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CAFFÈ VS MELANOMA Possibile ruolo protettivo contro la cancerogenesi TERAPIA FOTODINAMICA Superiore alla crioterapia nella cheratosi attinica MELANOMA UVEALE L’ipilimumab porta a risposte prolungate MELANOMA METASTATICO In arrivo una nuova era terapeutica PROFESSIONAL EDITION & CHERATOSI ATTINICA MELANOMA MELANOMA Sperimentato con successo il vaccino su misura

Transcript of PROFESSIONAL EDITION 1

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CAFFÈ VS MELANOMAPossibile ruolo protettivo contro la cancerogenesi

TERAPIA FOTODINAMICASuperiore alla crioterapia

nella cheratosi attinica

MELANOMA UVEALE

L’ipilimumab porta a risposte

prolungate

MELANOMA METASTATICO In arrivo una nuova era terapeutica

Professionaledition&cheratosi attinica

MeLanoMa

MELANOMASperimentato con successoil vaccino su misura

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sommario

SCIENCE SHOT

8 MeLanoMa uveaLe: L’IPILIMuMab Porta a rISPoSte ProLungate

10CoMe fanno I MeLanoMI a reSIStere aLLe teraPIe effICaCI?

12neI PILotI e neLL’equIPaggIo IL rISChIo dI MeLanoMa è duPLICato

HIGHLIGHTS

14MeLanoMasperimentato con successo il vaccino su misura

15nIvoLuMabPari efficacia nel melanoma avanzato a prescindere dallo stato del Braf

16teraPIa fotodInaMICasuperiore alla crioterapia nella cheratosi attinica

17CheratoSI attInICaCrema al fluorouracile favorisce la clearance a lungo termine

18bIoPSIe derMatoLogICheMeglio dare i risultati per telefono

INSIDE

20 MeLanoMa MetaStatICoin arrivo una nuova era terapeutica

24Caffè vS MeLanoMaPossibile ruolo protettivo contro la cancerogenesi

THE CLINICAL GAME

28 fai la tua diagnosi e scopri se è esatta

Professional E dit ionMeLanoMa & CheratoSI attInICa

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Direttore Responsabile francesco Maria avitto

Direttore Editoriale Vincenzo Coluccia

Direttore Scientifico lucia limiti

E D I T O R I A L S TA F FMedical Editor Patrizia Maria Gatti, sara raselli, leonardo scalia,Magazine Editor Marco landucciWeb Editor Marzia Caposio, Manuela Biello

A R TArt Director francesco MoriniImpaginazione niccolò iacovelliWeb Developer roberto Zanetti, Paolo Cambiaghi, Paolo Gobbi

I T & D I G I TA LICT Manager Giuseppe ricciDigital Operation Manager davide Battaglino

DISTRIBUZIONE DIGITALE

Supplemento al n°4 di Popular ScienceGiugno 2015

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REDAZIONE• Via Boncompagni, 16

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20125 (Milano)[email protected]

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© Kekoa Publishing S.r.l.REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMA N. 82/2014 DEL 24/04/2014

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&cheratosi attinicaMeLanoMa

Farmacisti ospedalieri 2.275

Mmg 35.815

Oncologi 5.439

Dermatologi 4.526

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Farmacisti ospedalieri 2.275

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Clinical ShotLa scienza in immagini

MelanomauvealeL’ipilimumab porta a risposte prolungate

Il primo studio sull’immunomodulatore noto come ipilimumab condotto su pazienti con melanomi uveali maligni ha dimostrato in alcuni soggetti l’efficacia del farmaco. l’autore Joseph Piulats dell’institut Catala d’on-cologia and l’Hospitalet del llobregat, ha infatti dichiarato che, dopo quasi 2 anni di monitoraggio, il 25% dei pazienti trattati è ancora in vita, giudicando questo esito molto incoraggiante data la prognosi infausta che caratterizza questa popolazione.Benché lo studio, chiamato GeM1, includesse soltanto 32 pazienti e nonostante esso non sia riuscito a dimostrare un miglioramento nella sopravvivenza complessiva dei soggetti, è comunque incoraggiante riscontrare risposte oggettive in una popolazione di pazienti altamente meta-statici. il tasso di controllo della malattia è stato prossimo al 50% e si è osservata una stabilizzazione della malattia nel 39,71% dei soggetti ed una risposta parziale nel 6,45% di essi.il melanoma uveale rappresenta la più comune forma di tumore maligno intraoculare negli adulti e l’uvea rappresenta il secondo sito più comune per i melanomi primari dopo la cute. la sopravvivenza di questi pazienti è bassa, a causa dell’elevata incidenza delle metastasi epati-che che sono di solito fatali entro 4-9 mesi dalla diagnosi. i pazienti con melanoma uveale sono stati esclusi dai più ampi studi sull’ipilimumab nei melanomi cutanei, ma dato che questi studi hanno dimostrato la sopravvivenza a lun-go termine di alcuni pazienti, è stato ritenuto che valesse la pena di sperimentare il farmaco anche nel melanoma uveale, per il quale non esistono trattamenti standard e la chemioterapia non è efficace.

