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Anno XIII - N° 1, gennaio-marzo 2018 Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal Circolo Cittadino “Athena” - Galatina BUONA PASQUA AAnno XIII - N° 1, gennaio-marzo 2018- Autoriz. Trib. di Lecce n.931 del 19 giugno 2006 - Distribuzione gratuita

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Anno XIII - N° 1, gennaio-marzo 2018

Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina edito dal Circolo Cittadino “Athena” - Galatina

BUONA PASQUA

AAnno XIII - N° 1, gennaio-marzo 2018- Autoriz. Trib. di Lecce n.931 del 19 giugno 2006 - Distribuzione gratuita

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SOMMARIO

Prendimi, Poesia

Portami lontano

Le tue spiagge non hanno confini

I tuoi deserti sono rigogliosi di silenzio

Le tue cime svettano sicure verso l'alto

Prendimi, Poesia

Portami dove si nascondono i guerrieri

Gli uomini che lottano solo per la pace

Portami dove non ci sono terre da conquistare

Né fratelli da sottomettere

Prendimi, Poesia

Portami lontano

Dove le parole si vestono nude di senso

E si cercano solo per un saluto

Un inchino… un bacio sulla fronte

Una carezza che arriva dentro come fuoco

A riscaldare questo nostro povero tempo

Freddo di ghiaccio che si scioglie

Dentro le pupille dilatate dal sonno

Prendimi Poesia

Portami dove fioriscono antichi gesti

Come fanno le rose tra le spine!

Giusy TolomeoBusto Arsizio

Redazione Il filo di Aracne

P R E N D I M I

COPERTINA: Galatina (LE) - Via dell’OrologioFoto di Andrea Bardoscia

Ai lettoriUN NUOVO INIZIOla Redazione 5

I Quadernetti di AthenaA SPASSO CON IL TEMPOdi Rino DUMA 6

Extra moeniaLA VIA DELLA SETA E IL DRAGONE CINESEdi Giuseppe MAGNOLO 10

Historia NostraIL RISORGIMENTO DEL SUDdi Marco PICCINNI 14

Poeti salentiniGIOVANNI LEUZZIdi Maurizio NOCERA 16

In novo vetusLATINO VIVOdi Fernando VINSPER 18

Usanze e costumi salentiniIL SALENTO DELLE LEGGENDEdi Antonio MELE/MELANTON 20

Terra nosciaNORMANDISMI, PROVENZALISMI...di Piero VINSPER 22

C’era una voltaPISSA SETTE MENNEdi Emilio RUBINO 24

Storia cittadinaLE MICROSTORIE DELLA CUCCUVASCIAdi Gianfranco CONESE 26

Una finestra sul passatoANTICHI MESTIERIdi Alessandro MASSARO 30

Uomini coraggiosiIL CORAGGIO DI UN PESCATORE...di Don Paolo RICCIARDI 34

Freschi di stampaITALIENI: RIDERE PER RIFLETTEREdi Michele BONINO 36

Sul filo della memoriaLA MIA “MESCIA”di Pippi ONESIMO 37

Gli articoli rispecchianoil pensiero degli autori enon impegnano assolu-tamente la Direzione.

Tutte le collaborazionisi intendono a titolo

gratuito.

Periodico bimestrale di cultura, storia e vita salentina, edito dal Circolo Cittadino “Athena”Corso Porta Luce, 69 - Galatina (Le) - Tel. 0836.568220 info: www.circoloathena.com - e-mail: [email protected] del Tribunale di Lecce n. 931 del 19 giugno 2006. Distribuzione gratuitaDirettore responsabile: Ada DonnoDirettore: Rino Duma Collaborazione artistica: Melanton Redazione: Gianfranco Conese, Giorgio Liaci, Adriano Margiotta, Antonio Mele ‘Melanton’, Mauri-zio Nocera, Pippi Onesimo, Rosanna Verter, Piero VinsperImpaginazione e grafica: Salvatore ChiffiStampa: Editrice Salentina - Via Ippolito De Maria, 35 - 73013 Galatina

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gennaio/marzo 2018 Il filo di Aracne 5

Possiamo affermare con soddisfazione che lasperanza è diventata certezza. Dopo aver af-frontato vari problemi organizzativi, che per ol-

tre un anno hanno messo in forse le sorti della nostrarivista, finalmente “il Filo di Aracne” è in grado di ri-prendere il suo percorso consueto in un clima di se-renità e fattiva collaborazione, avendo risolto ledifficoltà precedentemente manifestatesi.

Dunque si riparte con rinnovata dedizione e pas-sione civile, per offrire ai lettori un prodotto cultura-le di elevata qualità sia nei contenuti che nellapregevole veste grafica. Rimane saldo l’intento origi-nario di rendere il nostro periodico uno strumento diinformazione che rispecchia i tratti fondamentali del-l’identità salentina tanto nei suoi aspetti contingenti,con le varie problematiche connesse alla quotidiani-tà, quanto nella prospettiva storica, rivolta ad esplo-rare le proprie radici in modo da saldare il passatocon il presente nei suoi molteplici aspetti.

Gli elementi significativi che conferiscono nuovaspinta propulsiva alla rivista sono da individuare in-nanzitutto in una strategia redazionale inclusiva emotivante, capace di realizzare un efficace gioco disquadra volto a promuovere le competenze e valoriz-zare gli spunti creativi che spontaneamente emergo-no dagli operatori coinvolti. Le nuove linee-guidaseguite permettono altresì di coagulare anche nuoviapporti di collaborazione provenienti da personalitàculturali anagraficamente più giovani, che affianca-no il gruppo organizzativo di più lunga esperienza, e,a lungo andare, possono delineare prospettive di ul-

teriore cambiamento.Un obiettivo preminente tra quelli perseguiti sarà

costituito da un ampliamento della gamma di argo-menti che verranno trattati nelle varie rubriche, e altempo stesso l’adozione di un taglio maggiormentecritico nella esposizione di fatti e avvenimenti cheverranno sottoposti all’attenzione dei lettori. La rifles-sione e il confronto critico su diversi punti di vista co-stituiranno un aspetto distintivo della nostra pro-posta culturale, che finora ha registrato un consensopiù che lusinghiero.

Tuttavia è bene non adagiarsi su presunti allori, enon tanto per il rischio sempre incombente di inco-gnite e cadute impreviste, quanto per un principio dicomune buon senso, che ci rende consapevoli del fat-to che qualunque situazione di arrivo è sempre mi-gliorabile. In definitiva è proprio la ricerca costantedel miglioramento possibile che salva qualsiasi risul-tato di successo dal rischio di incorrere nella ripetiti-vità e nella fossilizzazione.

In tempi come quelli attuali, in cui la comunicazio-ne, spesso anonima e non adeguatamente contestua-lizzata, viaggia veloce sui social networks con tutti irischi di manipolazioni tendenziose e ingannevoli, ri-teniamo opportuno riaffermare la nostra fiducia nel-la carta stampata e sottoscritta come modalitàprivilegiata di contatto e socializzazione tra esseriumani, che intendono ancora condividere in modo li-bero e trasparente dati di informazione, conoscenze,e soprattutto valori.

LA REDAZIONE

AI LETTORI

UN NUOVO INIZIO

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Cos’è il tempo?

Si .usa spesso dire “Chi ha tempo, non aspetti tem-po”, oppure “Il tempo porta consigli”, o anche “Da-re tempo al tempo”, o ancora “Il tempo è denaro”,

ecc. Ci sarebbero tanti altri modi di dire in cui il ‘tempo’assume significati diversi e, in alcuni casi, anche contra-stanti tra loro. Ma cos’è in effetti il Tempo? Di certonon è un’entità materiale, come inve-ce erroneamente si è portati a crede-re, ma si considera tale per misurarealcuni importanti valori di vita. Nonsi vede, non si sente, né si tocca, nonha un peso, né forma e quindi non oc-cupa uno spazio o una determinatasuperficie, né serve per valutare lanostra intelligenza o ignoranza, lanostra propensione al lavoro o al-l’ozio, all’amore o all’odio, ecc. Ma al-lora cos’è?

Soffermiamoci a prendere in consi-derazione il ‘tempo umano’, cioè iltempo che più ci interessa, quello cheha una stretta correlazione con la no-stra vita. Prima della comparsa del-l’uomo, il tempo non esisteva, poichénon vi era alcun essere vivente a percepirlo e quindi adaver bisogno di misurare ciò che era trascorso, ciò che sta-va trascorrendo e ciò che sarebbe trascorso. Quanto è esi-stito prima della presenza umana non ha quindi alcunvalore: potrebbe essere durato un’eternità o un solo atti-mo.

Il tempo, quindi, ha avuto inizio con la comparsa dell’-homo sapiens, giacché è stato lui ad immaginarlo, costruir-lo, articolarlo e migliorarlo. Durerà esattamente sino aquando esisterà l’uomo nell’universo. Senza la presenzaumana, il tempo cesserà di esistere.

Sappiamo bene che le comunità umane si sono migliora-te strada facendo, utilizzando come metronomo della pro-pria vita e del progresso un’efficace misura: il tempo,appunto. L’uomo ne ha fatto pieno uso, utilizzando inizial-mente strumenti molto rozzi e approssimativi, per rappor-

tarsi di continuo con situazioni già trascorse o che si stava-no vivendo o che si sarebbero verificate. Dapprima si èorientato osservando il sole e seguendo la proiezione del-l’ombra di un palo conficcato per terra, usando clessidre,meridiane, campane fatte suonare in determinati momen-ti della giornata, mentre, negli ultimi tempi, facendo ricor-

so ad orologi sempre più sofisticati eprecisi.

Il tempo, perciò, essendo un’entitàquantificabile, rappresenta un ele-mento di fondamentale rilevanza nel-la vita quotidiana dell’uomo, poichédà ordine ed organicità ai suoi nume-rosi atti vitali scanditi in successionecronologica.

Da qui sono scaturite alcune impor-tanti discipline: la storia, innanzitut-to, che racconta in ordine sistematicola successione dei momenti significa-tivi della vita umana e ne spiega le ra-gioni.

Il tempo è quindi una semplice mi-sura di riferimento e niente di più.

Ma quali grandezze sono governatedal tempo? Senza alcun dubbio tuttociò che cade sotto l’osservazione uma-

na e quindi ciò che si lascia misurare; vale a dire la vita sul-la terra in tutti i suoi molteplici aspetti, le attivitàgeologiche della stessa, l’universo e le leggi che lo regola-no (in verità ancora molto poche).

Ecco spiegate le ragioni che hanno indotto l’uomo ad in-ventare una misura che desse un certo valore alla momen-taneità e fragilità della sua vita, ed anche alla sua tenaciae resilienza.

Tutto questo può starci, ma non appena si entra nell’in-certo e imponderabile della vita terrena e cosmica, ogni co-sa diventa maledettamente impossibile da inquadrare equindi da misurare.

Insomma, al di là delle tantissime certezze sin qui acqui-site, ogni considerazione sul Vecchio Barbuto o meglio sulSovrano Tempo, non regge più, cioè non poggia su basi con-crete, stante la limitatezza umana. È proprio il caso di dire

6 Il filo di Aracne gennaio/marzo 2018

I QUADERNETTI DI ATHENA

Il vecchio cede il tempo al bambino

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che la nostra mente si ferma e “lascia il tempo che trova”.

Il tempo e l’eternitàRicordo con una punta di nostalgia il concetto di tempo

descritto dal mio professore di lette-re nelle superiori.

“Vi pongo una domanda… – propo-se un giorno, parlando dei corsi e ri-corsi storici del Vico – “…ma nondatemi una risposta immediata; cioè,cercate di ragionare, per poi esprimereil vostro migliore pensiero”.

Nell’aula l’attenzione si fece so-vrana.

“Secondo voi, al di fuori del nostroguscio esistenziale, il tempo trova unaragione d’essere?”.

Silenzio assoluto. Poi, presi corag-gio e gli risposi con franchezza, maanche con un po’ di batticuore.

“Prof., ritengo proprio di no, poichépresumo che il tempo si fermi con il ces-sare della nostra vita e quindi…” – mibloccai, poiché non riuscivo a tra-durre in parole il pensiero compli-cato ed incerto che in quel momentomi passava per la mente.

“Duma, lascia stare l’uomo, non mi-schiare le carte… “ - mi incalzò contono fermo e inquisitorio – “…Vo-glio che prendiate in considerazione il concetto di tempo che è aldi fuori della nostra vita e non certamente quello spicciolo, conil quale ci rapportiamo in ogni istante”.

Rimasi impietrito, quasi impotente ad aprire bocca.“Ci sono altri interventi?”. Nessuno fiatò, per non rischiare di fare la mia stessa fi-

ne. Eravamo troppo giovani, inesperti ed ancora poco ma-turi per andare avanti nella discussione.

Subito dopo il prof. riattaccò per sollecitarci ad interve-nire.

