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Cambiamento climatico e allevamenti intensivi

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1. Introduzione

Gran parte del mondo scientifico ha preso atto di come i cambiamenti climatici, chestanno producendo gravi danni umani e ambientali, siano causati dalle attivitàdell’uomo. Purtroppo la situazione non fa che aggravarsi. Pochi sono a conoscenzadel fatto che l’allevamento intensivo di animali è tra le attività che maggiormentehanno concorso e concorrono all’aumento della temperatura terrestre.Questo dossier mette in evidenza il ruolo determinante degli allevamenti sulcambiamento climatico in atto e propone, sia ai cittadini che alle istituzioni, alcunepossibili soluzioni. Il prossimo 7-18 dicembre si terrà a Copenhagen il quindicesimo vertice ONU con l’obiettivo di formulare un accordo globale come strategia contro i

cambiamenti climatici e sarà il compimento e l’attuazione di ciò per cui il vertice diKyoto nel 1997, con il protocollo di Kyoto che ne è uscito, ha gettato le basi.Copenhagen 2009 sarà un’importante occasione per fare in modo che i governiprendano decisioni in grado di modificare le politiche che hanno portato losfruttamento animale a livelli tali da provocare anche gravi danni ambientali.

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IL PROTOCOLLO DI KYOTO

È un accordo stilato nel 1997 tra 37 paesi industrializzati più l’Unione Europea,con il fine di adottare una strategia globale per contenere il surriscaldamentodel Pianeta. La stesura definitiva è stata formulata nel 2001 in Marocco, e ilprotocollo è entrato in vigore, con molta fatica, nel febbraio 2005. L’obiettivo èdi riportare le emissioni di gas serra, responsabili del riscaldamento globale,a livelli paragonabili a quelli del 1990.

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Abstract

Negli ultimi 50 anni la temperatura media terrestre è aumentata di quasi 1 °C e dadiversi anni nel mondo scientifico si registra un vasto consenso sul fatto che questoaumento deriva dalle attività umane. Un recente studio ha inoltre rilevato come gliallevamenti intensivi siano responsabili dell’emissione in atmosfera di ben il 51%dei gas serra (GHG), soprattutto di anidride carbonica, metano e protossido d’azotoe quindi possano essere annoverati tra i maggiori responsabili del riscaldamentoglobale.Già oggi, l’aumento di temperatura sta producendo i suoi effetti sul clima comeaccrescimento della piovosità e scioglimento dei ghiacci da una parte, e

desertificazione dall’altra.Molte sono le autorità internazionali preoccupate per quella che ha i caratteri diuna vera e propria emergenza: bisogna infatti intervenire il prima possibile.I dati che emergono dagli studi effettuati sull’argomento dicono chiaramente che ilmodo più rapido ed efficace di fermare l’aumento della temperatura globale èridurre i numeri degli allevamenti intensivi.

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2. Background

Nel 1990 l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha preso atto delsurriscaldamento climatico globale in atto e lo ha attribuito alle attività umane.L’industrializzazione infatti in 250 anni, e in particolar modo negli ultimi 50, haprodotto un aumento della temperatura media terrestre: secondo il rapporto 2007del IPCC dal 1906 al 2005 è aumentata di 0.74 °C. Tale valore ha determinato:

– lo scioglimento di molti ghiacci;

– l’innalzamento del livello del marecon la conseguente progressiva

scomparsa di coste;– esondazioni e violente tempeste nel

nord del mondo;

– una progressiva sempre maggioredesert if icazione in molte zonedell’Africa;

– la riduzione dello strato di ozono;

– l’acidificazione degli oceani (la CO2 in

eccesso s i sciogl ie nelle acqueoceaniche producendo un abbassamento del pH con effetti vari sugli ecosistemi,tra cui l’erosione delle barriere coralline).