Fonte: Pigment Cell Melanoma Res 2014; 27: 1219

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È stato probabilmente scoperto un meccanismo tramite il quale i melanomi possono evitare i trattamenti combinati più efficaci, il che potrebbe portare allo sviluppo di terapie più longeve per il più mortale dei tumori cutanei. Ciò deriva da uno studio della durata di due anni condotto da roger lo dell’uCla, che ha osservato i campioni relativi a 15 pazienti affetti da melanoma prima della terapia che com-prendeva un Braf-inibitore ed un Mek-inibitore e che hanno sviluppato una resistenza nei confronti di questi farmaci.Precedenti studi avevano riscontrato che la combinazione di questi due tipi di farmaci è in grado di prolungare significa-tivamente l’intervallo di tempo precedente al momento in cui la patologia inizia a peggiorare. si tratta di terapie mirate, progettate per inibire specifiche cascate molecolari associate alla crescita tumorale e che possono avere effetti eclatanti sin quando non si sviluppa una resistenza.Questo fenomeno è essenzialmente una questione di tempo, ma la compren-sione del meccanismo alla sua base potrebbe portare alla proposta di nuovi metodi per sopprimerlo. nello studio è stato riscontrato che, quando si sviluppa una resistenza si verifica un sostanziale incremento delle alterazioni genetiche, con alcuni geni che presentavano 80-100 replicazioni. Ciò è il risultato di una pesante pressione evoluzionistica imposta dai farmaci stessi al tumore e potrebbe essere evitato tramite l’istituzione di una terapia intermittente che interrompereb-be temporaneamente l’esposizione del tumore al farmaco, oppure interrompendo alcuni meccanismi di segnalazione specificamente connessi ai meccanismi di resistenza.

Fonte: Cancer Cell online 2015

Come fannoi melanomia resistere alleterapie efficaci?

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nei piloti enell’equipaggioil rischio dimelanomaè duplicatoProprio come nella mitica storia di Icaro, gli esseri umani del mondo moderno che volano troppo vicino al sole hanno un prezzo da pagare. secondo una recente ricerca, piloti di linea ed equipaggi di bordo presentano un’incidenza di melanomi doppia rispetto alla popolazione generale. il tasso d’incidenza standardizzato di melanomi per qualun-que professionista dei trasporti in volo è infatti pari a 2,21.secondo Martina sanlorenzo dell’università della California, autrice della statistica, sono necessarie ulteriori ricerche sul meccanismo patologico implicato e sulle protezioni professionali necessarie per queste categorie a rischio, ma si sospetta che l’incremento osservato nel rischio di melano-mi derivi dall’esposizione a raggi uV, che diviene più elevata con l’aumentare della quota raggiunta da un aereo. a 9.000 metri, altezza alla quale vola la maggior parte degli aerei commerciali, il livello di raggi uV ammonta a circa il doppio che a livello terrestre. Questi dati derivano dalla meta-analisi di 19 studi diversi, che hanno preso in considerazione più di 266.000 partecipanti. Va rimarcato che l’esposizione alla luce uV non è attualmente un fattore di rischio lavorativo ben riconosciuto per il personale di volo, mentre al contrario lo sono le radiazioni ionizzanti, i cui livelli negli equipaggi di linea vengono monitorati regolarmente. secondo alcuni esperti sarebbe interessante investigare la distribuzione anatomica delle lesioni presenti sul personale di volo, in quanto soltanto mani e viso dovrebbero essere esposti ai raggi uV che filtrano dai finestrini. il problema potrebbe essere legato alla quantità di raggi uV che passano attraverso i parabrezza: la trasmissione di raggi uVB è inferiore all’1% sia per i para-brezza in vetro che per quelli in plastica, ma il vetro lascia filtrare il 54% dei raggi uVa.

Fonte: JAMA Dermatol online 2015

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HighlightsNumero di pazienti con melanoma in cui si è riusciti con successo a stimolare una potente reazione immunitaria contro la mutazione genetica causa del tumore.3

Non sono più solo una teoria i vaccini anticancro personalizzati. Lo dimostra la sperimentazione guidata da Beatriz Carrero, della Washington University School of Medicinea di St. Louis, in cui si è riusciti con successo a stimolare, in tre persone con melanoma, una potente reazione immunitaria contro la mutazio-ne genetica causa del tumore. Il risultato, pubblicato sulla rivista Science Express, dimostra la validità dell’immunoterapia contro i tumori. Il vaccino è riuscito, in-fatti, ad aumentare il numero e la varietà delle cellule immunitarie che combattono il cancro. In questo caso è stato usato un nuovo approccio: anzichè identificare i geni mutati che portano allo sviluppo del tumore, i ricercatori hanno cercato un gruppo unico di proteine mutate (o neoantigeni) nel tumore del paziente, che avevano la maggiore probabilità di essere riconosciute come estranee dal sistema immunitario. Usando degli algoritmi, sono poi riusciti a restringere la ricerca e identificare i neoantigeni del tumore del paziente che, con maggiore probabilità, sarebbero stati riconosciuti come estranei dal suo sistema immunitario. Un approc-cio che, secondo i ricercatori, potrebbe essere usato anche contro altri tumori ad alto tasso di mutazioni genetiche, come quello del polmone, vescica e colonret-to. Se i dati saranno confermati su più pazienti, i vaccini potrebbero in futuro essere somministrati, dopo l’intervento di rimozione chirurgica del tumore, per stimolare il sistema immunitario ad attaccare le cellule cancerose persistenti e prevenire una recidiva. Ora, però, è ancora troppo presto per affermare se l’effetto del vaccino si manterrà nel lungo periodo.

