Edifici dismessi

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21 Edifici dismessi: il riuso della città Tra i tanti tentativi di recupero di parti di città abbandonate o che dovevano cambiare destinazione, spicca senz’altro quelli delle Murate e delle Oblate. Mentre resta la grande X di Sant’Orsola, l’ex Tribunale di San Firenze e la Manifattura Tabacchi. a cura di Roberto Melosi La “ fase espansiva” che ha connotato lo sviluppo delle nostre cià nei de- cenni scorsi si è esaurita, per una molteplicità di ragioni. Tue le auali poli- che urbanische sono ormai orientate verso un drasco contenimento del consumo di suolo, se non addiriura, come in Toscana e a Firenze, al divieto di impegnare nuovo territorio per urbanizzazioni ed espansioni della cià. L’aenzione si rivolge così alla riorganizzazione , anche infrastruurale, della cià esistente , al suo riuso funzionale, alla riqualificazione dello spazio urba- no per adeguarlo alla complessità delle auali esigenze dei ciadini. In questo mutato quadro di riferimento, anche culturale, un nuovo e più elevato livello della qualità urbana, non disgiunta da quella architeonica, è l’obievo primario cui rivolgere tu gli interven sulla cià. Per una cià come Firenze tuo questo si aggiunge alle prevalen esigenze di salvaguardia dei valori storici, architeonici e arsci che connotano la rarità e l’eccezionalità della sua “bellezza”. Così gli obievi di “cambiamento” e di trasformazione, cui tendono gli inter- ven di riuso, devono confrontarsi e convergere con quelli di conservazione e di ”permanenza”, alla base delle diverse azioni di tutela. In questa accezione di sviluppo urbano, le quesoni connesse alle dismissio- ni del patrimonio immobiliare, se valutate in modo appropriato per comples- sità, per rilevanza e per incidenza nelle strategie di riqualificazione, costui-

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Edifici dismessi: il riuso della cittàTra i tanti tentativi di recupero di parti di città abbandonate o che dovevano cambiare destinazione, spicca senz’altro quelli delle Murate e delle Oblate. Mentre resta la grande X di Sant’Orsola, l’ex Tribunale di San Firenze e la Manifattura Tabacchi.

a cura di Roberto Melosi

La “ fase espansiva” che ha connotato lo sviluppo delle nostre città nei de-cenni scorsi si è esaurita, per una molteplicità di ragioni. Tutte le attuali poli-tiche urbanistiche sono ormai orientate verso un drastico contenimento del consumo di suolo, se non addirittura, come in Toscana e a Firenze, al divieto di impegnare nuovo territorio per urbanizzazioni ed espansioni della città. L’attenzione si rivolge così alla riorganizzazione , anche infrastrutturale, della città esistente , al suo riuso funzionale, alla riqualificazione dello spazio urba-no per adeguarlo alla complessità delle attuali esigenze dei cittadini.In questo mutato quadro di riferimento, anche culturale, un nuovo e più elevato livello della qualità urbana, non disgiunta da quella architettonica, è l’obiettivo primario cui rivolgere tutti gli interventi sulla città.Per una città come Firenze tutto questo si aggiunge alle prevalenti esigenze di salvaguardia dei valori storici, architettonici e artistici che connotano la rarità e l’eccezionalità della sua “bellezza”. Così gli obiettivi di “cambiamento” e di trasformazione, cui tendono gli inter-venti di riuso, devono confrontarsi e convergere con quelli di conservazione e di ”permanenza”, alla base delle diverse azioni di tutela.In questa accezione di sviluppo urbano, le questioni connesse alle dismissio-ni del patrimonio immobiliare, se valutate in modo appropriato per comples-sità, per rilevanza e per incidenza nelle strategie di riqualificazione, costitui-