L’aumento della temperatura è provocato dai cosiddetti “gas serra” (di seguito GHG,dall’inglese Green House Gases), gas cioè, che per le loro caratteristiche chimico –

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L’effetto “riscaldante”dei GHG è espresso comeCO 2eq (CO 2 equivalenti): si considera cioè

l’anidride carbonica come riferimento. Il suopotenziale riscaldante globale (GWP, globalwarming potential) è considerato pari a 1, mentrequello del metano e dell’ossido di azoto sonorispettivamente pari a 25 e 298. Questo significache a parità di quantità, metano e ossido di azotocontribuiscono al riscaldamento globale 25 voltee 2981 volte rispettivamente in confronto aquanto contribuisce l’anidride carbonica. Direquindi che un Paese o un’industria ha emessouna determinata quantità di CO2 equivalentifornisce una indicazione di quanto esso hacontribuito al riscaldamento globale, ma non specifica sotto forma di qualegas in particolare.

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fisiche sono in grado di intrappolarecalore nell’atmosfera. I principali gas serra

nell’atmosfera terrestre sono: anidridecarbonica (CO2), metano (CH4), ossido diazoto (NO2) e clorofluorocarburi (CFC). Anidride carbonica, metano e ossido diazoto sono prodotti naturalmente daiprocessi biologici, ma l’industrializzazionee l’intensificazione sempre più spinta di

agricoltura e zootecnia hanno esasperato questa situazione, producendo livelli diGHG che gli ecosistemi non sono in grado di tamponare e così, liberati in grandi

quantità nell’atmosfera, i gas hanno avuto e hanno tuttora come effetto unsurriscaldamento del clima globale.

2.1 Previsioni

I gas serra ed il conseguente incremento di temperatura sono in continuo aumento.Gli esperti hanno dichiarato che, al fine di evitare catastrofi irreversibili, ènecessario per ogni Paese implementare delle politiche per contenere le proprieemissioni di GHG per far sì che globalmente non si raggiunga mai un innalzamentotermico globale di 2 °C.La situazione è urgente poiché i GHG già emessi nell’aria producono i loro effettiper lungo tempo, è quindi fondamentale intervenire subito.Le previsioni degli scienziati sugli esiti che il continuo aumento di temperaturapotrà avere sono ad esempio:

– ripercussioni sull’agricoltura (inizialeaumento delle rese per aumento CO2ma inferiore qualità nutritive);

– estinzione di specie;

– cambiamenti degli ecosistemi;

– diffusione di malattie;

– conseguenze economiche:diminuzione dei consumi e del PIL.

Nel Libro Bianco sul futuro del modellosociale “La vita buona nella società

attiva” del Ministero del Lavoro, dellaSalute e delle Politiche Sociali , èriportato che “i cambiamenti climatici possono avere pesanti conseguenze per gli

equilibri mondiali. In assenza di una azione coordinata a livello internazionale sistima una perdita equivalente del 2 per cento del PIL mondiale2”.

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3. Surriscaldamento e allevamenti intensivi.

3.1 Allevamenti intensivi

L’attività di produzioneanimale e l’aumento dellatemperatura globale sonostrettamente connessi traloro, infatti la produzionedi carne e di latte negliallevamenti intensivi è unadelle principali responsabili

dell’emissione in atmosferadi GHG.Nel Rapporto FAO del 2006Livestock’s long shadow èstato calcolato che gliallevamenti intensivi producono il 18% di anidride carbonica, metano e ossido diazoto, mentre, ad esempio, l’attività di trasporto via terra, acqua e mare ne causasolo il 14%. In un recente studio di due degli autori dello stesso Rapporto FAO, il valore è stato revisionato e risulta ammontare addirittura a oltre il 50%, poiché in

Livestock’s long shadow alcune voci non erano state conteggiate. A causare la massiccia emissione di GHG nell’atmosfera sono in modo particolare:

– nel caso dell’anidride carbonica, l’impiego di combustibili fossili (petrolio,carbone, gas naturale), che ha mobilitato la CO2 fissata nel sottosuolo nel corsodi milioni di anni, disperdendola nell’atmosfera grazie alla combustione dipetrolio, gas naturale e carbone. I combustibili fossili vengono utilizzatiampiamente in vari settori: per il riscaldamento domestico, nell’industria, neitrasporti e altro. Di tutti i GHG di origine umana, almeno il 21% deriva dallaproduzione animale (considerando solo quelli emessi dalla respirazione degli

animali) (2). In maniera indiretta, ma molto consistente, gli allevamenti sonoinoltre responsabili della elevata presenza di CO2 nell’atmosfera, anche per ladistruzione di migliaia di ettari di foreste per fare posto ai pascoli (vedi oltre).