MELANOMASperimentato con successo il vaccino su misura

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secondo una nuova analisi di dati estratti da trial clinici, il nivolumab sembra avere la stessa efficacia sia nel melanoma avanzato con BRAF V600 mutante che con BRAF wild-type.Il nivolumab, un anticorpo monoclonale anti-PD-1, è appro-vato per il trattamento del melanoma maligno dopo il ricorso all’ipilimumab o a un inibitore del BRAF. Rimane da capire se la mutazione del BRAF influenzi l’attività di tale farmaco, scrivono James Larkin, del Royal Marsden Hospital e i suoi colleghi sulla rivista online JAMA Oncology.Il team ha analizzato i dati di quattro trial su 440 pazienti affetti da tumore trattati con nivolumab con mutazione del BRAF V600 (n=106) o con BRAF wild-type (n=334). Il tasso di risposta obiettivo si attestava al 34,6% per il gruppo con BRAF

“IL nIvoLuMab è un eCCeLLente trattaMento dI PrIMa SCeLta In tuttI

I PazIentI Con MeLanoMa, SIa Con braf wILd-tyPe Che Con braf Mutato,

SoPrattutto Se neL tuMore La ProteIna Pd-1 è PoSItIva”

Jeffrey S. Weber del Moffitt Cancer Center, Tampa

NIVOLUMABPari efficacia nel melanoma avanzato

a prescindere dallo stato del BRAF

wild-type e al 29,7% per quello con BRAF mutato e la durata media della risposta obiettiva era simile per entrambi i gruppi (14,8 mesi per il gruppo BRAF wild-type e 11,1 mesi per il gruppo BRAF mutato).I ricercatori hanno rilevato che erano simili anche le riduzioni nella magnitudo del peso del tumore. Nelle analisi esplorati-ve, i tassi di risposta obiettiva erano leggermente più elevati nei pazienti con BRAF mutato che non avevano mai assunto inibitori del BRAF (33,1%) rispetto ai soggetti che avevano ricevuto questo tipo di terapia (24,5%), ma non si registravano differenze nelle riduzioni della magnitudo del peso del tumore dopo una precedente terapia con inibitori. I più alti tassi di effetti avversi legati al trattamento erano simili per entrambi i gruppi (BRAF wild-type 68,3% e BRAF mutato 58,5%).“Nei limiti di questa analisi retrospettiva, i dati suggeriscono che il nivolumab è attivo sia in pazienti con BRAF wild-type che con BRAF mutato. Ciò è coerente con i risultati di precedenti analisi retrospettive riguardanti una monoterapia a base di ipilimumab e con uno studio di fase 1 che confrontava nivolu-mab e ipilimumab”, concludono i ricercatori. “Inoltre, la mono-terapia con ipilimumab potrebbe essere efficace nei pazienti con mutazione del gene BRAF a prescindere dalla precedente ricezione o meno di un inibitore di tale gene”. Tara C. Ganga-dhar, coautrice di un editoriale sull’articolo, ha affermato che “nei pazienti con o senza mutazione attivante del BRAF, per la terapia sistemica si potrebbe considerare il blocco della PD-1”.“I trial clinici che includono il blocco della PD-1 nonché gli studi sulla combinazione di nuove terapie immunitarie o sulla combinazione di terapie mirate possono essere considerati tra le opzioni primarie di trattamento in tutti i pazienti con melanoma avanzato”, hanno osservato Gangadhar e Lynn M. Schuchter, entrambi dell’Ambramson Cancer Center della University of Pennsylvania.Jeffrey S. Weber del Moffitt Cancer Center di Tampa, in Florida, ha detto che i nuovi risultati “sono in linea con quanto è stato riscontrato con il nivolumab e altri anticorpi contro le proteine del checkpoint e stabiliscono che lo stato del BRAF non è un fattore predittivo del beneficio riscontrabile grazie a questi farmaci, soprattutto il nivolumab”.“Il nivolumab è un eccellente trattamento di prima scelta in tutti i pazienti con melanoma, sia con BRAF wild-type che con BRAF mutato, soprattutto se nel tumore la proteina PD-1 è positiva”, ha dichiarato il Weber. “Per una malattia molto pe-sante o in un numero sempre maggiore di pazienti con BRAF mutato, molti ricercatori continueranno a preferire di iniziare la terapia con inibitori del BRAF”.Lo studio è stato finanziato da Bristol-Myers Squibb. Il Dr. Larkin, che non è stato possibile raggiungere per commenti, è stato un consulente per l’azienda.

FoNTE: JAMA Oncology 2015.

