.1) 0 −−→ Df−−→ C

q−−→ B −−→ 0

induce una successione esatta 0 −−→ Hom(B, G)q∗

−−→ Hom(C, G)f∗

−−→ Hom(D, G) −−→ 0

Nell’ipotesi che B sia un gruppo abeliano libero, l’ipotesi che la successione spacchi e automaticamenteverificata (cfr. esempio 17.2).

Dimostrazione. Effettuiamo le varie verifiche.

• kerq∗ = 0 : q∗(ϕ) = 0 =⇒ ϕ q = 0 =⇒ ϕ = 0 (perche q e suriettiva);

• Imq∗ ⊆ kerf∗ : 0 = 0∗ = (q f)∗ = f∗ q∗ ;

• Imq∗ ⊇ kerf∗ : data ψ ∈ kerf∗ si definisce ψ(b) = ψ(c) , c ∈ q−1(b)

(ben definita perche ψ(c− c′) = 0 se c′ ∈ q−1(b)).

Quanto sopra dimostra la i). Resta da provare che se esiste s : B → C soddisfacente q s = IdB

ef e iniettiva, allora f∗ e suriettiva. Dato un morfismo η : D → G si vuole estenderlo ad un morfismoη : C → G. A tal fine, dato σ ∈ C si definisce η(σ) = η(σ − sqσ) (poiche q(σ − sqσ) = qσ − qsqσ =qσ − Id

Bqσ = 0, si ha σ − sqσ ∈ D).

Come conseguenza della funtorialita (40.2), l’operatore Hom(-, G) porta complessi discendenti (di catene)in complessi ascendenti (per questo detti di cocatene). Infatti, nelle notazioni della (40.2), se g f = 0, siha f∗ g∗ = (g f)∗ = 0 (nel caso dei complessi, dopo aver applicato Hom(-, G) la composizione di duemorfismi successivi continua ad essere nulla).

Def. 42. Dato un complesso di catene di gruppi abeliani

C• = (C•, ∂) : . . . −−−→ Cn+1∂n+1−−−→ Cn

∂n−−−→ Cn−1 −−−→ . . .

si definisce complesso duale a valori in G, i cui elementi chiameremo cocatene, il complesso

(Hom(C•, G), d

): . . . Hom(Cn−1, G)

dn−1−−−→ Hom(Cn, G)

dn−−−→ Hom(Cn+1, G) . . .

dove20 d = ∂∗ .

Ribadiamo quanto gia osservato in precedenza: questa volta le frecce vanno nel verso opposto e risulta

d d = ∂∗ ∂∗ = (∂ ∂)∗ = 0∗ = 0 ,

i.e. Hom(C•, G) e effettivamente un complesso di cocatene (cfr. inciso 3). Di questo complesso se ne puocalcolare la coomologia (cosı chiamata in quanto “omologia” di un complesso di cocatene):

20 Cosı come ∂ e un morfismo di grado −1 definito su C• e ∂n e la restrizione di ∂ alle n-catene, il morfismo d = ∂∗ e un morfismodi grado 1 definito su Hom(C•, G) e dn = (∂∗)n e la restrizione di d alle n-cocatene, questo significa che dn = (∂n+1)∗ . Perevitare che ci si possa confondere, l’indice in basso indica sempre il grado degli oggetti del dominio: nell’omettere le parentesi,scrivendo ∂∗

n si intende dn = (∂∗)n e non si intende (∂n)∗ ...che, naturalmente, non scriveremo mai piu!

96

Def. 43. Dato un complesso di catene di gruppi abeliani C• = (C•, ∂), si pone

H n(C•; G)

:= H n(Hom(C•, G))

=

(inciso 3)

ker dnIm dn−1

.

Oss. 43.1. I gruppi kerdn e Imdn−1 soddisfano le relazioni che seguono:

• ker dn =ϕ : Cn → G

∣∣ ϕ ∂n+1 = 0, i.e. ϕ|Im∂n+1= 0

= “n-cocatene che si annullano sugli n-bordi”;

• Im dn−1 =ϕ : Cn → G

∣∣ ∃ η : Cn−1 → G tale che ϕ = η ∂n

⊆ “n-cocatene che si annullano sugli n-cicli”.