– nel caso del metano: il 72 % (2) del metano totale derivante da attività umaneemesso in atmosfera proviene sia direttamente dai processi digestivi deiruminanti (bovini, ovini, caprini) che dall’evaporazione dei composti presenti nelletame.

– nel caso del monossido di azoto, gli allevamenti contribuiscono per il 65% alle

emissioni antropogeniche totali di questo gas, e per il 75-80%1

di quelle dovutealle attività agricole. L’NO2 proviene da due fonti principali: una è l’impiego difertilizzanti chimici a base di azoto, senza i quali l’agricoltura intensiva non

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potrebbe sussistere. I fertilizzantiazotati sono prodotti industrialmente

(con grande impiego di energia e quindiemissione di GHG a loro volta) eriversati sui terreni agricoli, mentretonnellate di deiezioni animali, chepotrebbero essere utilizzate allo stessoscopo, rimangono inutilizzate a cieloaperto. L’evaporazione dei compostiazotati dai fertilizzanti e dal letame,che ne è la seconda fonte, è

responsabile della formazione dimonossido di azoto, il più potente deitre GHG come effetto riscaldante.

3.2 Deforestazione

Gli allevamenti intensivi contribuiscono anche in un altro modo alla presenza diuna eccessiva quantità di GHG nell’aria: per far posto ai pascoli necessari infatti,ampie zone sono state deforestate. I vegetali, a differenza degli organismi animali,sono in grado di catturare la CO2 presente nell’aria, liberando poi ossigeno edutilizzando il carbonio per crescere: è la cosiddettafotosintesi clorofil l iana.L’eliminazione massiccia dimigliaia di ettari di alberi adalto fusto ha come effetto ladiminu ita capacit à dicatturare l’anidride carbonica.Dal Rapporto FAO primacitato risulta che ben il 70%

delle aree deforestate in

 Amazzonia sono occupate dapascoli, il resto da coltivazione di foraggio. Il rapporto evidenzia inoltre che:

– il 30% della terra è utilizzata per la produzione animale soprattutto per il pascolo(26%), il resto per la coltivazione di soia che servirà per nutrire i bovini (vedischeda su soia).

e che, globalmente:

– il 33% dei terreni agricoli è occupato dalla coltivazione di foraggio;

– un terzo dei cereali raccolti sono impiegati come foraggio per gli animali;

– il 20% dei pascoli sono degradati e sterili per via dell’eccessivo sfruttamento.

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 Va tenuto presente che i terrenisfruttati dall’eccessivo pascolo

diventano praticamente sterili einutilizzabili. Laddove c’era ilpolmone del mondo, la rigogliosaforesta amazzonica, nelle areesfruttate dai pascoli ora c’è ildeserto e ormai, sempre secondola FAO, i pascoli mondiali sonoormai esauriti, poiché le areesfruttabili sono già state tutte

utilizzate e non rimane che abbattere altre foreste.Nel 2005 l’importazione nell’UE di carni bovine dal Brasile era di oltre il 64% (circa340.000 tonnellate) del totale delle carni bovine importate, ed era aumentataprogressivamente dal 2000 (46,6%)3. Questi dati, peraltro in preoccupante ascesa,sono indice del fatto che la UE contribuisce, attraverso i propri consumi di carneseppur in maniera indiretta, alla deforestazione dell’Amazzonia.Per riassumere, gli effetti sul clima dei GHG prodotti dagli allevamenti intensiviprovengono da:

– 34,0% deforestazione;

– 30,4% letame;

– 25,3% fermentazione intestinale dei ruminanti;

– 6,2% uso di fertilizzanti;

– 4,1% altro.

La scarsità di territori coltivabili inoltre ha come effetto l’aumento dei prezzi deicereali a livello globale. Se si considera poi che uno dei metodi presi inconsiderazione per diminuire il ricorso ai combustibili fossili è la produzione dicarburanti da colture vegetali oleose, si comprende come queste produzioni

richiederanno sempre di più ampie aree.