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Nella rimozione della cheratosi atti-nica dal volto o dal cuoio capelluto, la terapia fotodinamica risulta in qual-che modo superiore alla crioterapia Secondo Daniel Eisen dell’Università della California, autore di un’indagi-ne cumulativa in materia, “la terapia fotodinamica rappresenta un metodo di trattamento che ha preso piede soltanto negli ultimi 10 anni circa e, quindi, il presente studio fornisce maggiori informazioni riguardo la sua efficacia rispetto alla crioterapia, che attualmente rappresenta lo standard terapeutico per molti medici”.L’analisi ha preso in considerazione 641 soggetti, per un totale di 2.174 lesio-ni di cheratosi attinica trattate con la crioterapia e 2.170 lesioni trattate con la terapia fotodinamica. Quest’ultima

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paziENTi facenti parte dello studio

6 41TERAPIA FOTODINAMICASuperiore alla crioterapia nella cheratosi attinica

spesso necessita di più tempo per es-sere praticata rispetto alla crioterapia, ma è associata ad eccellenti risultati cosmetici e può essere impiegata per trattare un’ampia area di cute interes-sata in una singola sessione senza la formazione di vesciche.Secondo l’autore, “è vantaggioso avere la possibilità di adattare le opzioni terapeutiche alla situazione di ciascun paziente”. Secondo diversi autori,

il ruolo della terapia fotodinamica nel trattamento di alcune forme di tumori cutanei è fuori discussione: risulta particolarmente allettante la prospettiva futura di utilizzare la terapia fotodinamica, attivata dalla luce solare, per trattare di fatto lesioni cutanee causate in prima istanza dal sole stesso.

Fonte: JAMA Dermatol online 2014

“la terapia fotodinamica rappresenta un metodo di

trattamento che ha preso piede soltanto negli ultimi 10 anni

circa e, quindi, il presente studio fornisce maggiori informazioni

riguardo la sua efficacia rispetto alla crioterapia, che attualmente

rappresenta lo standard terapeutico per molti medici”

Daniel Eisen, università della California

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Un singolo ciclo di crema al fluorouracile al 5% (5FU) riduce la conta delle lesioni da cheratosi attinica e la necessità di altri tratta-menti da parte del paziente anche per tre anni e mezzo. Questo dato deriva da uno studio randomizzato su 932 pazienti che rappresenta la più ampia e prolunga-ta indagine sul 5FU nella cheratosi attinica sinora effettuata, dato che gli studi precedenti hanno seguito i pazienti per un massimo di sei mesi. Secondo l’autore Martin Weinstock del Vete-

rans Affairs Medical Center di Providence, i risultati dello studio sono rilevanti per l’elevata riduzione nel tasso complessivo di che-ratosi attinica ed in quello di clearance completa della malattia all’atto delle visite specialistiche nei pazienti trattati con fluorouracile, anche in presenza di una minore quantità di altri trattamenti. Ciò dimostra che il fluorouracile è in gra-do di prevenire la comparsa o la recidiva della cheratosi attinica nelle aree trattate.Secondo alcuni esperti, le

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Numero dei partecipanti dello studio sugli effetti del 5FU nella cheratosi

attinica

932

CHERATOSI ATTINICACrema al fluorouracile favorisce la clearance a lungo termine

lesioni da cheratosi attinica sono comuni e spesso fasti-diose e in questi casi vanno rimosse, ma altri ne invo-cano la rimozione anche se non danno alcun fastidio al paziente, in qualità di lesioni precancerose, anche se la loro trasformazione maligna non è un evento frequente. Lo studio in oggetto ha dimostrato che l’applicazione di 5FU non peggiora i problemi relativi ai tumori cutanei, ma non dimostra nemmeno che esso sia in grado di ridurne l’inci-denza nel tempo, punto che

andrà investigato nell’ambi-to di futuri approfondimen-ti sul ruolo del 5FU come trattamento preventivo.

Fonte: JAMA Dermatol online 2015

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percentuale di soggetti che preferisce parlare direttamente al telefono con il proprio medico

67 %

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Le preferenze dei pazienti sui termini in cui desiderano ricevere i risultati di una biopsia cutanea sono cambiati. La maggior parte di essi, oggi, dichiara di optare per ricevere ra-pidamente le notizie per telefono piuttosto che attendere per una visita ambulatoriale faccia a faccia con il medico. Secondo una recente indagine condotta su 301 pazienti, il 67% dei sog-getti preferisce parlare direttamente al telefono con il proprio medico e, solo il 19,5%,desidererebbe una visita ambulatoriale, mentre il 5,1% dei pazienti preferirebbe messaggi vocali o un portale online a disposizione del pubblico. Nel complesso il 59,5% dei soggetti confermerebbe le proprie preferenze a prescindere dai risultati della biopsia, ma il 40,5% di essi pre-ferirebbe un’altra forma di notifica se i risultati rivelassero un tumore maligno. Le preferenze del medico sono risultate simili a quelle dei pazienti e, secondo gli autori, potrebbero essere correlate alla presenza di incertezze sui regolamenti ed a perplessità sulla privacy che circondano la comunicazione dei risultati dei test. Lo studio ha comunque rivelato che i metodi di comunicazione delle brutte notizie mancano di chiare linee guida. Secondo Aditi Choudhry del Veterans Affairs Medical Center di San Francisco, uno degli autori dello studio, “sarebbe opportuno sviluppare linee guida sulle notifiche dei risultati sia normali che anomali dei test, che siano in concordanza con i regolamenti statali”, in attesa delle quali sarebbe opportuno che i medici chiedano al paziente di esprimere le proprie prefe-renze in merito all’atto del consenso informato per la biopsia cutanea.