Inoltre, se ϕ e una n-cocatena che si annulla sugli n-cicli, allora induce un morfismo su Cn

ker∂n∼=

(♣)

Im∂n ,

di conseguenza esiste un morfismo η′ definito sugli n − 1 bordi soddisfacente la relazione ϕ = η′ ∂n . Setale morfismo η′ si estende ad un morfismo definito sulle n − 1 catene, allora ϕ ∈ Im dn−1 . Riassumendo,Im dn−1 e costituito dalle n-cocatene che si annullano sugli n-cicli e che, viste tramite (♣) come morfismisugli n− 1 bordi (= Im∂n) si estendono alle n− 1 catene.

In perfetta analogia con quanto accade nel caso del prodotto tensoriale con un gruppo G, inteso come funtoreche ad un gruppo abeliano H associa il gruppo H⊗G, vale un teorema dei coefficienti universali per il funtoreHom(-, G). Prima di procedere introduciamo i gruppi Ext(A, G) .

Def. 44. Siano A e G gruppi abeliani, sia inoltre L• una risoluzione libera di A(cfr. def. 20). Si pone

Ext(A, G) := H 1 (Hom(L•, G))

=ker d1

image d0

dove ... −→ Hom(L0 , G)d0−−→ Hom(L1 , G)

d1−−→ Hom(L2 , G) −→ ... e il complesso duale del complesso L•.

Come nel caso del funtore “Tor”, e per la stessa ragione, la definizione e ben posta, ovvero il gruppo Ext(A, G)non dipende dalla risoluzione L• scelta: essendo Hom(-, G) funtoriale, a due risoluzioni L• e L′• (omotopica-mente equivalenti per il lemma 21), corrispondono complessi di cocatene Hom(L•, G) e Hom(L′•, G) anch’essiomotopicamente equivalenti, che pertanto hanno gruppi di coomologia isomorfi (cfr. Teorema 11, Corollario 14,Inciso 3).

Teorema 45 (dei coefficienti universali). Siano C• un complesso di catene libero e G ungruppo abeliano. Per ogni intero n, c’e una successione esatta naturale

0 −−−→ Ext(Hn−1(C•), G

) j−−−→ H n(C• ; G

) q−−−→ Hom

(Hn(C•), G

)−−−→ 0

Un elemento ϕ ∈ Hn(C• ; G) e rappresentato da una n-cocatena ϕ : Cn → G che si annulla suglin-bordi (cfr. Oss. 43.1). Una tale ϕ, per restrizione agli n-cicli e passaggio al quoziente, definisce un elementoϕ′ ∈ Hom(Hn(C•), G). Si definisce q(ϕ) = ϕ′ . La definizione e ben posta perche le n-cocatene in Imdn−1si annullano sugli n-cicli (cfr. Oss. 43.1).

Lemma 45.1. Il morfismo q e suriettivo.

Dimostrazione (del lemma). Premessa: la successione esatta di gruppi liberi 0 → Zn −→ Cn −→ Bn−1 → 0(cfr. 29), induce un morfismo Hom(Cn, G) −→ Hom(Zn, G) suriettivo (cfr. 41, ii)).

Un morfismo ϕ′ ∈ Hom(Hn(C•), G) definisce un morfismo sugli n-cicli che si annulla sugli n-bordi (sicomponga la proiezione ker∂n −→ Hn(C•) con ϕ′ : Hn(C•) −→ G), i.e. un morfismo ϕ ∈ Hom(Zn, G)(sempre nullo sugli n-bordi). Per la premessa, tale morfismo si estende ad un morfismo definito sulle n-cateneϕ : Cn −→ G (che continuera ad annullarsi sugli n-bordi). Di quest’ultimo ne prendiamo la classeϕ ∈ Hn(C• ; G). Naturalmente si avra q(ϕ) = ϕ′.

Sottolineiamo che la suriettivita di q segue dall’ipotesi che C• sia libero (o meglio, dal fatto che Bn−1 lo sia).

97

Il nucleo di q e dato dalle cocatene che si annullano sugli n-cicli modulo morfismi in Imdn−1 :

(45.2) ker q =

ϕ : Cn −→ G tali che ϕ|

n-cicli= 0

ϕ : Cn −→ G

∣∣ ∃ η : Cn−1 −→ G tale che ϕ = η ∂n

i.e. il nucleo di q misura esattamente di quanto l’inclusione che compare nella seconda partedella (43.1) non sia un’uguaglianza.