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4. La soluzione

Secondo la FAO, l’allarme ambientale creato dalla produzione intensiva di animali ègià elevato e, per evitare di aumentare i danni già ingenti, le emissioni devonoessere dimezzate al più presto. Come già accennato, una delle caratteristiche deiGHG è che permangono nell’atmosfera per molto tempo: le concentrazioniattualmente presenti continueranno quindi i loro effetti per diversi decenni ancora.

La FAO ha proposto misure come ad esempio il riutilizzo delle deiezioni come fonte

energetica e altro, si tratta di soluzioni non facilmente realizzabili nell’arco di unbreve periodo di tempo, e anzi, due degli autori del rapporto FAO Livestock’s long

shadow, hanno di recente dichiarato esplicitamente che non esiste misura piùefficace, pratica e allo stesso tempo rapida, in grado di diminuire le emissioni diGHG come la diminuzione dei consumi di prodotti animali (2).D’altra parte, come si può evincere dai dati sopracitati, un decisivo impattoambientale (quasi il 60%) è dovuto ai naturali processi di digestione degli animali(letame e fermentazione intestinale). Si tratta di un punto cruciale su cui interveniree lo si può fare solo ridimensionando gli allevamenti. Infatti, secondo uno studiobelga dell’Ufficio Federale degli Affari Scientifici, Tecnici e Culturali del 2001 una

riduzione in numeri riguardanti gliallevamenti intensivi è sempre lamisura più efficiente per ridurreemissioni di GHG. Una diminuzionedel 10% ridurrebbe le emissioniannuali d i 0 ,242 mil ioni d itonnellate di CO2 equivalenti (2) .Nel nostro Paese, una riduzione del10% dei consumi di c arne

equivarrebbe per ogni italiano alladiminuzione di 8 kg l’anno, ovvero150 gr a settimana (si intende

Consumo prodotti locali: la scelta vincente?

Pensare di ridurre il proprio impatto ambientale orientandosi su carni diallevamenti locali non è una soluzione. Lo ha dimostrato uno studiodell’Università di Oxford: quello che si può risparmiare in termini di GHGmangiando solo ed esclusivamente prodotti locali (anche vegetali) può essererisparmiato, e di più, sostituendo carne e pesce con cibi vegetali una solavolta a settimana.(4)

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carne di animali terrestri, esclusi quindi pescee prodott i i tt ic i) . Questo s i t raduce

semplicemente nella sostituzione di unapiccola porzione di carne (1 hamburger, 1petto di pollo, una fettina di vitello) con unacotoletta di soia oppure un piatto di legumi.Ovvero sostituire per una volta a settimana uncibo ricco di proteine animali con uno ricco diproteine vegetali.In termini di kg CO2 equivalenti prodotti, per ogni kg di cibo, i seguenti alimenti producono:

carne di maiale 9,3; carne bovina 30;merluzzo 8,5; soia 0,92; fagioli 1,35 (vediGrafico 1).

Grafico 1: Risparmio in kg CO2 equivalenti/anno.

Sostituire 1 kg di carne a settimana fa risparmiare 1872 CO2 equivalenti in un anno,mentre sostituire una lampadina da 60 W con una a basso consumo 26.Sostituire 1 kg di carne suina, bovina e di merluzzo al mese, invece (sempre per unanno), ne fa risparmiare rispettivamente 96, 344,4 e 86, 4 e mangiare solo ed

esclusivamente cibo locale (anche vegetale), 367.Quindi un piatto ricco di proteine vegetali diminuisce l’emissione di GHG da circa10 a 30 volte rispetto ad uno di proteine animali.