Fonte: JAMA Dermatol online 2015, pubblicato l’1/4

BIOPSIE DERMATOLOGICHEMeglio dare i risultati per telefono“SAREBBE OPPORTUNO SVILUPPARE LINEE GUIDA SULLE NOTIFICHE DEI RISULTATI SIA NORMALI CHE ANOMALI DEI TEST, CHE SIANO IN CONCORDANZA CON I REGOLAMENTI STATALI”

Aditi Choudhry, Veterans affairs Medical Cen-ter, san francisco

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LA RIVISTA DI SCIENZAPIù DIFFUSA AL MONDO

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MELANOMA METASTATICO

In arrivo una nuova era

terapeutica

NNei melanomi metastatici, la terapia con la dacarbazina (dtiC) come unico agente ha costituito sin dagli anni ’70 la terapia standard, con un tasso di risposta compreso fra il 15% ed il 20%, nonostante l’assenza di un beneficio dimostrabile in termini di sopravvivenza complessiva ed un beneficio in termini di sopravvivenza libera da progressione pari a 4 mesi.

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Il temozolomide, un derivato della DTIC che può essere som-ministrato per via orale e presenta una maggiore capacità di penetrazione nel sistema nervoso centrale, ha un’attività simi-le a quella della DTIC, ma non risulta superiore. Gli approcci basati sulla chemioterapia combinata non hanno migliorato la sopravvivenza complessiva o quella libera da progressio-ne, ma rimarchevolmente la combinazione della DTIC con cisplatino e vinblastina, benché non superiore in termini di sopravvivenza, è risultata associata a tassi di risposta significativamente più elevati, ma al prezzo di una maggiore tossicità, il che identifica per questa combinazione un ruolo nei pazienti meno gravi ma con un maggior carico derivante dalla malattia nei quali una rapida risposta si tradurrebbe verosimilmente in un miglioramento del benessere. Sono stati attesi per lungo tempo nuovi approcci nel trattamento del melanoma metastatico: recenti progressi chiave, derivati dalla comprensione della diversità biologica dei melanomi, si sono tradotti in una nuova era di ricerca, in cui gli sviluppi clinici osservati stanno cambiando la storia naturale della malattia.

Questo rapido progresso è però accompagnato da alcune sfide, fra cui il sequenziamento del trattamento e la neces-sità di effettuare un efficiente ed affidabile screening delle mutazioni per guidare le decisioni terapeutiche. La European Medicines Agency ha approvato l’uso del vemurafenib e del dabrafenib come trattamento di prima linea nei melanomi metastatici con mutazioni BRAF, mentre Stati Uniti, Canada e Australia hanno approvato l’impiego del trametinib come agente singolo. Gli USA e l’Australia hanno anche approvato la combinazione dabrafenib e trametinib come trattamento di prima linea in conseguenza dei risultati degli studi di fase II. Secondo la più recente revisione della letteratura, in assen-za di studi specifici, nelle patologie con assetto BRAF wyld type, il trattamento di prima linea con ipilimumab dovrebbe rappresentare la prima scelta, mentre in presenza di muta-zioni BRAF la decisione riguardante la scelta della terapia è più complessa: sussistono prove del fatto che l’inevitabile resistenza all’inibizione BRAF-MEK possa essere superata adottando regimi di somministrazione intermittente, che

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A LIVELLO MONDIALE, SI STIMA CHE NELL’ULTIMO DECENNIO IL MELANOMA CUTANEO ABBIA RAGGIUNTO I 100.000 NUOVI CASI L’ANNO: UN AUMENTO DI CIRCA IL 15% RISPETTO AL DECENNIO PRECEDENTE. IL MELANOMA CUTANEO È, IN PARTICOLARE, DECINE DI VOLTE PIù FREqUENTE NEI SOGGETTI DI CEPPO EUROPEO (CAUCASICI) RISPETTO ALLE ALTRE ETNIE.

Fonte: www.epicentro.iss.it. Portale dell'epidemiologia per la sanità pubblica a cura del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e Promozione della salute

richiede un certo impegno per la definizione dei calendari di trattamento. Si tratta di una strategia accattivante, in quan-to implica una sospensione dei fenomeni di tossicità per il paziente. La progressione della malattia associata alla resi-stenza all’inibizione BRAF-MEK, comunque, è spesso rapida e si rischia che l’ipilimumab non abbia il tempo di esercitare il controllo sulla malattia stessa se introdotto in questo contesto. Dato che attualmente l’ipilimumab rappresenta il solo farmaco autorizzato disponibile con il potenziale per un durevole controllo della malattia, mancare una finestra di opportunità per esporre un paziente a questo agente è chiaramente un evento indesiderabile. Analogamente, in presenza di lesioni sintomatiche e voluminose, l’inibizione BRAF-MEK offrirebbe verosimilmente una risposta molto più rapida con chiari benefici in termini di qualità della vita. È necessario tenere conto di questi fattori nella scelta dell’approccio da tentare per primo in presenza di una muta-zione attivante BRAF confermata. Per quanto riguarda i test molecolari standard da impiegare nel melanoma metastati-co, le linee guida sono variabili: è universamente accettato il fatto che lo status relativo alle mutazioni BRAF debba essere noto prima di effettuare decisioni terapeutiche, ma il ruolo dei test c-KIT e NRAS è più controverso. Dato che attualmen-te non sono disponibili terapie autorizzate per malattie determinate da mutazioni c-KIT e NRAS, l’approccio più appropriato potrebbe consistere nel limitare questi test all’ambito degli studi clinici. Un altro punto importante nel campo dei trattamenti innovativi è rappresentato dai criteri impiegati per valutare e classifi-care i profili di ri-sposta. I criteri più ampiamente usati sono quelli RECIST, ma si tratta di un approccio che po-trebbe sottostimare il beneficio tera-peutico dell’immu-noterapia, in quanto la comparsa di nuove lesioni o l’espansione di quelle preesistenti di più del 20%, porterebbe alla sospen-sione del trattamento per malattia progressiva, ma nella pratica clinica con le immunoterapie la risposta potrebbe rendersi evidente dopo l’apparente progressione della