Nota. Un elemento del numeratore e una estensione del morfismo nullo sugli n-cicli, mentre il quoziente kerqdipende solo da Hn−1(C•) e da G (questo punto verra chiarito nel corso della dimostrazione del Teorema 45).Il fatto che gli elementi di kerq siano “estensioni” da una giustificazione dell’uso della terminologia “Ext(...)”.

Dimostrazione (del Teorema 45). Ripetiamo, cambiando quello che c’e da cambiare, per il funtore Hom(-, G)quanto gia visto per il funtore - ⊗G. Poniamo

Z• = complesso dei cicli di C• (i.e. ker ∂);

B′• = complesso dei bordi scalati di un grado: B′n := Bn−1 (essendo Bn−1 := ∂Cn),

entrambi col bordo indotto da C•, quindi nullo. C’e una successione esatta corta di complessi di catene

(45.3) 0 −−−−→ Z•i

−−−−→ C•∂

−−−−→ B′• −−−−→ 0

I complessi della (45.3) sono complessi liberi, ovvero gruppi liberi (a tal fine ricordiamo che C• e libero peripotesi e che un sottogruppo di un gruppo libero e anch’esso libero). Di conseguenza, applicando il funtoreHom(-, G) si ottiene una successione, di nuovo esatta (cfr. lemma 41), di complessi di cocatene

(45.4) 0 −−−→ Hom(B′•, G)d= ∂∗

−−−−−→ Hom(C•, G)j= i∗

−−−−−→ Hom(Z•, G) −−−→ 0

dove i morfismi di cobordo dei complessi Hom(B′•, G) e Hom(Z•, G) sono entrambi nulli (in quanto nullii morfismi di bordo dei complessi B′• e Z•). La corrispondente successione esatta lunga in coomologia e lasuccessione

(45.5) . . . Hn−1(Z∗G• )

δ

−−−→ Hn(B′⋆G• )

d⋆

−−−→ Hn(C•; G)j⋆

−−−→ Hn(Z∗G• )

δ

−−−→ Hn+1(B′⋆G• ) . . .

= Hom(Zn−1, G) = Hom(B′n, G) = Hom(Zn, G)

dove Z∗G• := Hom(Z•, G), B

′⋆G• := Hom(B′•, G) (hanno entrambi cobordo nullo in quanto Z• e B′•

hanno bordo nullo) e dove i vari δ sono i morfismi di incollamento. Le uguaglianze indicate nella riga inpiccolo seguono dal fatto che i complessi corrispondenti hanno cobordo nullo. Da questa successione esattalunga estraiamo le successioni esatte corte

(45.6) 0 −−−→ coker δn−1d⋆

−−−→ Hn(C•; G)j⋆

−−−→ ker δn −−−→ 0 (cfr. esercizio 16)

(naturalmente δn−1 e δn denotano i morfismi di incollamento δ della (45.4), rispettivamente nei gradi n−1ed n). Affermiamo che la (45.6) e la successione esatta del teorema dei coefficienti universali (45). Infatti,per la nota (9.1) il morfismo di incollamento δ , in grado n, opera come segue (si guardi la (45.4)): prendeϕ0 ∈ Hom(Zn, G), lo solleva a ϕ ∈ Hom(Cn, G), ne prende il cobordo, i.e. dϕ = ϕ ∂ ∈ Hom(Cn+1, G),ed infine lo solleva tramite d = ∂∗ in Hom(B′n+1, G) = Hom(Bn, G). Quest’ultima operazione disfa laprecedente e restituisce la restrizione ϕ|

Bn∈ Hom(Bn, G). In definitiva

(45.7) δn = i⋆ : Hom(Zn, G) −→ Hom(Bn, G) , dove i : Bn −→ Zn denota l’inclusione.

Per la (45.7), il gruppo ker δn si identifica col gruppo Hom(Hn(C•), G

)(teorema di omomorfismo di

gruppi) nonche si ha j⋆ = q (essendo j⋆ il morfismo che compare nella (45.6) e q il morfismo checompare nell’enunciato). Infine, si ha coker δn−1 = Ext

(Hn−1(C•), G

)(cfr. Def. 44) perche la succes-

sione 0 −→ Bn−1 −→ Zn−1 −→ Hn−1(C•) −→ 0 e una risoluzione libera di Hn−1(C•) e0 −→ Hom(Zn−1, G) −→ Hom(Bn−1, G) −→ 0 ne e il complesso associato.

98

Cenni sulle categorie abeliane.