“Premetto che l’uomo si è sempre sforzato di ritenere il tempoun elemento caratteristico dell’eternità; ma, secondo me, si trat-ta di un concetto sbagliato. Se così fosse, infatti, il tempo non do-vrebbe essere mai nato, non dovrebbe mai morire e quindi sarebbeda sempre esistito. Stanti le attuali cognizioni, però, il tempo nonpuò sposare l’eternità, cioè non può essere un tutt’uno con essa”.

Queste considerazioni indussero Mario, il mio compa-gno di banco, ad intervenire senza battere ciglio: “Professo-re, potrebbe approfondire meglio le ragioni che la portano a fareuna simile affermazione? Insomma, ci spieghi meglio il suo as-sunto”.

“Usate sempre la ragione e troverete in ogni caso un’adegua-ta risposta, ma non spingetevi oltre certi limiti, non abbandona-tevi a fantasticherie…” – replicò immediatamente – “…Iltempo non può far parte dell’eternità, perché, se fosse ad essa cor-relato, misurerebbe il suo valore e quindi verrebbero a cadere iconnotati fondamentali di… eternità. Al limite potrebbe misura-re una sua parte, cioè un suo segmento temporale”.

C’era qualcosa, però, che non quadrava, che non ci con-vinceva del tutto.

“Ma… professore!...” - intervenne Gigi dal primo banco -“… Come fa a sostenere una cosa del genere?... E se il tempo fos-

se infinito, così come è l’Eterno… Leicome farebbe a dimostrare l’esatto contra-rio?”.

Ci pensò per qualche istante perpoi riattaccare.

“Per come lo immaginiamo noi uomini,il tempo è unicamente una misura. Unpo’ come la misura di lunghezza, di peso,di capacità, ecc. Se il Tempo fosse un tut-t’uno con l’Eterno, saremmo immersi inun’eternità nata, che vive, ma che è desti-nata anche a morire, esattamente così co-me siamo destinati noi altri. Insommanon sarebbe più un’eternità!...” – pun-tualizzò con convinzione – “…Il tem-po ha la caratteristica di misurare ebasta!... Di fronte all’eternità, fallirebbeogni suo tentativo, perché non troverebbemai un inizio da dove cominciare, né tan-tomeno una fine, dove ultimare la misu-razione. Oltretutto per me l’eternità nonha un passato, né un futuro. L’eternitàvive solo nel presente, è incorporea, è pu-ra energia e quindi non ha memoria”.

Nell’aula ci fu un lungo brusio, fi-glio dello sbigottimento generale.

“Insomma, cari giovani, sforzatevi di capire che il tempo è so-lo una nostra invenzione…” – continuò con voce pacata masicura – “…È un modo per dare risposte plausibili alla nostraesigenza di indagare, misurare, valutare, organizzare, cataloga-re, definire, concludere. Siamo noi, con la nostra continua mu-tabilità e corruttibilità del corpo, a sfuggirgli, ad allontanarci dalui e a proiettarci, per nostro innato desiderio, in una dimensio-ne che ha il sapore di infinito… Noi invecchiamo e ci salutiamoda questo mondo, ma lui non morrà mai, se non quando morràl’ultimo uomo”.

Poi cambiò immediatamente discorso.”Qualcuno ha inteso calarci in questa stupenda dimensione

per farci appurare la nostra finitezza e darci l’idea dell’Eterno,che non ha mai conosciuto confini, né mai li conoscerà, e che vie-ne regolato da un’entità soprannaturale che mai ha avuto prin-cipio e mai conoscerà la fine, e che noi non possiamo, né potremomai inquadrare, data la limitatezza della nostra mente. Questaentità soprannaturale, che noi umani chiamiamo Dio, ha intesoregalarci il tempo per indurci a capire la sua eterna presenza. Sevivessimo l’eternità, non potremmo andare indietro con la men-te per riprenderci un momento del passato, né proiettarci nel fu-turo. In tal caso vivremmo al di fuori del tempo in una situazionedi un presente infinito. Non ci sarebbero ricordi, perché nonavremmo memoria, né tanto meno faremmo sogni o progetti darealizzare, ma vivremmo solo il presente, racchiuso in un attimoeterno”.

Rimanemmo inchiodati su queste ultime parole, per poitributargli un caloroso applauso.

gennaio/marzo 2018 Il filo di Aracne 7

Da sin. Rino Duma, Gigi Mangia e Mario Vallone. Tre amici inseparabili

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8 Il filo di Aracne gennaio/marzo 2018

Il passato, il presente e il futuroDa allora, però, mi porto dietro un dilemma avente la

stessa connotazione di una macchia d’unto sull’anima, chenessuno smacchiatore riuscirà mai a mandar via comple-tamente. Ho affrontato diverse volte la grossa tematica,senza averla risolta totalmente, né ci riuscirò mai. L’unicacosa certa è che il tempo,quello ‘umano’ per l’esat-tezza, cioè quello che c’in-teressa più da vicino, sipuò misurare, anche senon sempre è possibile.

A questo punto nascespontanea un’ulteriore do-manda: “In effetti cosa è chetrascorre con il tempo?”. Larisposta non può che esse-re immediata. È il nostro Ioche viene portato a spassodal tempo. Il passato èquello che l'Io ha vissuto, ilpresente quello che vive,mentre il futuro è quelloche vivrà. Sarebbe megliodire che il passato è quelloche la mente ricorda, ilpresente quello che la mente percepisce e il futuro quelloche la mente anticipa. In questa maniera, la mente crea iltempo, si proietta in esso e lo misura.

Il tempo è un’entità poliedrica partorita dalla mente econsiste nel distinguere l’anticipazione del futuro ("Acqui-

sterò una pizza per cena"), la percezione del presente (“Stomangiando una pizza”) e la conservazione del ricordo ("Quan-to è stata buona la pizza!"). Pertanto i diversi passaggi nellamente dell'anticipazione, della percezione e del ricordo co-stituiscono il trascorrere del tempo.

È per questo motivo che l’Io considera il domani, cheinevitabilmente diventeràoggi, per poi diventare ie-ri. In altre parole, il trascor-rere del tempo si identificacon le caratteristiche di ciòche si pensa. Eppure stia-mo parlando dello stessogiorno.

Non sempre il tempo haconnotazioni ben definite

Il tempo, però, non hasempre queste connotazio-ni. Ci sono momenti di vi-ta che certe persone vivonoin modo diverso rispettoalla normalità. Anche quiricorriamo ad alcuni esem-pi per meglio inquadrare icasi particolari.

Per il neonato che nasce oggi, il tempo è tutto futuro,mentre per una persona che nello stesso giorno compie no-vant'anni il tempo è quasi tutto passato. Quindi, nel gior-no in cui nasce un neonato o il vecchio compie novantaanni, il tempo assume valenze diverse. Nel primo esem-

L’uomo a spasso con il suo tempo

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pio tutto è da vivere, mentre nel secondo quasi tutto è giàvissuto.

Perché questa diversità? Perché così è la mente che con-cepisce il tempo.

In realtà, però, il futuro non è quel-lo che l'Io vivrà e il passato non è quel-lo che l'Io ha vissuto. Per il neonatonon solo non esiste il passato, ma ne-anche il presente e il futuro perché lasua mente immatura non ‘pensa’ epertanto non ha ancora né la concezio-ne né la percezione del tempo. Se ilnovantenne è affetto da una forma diarteriosclerosi nella fase terminale, ilpassato non esiste più, del presente hasolo brandelli di lucidità, mentre il fu-turo non lo immagina nemmeno.

In pratica, il tempo, per essere un fe-nomeno elaborato e percepito dallamente, richiede un cervello che fun-zioni normalmente. È per questo mo-tivo che il tempo non ha significatoper il neonato, in quanto la sua menteè molto limitata e il suo Io è ancora invia di formazione. Anche nel novan-tenne il tempo può non esserci o è presente in misura taleda non consentirgli una esatta cognizione.

Si portano alcuni esempi per evidenziare la diversità dipercezione del tempo.

Esempio n° 1 – Immaginiamo un astronauta dispersonello spazio siderale. L’uomo si troverebbe in una situa-zione assurda e paradossale di “vita non vita”. Egli vivreb-be delle sensazioni al di fuori del tempo, perché ogniaspetto dell’universo gli apparirebbe sempre identico enon riuscirebbe a rapportarsi con nessun corpo presentein quello spazio infinito. Se non avesse un orologio, l’uni-co elemento a dargli qualche parvenza di tempo sarebbe ilbattito del suo cuore. L’uomo proverebbe la sensazione divivere in un eterno presente. E vivrebbe in tale modo sinquando avrebbe l’energia necessaria per farlo.

Esempio n° 2 - In una quasi identica situazione si trovòAntonietta de Pace, eroina gallipolina, durante i sedicigiorni di prigionia nelle dure carceri borboniche di piazzaMercato a Napoli. La sua cella era sottoposta di diversi me-tri rispetto al piano terra. Viveva in una cameretta di seimetri quadrati senza che filtrasse un minimo fascio di lu-ce. La sua mente riuscì solo per poche ore e in modo erra-to a percepire il tempo trascorso.

“Chissà che ora s’è fatta?!... – pensava la donna – “…For-se è ancora luce o forse sarà buio?!... O mio Dio, aiutami ad af-frontare con la dovuta serenità il lungo tempo che m’appresto avivere!... D’ora in poi, in questa angusta cella, avrò due soli com-pagni con cui relazionarmi: il buio sconfinato e il tempo sovra-no. Entrambi faranno della mia mente la loro dimora preferita.… Il tempo è completamente diverso da quello che ognuno vivein condizioni normali. Qui dentro è monotono, pesante, oppres-sivo, assordante e avvolgente. Dio mio, come tutto è diverso daun luogo ad un altro, da una situazione ad un’altra! A poca di-

stanza da me la vita è rumorosa, triste, gioiosa, miserevole, pia-cevole: il tempo non lo si avverte, scorre senza essere scorto. Quiè come se fosse fermo, come se fosse sospeso, come se si vivesse in

un’altra dimensione. Non riesco a perce-pirlo, ad afferrarlo, a viverlo!1”.

L’unico rapporto con il mondoesterno era rappresentato dal secon-dino, che le passava da un pertugio,una volta al giorno, un piatto di luri-da minestra. Se fosse perdurata talesituazione, la donna sarebbe certa-mente impazzita; poi, finalmente, fucondotta in un’altra prigione, in cuipo-té relazionarsi con altre donne.

Se quindi non c'è la coscienza dicontinue e successive percezioni, iltempo sembra non trascorrere.

Pertanto alla luce di questi esempiviene da concludere che il Tempo tra-scorre solo se è percepito da unamente normale e sempreché ci sianocontinui punti di riferimento.

Insomma, il tempo è un’entità bendelimitata e artificiosa che vive soloin determinate situazioni di vita.

Un ultimo pensieroNon lasciamoci ingannare dallo scorrere impietoso del

Tempo: è lui l’anello debole della vita e non noi. Ci appa-re eterno nella materialità della nostra dimensione terre-na, ma ogni qualvolta muore ognuno di noi, muore ancheuna sua piccolissima parte. Morrà del tutto quando l’ulti-mo uomo gli avrà consegnato il suo corpo. Il Tempo nonha anima, l’uomo sì... Solo il nostro spirito (la nostra “ener-gia”) godrà in eterno di una vita senza età; ma forse, pro-prio allora, rimpiangeremmo il “Vecchio Barbuto” perché,in sua assenza, ci mancherebbe un importante punto di ri-ferimento.

Ed allora… buona eternità a tutti. ●

Note:1. Pensieri tratti dal romanzo storico dello scrivente “Antonietta de Pace -La donna dei Lumi - cap. XX, pag. 279.

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Antonietta de Pace (?)

Rino Duma

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Il gigante addormentato. Si narra che Napoleone Bona-parte, già reduce dalla campagna d’Egitto, sollecitatodai suoi ufficiali a pronunciarsi sull’opportunità di in-

traprendere una spedizione militare per la conquista del-la Cina, abbia affermato: “Non ritengo sia una buona idea.È meglio non svegliare il gigante cinese, e quando ciò av-verrà, se ne accorgerà il mondo intero”. Nel momento incui tale acuta valutazione veniva formulata, ossia gli inizidell’Ottocento, il vasto impero cinese era in una condizio-ne di estremo degrado:pessimamente ammini-strato, debole militar-mente, industrialmentearretrato e ridotto ad unaeconomia agricola di pu-ra sopravvivenza, predadelle potenze colonialioccidentali, pronte a me-nomarne la sovranità na-zionale con varie formedi occupazione per ga-rantirsi i lucrosi trafficicommerciali. Ma ovvia-mente non era semprestato così.