malattia. In conseguenza di ciò sono stati sviluppati i criteri irRC, che consentono

la prosecuzione del trattamento in presenza di nuove lesioni e

dell’espansione iniziale delle lesioni preesistenti. Le

nuove terapie, infine, presentano anche

nuovi profili di tos-sicità: le terapie an-ticorpali possono causare uno spet-tro di disordini autoimmuni, fra cui soprattutto coliti, epatiti, rash cutanei ed ipofi-

siti. La gestione di queste tossicità

richiede interventi rapidi con corticoste-

roidi onde prevenire morbidità prolungate ed

in presenza di disfunzioni endocrine croniche è indicata

la terapia sostitutiva.

Fonte:Int J ClinPract. 2015; 69: 273-80

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Possibile ruolo protettivo contro la cancerogenesi

MELANOMA

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I melanomi cutanei rappresentano la quinta forma di tumore più comune al mondo, nonché la principale causa di mortalità da tumori cutanei negli usa, con 77.000 nuovi casi stimati e 9.500 decessi nel 2013. l’esposizione ai raggi ultravio-letti (uVr), in particolare agli uVB, rappresenta il solo fattore di rischio esogeno costantemente associato ai melanomi, ma è probabile che anche altri fattori espositivi abbiano la loro importanza. le evidenze sperimentali conferiscono plausibilità biologica ad un possibile ruolo protettivo del consumo di caffè nei confronti della cancerogenesi indotta dagli uVB.MELANOMA

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Alcuni studi in vitro e sull’animale hanno dimostrato che i costituenti del caffè sopprimono la cancerogenesi cutanea da UVB, inducono l’apoptosi cellulare, proteggono dallo stress ossidativo e dal danno a carico del DNA, riducono l’infiammazione a livello delle cellule epidermiche ed inibi-scono i cambiamenti nella metilazione del DNA. Gli effetti protettivi degli elementi presenti nel caffè, dimostrati in modelli colturali e murini, sono stati corroborati da studi epidemiologici sul consumo di caffè e sul rischio di tumori cutanei non melanomatosi, ma purtroppo i pochi studi esistenti su consumo di caffè e melanomi sono gravati da risultati poco costanti. Data la scarsità di fattori relativi allo stile di vita utili per la prevenzione dei melanomi e la popolarità mondiale del consumo di caffè, è importante ri-solvere questi dati conflittuali. Sono stati esaminati i dati dello studio NIH-AARP, che ha incluso quasi il quadruplo dei casi di melanoma maligno rispetto al più ampio studio prospettico effettuato sinora, per comprendere meglio l’associazione fra consumo di caffè e rischio di melanoma maligno o melanoma in situ. I risultati dello studio hanno

confermato l’associazione inversa fra consumo di caffè e melanoma maligno. Rispetto a coloro che non bevono caffè, coloro che ne consumano più di 4 al giorno presenta-no una riduzione del 20% nel rischio di melanoma mali-gno, ma non di melanoma in situ, il che potrebbe indicare eziologie differenti fra queste due malattie, oppure un ruolo inibitorio del consumo di caffè sulla progressione della malattia. Sono state riscontrate anche significative correlazioni inverse fra assunzione di caffè caffeinato e rischio di melanoma, ma non con il caffè decaffeinato. Benché le associazioni riscontrare appaiano solide, sussi-ste ancora una scarsa concordanza fra gli studi epidemio-logici soprattutto se si considerano da un lato le piccole dimensioni dei campioni esaminati e dall’altro il fatto che gli studi precedenti erano dotati di una scarsa potenza statistica per il rilevamento di associazioni più deboli. La presenza di risultati poco costanti fra gli studi caso-con-trollo, inoltre, potrebbe essere spiegata da differenze nella selezione del gruppo di controllo o nell’approssimazione dei fattori interferenti, mentre il vantaggio del presente