scono precise risorse, su cui impostare le nuove politiche urbane. Il riuso di immobili dismessi implica la progettazione di nuovi “luoghi” urbani e il recupero a nuovi usi di spazi e di edifici, che hanno da tempo esaurito le proprie funzioni originarie, e che, quasi sempre, determinano situazioni di preoccupante degrado. L’affermarsi di corretti interventi di recupero edili-zio ed urbano può costituire un modo concreto ed equilibrato di realizzare nuove politiche di sviluppo urbano della nostra città, fondato su criteri di sostenibilità e di forte integrazione dei nuovi spazi riprogettati con la città. Si tratta di prassi consolidate in molte città europee ed italiane e che hanno guidato (e guidano) le più qualificate operazioni di trasformazione e di riqua-lificazione urbana.Da anni Firenze è segnata da numerose dismissioni di complessi immobiliari privati e pubblici in varie parti della città, da quelle centrali storiche a quelle periferiche.Le dismissioni interessano aree e impianti produttivi, edifici pubblici (militari, giudiziari, scolastici, religiosi), aree ferroviarie, ospedali, cinema, teatri e vil-le. La loro localizzazione è diffusa nell’intera struttura urbana della città.Le operazioni di trasformazione e di recupero intraprese sono molteplici. Non è questa la sede per un bilancio delle esperienze e per una lettura degli esiti e del loro impatto sulla città, si può però affermare che solo gli interventi di recupero e riuso del complesso carcerario Le Murate e quelli di restauro dell’ex Convento Le Oblate sono riusciti a dare forza e impulso a un nuovo modo di abitare e vivere la città. In questo connotandosi come efficaci opera-zioni di rigenerazione di spazi urbani, capaci di innescare virtuosi processi di effettiva riqualificazione nell’ambito più vasto.Le altre esperienze, soprattutto quelle intraprese da privati, si sono di fatto caratterizzate per una forte densificazione dei tessuti già formati, che ha ne-gato la riqualificazione degli spazi urbani degradati e non ha realizzato quella dotazione di servizi attesa dagli abitanti. Le esperienze hanno evidenziato, in generale, l’inadeguatezza degli strumenti urbanistici locali – prg e piano strutturale – a gestire trasformazioni urbane di questo tipo, probabilmente anche per l’utilizzo degli strumenti attuativi tradizionali (edilizia convenziona-ta e piani di recupero edilizio) obsoleti o comunque già dimostratisi ineffica-ci. Le operazioni di trasformazione urbana che interessano la città di Firenze sono operazioni “complesse” e che intervengono su immobili di proprietà privata (ad es. ex Manifattura Tabacchi) o pubblica (ad es. Sant’Orsola, ex Tribunale Piazza san Firenze) in contesti molto pregiati, le cui relazioni con la città sono molto rilevanti e strategiche. Il processo che le concepisce, le forma e le realizza è altrettanto “complesso”

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sia in termini di differenti soggetti pubblici (Comune, Provincia, Regione ) in-teragenti che di quelli privati (dall’investitore al realizzatore e al gestore fina-le). Centrale deve essere sempre il ruolo di “regia” del Comune, che in caso di intervento privato potrà (e dovrà) promuovere, indirizzare o semplicemente orientare l’operatore privato verso gli obiettivi pubblici di una strategia ur-bana di riferimento, predefinita, anche progettualmente, per quel contesto della città. Nel caso di intervento pubblico di soggetto diverso dal Comune, la “regia” dell’intera operazione deve rimaner sempre nelle prerogative del Comune, che le esplica secondo specifiche strategie urbane di riferimento.Quando l’intervento avviene su immobili comunali, la regia si identifica con l’intero management dell’iniziativa e costituisce di solito la gestione diretta e attuativa di un progetto predisposto dal Comune stesso.La legislazione nazionale, fin dal 1992, ha individuato gli strumenti tecnici più idonei per consentire al Comune di sviluppare questo ruolo, mutuando prassi e impostazioni di esperienze europee di quel periodo.Lo strumento principale è il “programma integrato di intervento”, puntual-mente definito dalla legge 179/92 nei suoi contenuti e nelle modalità opera-tive. Da questo sono derivati altri strumenti di gestione integrata di interventi urbani, variamente definiti : programmi di recupero urbano, programmi di riqualificazione urbana, contratti di quartiere, programmi unitari di valoriz-zazione ecc. Con finalità più specifiche o settoriali, con differenti modalità di finanziamento pubblico o funzionali alla valorizzazione del patrimonio immo-biliare pubblico, sono tutti strumenti a sostegno degli interventi di recupero urbano e quindi anche a quelli di riuso di immobili dismessi.Tutti sono adeguati a garantire un soddisfacente grado di integrazione urba-na agli interventi, ma richiedono molta progettualità da parte del Comune.In altri termini, per la gestione e la qualità delle operazioni di riuso e trasfor-mazione delle aree e degli immobili dismessi è necessario aprire a Firenze una stagione di “progettazione della città”, a supporto delle decisioni e scelte del Regolamento Urbanistico.In circoscritti e limitati ambiti o brani della città, da definire sulla base delle elaborazioni del Piano Strutturale e in coerenza con i suoi obiettivi generali, vanno studiate soluzioni di interventi urbani sviluppando progettazioni ur-bane preliminari, capaci di verificare gli obiettivi pubblici da perseguire e di rappresentare i nuovi spazi urbani con la forza delle immagini di un progetto d’architettura. Ciò permetterà anche di costruire su ogni intervento un reale processo di partecipazione dei cittadini alle diverse fasi di gestione e che vie-ne avviato proprio nella fase preliminare di progettazione.

‘Tornare ai quartieri-amici’

“Occorre ripartire dai bisogni primari – afferma l’urbanista Paolo Berdini del consiglio nazionale del WWF – e mi riferisco in particolare al welfare ur-bano: dovremmo rendere spazi e servizi accessibili a tutti. Le funzioni principali della vita quotidiana do-vrebbero ritornare quindi nei quartieri, una sfida straordinaria per rendere le città amiche dei cittadi-ni, pensiamo alle politiche del Km zero, dell’assistenza sociale di prossimità, ai servizi decentrati, ai centri ricreativi. Le nostre città, nonostante tutto quello che è accaduto negli ultimi 60 anni, hanno mantenuto intatta la struttura urbana che ci da la possibilità di teorizzare e sperimenta-re forme di vita urbana a misura di cittadino.”