Una civiltà millenaria. In realtà il territorio cinese è sta-to storicamente lo scenario in cui si è realizzata, seppur conalterne vicende di ampliamento e contrazione, una dellepiù lunghe ed avanzate forme di civiltà, sviluppatasi a par-tire dal 2000 A. C. sotto varie dinastie (Shang, Chou, Han,T’ang, Sung, Mongol, Ming, Manchu). L’impero cinese rag-giunse il culmine di potenza al tempo dell’impero romanoe durante tutto il Medio Evo, registrando un regresso ri-spetto al mondo occidentale soltanto dopo il Rinascimen-to e specialmente nei secoli della rivoluzione industriale.Dopo la rivoluzione maoista, avvenuta a partire dalla me-tà del secolo scorso, la Cina è nuovamente tornata alla ri-balta, rilanciandosi come repubblica popolare retta da unregime comunista, che gradualmente si è aperto all’econo-mia di mercato su scala internazionale, accettando varieforme di iniziativa privata, seppure sotto stretto controllostatale. The workshop of the world. Questa forma ibrida di go-

verno, che si potrebbe definire “totalitarismo illuminato”,nonostante alcuni aspetti discutibili riferiti in particolarealla mancanza di libertà individuali fondamentali e al con-trollo centralista dell’informazione, ha permesso alla Cinamoderna di assurgere tra le massime potenze mondiali.Attualmente è il secondo stato come estensione dopo laRussia, ha una popolazione enorme pari ad un sesto del-l’intero pianeta (oltre un miliardo e 200 milioni), una po-tenza economico-industriale che la colloca al secondo

posto dopo gli Stati Uni-ti e davanti al Giappone.Di fatto essa è diventata“the workshop of theworld” (l’officina delmondo), assumendoquel ruolo trainante suscala mondiale che sinoa fine Ottocento apparte-neva alla Gran Bretagna,passando poi in manoagli Stati Uniti. Le previ-sioni collocano il sorpas-so cinese rispetto agliUSA entro la metà delsecolo attuale. Dal pun-

to di vista economico ciò è probabile, da quello militare as-sai meno. Comunque per ora il made in China riesceappetibile in ogni parte del mondo.

Gli scambi commerciali tra Oriente e Occidente. Ilcontatto tra le civiltà classiche fiorite intorno al Mediterra-neo e quella cinese, realizzato passando attraverso le areegeografiche del Medio Oriente, è sempre stato abbastanzaintenso. Era basato sul commercio di beni e materie primeconsiderati preziosi dall’occidente, in primo luogo la seta.Secondo alcune fonti sarebbe stato Cesare, di ritorno dal-l'Anatolia, a portare a Roma alcune bandiere catturate alnemico, fatte con uno sfavillante tessuto in seta, che susci-tò uno straordinario interesse. Le stoffe di seta erano tal-mente apprezzate dai romani da essere letteralmentepagate “a peso d’oro”. La seta arrivava a Roma dalla Cinacon l’intermediazione prima dei Parti e poi dei commer-cianti di Palmira e Petra, quindi veniva trasportata via ma-re dai marinai di Antiochia, Tiro e Sidone1. Altrettanto

10 Il filo di Aracne gennaio/marzo 2018

EXTRA MOENIA

Le Vie della seta

Giuseppe MAGNOLO

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ricercate erano le spezie, la porcellana, il cobalto usato nel-la colorazione, ed altri minerali. Inoltre nonva dimenticato il fatto che i traffici commer-ciali erano l’occasione per uno scambio diidee, conoscenze scientifiche e informazio-ni su varie tecniche operative, che avevanouna notevole ricaduta sul piano pratico intutti i paesi occidentali in cui si diffondeva-no.

L’espansionismo occidentale versoOriente. Tutto ciò ci aiuta a comprendere ilnotevole interesse rivolto verso le civiltàorientali. Non per nulla il desiderio di con-quiste territoriali in quella direzione già simanifestò al tempo di Alessandro Magno(356-323 A.C.), che dopo il trionfo in Egittopuntò ad Oriente con mosse rapide e travol-genti, giungendo oltre il fiume Indo, ossial’attuale Pakistan, dove l’avanzata macedo-ne fu interrotta a causa della prematuramorte del condottiero all’età di soli 33 anni.A distanza di alcuni secoli l’imperatore ro-mano Costantino, giunto sul Bosforo, addi-rittura decise di fondare sul sito dell’anticacittà di Bisanzio una nuova capitale, che dalui prese il nome Costantinopoli (330 D.C.), affinché fun-

gesse da collegamento tra l’impero romano e le civiltàorientali2. Inoltre va ricordato che le Crociate, combattutein Palestina e dintorni per circa due secoli a partire dal1095, ufficialmente allo scopo di liberare i luoghi santi da-gli infedeli, in realtà furono determinate dalla necessità dialcuni stati europei, specialmente le Repubbliche Marina-re italiane, di tutelare le loro attività commerciali conl’Oriente. Le motivazioni alla base di questi eventi storicidimostrano l’enorme importanza rappresentata dalle rottecommerciali verso i paesi asiatici.

Marco Polo e le vie della seta. Fu soprattutto al tem-po dell’impero romano che i traffici commerciali tra l’Oc-cidente e la Cina si svilupparono in modo rilevante lungole cosiddette “vie della seta”3, con itinerari sia terrestri chemarittimi, che, partendo dal Medio Oriente, giungevanofino alla Cina orientale e al Giappone (Chipangu) attraver-sando tutta l’Asia centrale. Oppure, in senso inverso, dal-la Cina orientale scendevano giù verso l’Indocina,

seguendo rotte marittime checosteggiavano il lato meridio-nale del continente asiatico chesi affaccia sul Mar Cinese el’Oceano Indiano, per arrivarein Medio Oriente attraverso ilGolfo Persico, e poi proseguireverso i porti del Mediterraneo.Di fatto l’impresa di Marco Po-lo (1254-1324), che, partito daVenezia col padre Niccolò e lozio Matteo nel 1271, percorsemigliaia di chilometri lungo lavia della seta giungendo in Ci-na dopo un viaggio di 3 anni,non rappresentò di per sé unanovità, bensì una consuetudi-ne abbastanza frequente perun giovane che appartenevaad una famiglia di facoltosimercanti. L’aspetto significati-vo della sua impresa è inveceche egli sia rimasto per ben 17

anni alla corte del sovrano mongolo Kublai Khan, che lotenne in gran conto inviandolo come suo emissario in va-

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Marco Polo

il Milione

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rie parti del regno e persino in Giappone. Questa impor-tante esperienza di viaggiatore-mercante-ambasciatore glidiede la possibilità di osservare le attività e l’organizzazio-ne sociale della popolazione cinese in zone geografiche as-sai differenziate, informandone puntualmente l’impe-ratore, ed ovviamente traendone spunto per annotazioni eriferimenti da comunicare al suo ritorno in patria, cosa chefece con la sua opera narrativa Il Milione4.Export cinese verso l’Occidente. Dopo il viaggio di Mar-

co Polo gli scambi commerciali tra l’Occidente e la Cinacontinuarono nei secoli seguenti con vantaggio reciproco,mentre va anche segnalata la presenza di diversi missio-nari inviati dal papa per diffondere la fede cattolica. Comegià detto, fino al Rinascimento il paese orientale raggiun-se un più elevato livello di progresso rispetto ai vari statieuropei. Va ricordato chel’occidente deve alla Cinanon solo l’importazionedi beni assai ricercati, co-me la seta e le spezie giàmenzionate, ma ancheprodotti coltivati di am-pio consumo (cotone,thè, rabarbaro), come pu-re l’uso di strumenti diprimaria importanza (labussola, l’orologio mec-canico, il telaio a mano, iltimone collocato a poppadelle imbarcazioni, lacarriola, un congegnoper la perforazione delterreno), e varie tecniche operative per prodotti di capita-le importanza (la porcellana, la carta, la stampa a blocchi,la polvere da sparo, i finimenti per gli animali da tiro, lefonderie per il ferro, il ponte a segmento di arco, un siste-ma di chiuse per i canali e l’irrigazione). Inoltre la Cinaera più avanzata rispetto all’Europa riguardo ad alcuneteorie astronomiche e cosmologiche, e disponeva di unacartografia più accurata, che rendeva le mappe cinesi as-sai più fedeli e precise di quelle in uso in occidente, comeebbe a constatare lo stesso Cristoforo Colombo, allorché,sollecitato proprio dalla lettura dell’opera di Marco Po-lo, progettò il suo viaggio intorno al mondo, convinto dipoter raggiungere il Giappone anche navigando versoovest, data la forma sferica della Terra.

Arretratezza della Cina nell’età moderna. Per quantoconcerne le ragioni che dal Rinascimento sino all’età mo-derna impedirono alla Cina di stare al passo con il progres-so registrato nel mondo occidentale, si possono trovare di-verse motivazioni. Una delle principali è che, dal punto divista amministrativo, in tale periodo lo stato fu retto dafunzionari colti e indottrinati (i mandarini), selezionati concriteri di efficienza e fedeltà in varie parti del regno, masostanzialmente chiusi in una visione feudale di pura con-servazione, che non permise l’acculturamento e l’emanci-pazione progressiva della popolazione comune, comeavveniva in occidente. Un secondo elemento significativopuò essere individuato anche nella pratica religiosa pre-

valente nel paese da tempi assai remoti. Le religioni prin-cipali (buddismo, confucianesimo e taoismo) sono acco-munate dal fatto di essere ben lontane dal radicalismodogmatico e intollerante che distingue altre religioni mo-noteiste, come quella cristiana e musulmana, essendo piùche altro costituite da precetti e massime di filosofia mora-le, rivolti a perseguire un’etica comportamentale basata sulvalore della famiglia, il culto degli antenati e la ricerca diarmonia sia sul piano sociale che nel rapporto con la real-tà naturale. Ne è conseguito in passato un diffuso atteg-giamento di propensione del popolo cinese verso latolleranza e l’apertura alle diversità, unitamente ad unapratica di vita piuttosto accomodante e tendenzialmenteantimilitarista, che di fatto rendeva il paese alquanto vul-nerabile di fronte all’invadenza delle potenze marittime

occidentali.Il risveglio del drago-

ne5. Ben diversa appareinvece la volontà di ri-valsa della Cina attuale,che si muove con grandedinamismo sia sul pianoeconomico-industrialeche su quello militare.Su quest’ultimo versan-te l’obiettivo perseguitoè il consolidamento delleforze armate e l’amplia-mento della flotta nava-le per metterla in gradodi contendere agli USA ilcontrollo dei mari, im-

presa davvero assai ardua non solo per l’operatività tradi-zionalmente territoriale a cui è aduso l’esercito cinese, maanche per il bisogno di controllare le frequenti tensioni chesi presentano all’interno del paese per ragioni non solo et-niche ma anche politico-religiose. Assai più articolata edintraprendente si dimostra invece la strategia dell’attualeleadership cinese sul piano industriale e finanziario, cheha in qualche modo “riscoperto le vie della seta”, nell’in-tento di promuovere rapporti di cooperazione con varipaesi che si affacciano lungo tali itinerari. Lo scopo è quel-lo di costruire delle joint-ventures in vari stati sia asiaticiche africani, che sono pronti a gravitare nell’orbita cinese,perché interessati a dotarsi di infrastrutture di capitale im-portanza (strade, ponti, oleodotti, aree portuali, linee elet-triche e di comunicazione), che vengono finanziate concapitali cinesi6. Tutte queste opere, realizzate con tecnolo-gia cinese e mano d’opera sia cinese che indigena, stannogià creando migliaia di nuovi posti di lavoro, che produ-cono sviluppo e benessere economico. Naturalmente co-me contropartita questi stati daranno accesso alle materieprime e alle fonti energetiche di cui dispongono (specie inalcune zone dell’Africa), e di cui la Cina ha urgente biso-gno.

Il disimpegno internazionale degli USA. È inevitabileche gli effetti di questi cambiamenti sugli equilibri interna-zionali siano tali da condizionare notevolmente gli svilup-pi futuri della leadership a livello mondiale. Bisogna infatti

Donald Trump e Xi Jnping

12 Il filo di Aracne gennaio/marzo 2018

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gennaio/marzo 2018 Il filo di Aracne 13

tener presente che negli ultimi anni le mire espansionisti-che del dragone cinese sono state decisamente favorite an-che dalla decisione degli USA di ridimensionare il lororuolo sul piano internazionale. L’annuncio lapidario di Do-nald Trump “America first!” (l’America prima di tutto), fat-to in campagna elettorale e coerentemente perseguito dallasua presidenza, ha dato la stura ad una serie di decisioniche, se da un lato hanno favorito la ripresa interna dell’eco-nomia americana, dall’altro hanno determinato una fase didisimpegno degli USA sullo scenario internazionale, vissu-ta all’insegna di un mercantilismo isolazionista totalmen-te avulso da quel ruolo di guida morale, che a partire dallaseconda guerra mondiale gli USA avevano esercitato a li-vello planetario. La decisione di Trump di non far più par-te dell’UNICEf, il suo rifiuto di aderire alla Conferenza diParigi per il controllo degli effetti climatici sul pianeta, ladecisione unilaterale di spostare l’ambasciata USA da TelAviv a Gerusalemme ignorando sia le proteste del popolopalestinese che l’orientamento della quasi totalità dei pae-si dell’ONU, sono tutti eventi gravemente divisivi sul pia-no diplomatico, che attestano in modo allarmante il gradodi rozza inettitudine in cui è scaduta l’amministrazioneamericana, pregiudicandone fatalmente il prestigio comegarante di un ordine universale accettato e condiviso.