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    s    o    s     t     i     t    u    z     i    o    n    e     1     k    g    c    a    r    n    e    a

    s    e     t     t     i    m    a    n    a

    u    s    o     l    a    m    p    a     d     i    n    a     6     0    w

     b    a    s    s    o

    c    o    n    s    u    m    o    v    s     t    r    a     d     i    z     i    o    n    a     l    e

    s    o    s     t     i     t    u    z     i    o    n    e     1     k    g    c    a    r    n    e

    s    u     i    n    a     /    m    e    s    e    c    o    n     1     k    g     f    a    g     i    o     l     i

    s    o    s     t     i     t    u    z     i    o    n    e     1     k    g    c    a    r    n    e

     b    o    v     i    n    a     /    m    e    s    e    c    o    n     1     k    g

     f    a    g     i    o     l     i

    s    o    s     t     i     t    u    z     i    o    n    e     1     k    g

    m    e    r     l    u    z    z    o     /    m    e    s    e    c    o    n     1     k    g

     f    a    g     i    o     l     i

    m    a    n    g     i    a    r    e    s    o     l    o    c     i     b     i     d     i

    p    r    o     d    u    z     i    o    n    e     l    o    c    a     l    e

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  Vantaggi legati al consumo di proteine vegetali:

– Il vantaggio di ricavare le proteine dai cibi vegetali anziché dai cibi animaliè che, così facendo, è possibile soddisfare il proprio bisogno di proteine (inparticolare se queste ultime sono

abbinate ai cereali) senza introdurrec ol es te ro lo e g ra ss i s at ur i,notoriamente deleteri per la salute einevitabilmente presenti in tutti icibi animali.

– L’assunzione nell’arco della giornatadi cereali (pane, pasta, riso, ecc),insieme a legumi (fagioli, lenticchie,ce ci, e cc) f orni sc e t ut ti gl iaminoacidi necessari nelle giustequantità e proporzioni(la soia èl’unica leguminosa in grado di

fornire da sola tutti gli aminoacidinecessari nelle giuste proporzioni).È q ua nt o a vv ie ne q ua nd o s iconsumano piatti tradizionali dellacucina mediterranea, quali pastacon fagioli e pasta con ceci, nonchénel riso con piselli, ecc..

– I legumi contengono pochi grassi emolta fibra alimentare. Le proteinevegetali dei legumi e altri loro componenti esercitano inoltre un’azione«ipocolesterolemizzante», anche indipendentemente dall’azione della fibra.

– I semi di leguminose contengono anche una discreta quantità di fosforo, dicalcio e soprattutto di ferro, uno dei minerali più scarsamente presentinegli alimenti. Per quanto riguarda le vitamine, i legumi apportanoquantità apprezzabili di alcune vitamine del gruppo B (B1, B2 e niacina), e,allo stato fresco, anche di vitamina C.

Con un piccolo cambiamento si potrebbe ottenere molto e si tratta di una modificaalla portata di tutti. Una scelta tanto semplice quanto rivoluzionaria che, oltre ad

avere benefici ambientali li produrrebbe anche sul piano igienico sanitario (vedischeda su proteine vegetali).

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4.2 Soluzioni possibili

Qualsiasi governo e cittadino, in particolare dei Paesi industrializzati, ha la stessaresponsabilità nel contribuire alla diminuzione del’emissione di GAS serra, poichégli effetti dei GHG sono globali,a prescindere dal luogo di emissione.

4.2.1 I cittadini

È molto raro che, di fronte a grandi problematiche, il singolo cittadino possacontribuire in maniera diretta con le proprie scelte. Nel caso dei mutamenti climaticiinvece è possibile contrastare da subito e in modo efficace i mutamenti climatici inatto attraverso la scelta di ciò che quotidianamente mettiamo nel carrello della

spesa.È necessario inoltre essere consapevoli di come dietro al prezzo della carne sinascondano costi che vengono pagati dai contribuenti come:

– aiuti e premi agli allevatori;

– spese sanitarie (degenza ospedali, giorni di lavoro persi ecc.) causate da: malattiecardiovascolari, cancro, diabete e obesità. Queste patologie dimostrano infattiun’incidenza maggiore tra chi mangia carne. È stato calcolato, ad esempio, chesolo per le malattie cardiovascolari il costo procapite annuo sociale è di circa 400euro6.

Se si pagasse inoltre una tassa sulle foreste distrutte o sulle emissioni di GHGprodotte da un certo bene alimentare, la carne avrebbe costi tanto elevati da essereproibitivi.