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studio consiste nell’inclusione dei partecipanti e nella regi-strazione degli elementi espositivi precedente all’insorgen-za del melanoma, il che aiuta ad escludere errori legati alla selezione o a ricordi non corretti da parte dei pazienti. Al di là dei possibili errori contemplati nello stesso design dello studio, il caffè contiene numerose componenti bioattive, fra cui polifenoli, diterpeni, trigonellina e caffeina. È stato dimostrato che l’acido caffeico sia in grado di sopprimere la cancerogenesi da raggi UVB nelle cellule epidermiche murine inibendo l’espressione della COX-2, che viene invece iperespressa nelle cellule melanomatose umane rispetto ai normali melanociti e della quale si pensa svolga un ruolo funzionale nello sviluppo e nella progressione dei mela-nomi maligni. Gli studi in vitro hanno dimostrato che i diterpeni, noti come cafestolo e kahweol, inducano l’apop-tosi cellulare ed inibiscano l’infiammazione nelle cellule epidermiche. Il riscaldamento del caffè genera vitamina B3 e nicotinamide dalla trigonellina, ed è stato dimostrato che quest’ultima svolga un ruolo protettivo nei confronti della cancerogenesi da UVB nei ratti e dell’immunosop-pressione da UVB sia nei ratti che nell’uomo. È stato infine dimostrato che la somministrazione sia orale che topica di caffeina inibisca la cancerogenesi da UVB agendo letteral-mente da protezione solare e favorendo l’apoptosi da UVB nelle cellule epidermiche murine. Il caffè potrebbe anche esercitare effetti anticancerogeni tramite l’inibizione della metilazione del DNA e la detossificazione degli elementi cancerogeni. Data la scarsa costanza dei dati precedenti in materia, i risultati del presente studio devono essere consi-derati preliminari e necessitano di conferme e, inoltre, non è chiaro se le sue conclusioni siano applicabili a popolazio-ni diverse da quella statunitense. Tuttavia, dato l’elevato carico derivante dalla malattia, le modifiche dello stile di vita che comportano effetti protettivi sia pure modesti possono avere un impatto significativo sulla morbidità dei melanomi.

Fonte: J NatlCancer Inst. 2015; 107 (2)

L'acido caffeico, chiamato così perché originariamente trovato negli estratti di caffè, è stato successivamente riscontrato ampiamente in natura. Come tale e derivato (acidi caffeici/clorogenici) è presente nell'angelica, nell'arnica, nella bardana, nella fumaria, nella melissa ed in elevate percentuali nei propoli. Alimenti in cui è particolarmente rappresentato sono la cicoria, il carciofo, i piselli e le fragole.

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GAME

THECLINICAL

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paziENTEMaschio di 60 anni con un’ipertensione nota, si reca dal medico di famiglia per un controllo di routine della pressione arteriosa.

aNamNEsi FisioLogicaOrigini irlandesi, pelle chiara. Dall’età di 20 anni, ha sempre lavorato all'aperto in cantieri edili. Nel tempo libero, gioca a golf e pratica escursionismo. Da giovane ha lavorato come bagnino. Riferisce di non aver "mai" usato creme solari.

aNamNEsi FamiLiarEStoria familiare negativa per neoplasie cutanee.

aNamNEsi paToLogica rEmoTaIpertensione arteriosa da oltre 5 anni tenuta sotto controllo con la dieta, l’attività fisica e i farmaci prescritti dal curante.

aNamNEsi paToLogica prossimaDurante il controllo della PA, il medico rileva sulla fronte e sparse sul cuoio capelluto, 15 lesioni rosse, squamose e ruvide al tatto. Il paziente riferisce che queste lesioni erano com-parse mesi fa, ma non era preoccupato.

Quale tra le seguenti è la diagnosi più probabile per questo paziente?- Cheratosi attinica- Cheratosi seborroica- Dermatite atopica- Carcinoma a cellule squamose

Diagnosi corretta: cheratosi attinica

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La cheratosi attinica (AK, ActinicKerato-sis) è la lesione precancerosa più comune nel mondo, con una prevalenza compresa tra il 11% e il 26% in Nord America e tra il 6% e il 15% in Europa. Gli studi epidemiologici hanno dimostrato che negli USA, il 60% delle persone predisposte di età superiore ai 40 hanno almeno una lesione di questo tipo. La cheratosi attinica è spesso rilevata casualmente nel contesto delle cure prima-rie, specie nel corso di una visita medica di routine. Le caratteristiche cardinali dell’AK sono le papule cheratosiche o placche con scaglie superficiali su una base di cute arrossata. Tipicamente si manifesta con papule eritematose e squamose di 1-3 millimetri con trama ipercheratosica ma le lesioni possono variare fino a 2 centimetri

di ampiezza. Le caratteristiche cliniche della malattia sono relativamente specifi-che e questo rende la diagnosi impegnativa e difficoltosa.

Di fatto diversi disordini cutanei benigni e maligni sono in grado di simulare la cheratosi attinica compresa la cheratosi seborroica, il lupus eritematoso discoide, la dermatite atopica e il carcinoma a cellule squamose (SCC,Squamous Cell Carcinoma). Anche se la diagnosi spesso si può formu-lare sulla base della presentazione clinica, dovrebbe essere considerata la biopsia an-che per escludere la presenza di neoplasie, in particolare nei casi di lesioni di grandi dimensioni, sanguinamento, ulcerazioni o lesioni indurite. In particolare la diagnosi differenziale tra AK e SCC può essere par-

DiscUssioNE

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bibLiograFia

tratto da: actinic ke-ratosis: diagnosis and treatment optionshttp://www.medscape.org/viewarticle/760020european dermatology forum. Guidelines for the management of actinic keratoses. 20 october 2010.

Guideline subcommit-tee of the european dermatology forum. Guidelines for the management of actinic keratoses. eur J der-matol. 2006;16:599-606.

Current management of actinic keratoses. skin therapy lett. 2010;15(5)5:5-7.