Una nuova leadership per il futuro. In questo vuotodi credibilità è stato facile per Xi Jinping, l’attuale capodi stato cinese, trovare dei varchi in cui inserirsi e gioca-re le proprie carte per accreditarsi come il leader del fu-turo, colui che è in grado di rappresentare un riferimentodi portata internazionale, rivolto a mettere a frutto tuttele potenzialità positive offerte dalla globalizzazione. Al-l’isolazionismo rinunciatario di Trump, costantementeassillato da varie difficoltà di legittimazione (inchiesta sulRussiagate, indagini per evasione fiscale, conflitto di inte-ressi per proprietà in alcuni stati esteri, misure drastichesull’immigrazione ed altro) e consapevole di essere seria-mente a rischio di impeachment (destituzione), Xi Jinpingha contrapposto con successo la via cinese al socialismo,che si è dimostrata capace di creare una prospettiva diprogresso su scala planetaria. Questa strategia di lungotermine, messa in campo dalla Cina con accortezza e te-nacia, ha determinato una tendenza consolidata di inte-resse generalizzato, che agli occhi di molti ormai haampiamente soppiantato the American dream, un sogno in-franto per buona parte degli americani, e di fatto assaidifficilmente raggiungibile per chi dall’esterno ha guar-dato per lungo tempo agli USA con ammirazione, spe-rando invano di poterlo condividere. ●

NOTE:1. Nel tempo il senato romano emanò invano diversi editti per

proibire ai cittadini romani di indossare in pubblico abiti di seta,dichiarando immorale lo sfoggio di tale lusso. Ma il vero motivodi questi editti era il notevole esborso di oro a cui Roma era co-stretta, con grave danno per le casse dello stato.2. Come capitale dell’Impero Bizantino Costantinopoli svolse unafunzione di ponte fra due mondi per oltre un millennio. Nel 1453dopo un assedio di due mesi venne espugnata dai Turchi, che nefecero la capitale dell’Impero Ottomano con il nome di Istambul. 3. L’espressione “Via della seta” fu adoperata inizialmente dal

geografo tedesco Ferdinand von Richthofen, che nel 1877 pub-

blicò la sua opera Tagebucher aus China (Diario dalla Cina), in cuinomina la Seidenstraße, la «via della seta». Si veda sull’argomen-to la recente opera di Peter Frankopan, Le Vie della Seta, Monda-dori, 2017.4. L’opera Il Milione fu composta nel periodo in cui Marco Polo,

tornato dalla Cina da alcuni anni, avendo partecipato alla batta-glia navale della Meloria (Dalmazia), combattuta nel 1398 fra Ve-nezia e Genova, fu catturato dai genovesi e detenuto in prigioniaper alcuni mesi. La stesura dell’opera, su dettatura dell’autore, fufatta da Rustichello da Pisa, suo compagno di prigionia, che ori-ginariamente la redasse in francese antico con il titolo Le Devise-ment du Monde. Sembra che il titolo finale fu suggerito dalsoprannome con cui la famiglia Polo era conosciuta a Venezia(“Milione”, forse diminutivo di “Emilione”), oppure si tratta diun termine moltiplicativo dal lat. “milius”, una distanza di mil-le passi, spesso usato da chi viaggiava a piedi.5. Il dragone è una figura che riveste un ruolo centrale nella mi-

tologia cinese. Tradizionalmente rappresenta il simbolo del pote-re imperiale. Il Drago è l’incarnazione dello Spirito di Feconditàassociato all’acqua, principio della vita, quindi alla pioggia, nu-trimento delle messi e degli armenti.6. Il piano di sviluppo industriale elaborato dalla Cina è denomi-nato “Road and Belt Initiative”, in quanto si sviluppa a ridosso diun’ampia rete viaria che avvolge il continente asiatico come unacintura (belt). Sia per le finalità perseguite che per gli enormi co-sti richiesti, esso richiama alla memoria il Piano Marshall, messoin atto dagli USA all’indomani della seconda guerra mondiale,allo scopo di sostenere la ripresa dei paesi occidentali europei eindurli a schierarsi con la NATO contro il blocco orientale delPatto di Varsavia.

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Dati statistici all’alba dell’Unità d’Italia

Morti fucilati istantaneamente: 1.841; morti fucila-ti dopo poche ore: 7.127; feriti: 10.604; prigionie-ri: 6.112; sacerdoti fucilati: 54; frati fucilati: 22;

case incendiate: 918; paesi incendiati: 5; famiglie perquisi-te: 2903; chiese saccheggiate: 12; ragazzi uccisi: 60; donneuccise: 48; individui arrestati 13.629; comuni insorti 1428.Questa è la statistica riportata sul Contemporaneo di Fi-renze del 14 agosto 1861, a pochi mesi dalla “liberazione”del sud dall’oppressore, e l’annessione al regno Sabaudo.

Questo era il SUDLiberazione, un termine usato a lungo, quasi istintiva-

mente nel descrivere il Risorgimento del Meridione, unasmisurata sequela di repressioni sporche del sangue diun esercito fedele al propriore, di una popolazione legataalle proprie radici, di un popo-lo fiero, di una nazione con-quistata.

Un Sud, quello del Regnodelle due Sicilie, che vantavauna delle migliori scuole dimedicina in Europa, le primecattedre di astronomia (in Ita-lia) ed economia (al mondo), ilprimo teatro al mondo, il pri-mo osservatorio astronomico,la prima ferrovia ed il primotelegrafo elettrico in Italia, ilterzo posto nella classifica del-le nazioni più industrializzate d’Europa ed una serie dialtri primati degni dei paesi più sviluppati, una Reggia(Caserta) che competeva per grandezza e bellezza conquella di Versailles. Va però detto che l’organizzazionestatale non era omogenea in tutto il regno, soprattutto nel-le regioni più periferiche spesso sprovviste di strade e concondizioni igieniche precarie. C’era tanta povertà, ma nes-suno aveva mai sentito il bisogno di dover lasciare la pro-pria terra. Difficile dire che siano state queste ultime lemotivazioni che hanno spinto Cavour, che masticava piùdi francese che di Italiano, a mobilitare una macchina didoppi giochi, ingan-ni, pedine spostate alla bisogna ed al-cuni salentini, Liborio Romano di Patù, Giuseppe Pisa-nelli di Tricase e Antonietta de Pace di Gallipoli (tra i piùnoti), esponenti di spicco del neo governo unitario i primi,e crocerossina e rivoluziona la seconda, che con il loro agi-re spianarono la strada a Garibaldi nella consapevolezza(o nella speranza) di poter migliorare ancora di più la con-

dizione del Sud. Non potevano sapere però, che i piemon-tesi non erano interessati a migliorare le condizioni di vi-ta dei meridionali, paragonati alla stregue di bestie luridee primitive, bensì a mettere le mani sul patrimonio duosiciliano, che al momento dell’annessione constava di443,2 milioni di lire in oro (oltre due terzi del patrimo-nio dell’intero stato italiano post unitario).

Una dura repressioneMa quando Liborio Romano aprì le porte di Napoli e le

sue braccia a Garibaldi, dopo aver indotto Francesco II diBorbone a lasciare la città, il sangue dei “terroni” era giàstato versato. Famose le parole del generale Nino Bixio aBronte (Sicilia) che, dopo aver fucilato 25 contadini rei diaver chiesto la terra, che era stata promessa loro in cambio

della rivoluzione contro il go-verno borbonico, disse a musoduro: “Con noi poche parole, o voirestate tranquilli o noi, in nomedelle giustizia, e della patria nostra,vi distruggeremo come nemici del-l’umanità”. Un’imposizione cheil meridionale non accettò dibuon grado e che esplose benpresto in una vera e propriaguerra civile caratterizzata dauna repressione inconcepibile.

Eh già, perché il sabaudo eraconvinto di poter schierare dal-la propria parte tutti i soldatidell’ex esercito borbonico fino

alla naturale fine del proprio mandato, oltre che di potertassare e depredare le terre dei meridionali come se nullafosse, decentralizzare il mercato delle grandi industrie delSud in favore di quelle del Nord, cancellare la cultura lo-cale in favore di quella piemontese.

Una situazione che non poteva perdurare e che si tra-sformò rapidamente in un movimento, un fenomeno co-nosciuto come Brigantaggio. Tutti i militari “sbandati”,che si erano rifiutati di prestare servizio nell’esercito sa-baudo e che avevano giurato fedeltà al loro re Francesco II,si diedero alla macchia nei boschi, nelle grotte, sulle mon-tagne, acquisendo proseliti e formando in alcuni casi verie propri eserciti organizzati, con l’aiuto e la protezione deifamiliari e di interi villaggi.

Un pretesto che indusse il neo governo ad innescareun’agguerrita repressione che si tradusse in migliaia di ar-resti. A cavallo dell’annessione, su tutto il territorio nazio-nale si contavano già 1076 carceri giudiziarie dove erano

14 Il filo di Aracne gennaio/marzo 2018

HISTORIA NOSTRA

Siamo mai stati Fratelli d’Italia?

Il Risorgimento del Suddi Marco PICCINNI

Il Risorgimento del Sud

Contadini massacrati dai Savoia

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rinchiusi 63.162 detenuti in condizioni disumane e spessosenza conoscere neppure i capi di imputazione. Tutti era-no diventati colpevoli solo perché meridionali o nonsimpatizzanti del nuovo re.

“Imporre l’unità alla parte più corrotta, più debole dell’Italia.Sui mezzi non vi è pure gran dubbiezza; la forza morale e se que-sta non basta la fisica”. Così si espresse Cavour, e così fu.

Il lento decorso della legge, accusata di essere troppomagnanima nei confronti dei “col-pevoli”, indusse il go-verno a partorire la terribile legge Pi-ca (approvata il 15 Agosto del 1863 erimasta in vigore fino al 31 Dicembredel 1865) che dava all’esercito pienipoteri nei confronti di chiunque po-tesse manifestare anche il minimo se-gno di sospetto.

L’esito: oltre 60.000 vittime secondoalcune stime del Gervasi nel 1869. Unlasciapassare che per certi versi legit-timava alcuni atti scellerati commes-si dall’esercito pie- montese, giàcolpevole nel ’62 di aver posto difronte ad un plotone di esecuzioneuna bambina siciliana di nove anni,Angelina Romano, colpevole solo diessere nel posto sbagliato nel mo-mento sbagliato. Ma essere adulti obambini, uomini o donne, non facevaalcune differenza. Neanche le donnein cinta venivano risparmiate!

Le scuole furono chiuse per oltre un decennio, decine dimigliaia di meridionali prelevati dalle loro case e deporta-ti in veri e propri campi di concentramento, la fortezza diFenestrelle quello peggiore. Utilizzata già da Napoleone,la fortezza si presentava come il luogo ideale dove depor-tare il meridionale per essere “riformato”: uomini con po-chi stracci addosso o anche nudi furono lasciati a morire difreddo nel rigido inverno delle alpi. I cadaveri venivanosciolti nella calce viva, perché non vi era più un campo do-

ve sotterrare i cadaveri. Ma Fenestrelle non bastava a con-tenere tutti i meridionali (tra gli arresti anche un venti-quattrenne galatinese, Salvatore Miggo), considerati cri-minali per forza, dopo che il criminologo Cesare Lombro-so ne aveva “dimostrato scien- tificamente” la naturamalvagia sulla base di alcune considerazioni anatomiche.Per tale motivo il governo si adoperò ad al- lacciare rap-porti diplomatici e strategici con altri stati europei e non,come il Portogallo e l’Argentina, per avere in concessione

l’utilizzo di isole o luoghi “idonei” al-la deportazione del “male”. La ragio-ne dei governi esteri fu più illuminatadi quella del governo italiano. Rifiu-tarono di collaborare.

“La razza maledetta, che popola tuttala Sardegna, la Sicilia e il Mezzogiornod’Italia, ch’ è tanto affine per la sua crimi-nalità, per le origini e pei suoi caratteriantropologici alla prima, dovrebbe essereugualmente trattata col ferro e col fuoco edannata alla morte come le razze inferio-ri dell’Africa, dell’Australia ecc…”. Tuo-nava Alfredo Niceforo, discepolo delLombroso, anche lui criminologo. Ilgoverno italiano avrebbe dovutoquindi continuare con la sua opera diepurazione.