Come accennato all’inizio del paragrafo, l’algebra omologica puo essere trattata in un contesto piu generale, ilcontesto astratto delle categorie abeliane. Le definizioni ed i risultati visti valgono per le categorie abeliane,di fatto senza cambiare una virgola nei rispettivi enunciati (definizione dell’omologia, successione esatta lungaassociata ad una successione esatta corta di complessi, definizione dell’omotopia di complessi, uguaglianza deimorfismi indotti in omologia da morfismi di complessi omotopi, lemma dei cinque e molti altri).

Per non appesantire il discorso, diamo la definizione di categoria abeliana in termini intuitivi, o meglio chehanno un senso per una categoria “concreta” (i.e. dove gli oggetti sono, in particolare, insiemi) qual e quelladei gruppi abeliani, come pure quella degli spazi vettoriali.

Definizione. Una categoria abeliana e un insieme di oggetti e morfismi (detti anche frecce) che soddisfano gliassiomi che seguono.

• ogni morfismo “collega” due oggetti, due morfismi “consecutivi” si possono comporre e la composizione eassociativa;

• esiste l’oggetto zero, denotato con 0 , con la proprieta che esistono unici 0 → A e A → 0 per ognioggetto A;

• esistono nucleo e conucleo per ogni morfismo f : A → B , denotati rispettivamente con kerf e cokerf

(formalmente, un nucleo e una coppia (K, i) , con i : K → A monomorfismo soddisfacente f i = 0e la proprieta di fattorizzare ogni morfismo g : X → A tale che f g = 0; un conucleo e una coppia(C, p) , con p : B → C epimorfismo soddisfacente p f = 0 e la proprieta di fattorizzare ogni morfismoh : B → Y tale che h f = 0. Quanto al significato dei termini usati, per definizione,

i) un monomorfismo e un morfismo j : H → A soddisfacente la proprieta di cancellazione seguente:

j r : Xr−→H

j−→A = j s : X

s−→H

j−→A =⇒ r = s

ii) un epimorfismo e un morfismo π : A → H soddisfacente la proprieta di cancellazione seguente:

r π : Aπ−→H

r−→X = s π : A

π−→H

s−→X =⇒ r = s ).

• per ogni morfismo f : A → B , esiste un isomorfismo canonico coker(kerf → A) −→ ker(B → cokerf) ,

cioe la coimmagine (:= conucleo del nucleo) e l’immagine (:= nucleo del conucleo) sono canonicamenteisomorfe;

• Hom(A, B) e un gruppo abeliano (per ogni coppia di oggetti A e B) e la composizione e bilineare

(cioe g (f + f) = g f + g f , (g + g) f = g f + g f per ogni terna di oggetti A, B, C ed ogni

f, f ∈ Hom(A, B), g, g ∈ Hom(B, C))

• esistono le somme dirette: esiste A⊕B per ogni coppia di oggetti A e B

(formalmente, una somma diretta e una terna (A⊕B, iA: A → A⊕B, i

B: B → A⊕B), dove i

Aed i

B

fattorizzano rispettivamente i morfismi definiti su A e quelli definiti su B , entrambi a valori in un terzooggetto C ).

Esercizio. Verificare che le categorie che seguono soddisfano gli assiomi indicati sopra: gruppi abeliani emorfismi di gruppi, spazi vettoriali su un campo e applicazioni lineari. Inoltre, verificare che per esse lanozione di monomorfismo coincide con quella di morfismo iniettivo (suggerimento: considerare X = ker j ,r = “inclusione”, s = 0) e che quella di epimorfismo coincide con quella di morfismo suriettivo (suggerimento:considerare X = coker π, r = “proiezione”, s = 0).

Nota. Vale la pena osservare che le nozioni “morfismo iniettivo” e “morfismo suriettivo” hanno senso solo segli oggetti della categoria in questione sono, in particolare, insiemi.

99

Bibliografia

[D] Dold A., Lectures On Algebraic Topology.

[Hat] Hatcher A., Algebraic Topology, Cambridge University Press, 2002.

[Kos] Kosniowski C., A first course in Algebraic Topology, Cambridge University Press, 1980.

[Mas] Massey W.S., A Basic Course in Algebraic Topology, GTM 127, 1991.

[Rot] Joseph J. Rotman, An Introduction to Algebraic Topology.

[Sp] Spanier E. H., Algebraic Topology, McGraw-Hill, 1966.

[Vas] Vassiliev V. A., Introduction to Topology, Student Mathematical Library, v.14, 2001.