4.2.2 Le istituzioni

I governi dei Paesi industrializzati sono tenuti a dare il buon esempio soprattutto aigoverni di quelle nazioni come la Cina, l’India e il Brasile in cui si rileva al presenteun aumento vertiginoso di produzione di carne. L’attuale situazione è tuttaviaconseguenza delle economie dei paesi industrializzati e del modello alimentare

occidentale.Le istituzioni dovrebbero quindi prendere atto che la riduzione dei consumi diprodotti animali, mai come oggi, costituisce una scelta virtuosa sotto il profiloambientale, ma anche igienico sanitario, e si dovrebbero impegnare nellapromozione di azioni in questa direzione attraverso:

– l’incentivazione delle diete basate su alimenti vegetali soprattutto per ciò checoncerne le proteine (valorizzazione colture protealeaginose italiane: legumi esemi oleosi);

– la facilitazione dell’opzione vegetariana nelle mense pubbliche;– la revisione delle proprie politiche agricole, incentivando il modello estensivo

(biologico, ad esempio) e disincentivando quello intensivo.

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Soia

Oltre il 90% della soia prodotta nel mondo, è utilizzata come foraggio per glianimali. La soia viene prodotta nel 30% delle aree deforestate (il restante 70%di queste aree è adibito a pascolo), viene coltivata con largo impiego dipesticidi con gravi ripercussioni sull’ambiente ma anche sulle popolazionilocali che si trovano defraudate della loro terra.La soia, prodotta con metodo biologico, potrebbe venire utilizzatadirettamente per l’alimentazione umana; la soia è infatti un ottimo prodottodal punto di vista dell’approvvigionamento proteico. I legumi in generale e lasoia in particolare contengono un elevato contenuto di proteine (100 gr dialimento secco contiene rispettivamente circa il 22 e il 36% di proteine).Le proteine della soia somministrata come foraggio agli animali invece non sitrasformano automaticamente in bistecca: nel passaggio lungo la catenaalimentare si disperde una gran quantità di energia, ecco perché da 30 gr diproteine sotto forma di soia, che equivalgono ad una porzione di alimentosotto forma di fagioli di soia o relativi prodotti (tofu ad esempio), si ottienesolo 1 gr di proteine animali, pari a circa 5 gr di carne, ovvero praticamentenulla.Le proteine vegetali sono un metodo molto più efficiente di produrre proteinedi buon valore biologico e allo stesso tempo occupare una estensionerelativamente bassa di terreno, diminuire l’impatto ambientale e l’emissionedi GHG e diminuire l’impatto sulla vita di milioni di animali.La coltivazione della soia è un modo di occupare la terra molto più efficientedegli allevamenti, infatti per ogni caloria di cibo consumato è 65 volte più

energeticamente efficiente della carne bovina e 73 volte più del salmoned’allevamento (3).

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Note bibliograf iche

Quando non altrimenti specificato, il riferimento bibliografico è:(1) Steinfeld et al., 2006, Rome FAO. Livestock’s long shadow - environmental

issues and options

 Altri riferimenti principli:

(2) Robert Goodland e Jeff Anhang, 2009, World Watch Institute. Livestock and

climate change http://www.worldwatch.org/node/6294

(3) Global Warning, 2007. Compassion In World Farming, UK.

Note1 Gohar and Shine, Equivalent CO2 and its use in understanding the climate effects

of increased greenhouse gas concentrations, Weather, Nov 2007, p307-311.2 http://www.ministerosalute.it/imgs/C_17_pubblicazioni_955_allegato.pdf 3 Statistiche UNICEB. Milano, 26 maggio 2006. XXXVII Assemblea Ordinaria

 Annuale.4  Weber C. e R. Saunders, 2008. Do food miles matter? Science news.5 Carlsson – Kanyama A. et al, 2009. Potential contributions of food consumption

patterns to climate change. Am J Clin Nutr 89 (suppl):1704S-9S.6 European cardiovascular disease statistics, 2008. Allender et al, Department of 

Public Health, University of Oxford.

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