Al meridionale, umiliato, violenta-to, tradito, calpestato, non restava al-tra scelta che lasciare la propria casa.

Emigrare. Già nel 1861 oltre 5.525 uomini partirono oltreoceano, cifre in costante aumento, di anno in anno, fino araggiungere, agli inizi del secolo scorso, il 24% della po-polazione italiana.

“Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incom-mensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostanteciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di es-sere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e su-scitato solo odio”.[Giuseppe Garibaldi] ●

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Cesare Lombroso

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Giovanni Leuzzi è un intellettuale salentino che conoscoda circa 40 anni. A lui mi lega «un'antica stima ed ami-cizia, ed un patrimonio comune di valori ed idealità»,

parole (anche mie) che fanno parte della sua stessa dedica allibro Repútu pe lle chiazze salentine (Lamento funebre per le piaz-ze del Salento, Mario Congedo Editore, Galatina, 2016, forma-to in-8°, illustrato, pp. 176; ISBN 9788867661510), facente partedella Collana "Biblioteca di Cultura Pugliese", fondata da Mi-chele Paone e diretta dal bibliofilo Mario Congedo, che lo haeditato. Inutile ag- giungere che si tratta di una perfetta pub-blicazione secondo tutti i crismi della tipo-grafia: buone le giustezze, ottimo il ca-rattere, perfetta l'inchiostrazione. Il volumeè patrocinato dal Comune di Cutrofiano, ilcui Sindaco, Oriele Rolli, firma l'interventoCutrofiano, dove scrive:

«Un paese non è solo una moltitudine dipersone che vivono all'interno di confiniamministrativi riconosciuti, ma è comunitàche trae la propria identità dalla storia co-mune vissuta, dalle tradizioni che onora,dalla cultura che esprime. Fondamentale,dunque, è la conoscenza di quello che unacomunità è stata, del passato più o menolontano, delle dinamiche economiche e so-ciali che ne hanno determinato la trasforma-zione. [...] Ma il passato può assumere volti e situazioniancora ben vivide nella memoria di qualcuno e a quel puntola pagina si anima e diventa sequenza di fotogrammi in mo-vimento. È quello che accade nel poemetto in ottava rima delProf. Giovanni Leuzzi, icasticamente popolato di personaggiche si riprendono il diritto alla vita e all'azione, che, parlandoe agendo, sollecitano il chiaroscuro del confronto tra presen-te e passato, nel quale è ciò che è consegnato alla storia e allamemoria a sventolare la palma della sanità fisica e morale edella coerenza politica. [...] Strumento formidabile di espres-sione di questo mondo è il dialetto salentino di Cutrofiano [...]La lingua del popolo non è neutra, come non lo è quella delpoemetto di Leuzzi. [...] Questo lavoro, allora, non è solo rac-conto, narrazione, quadretto [...] esso diventa azione e contri-buto alla definizione di quella identità, nella quale l'interacomunità possa riconoscersi» (pp. V-VI).

Denso di significati della memoria è l'intervento (La chiazza)di Totò Matteo, per decenni bibliotecario comunale e anima-tore dei «Quaderni del Museo della Ceramica di Cutrofiano».Del suo scritto condivido pienamente lo spirito che lo ha ani-mato, ma c'è un punto sul quale mi piace soffermarmi. Ed èquello quando egli, a proposito della «piazza, anzi la chiazza,era solo Piazza Cavallotti», scrive:

«E il motivo di fondo del poemetto di Giovanni è proprioquesto cambiamento rapido e contraddittorio che ha decreta-

to la morte della piazza, cioè della politica partecipata, delleassemblee, dei comizi. Il tono è spesso ironico, per evitare dicadere in una banale operazione nostalgia. Ma l'ironia, talvol-ta anche pesante, non può nascondere l'affetto per i protago-nisti di allora, i contadini con la loro ingenua e sincerapassione per la politica, i militanti dei partiti di sinistra, co-munisti e socialisti, ma pure gli aclisti, i coltivatori diretti, eanche democristiani, tutti i protagonisti della piazza, tutti conla voglia ingenua di ascoltare, di discutere, di partecipare» (p.VIII).

Concordo con Matteo sulla sottile ironiache a volte Leuzzi usa in alcuni versi, tutta-via la "musicalità" che io ascolto nella lettu-ra del poema la interpreto anche comesanissimo sentimento nostalgicio. La no-stalgia - ce lo ha insegnato Antonio Pretenel suo capolavoro Nostalgia. Storia di unsentimento (Raffaello Cortina Editore, Mila-no, 1992) - quasi mai è un sentimento bana-le. Spesso lo si è voluto banalizzare permortificare chi ne era portatore, così perònon è. Parafrasando alcune affermazioni diPrete, la parola "nostalgia" è legata stretta-mente alla dimensione temporale, e mai aquella dello spazio. Prete scrive che «men-tre nello spazio si può andare e tornare da

un punto 'A' a un punto 'B' muovendosi nelle sue tre dimen-sioni, e quindi tornare indietro da un luogo dove siamo stati,di contro non si può tornare verso un tempo che abbiamo giàvissuto, perché il tempo è irreversibile. Il tempo è fatto di istan-ti che non tornano più. E allora la nostalgia ha come oggetto,come sostanza del proprio pensare, della propria immagina-zione, un tempo che non ci appartiene più, che è completa-mente finito. Questa impossibilità di ritornare in quel tempo,pur sapendo che sarebbe possibile, nel caso di un movimen-to nello spazio, ritornare in un determinato luogo, in quel luo-go, questo contrasto tra un tempo impossibile da recuperaree uno spazio possibile da percorrere, che è un autentico con-flitto crea questa sorta di ansietà che è la nostalgia» (Rispostadel prof. A. Prete ad una domanda di una studentessa. Vd.Antonio Prete Nostalgia in Internet).

In fondo è quello che nella sua introduzione al poema scri-ve lo stesso Leuzzi:

«Uno sguardo dunque rivolto al passato, a chi non c'è più;[...] Da questo stato d'animo, quando la memoria si è imbat-tuta in un'altra entità, anch'essa defunta, che era la "benettáni-ma te la chiazza Filici Cavallotti", e per il cui "lamento funebre"mi si sono presentate una massa di immagini e vicende, chehanno legato per secoli alla piazza la vita di tutto il paese conuna fitta rete di relazioni più diverse, essenziali e vitali fino adun quarto di secolo addietro, è stato naturale, anzi ineludibi-

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POETI SALENTINI

Giovanni Leuzzipoeta di questi nostri tempi

di Maurizio NOCERA

Giovanni Leuzzi

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le, che solo il dialetto potesse in qualche modo rendere unmondo, una civiltà, momenti di una comunità che può esse-re pensata e descritta solo nella sua organica, connaturata, vi-tale acqua di coltura, che è la sua lingua, il dialetto salentinodi Cutrofiano./ Questa piazza, una volta il cuore pulsante diun grande centro agricolo del Salento può, però, ben rappre-sentare la vicenda di tutte le piazze dei nostri paesi, ed esse-re pertanto l'emblema ed il paradigma dei cambiamenti, tantorapidi quanto tragici ed irreversibili, di tutte le piazze del Sa-lento rurale» (p. 1).

Ho messo in corsivo gli aggettivi «tragici ed irreversibili»proprio per raccordarmi al significatodi nostalgia del poeta Antonio Prete.Sulla tragedia, di qualsiasi natura essasia, come pure sull'irreversibilità deltempo che passa, c'è solo nostalgia. Econ essa si può solo meditare e rimane-re contriti. È come quando ci si trovadavanti alla scomparsa di un propriocongiunto. Che si fa, se non piangere?Forse sbaglierò, e il caro amico TotòMatteo avrà pure ragione, ma leggendoil poema di Leuzzi, mi è sembrato sì dileggere qui e là dei versi sottilmente iro-nici, ma il sentimento più assoluto chemi è sembrato cogliere è stato quello diun Lamento funebre per la scomparsadella "cara" «chiazza Filici Cavallotti».D'altronde così il poeta ha intitolato ilsuo poema. E poi, basta leggere alcuniversi per sentire il suo afflato nostalgi-co. Ne riporto alcuni, ma confesso chel'intero testo ne è colmo:

«Com'era bella la Cutrofiano di unavolta!»; «Ricordo quegli uomini d'acciaio, che, con l'enormecesta colma di uva sull'omero, protetto da un "collare" di iu-ta, percorrevano lunghe carrare am bastu con le spalle rigatedi mosto»; «Era una festa, anche se senza luminarie»; «Chetrasparenza, che comunità aperta!»; «Peccato che il vento poicambiò, sia perché qualcuno aveva giocato sporco, sia perchéarrivò questa lunga crisi: la nostra Cutrofiano fu messa in gi-nocchio»; «C'erano ancora tante casupole di pietre e malta fat-ta con acqua, calce e terra rossa»; «In quei tempi fare una casaera un rito, una festa»; «Quando pioveva a dirotto, si piazza-vano le passatoie di legno, perché via Capo diventava un fiu-me»; «Ricordo ancora file di cavalli e carri sulla via di Galatinae i carrettieri che già alle prime ore del mattino intonavano iloro canti accorati e dolenti: "Su, su, cavallo mio, continua a cam-minare, che poi a Lecce ti compro una bella sonagliera..."»; «Co-m'erano belle quelle acconciature femminili e quelle donnecon il pettine in mano ed i capelli raccolti in lunghissime trec-ce»; «Si giocava con palline di vetro e tappi metallici coloratidi birra ed aranciata»; «Ai bei tempi, invece, vi erano tantetorri colombaie»; «Allora, invece, proprio lì vicino giocavamosino allo sfinimento a risciu, alla francese e a facci-llitri»;«Quando a primavera avanzata le lucertole si stendevano alsole, con gli steli più alti ma ancora flessibili dell'avena selva-tica facevamo dei cappi con l'apertura bella tesa e diritta; tro-vata poi la giusta posizione d'attacco, lo calavamo giustogiusto intorno al collo della lucertola. Bastava poi tirare l'altrocapo dello stello per vedere il povero animale sospeso per lagola dibattersi vorticosamente»; «Era dolce quella compagniadi amici, che poi facevano le migliori cene»; «Ti sentivi piùgrande degli anni che avevi».

E poi tanti e tanti altri ancora bellissimi versi nostalgici, fi-no al terzultimo che anticipa la chiusura del poema.

Questo: «noi amiamo questo nostro paese natio, che fu pernoi il caldo nido dell'infanzia, dove mettemmo le penne e poiaprimmo le ali, per volare sui marasmi impetuosi della vita.E qui, nel paese, conoscemmo il brutto e il bello, vivendo coni ricchi e col popolo bisognoso».

In fondo al libro c'è la Postfazione (Sulle due sponde della me-moria) di Roberto Vantaggiato, docente di materie letterarie,ma soprattutto nostro amato cantastorie, che scrive: «la me-moria è un fiume (carsico e no), il quale ha due sponde: su

una c'è l'individuo con il suo fardello divita vissuta nel contesto dell'hic et nunc(qui ed ora); sull'altra sponda c'è la Sto-ria, quella con la "S" maiuscola, quel"gioco delle cose" che ci precedeva e checi ha portato ad essere quel che siamo.Ricordando le ricongiungiamo, perchéabbiamo avuto il privilegio di agire e diprenderne coscienza. [...] posso dire cheGiovanni Leuzzi ha vissuto in modoprofondo e partecipato la vita delle ge-nerazioni che ci hanno preceduto, affe-zionandosi a tutti quei "personaggi"popolari che il nostro contesto ha pro-dotto, senza preclusioni ideologiche opregiudizi; [...] Così, a un certo puntodella sua vita, ha deciso di regalarciquesta "scorribanda" poetica nelle pie-ghe del passato di una piccola comuni-tà che, come tante altre, aveva i suoiritmi, i suoi miti e riti, le sue eterne idio-sincrasie. Il tutto collocato in una di-mensione quasi atemporale, rappre-

sentativa di costumi e modi di essere che possono coprire se-coli e secoli di storia» (p. 169).

Ad un certo punto del suo scritto anche Vantaggiatosi accorge dello spirito nostalgico che scorre nel poemaleuzziano.

Scrive: «Tornando all'Agorà cutrofianese che fu, non sipuò tacere il forte bisogno nelle nuove generazioni di un "ri-torno alle radici", tema peraltro presente nel mondo fin daitempi più remoti (in fondo l'Odissea è un poema basato sulNostos, cioè sulla "nostalgia" e sulla volontà da parte di Ulis-se di "ritornare" al proprio universo fisico, affettivo e iden-titario)» (p. 172).

Questo "ritorno" alle origini non vale forse anche per il no-stro poeta Giovanni Leuzzi? Certo che vale.