British association of dermatologists therapy Guidelines and audit subcommittee. Guidelines for the ma-nagement of actinic ke-ratosis. Br J dermatol. 2007;156(2):222-230.

rossi r, Mori M, lotti t. actinic kera-tosis. int J dermatol. 2007;46(9):895-904.

emerging drugs for actinic keratosis. expert opinemerg drugs. 2010;15(4):545-555.

ticolarmente difficile nelle fasi successive della malattia. Un aumento dell’eritema, l’ispessimento, ulcerazioni e il cambiamento del diametro di una lesione AK possono in-dicare la progressione di uno SCC invasivo che, in fase avanzata, può mostrare placche e ipercheratosi. Meno impegnativa è la diagnosi differenziale tra AK e cheratosi se-borroica o dermatite atopica. La dermatite atopica è rara negli adulti; il 90% delle per-sone con dermatite atopica è colpito prima dei 5 anni di età. Le lesioni della dermatite atopica, inoltre, sono eczematose iniziano bruscamente con un esordio improvviso di prurito, eritema, placche o macchie e sono solitamente localizzate a mani, piedi, caviglie, polsi, viso, collo e parte superiore del torace.

La causa principale della AK è l'esposi-zione per periodi prolungati alle radiazioni non ionizzanti, in particolare all’azione dei raggi ultravioletti (UV) associata ad esposizione prolungata e continuativa al sole. Infatti, l'esposizione di lunga durata al sole può portare ad alterazioni genetiche che possono, quando i normali meccanismi di riparazione non funzionano corretta-mente, culminare in mutazioni genetiche che portano allo sviluppo della AK. Il gene più comunemente mutato è il TP53 che codifica per la proteina p53, essenziale per la regolazione del ciclo cellulare, l'apoptosi, la senescenza e la riparazione del DNA. Altre mutazioni comuni includono geni Ras, proto-oncogeni c-myc e geni onco-soppres-sori P16.

Le lesioni da cheratosi attinica sono particolarmente diffuse nei pazienti che oltre ad avere una lunga storia di esposizio-ne al sole, hanno la pelle chiara. La più alta incidenza è nei maschi di età superiore ai 60 anni. In proposito i dati del US National Ambulatory Medical Care Survey 1996-2005, hanno rilevato che la maggior parte dei pa-zienti con lesioni AK era di sesso maschile (58% 9), quasi tutti erano bianchi (98. 8%) e circa il 30% era di età compresa tra 70 e 79 anni. Va segnalato che l’abuso di lettini e lampade abbronzanti, l'esposizione a polveri di arsenico, l'infezione da papilloma virus umano (HPV) e l’immunosoppressione sono condizioni fortemente correlate con lo sviluppo di AK.

Si dispone oggi di diverse opzioni tera-peutiche per il trattamento diretto delle le-sioni evidenziabili: terapia topica, criotera-

pia, curettage e asportazione chirurgica. Tra queste la terapia topica diretta delle lesioni è raccomandata nei pazienti con lesioni multiple, anche se le lesioni clinicamente evidenti possono essere associate a lesioni subcliniche in tessuti adiacenti che non sono raggiunte da un trattamento diretto a una lesione evidente. Il trattamento diretto è considerato come l'approccio preferito in pazienti con più di 4 lesioni all'interno di un campo di cute pari a 25-cm2. La crioterapia è, invece, raccomandata per piccoli numeri di lesioni isolate, mentre l'asportazione chi-rurgica e il raschiamento generalmente non sono raccomandati. Attualmente le terapie topiche disponibili rientrano in due catego-rie: quelle che mirano alle singole lesioni e quelle che trattano sia lesioni singole che il campo circostante.

Per quanto riguarda gli agenti topici, uno tra i più recenti è il diclofenac che ha ricevuto una raccomandazione dal Forum Europeo di Dermatologia, sulla base di evi-denze di primo livello. L'esatto meccanismo attraverso il quale il diclofenac funziona è ancora poco chiaro, ma i ricercatori ritengo-no che molto probabilmente operi attraver-so effetti anti-infiammatori e anti-angio-genici. In uno studio, un tasso di clearance completa del 19,1% è stato identificato in 21 pazienti che hanno ricevuto diclofenac per 90 giorni, ma l'efficacia sembra diminuire dopo che il trattamento è stato interrotto. Una meta-analisi di 3 studi clinici randomiz-zati che coinvolgono 364 pazienti ha rileva-to che i casi di cheratosi attinica sono stati risolti completamente nel 40% dei pazienti trattati con diclofenac per 60 giorni rispetto al 12% dei pazienti trattati con placebo (p <.0001). Complessivamente gli studi clinici mostrano tassi di guarigione completa che variano dal 50% al 79% quando il diclofenac viene applicato due volte al giorno per 60 o 90 giorni. Dati recenti dimostrano che i pa-zienti devono essere sottoposti a 90 giorni di trattamento con diclofenac per raggiun-gere questi tassi di guarigione completa.

In tre studi che hanno analizzato come outcome primario la scomparsa del 75% delle lesioni, la percentuale di successo aveva un range compreso tra il 71 e il 77%. Il diclofenac è generalmente ben tollerato. Gli effetti collaterali possono includere prurito, desquamazione, secchezza, eruzioni cutanee, eritema e raramente, parestesie e iperestesia.

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