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D’altra parte anche la recente elaborazione degli strumenti tradizionali di pia-nificazione urbanistica comunale, seppure operazione complessa e onerosa in termini economici e di energie impegnate, non ha prodotto progetti –gui-da per il recupero urbano integrato degli ambiti di trasformazione e di riuso della città. Questa “stagione “ di progettazioni urbane può essere attivata in varie forme e con differenti modalità, che il Comune saprà individuare anche coinvolgendo risorse esterne (ad es. quelle dei privati proprietari coinvolti nel comparto di intervento). Ma lo scopo rimane quello di costituire degli ”ate-liers di progettazione” per i diversi ambiti urbani di intervento; questi prov-vederanno in tempi certi e sotto la direzione dei competenti uffici comunali a mettere a punto le elaborazioni progettuali anche su ipotesi alternative, gli studi preliminari di fattibilità e le loro restituzioni in immagini di progetto. L’approccio processuale e tentativo della progettazione faciliterà al massimo il coinvolgimento di tutti gli attori del processo di trasformazione urbana e soprattutto dei cittadini.Firenze non può continuare a tollerare (o addirittura promuovere) interventi di riuso che, pensati come semplici sostituzioni edilizie, rimuovono sicura-mente situazioni di degrado ma si risolvono in banali addizioni edilizie prive di qualità e molte volte con effetti congestionanti. Mentre le operazioni di riuso, in una città come Firenze, vanno concepite e realizzate come occasioni irripetibili di rigenerazione urbana e di riqualificazione dello spazio urbano.

L’INCUBATORE DI FIRENZE: MEGLIO BEN ACCOMPAGNATI CHE SOLIIn un mondo del lavoro sempre più disgregato, strutture come queste rappresentano a volte l’unica pos-sibilità di crescita per chi ha idee da sviluppare e non riesce altrimenti a fare rete. Un’idea da brevettare, un progetto che inizia a stare con le proprie gambe ma che ancora non ce la fa, il desi-derio di fare rete con altri professionisti del proprio settore. E’ quanto serve per essere accolti dall’Incubatore tecnologico del Comune di Firenze, una delle principali esperienze, anche se non l’unica, che da alcuni anni permette specialmente a chi fa ricerca applicata alle nuove tecnologie, di vedere uno spiraglio nel proprio futu-ro senza andare all’estero. Il termine è piuttosto “respingente” per chi non è del settore, e, così come la ‘Nana bianca’, l’Incubatore, in fondo, porta avanti un concetto più semplice di quel che sembri. Se qualcuno, magari giovane, sta sperimentando con efficacia un nuovo prodotto, ha “inventato” qualcosa, ha iniziato un percorso originale nella ricerca, all’Incubatore può trovare servizi, consulenze, infrastrutture per poter avviare una vera e propria impresa.Gestito dalla Scuole Superiore di Tecnologie Industriali, come funzioni l’Incubatore si può capire meglio da un esempio concreto. Ce lo racconta Dario Carotenuto della società Rexolcom, e che recente-mente ha sviluppato un’applicazione rivoluzionaria per Twitter: anziché visualizzare i messaggi nella semplice sequenza scritta, è possibile accedere dal telefonino o dal tablet alla mappa della città in cui ci si trova in quel momento. Ci si “geolocalizza”, cioè sullo schermo appare il punto esatto in cui ci troviamo e possiamo vedere, appunto sulla mappa, che cosa hanno twittato altri utenti delle cose che interessano a noi (come “Roma”, “estate”, “Colosseo”, ecc.) e in che punto della città. Questo progetto, che si chiama Unimap, dà bene l’idea di che cosa sia una “start-up”, termine ormai inflazionatissimo, ma che in casi come questo è corretto usare. Si tratta cioè di una società, o di un’impresa, che si sta sviluppano partendo da un’invenzione o comunque da qualcosa di innovativo. E che si ritrovano senza canali né dentro l’università né nel mondo del lavoro, in un momento in cui le banche hanno altri pensieri che non quello di investire nella ricerca.“Il lavoro svolto all’interno dell’incubatore è stato molto importante perché ci ha consentito di sviluppare il piano di impresa”, spiega Carotenuto. “Inizialmente siamo stati guidati dai consulenti dell’incubatore stesso per poterlo migliorare. Si parte in genere da un business model grezzo e non scalabile, nel senso che è difficile arrivare ad introiti maggiori senza dover costruire una infrastruttura troppo pesante, anche di collegamenti, tra persone e oggetti fisici.” In questo modo, la società di Carotenuto ha potuto snellire il proprio “business mo-del” ed è stata introdotta ad una rete di contatti e opportunità uniche sul territorio. “Abbiamo partecipato ad esempio allo Smau. Abbiamo avuto opportunità di incrociare altri professionisti, aziende, che comunque erano interessati a questi aspetti dell’innovazione”. a cura di Marco Bazzichi

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