Infine un'annotazione sugli album fotografici presenti nelvolume. Ben sei, tutti fuori testo: il primo raccoglie immaginidi luoghi antichi e storici di Cutrofiano e del suo circondario;il secondo raccoglie immagini di mestieri e di manufatti cutro-fianesi, in particolare le famose terrecotte e ceramiche, oltread altre immagini di impegno sociale, fra cui una bella imma-gine dell'on. Cristina Conchiglia Calasso, protagonista dellelotte delle tabacchine del Salento; il terzo raccoglie immaginiancora di mestieri, carrettieri e il mondo femminile cutrofia-nese; il quarto raccoglie, oltre ad altri mestieri, anche la vitasociale e culturale del paese; il quinto raccoglie altri mestieri(molti femminili), oltre ad immagini di vita sociale e cultura-le; infine il sesto che raccoglie le immagini della vita che fu, fracui una bella immagine degli Ucci, i famosi cantastorie cutro-fianesi, più un ritratto di un Pier Paolo Pasolini che ascolta unbrano di pizzica. ●

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Prendiamo in considerazione, ora, assiomi, motti, mo-di di dire, locuzioni, proverbi latini, che a volte usia-mo nel nostro linguaggio quotidiano, non per fare

sfoggio della nostra magniloquenza, ma perché cadono adhoc nel nostro discorso. Eccone alcuni esempi.

Lupus in fabula: il lupo nella favola, nel discorso. Il mot-to è attestato nella commedia (Terenzio, Adelphoe, anche inPlauto (Sticus) e in Cicerone (Epistulae ad Atticum), sempreriferito ad una persona di cui si sta parlando e che improv-visamente compare. In altre parole il significato è questo:la persona di cui si sta parlando, eccola qui. Così come nelnostro dialetto: nomini ‘u diavvulu e li spuntanu le corne!

Una tantum: una voltasoltanto, eccezionalmente,in via straordinaria. Quan-do lo Stato, per fronteggia-re un’alluvione, un terre-moto, ha bisogno urgentedi denaro, applica una so-vrimposta una tantum chevorrebbe dire: da pagareuna volta soltanto. Invecequalche governante credeo finge di credere, che vo-glia dire: una volta ognitanto e la fa diventareun’imposta fissa. Motiva-ta da un evento ecceziona-le, la tassa rimane anchequando cessano gli effettidi quell’evento.

Referendum: per riferi-re. Questo istituto giuridi-co, classico strumento didemocrazia diretta, chia-ma il popolo a pronun-ciarsi, con un sì o con un no, su questioni di grandeinteresse generale. La Costituzione italiana prevede il refe-rendum abrogativo per le leggi ordinarie, per quelle di re-visione costituzionale e per le norme delle regioni. Non sipossono sottoporre a referendum le leggi riguardanti i tribu-ti, il bilancio, l’amnistia, l’indulto, la ratifica dei trattati.

Refugium peccatorum: rifugio dei peccatori. E’ una del-le litanie laureatane, che invoca la Madonna come madre

amorosa, pronta ad accogliere i peccatori pentiti e a inter-cedere per loro presso Dio. Con un senso di ironia, si dicedi persona o istituto che usa, con chi ha commesso degli er-rori, eccessiva indulgenza, oppure aiuta chi non se lo me-rita. Quel collegio privato è il refugium peccatorum deglistudenti fannulloni; i partiti difendono la lottizzazione de-gli enti pubblici: è il refugium peccatorum in cui sistemano igaloppini, i portaborse, i trombati alle elezioni.

Qui pro quo: qui al posto di quo: scambio erroneo di let-tere, equivoco, fraintendimento; locuzione che viene talo-ra addirittura scritta quiproquo. Oscura è l’origine; si èsupposto che derivasse da una formula scolastica, indican-

te l’erroneo impiego di un nominativo invece di un ablati-vo, o, forse con maggiore verosimiglianza, da quid pro quo,che nel tardo Medioevo era il titolo delle compilazioni far-maceutiche, comprendente le medicine che si potevanosomministrare in luogo di altre.

Salve: salute! Sta’ sano! Imperativo presente del verbosalvère, star bene, star sani. Lo usiamo quando incontria-mo una persona alla quale siamo incerti se dare del tu o

18 Il filo di Aracne gennaio/marzo 2018

IN NOVO VETUS

Giovanni Paolo Pannini -Paesaggio con Ercole e rovine di Roma antica

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del lei.Mala tempora currunt: corrono cattivi tempi. E’ la ritua-

le imprecazione contro il presente che fanno i nostalgicidel passato. E’ quasi una regola che una generazione deni-gri se stessa per rimpiangere le precedenti, salvo poi esse-re riabilitata e reimpiantata dalle successive.

Modus vivendi: una misura, un modo di vita. La locu-zione è molto diffusa sia come tecnicismo del diritto inter-nazionale, sia come espressione del linguaggio comune.Nella prima accezione, il modus vivendi fra due stati è unpatto provvisorio che regola fra questi uno speciale ambi-to o un particolare problema, in attesa di un trattato defi-nitivo; esso ha tutti gli effetti giuridici degli altri accordiinternazionali. Nel linguaggio comune, il modo di dire de-signa un compromesso che risolve una questione nel rap-porto tra due persone, o che permette una convivenzaaltrimenti difficoltosa. Non mancano esempi antichi in cuiperò l’espressione indica semplicemente una norma di vi-ta (Cicerone, De republica, Tusculanae, 5, 23, 66: Vitae mo-dum).

Mors tua vita mea: morte tua vita mia. Espressione diignota origine ed ora molto diffusa per indicare la spieta-tezza dei rapporti umani nell’ambito dei quali la morte diuno può costituire la fortuna di un altro. In genere essa al-lude alle dure leggi della vita e della lotta per l’esistenza edè concettualmente simile, anche se di caratura più banale,a Homo hominis lupus (l’uomo è un lupo per l’altro uomo).

Dulcis in fundo: dolce alla fine. Si tratta di un modo didire medievale, ancora oggi usatissimo nella versione lati-na, per introdurre la parte migliore, quando venga tenutaper ultima.

In cauda venenum: veleno nella coda. Si allude agli ani-mali, come lo scorpione, che hanno il veleno nella coda,cioè in fondo, e di conseguenza pungono dopo aver supe-rato la preda, quando ormai si può credere il pericolo pas-sato. Oggi l’espressione esiste sia in originale che tradotta,ma la forma latina gode di maggior fortuna. Più che perveri pericoli si usa a proposito di battute “velenose” chearrivano alla fine di discorsi apparentemente innocui.

Carpe diem (Orazio, Odi, I, 11, 8); approfitta del giornopresente, cioè cogli l’attimo fuggente. Lo si può prendere

in senso epicureo: “Passiamocela oggi allegramente, senzapreoccuparci del domani”, oppure in senso buono: “Ap-profittiamo delle buone occasioni che oggi si presentano,senza aspettare quelle future che forse non arriveranno”.Ma la sentenza si cita generalmente con l’allusione al pri-mo significato.

Diem perdidi: ho perduto la giornata. Parole che Sveto-nio attribuisce a Tito, imperatore romano, che fu detto de-lizia del genere umano; il quale, avendo trascorso unagiornata senza trovar l’occasione di largire qualche benefi-cio avrebbe proferito la storica frase.

Sine die: senza data. Poiché il termine dies indica tanto“la giornata” quanto “la data precisa”, questa espressione,basandosi sul secondo significato, indica un impegno chevenga rimandato senza fissare una scadenza precisa. Lo siadopera soprattutto per assemblee aggiornate a data dadestinarsi.

Sic stantibus rebus: stando così le cose. La formula è orausata nel linguaggio comune per precisare che un’afferma-zione è veritiera sempre che non ci siano cambiamenti nel-la situazione di fatto.

Errare humanun est: errare è proprio dell’uomo. Assio-ma filosofico con il quale si cerca di affermare una colpa,un errore, una caduta morale. Livio (Storie, VIII, 35) diceche; Venia dignus est humanus error (ogni errore umano me-rita perdono), e Cicerone asserisce che: Cuiusvis est errare:nullius nisi insipientis, in errore perseverare (E’ cosa comunel’errare: è solo dell’ignorante perseverare nell’errore); a cuicorrisponde il motto popolare che si unisce al primo: sedperseverare in errore diabolicum est.

Nunc est bibendum: ora bisogna bere. Così inizia unafamosa ode di Orazio (I, 37), la quale canta la recuperatapace dopo la fine della battaglia di Azio e il suicidio di An-tonio e Cleopatra. E come lui, un altro poeta, Alceo di Mi-tilene, aveva brindato ad una morte altrettanto auspicata,quella del tiranno di parte popolare che aveva costretto lui,aristocratico, ad andare in esilio: “Ora bisogna ubriacarsie bere a forza, poiché è morto Mirsilo. L’espressione è orausata ad indicare un momento di particolare gioia in cui sideve brindare, oppure, più banalmente, per dire che in unbanchetto è giunto il momento del brindisi. ●

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Bentornati, cari amici Lettori de Il filo di Aracne, a quel-lo che per alcuni anni è stato un incontro gradito conle leggende dell’antica Terra d’Otranto. E permette-

temi, in occasione di questa prima puntata della nuova se-rie, un beneaugurante saluto alla mia amata nonna Anna,che molti di voi hanno già avuto modo di conoscere, quan-to meno attraverso i miei nostalgici e affettuosi rendez-vousletterari dedicati al Salento.

Come tutte le nonne, nonna Anna è stata, e lo è ancora,un’ispiratrice magnifica della gioia di vivere, del mio be-nessere spirituale, e soprattutto della mia fantasia. Quan-do talvolta accade di sentire quell’irrefrenabile voglia dimemorie, mi basta pensarla e lei arriva per magia – chissàcome e da dove –, invitandomi a sedere sulla vecchia cas-sapanca di noce, attorno al leggendario tavolo ovale, chedall’alba fino a sera, nel palazzetto di via Fedele Albanese12 a Galatina, accoglieva ogni nostro festoso ed esuberan-te sentimento di vita.

Anche in questo momento è così, e il ricordo ridona per-fino le prime ricerche e curiosità nell’arruffata e irresistibi-le biblioteca di casa, alla scoperta di libri sempre fascinosi,pronti a regalarmi piacevolezze d’altri tempi. Come le riso-nanti poesie in vernacolo leccese di Capitan Black (aliasGiuseppe De Dominicis); o quelle, altrettanto amabili, diVittorio Bodini. Di lui, è quasi prodigioso come ancora og-gi mi tornino, emozionanti e sonori, i suoi versi su Cocù-mola: “Un paese che si chiama Cocumola / è / come avere le manisporche di farina / e un portoncino verde color limone. / Uominicon camicie silenziose / fanno un nodo al fazzoletto / per ricor-darsi del cuore. / Il tabacco è a seccare, / e la vita cocumola fra lepentole / dove donne pennute assaggiano il brodo”.

Proprio da qui partiremo per il nuovo leggendario viag-gio: da Cocumola e dalla Madonna dell’Uragano, venera-ta in tutto il Salento. Buona lettura.

Correva l’anno 1832. Il classico ‘incipit’ è di prammati-ca per entrare nel vivo dei fatti miracolosi che in quel tem-po, e precisamente il 10 di settembre, ebbero luogo aCocumola, piccolo e grazioso centro del Basso Salento, fra-zione di Minervino di Lecce. Siamo intorno a mezzogior-

no, e per i contadini che stanno lavorando la terra fin dalleprime luci dell’alba, è l’ora fatidica della pausa per il pran-zo, e quindi della sostanziosa merenda (o marenna, comeancora oggi si dice nella zona): una classica ‘frisa’ d’orzo odi grano duro, riccamente guarnita dagli altrettanto classi-

ci pomodori di pendo-la e corredata, a piacerevario, da peperoni ezucchine secche, cimedi rapa, peperoncinopiccante...

Poco distante dallacampagna, in una pic-cola chiesa dedicata al-la Madonna Assunta,un giovane pittore delluogo, come da ordinedel Parroco, sta dipin-gendo l’immagine del-la Vergine su una tela, edi tanto in tanto la rimi-ra con malcelati sorrisidi compiacimento. In-tanto, il cielo s’è im-provvisamente incu-pito, e un forte ventocomincia a imperversa-re minaccioso su tuttoil paese, e nelle contra-de vicine: un autenticoterribile striunizzu (co-me qui chiamano la‘tromba d’aria’), che ra-pidamente sconvolge lacampagna, squassando perfino i solidi ulivi millenari, traun disordinato fuggi-fuggi generale. Qualcuno ripara nel-la vicina Diso; i più rag-giungono Cocumola; e ipochi che riescono a entra-re nell’ormai affollata chiesetta dell’Assunta, sono in gi-nocchio a pregare, attorno alla tela non ancora ultimata delgiovane pittore. Il quale, proprio nel mo-mento culminante della violenza del ven-to, indica, gridando per l’emozione,l’immagine della Madonna che è apparsasul finestrone centrale, con un calmo sorri-so e le braccia aperte, in segno di protezio-ne. Infatti, il terribile uragano cessa, e di lìa poco, sul paese e nelle campagne, ritornaa splendere il sole.

Nasce, così, da quel fatidico 10 settem-bre 1832, la devozione e la fedeltà per la“Madonna dell’Uragano” che, oltre a Co-cumola, si festeggia anche nella vicina Di-so, con celebrazioni religiose e civili, fracui una rinomata Fiera, dedicata ai prodot-ti tipici salentini.

La Madonna dell’Uragano incontra an-che a Carovigno una sentita devozione. Leorigini sono analoghe a quelle appena rac-contate, essendo stata salvata la popolazio-ne di quei luoghi – grazie all’intercessionedella Vergine – da un violento uragano,scatenatosi il 17 agosto 1841.

Lo storico Santuario di Maria Santissima

20 Il filo di Aracne gennaio/marzo 2018

USANZE E COSTUMI SALENTINI

Quando non ci saranno piø leggende da raccontare �niranno tutti i sogni. Ma per fortuna i sogni non �niscono mai.

Misteri, prod nell’antica Te

Prima

di Antonio M

Carosino (Ta) - Santa Maria delle Grazie

Cpcumola (Le) - Mad

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del Belvedere è, pe-raltro, meta ininter-rotta - per tutto l’an-no, e specialmente trala Pasqua e Ferrago-sto - di migliaia di fe-deli. La leggendavuole che il sito fossescoperto intorno al-l’anno 1000 da unmandriano che avevaperso il suo vitello dalatte, e da un poveroclaudicante di Con-versano, giunto sulluogo perché avevasognato la Madonna.In breve, i due scopri-rono due grotte ocripte di tipo carsicosu due diversi livelli,e in una di queste in-travidero il vitellinosmarrito, che si eragenuflesso di fronte aun’immagine dellaMadonna.

Per la gioia, il man-driano prese un ba-

stone, vi legò un fazzoletto multicolore e, cantando asquarciagola, lo lanciò ripetutamente in aria perché tutta la

popolazione potesse ve-derlo, e partecipare così almiracolo. Fu proprio que-

sto gesto a segnare l’avvio di una saga che dura ancora og-gi: la Battitura della ‘Nzegna, considerata peraltro l’inizio

‘storico’ della tradizione per tutti gli sban-dieratori d’Europa.

Il santuario si trova a circa 4 km fuori Ca-rovigno, sulla strada provinciale 33, cheporta al mare. E per 15 sabati – dall’iniziodell’anno fino a Pasqua – è meta di fedeli evisitatori. Infine, il lunedì di Pasquetta, esolo in quel giorno, il quadro della Madon-na di Belvedere viene portato in città perpoi ritornare, la mattina successiva, da Ca-rovigno alle ‘grotte’.

La ‘Nzegna è la più antica tradizione reli-giosa legata allo sbandieramento in Italia.

Con la poesia abbiamo iniziato, con lapoesia concluderemo questa prima e nuo-vissima puntata delle Leggende. Curiosa-mente, a seguire, è Carosino, il cui nomeinizia anch’esso con la beneaugurante lette-ra “C”. Come cordialità, cortesia, cultura,civiltà.

Fra le selezionate ‘Città del vino’ dellaPenisola, non lontana da Taranto, Carosinoha subìto durante la sua storia una lungadominazione e influenza albanese ai tem-

pi di Giorgio Castriota Scanderbeg (intorno al XV secolo),le cui armate rasero al suolo il borgo originario, trasfor-mandolo in un’autentica piazza d’armi. Acquistato poi dal-la nobile famiglia degli Antoglietta, e per vari aspettirinvigorito, il feudo si è poi rapidamente emancipato,giungendo all’epoca attuale con una ‘personalità’ ben pre-cisa, caratterizzata da spirito d’iniziativa, volontà e serie-tà di fare. Notevoli sono, infatti, le varie iniziativefolkloristiche e culturali, prima fra tutte la storica Sagra delVino, giunta alla sua 51a edizione. (Mi sia concesso di ac-cennare che anch’io, qualche lustro fa, in quella Festa – chededica anche largo spazio alla poesia dionisiaca – non horesistito alla sempre viva tentazione di partecipare con unmio componimento, peraltro benevolmente apprezzato).

Come i due comuni precedenti, anche Carosino fusquassata– il 26 novembre 1864 – da un violento uragano,e prontamente salvata dal miracoloso intervento della Ver-gine, che qui ha precisamente l’appellativo di “Madonnadelle Grazie”. Lasceremo che sia il poeta locale Biagio Cin-que – dal quale abbiamo ereditato una precisa ‘memoriain versi’ – a narrarci in vernacolo la drammaticità del-l’evento: “...Lu Diu ti la giustizia / ca castìa comu voli / controli piccatori / nu flaggellu priparò. / Ordina a n’urracanu: / vania Carusinu / porta ogni ruvina / lu vogghiu suttirrà. / Si partil’urracanu / si parti cu gran tirrori, / si parti cu gran furori: / laterra scunquassò [...] / Li casi sgarrupati / minati a ‘nterra chia-ni / ddo stavunu li cristiani / rimanevnu sani! / Na gghiù gira-tu strati / tutti interamenti: / e quanti n’anu muertu? / ...unusulamenti! “.

Sicché, in quel terribile sfacelo, il bilancio sarà di un mor-to soltanto. Una sola vittima sacrificale, che affranca tuttala comunità, struggendo comunque il cuore all’intera po-polazione. Il sacrificio, infatti, traducendolo in lingua, èquello di “...un giovane amato da tutti / che agli altri dava con-forto / e se non fosse uscito / certo non sarebbe morto!”.

L’olocausto di quel giovane, in definitiva, doveva signi-ficare, per tutto il popolo, un monito divino all’osservanzadei comandamenti celesti. Sicché , la stessa Madre di Dioarriverà in ritardo per salvare quel poveretto. Per il resto,

come conclude il poeta, la Madonna delle Grazie “...span-nì lu mantu / sobbra alla genti, / ti quiru gran turmirentu / nivulìu libberà”(Distese il proprio mantello sulla gente perproteggerla, e di quel gran tormento ci volle liberare).

(continua)

gennaio/marzo 2018 Il filo di Aracne 21

ende da raccontare �niranno tutti i sogni. M sogni non �niscono mai.

M digi e fantasie erra d’Otranto

puntata

ele ‘Melanton’

Carovigno (Br) - Santuario Belvedere

donna dell’uragano

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Normandismi, provenzalismi, arabismi,francesismi, spagnolismi e germanismi,

tuttora presenti nel nostro dialetto

di Piero VINSPER

Spesso mi è stato chiesto dai miei “sedici lettori” se nelnostro dialetto, oltre all’influsso del latino e del gre-co, ci fossero dei collegamenti con altre lingue. Ebbe-

ne, dal momento che è mio costume rispettare sempre leminoranze, avvalendomi di un articolo a firma di EmilioPanarese, pubblicato sul volume XVI de “Note di storia ecultura salentina”, volume ed altri che mi sono stati dona-ti dal compianto prof. Mario Micolano, valente grecista elatinista, cercherò di esaudire, per quanto mi è possibile, laloro richiesta.

Tutti sanno che il Salento ha avuto a che fare con i Nor-manni, con gli Angioini e con i Francesi veri e propri, nelNapoletano, alla fine del Settecento e nell’Ottocento.

Ecco alcuni normandismi, provenzalismi e francesismiche sono rimasti nel nostro dialetto: arrià, arrié: en errière, va’ indietro, detto di animale da

tiro. Però l’espressione en errierè congiunta con en avantera una chiamata del ballo della quadriglia: “tutte le damein avan e in arriè”, tutte le “dame in avanti e indietro”. turdimé: tour de mains: altra fase della quadriglia. Abi-

li nel “chiamare” la quadriglia erano Pietro Viola, PippiPalumbo, Donatuccio Vergaro e mesciu Cici Mangia.buatta: boîte, scatoletta di rame contenente spesso salsa

di pomodoro. buffè: buffet, credenza.chepì: chepì, berretto militare di tela rigida o di cuoio.cumbò: commode, comò, cassettone in cui si ripone la

biancheria.

ddumare: allumer, accendere. “Pethrina dduma ‘u pethro-ju”, si dice nel nostro gergo.dammiggiana: dame Jeanne, damigiana. Sicuramente

Janne doveva essere una signora bassa e dal fondo schie-

na tanto abbondante, da essere paragonata a questo reci-piente di vetro.meddhra: melle, nespola nostrana, che a differenza di

quelle giapponesi ha un colore verdastro, che a maturazio-ne cambia in marrone scuro. E’ d’obbligo citare tre prover-bi che riguardano questo frutto: “Quandu viditi nespulechiangiti, ca viddhru è l’urtimu fruttu de l’estate”; “Cu llu tiem-pu e cu lla paja se mmatùranu le nespule”; “Tthre cose ti nnu-dacanu lu core: le meddhre, li cutugni e le palore”.croffulare: ronfler, russare.ngallunire: ant. norm. Galne, diventare giallastro. Le no-

stre massaie, quando son cotte le rape, sono solite dire:“Toglielete subito dall’acqua, altrimenti ngalluniscenu”.perpitagnu: parpaing, concio di pietra squadrato da ogni

lato; però è più esatto farlo derivare dal latino Perpetaneusda perpetuus, non interrotto.mburzunettu: possonet, paiolo.rebbusciatu: débauché, depravato, dissoluto.rranciare: arranger, rimediare alla meglio;sciamissi: chemisse, camicia;sciarabbà: char à banc, calesse con due ruote a due o più

sedili;sciarretta: charrette, calessino;

22 Il filo di Aracne gennaio/marzo 2018

TERRA NOSCIA

Normandismi, provenzalismi, arabismi,francesismi, spagnolismi e germanismi,

tuttora presenti nel nostro dialetto

Schipece di Gallipoli (Le)

Cupeta salentina

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sciardinu: jardin, giardino;scicchi: chic, blusa o scialle elegante: “Mi pari tuttu scic-

chi”, Mi sembri molto elegante;sciumenta: jument, giumenta;sinfasò: sinfasò, alla fasinfasò: sans faḉon, alla meglio,

alla carlona. “Nu’ fare le cose alla fasinfasò”, Non fare le co-se superficialmente;sparathrappu: sparadrap, cerotto;staccia: estache, pietra piatta;tuppu: top, crocchia di capelli;zzìnzuli: cinces, stracci. Zzinzulusa, grotta nei pressi di

Castro, ricca di stalattiti simili a brandelli di veste lacera,non la faccio derivare da cinces, bensì dal greco τσάντσα-λον, cencio, straccio.

Al tempo dell’occupazione araba della Sicilia, della Ca-labria e della Puglia, vale a dire dal IX al XII secolo, alcuni

arabismi si diffusero nei nostri dialet-ti e pochi sono stati conservati al gior-no d’oggi:arcova: al qubba, piccola stanza con

il letto, oppure veranda o balcone co-perti con arco a tutto sesto, dove siconservavano peperoni secchi e leclassiche pendalore e cramasole di po-modori d’inverno;canzirru: qatyr, mulo ed in senso fi-

gurato cocciuto, birbante, malandrino;cupeta: qubbaita, copeta, dolce di

zucchero e mandorle intere sgusciate.Ottima quella della ditta Stella di Mar-tano;cuttone: qutum, cotone;lambiccu: al ambiq, alambicco;màzzaru: ma ‘sara, tufo duro misto

a selce; fig. uomo rozzo, maleducato;mussulina: mussolina, tessuto mor-

bido, sottile, trasparente, di seta o dicotone, dal nome della città irachena di Mosul;schipece: l’etimologia forse ci conduce ad Apicio, autore

del De re culinaria. Alcuni studiosi tedeschi affermano cheil nome derivi dall’arabo sikebac o sikbag attraverso lospagnolo escabeche. Nel latino medioevale di Federico IItroviamo la forma askipeciam. Comunque si tratta di unasalsa di pesciolini fritti (d’obbligo pupiddhri, vopilli) chesi lasciano marinare con pane grattugiato, zafferano e ace-to. Famosa la schipece gallipolina!seuca: silqa, bietola;tàfaru: taffarug, ceffone, pugno, cazzotto;tavutu: tabut, cassa mortuaria povera con quattro assi

di pino;varda: barda, basto;zzinzale: simsar, sensale, mediatore di matrimoni. ●

gennaio/marzo 2018 Il filo di Aracne 23

Sciarabbà

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Fra i personaggi minori della mia tanto amata Nardònon posso dimenticare uno, esattamente quello diuna donna molto procace ed eccitante, che già in età

adolescenziale, si impose all’attenzione e agli occhi stra-buzzanti e vogliosi dei neritini per le sue eccezionali carat-teristiche fisiche e per il suo modo di camminare provo-cante e sensuale. Anche le donne non smettevano mai diosservarla, magari con unapunta d’invidia, per questo suomodo di essere e di proporsiagli altri.

Già all’età di 12-13 anni ebbea mostrare, forse innocente-mente, i primi segni di unaprecoce ed accentuata femmi-nilità.

Era “il tempo delle mele”,dei primi innamoramenti e deiprimi sogni giovanili, che l’am-maliavano di continuo e la fa-cevano vivere in castelli doratitra tanti prìncipi azzurri.

Bella ed eccitante com’era, sicrogiolava sotto le alle lusin-ghe e le belle parole a lei rivol-te dai maschi d’ogni età,desiderosi di possederla.

Ma Pissa non era soltanto“tutta seno”. Nient’affatto. Pos-sedeva un viso radioso e dueocchi azzurri come il mare cri-stallino di Porto Selvaggio, lelabbra fortemente pro- nunciate, che sembravano esserestate invase da una buona dose di silicone, un didietro esu-be- rante per la sua età. Quello che però spingeva il ma-schio a fare sogni ad occhi aperti era l’andamento sinuosoe ondeggiante, in parte voluto dalla ragazza, e soprattuttoil seno turgido e prorompente che sembrava sobbalzare adogni suo passo. D’estate, in modo particolare, Pissa racco-glieva la massima attenzione da parte dei maschi che in-contrava per strada, i quali, concentrando lo sguardo su dilei, spesse volte inciampavano su un marciapiede oppuresbattevano la testa contro un palo di energia elettrica ocontro un albero. Non mancavano lazzi e frizzi d’ogni ge-

nere a lei rivolti con voce vogliosa, come ad esempio: “Fig-ghia mia, cce puorti ‘n piettu?!”, oppure “Cce tt’ha datu cumangi ‘ddhra mamma tua!”, o anche “Jata a cci ti ‘nzura!”.

E lei si beava in continuazione per le numerose attestazio-ni di affetto dei tanti ammiratori, che stravedevano per lei.

Insomma Pissa era già una prima star cittadina all’etàadolescenziale, figuriamoci da donna!

Consapevole del proprio fa-scino, Pissa respingeva all’etàdi 16-17 anni, ogni approccioamoroso con i giovani suoicoetanei, mentre accoglievacon invitante soddisfazione ledolci parole, i com- plimentiabbottonati e le ambigue insi-nuazioni delle persone suitrenta-quarant’anni che soven-te le facevano. Tutto questoperché negli uomini maturipercepiva maggiore sicurezza,protezione e sag- gezza.

A vent’anni, Pissa, non po-tendo trattenere il fuoco infer-nale che le serpeggiava in corpoe che pretendeva amplessiamorosi, cominciò inizialmentea sorridere ai vari ammicca-menti e richiami maschili, perpoi rispondere con brevi paroleai saluti invitanti e sensuali diprofessionisti dell’epoca, che,con fare gentile, la invitavano a

prendere un caffè insieme. Lei non si concedeva immedia-tamente, ma lasciava capire, inscenando qualche tenten-namento, che in un secondo momento avrebbe di certoaccettato l’invito.

Alla madre raccontava ogni cosa e da lei in cambio rice-veva buoni consigli.

“Statte ‘ttenta, fìgghia mia, ca l’ommu è cacciatore pi’ natu-ra. Pìgghiate lu megghiu ti Nardò, quiddhru ca tene sordi e ca-se. Ti ‘stu modu tieni la vita ‘ssicurata. Pocu ‘mporta ci etebrutticeddhru.”.

Il fuoco che aveva in corpo la indusse a dimenticare ilconsiglio della madre, cosicché Pissa non tardò a cedere,

24 Il filo di Aracne gennaio/marzo 2018

C’ERA UNA VOLTA...

Una donna piena di gioia e di vita

PISSA SETTE MENNE(Pissa, dal grande seno)

Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia!... Chi vuol esser lieto sia, di doman non v’è certezza.

di Emilio RUBINO

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spinta da un irrefrenabile desiderio d’amore, alle continueprofferte di un bell’uomo, professionista serio ma sposatoe con numerosi figli, del quale si era perdutamente inva-ghita e al quale offrì il suo corpo vellutato e vergine perfar sfogare il vulcano che la travolgeva interiormente. Fre-quentò diverse volte l’uomo ed ebbe modo di tacitare lecontinue pulsioni d’amore. Ma la storia, ovviamente, dopopoco tempo ebbe un improvviso epilogo, in quanto la mo-glie del suo amoroso, conosciuta la tresca tra i due, la in-vitò tramite terza persona a lasciarlo stare, pena graviconseguenze. Questa fu la prima intensa esperienzad’amore, che la fece sentire pienamente donna.

Pissa rimase male, ma dovette giocoforza abbandonarei sogni d’amore, anche perché il suo amante, in cambio, leaveva regalato una buona somma di denaro per chiuderebonariamente ogni cosa.

Ben presto il fuoco tornò ad infiammarla con la stessaveemenza d’un tempo. La donna tornò a farsi vedere perle strade del centro e ad ammiccare ad ogni gentile invi-to. Conobbe un altro bell’uomo molto danaroso, con ilquale iniziò una nuova avventura. In cambio la donna sifaceva offrire del denaro per ingioiellarsi, vestire elegan-temente e pagare le salate fatture di un centro estetico inquel di Lecce.

Anche questa storia giunse al termine, ma sempre dietrocongrua… buonuscita.

Negli anni conobbe tante e tante altre fugaci esperienzecon uomini importanti, ai quali, mai sazia, si abbandona-va in ogni senso, godendo intensamente e donando il suocorpo di donna ormai matura. Spesso i suoi amanti finiva-no per trovare ristoro e riposo tra le calde balze del suo im-menso seno.

Ormai pienamente matura e un po’ su con gli anni accet-tò anche gli inviti di giovani vogliosi di sprigionare tutta laloro freschezza sessuale. E si ritrovò ad essere giovane comeloro e a reagire con il suo corpo allo stesso ritmo d’un tem-po, quando faceva sobbalzare l’amante di turno sul letto.

Ora la fama di Pissa aveva varcato le mura cittadine edera denominata da tutti con il nomignolo di Pissa “dallesette menne”, cioè Pissa dai sette seni, a giustificazionedell’enormità del petto.

Per completare questa piccola ma significativa biografia,va aggiunto che Pissa ebbe anche una figlia, nata da un“imprevisto incidente amoroso”. La ragazza fu cresciuta a suaimmagine e somiglianza. Alta, aitante, slanciata, dagli oc-chi azzurri, dalle labbra e dal seno prominenti come quel-li materni. Anche Pissetta crebbe esattamente comemamma Pissa. Conobbe già da giovane molti uomini, aiquali si legò morbosamente, ma, come sua madre, tuttiquesti fuochi di passione pian piano si spensero. Trascor-se la sua vita tra tanti alti e bassi. Visse i suoi ultimi anni,ormai vecchia decrepita, tra l’indigenza più completa inuna stamberga del centro storico della città, ma, come suamadre, si sentiva appagata di aver vissuto nella totale pie-nezza e spensieratezza la propria gioventù.

Morale della favola. Pissa e Pissetta sono state conside-rate “venditrici d’amore”, ma almeno hanno totalmente sod-disfatto i loro desideri più intimi. Ci sono, invece, tantegiovani donne, magari belle, che hanno trascorso la lorogiovinezza ad aspettare invano che un bel principe azzur-ro le rapisse.

Vale pienamente il detto di oraziana memoria “Carpediem, quam minimum credula postero”, cioè “Cogli l'at-timo, confidando il meno possibile nel domani”. ●

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Comune l’idea che la storia la scrivono i vincitori a lo-ro uso e consumo. La storia generalmente riguardare, casate, imperatori, dittatori, intrighi, cambi di

campo per interessi economici e per ingordigie personali avolte talmente acute fin ad arrivare all’omicidio. Poi c’è lastoria e la cronaca di tutti noi, giorno per giorno, dall’iniziodell’umanità: ci unisce la volontà di sopravvivere, di acqui-sire conoscenze da trasmettere ai figli e alle future genera-zioni. Questa fruizione è finita alla fine del 20° sec. quandoi figli (i millennium) distrattamente e con un po’ di fastidioci hanno insegnato le regole e l’ABC dei computer.

A parte lo sfogo, io da generazioni sono Ga-latinese come la maggior parte di voi; por-tiamo anche cognomi illustri, di localitào di mestieri da tempo scomparsi; macosa sappiamo di come si viveva nel1300 o nel 1458, cosa hanno visto lestesse strade del centro storicoadesso tanto ammirate per la loroeleganza? Come era la nostra SanPietro in Galatina? Non essendo iouno storico, ma solo un curioso,non sapendo leggere bolle papalie pergamene, mi farò guidare dal-la deduzione e dalla logica, accom-pagnato però dai tanti libri dispo-nibili presso la nostra famosa bibliote-ca civica; spero che non me ne vogliate.

Tutto iniziò con una scomunica.1383 - Il Papa Urbano VI, scomunicò la re-

gina Giovanna di Napoli fautrice dell’antipa-pa avignonese Clemente VII, ma fece unpasso sbagliato: per sottolineare la sua autorità decise di ve-nire a Napoli. L’ambizioso re Carlo III° D‘Angiò incoronatodallo stesso Papa e quindi suo alleato, gli si rivoltò contro,cercando anche di farlo prigioniero.

Nella rocca pontificia di Nocera, il Papa resisteva con isuoi armati, ma sarebbe stato prossimo alla capitolazionese Raimondello del Balzo Orsini non fosse intervenuto con800 mercenari britannici che liberarono Urbano VI e lo scor-tarono fino a Civitavecchia dove si imbarcò per Genova. IlPapa con un gesto di umana gratitudine concesse che a SanPietro in Galatina, feudo Orsiniano, venisse costruita daRaimondello, la chiesa di Santa Caterina, anche se l’operaera stata già iniziata unitamente con il monastero e il conti-guo ospedale. Intanto gli 800 avventurieri britannici, in at-

tesa di essere pagati ottennero dal loro condottiero di fer-marsi a Galatina. In poco tempo la presenza di truppe mer-cenarie senza soldo si tradusse in un disastro, per i tantisaccheggi ed atti di violenza perpetrati verso la popolazio-ne anche con uccisioni; solo con il pagamento del dovutocessarono quegli atti.

La Fregatura13 giugno1387 - Il Papa Urbano VI con la bolla Sincerae

Devotionis volle indennizzare moralmente ed economica-mente la città da quelle malversazioni subite, esonerandola

dalle generali collette che le altre città del regno a luipagavano, inoltre volle che lo stemma civico si

fregiasse delle chiavi pontificie, ma so-prattutto rimborsò ai cittadini quattor-

dicimila ducati per i danni subiti daimercenari. L’Orsini però convinse i

Galatinesi a devolvere tale sommaalla costruzione del complesso ar-chitettonico di Santa Caterina.Come dire: la chiesa se la pagaro-no i Galatinesi, ma la gloria restòa Raimondello.

25 marzo 1385 - Il Papa UrbanoVI autorizzò Il Principe Raimon-dello Orsini con la bolla Piis votis

ad innalzare in maniera contiguaal convento e alla chiesa di Santa Ca-

terina già in costruzione ,come dettoprima, una casa di cura per accogliere po-

veri ed infermi. Ma le sostanze economicheandarono per intero per la costruzione delmonastero, tanto che nel 1390 la costruzione

della casa era ancora in votis. E’ probabile che solo nel 1403quest’opera cosi importante fosse portata a termine comericonosciuto dalla lettera scritta da Raimondello al succes-sivo Papa Bonifacio VIII, al quale chiese e ottenne lo jus pa-tronatus ossia l’autorità di nominare il Rettore del com-plesso chiesa-convento-ospedale. Lo scopo era quello dicreare un organismo unitario, per incrementare il culto cat-tolico ma latino, oltre che un ricovero per poveri e la curadegli infermi. Inoltre le rendite dell’ospedale dovevano ser-vire non solo per gli infermi e per i poveri, ma anche per ilmantenimento dei frati minori di Santa Caterina1. Non dimeno, già pochi anni dalla sua fondazione la prospera casadi cura Santa Caterina possedeva una Torre, un mulino, unfrantoio, una taberna curiae (un ricovero per i monaci), oltre

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STORIA CITTADINA

Papa Urbano VI

1^ puntata

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che case, cortili e orti ed uliveti. Lasciti ed acquisizioni fece-ro diventare l’ente ospedaliero guidato dai frati un potenta-to con un feudo esteso nei territori del basso Salento conpotere di tassazione sulle decime.

1496 -1499 - I Capitoli della Bagliva di Galatina(80 regole scritte per il vivere civile cittadino)

La Bagliva rappresenta il corpo delle Disposizioni relati-ve alla polizia campestre, o disposizioni amministrative, fi-scali e di pubblica sicurezza secondo la vetus consuetudo loci.

Queste regole sono la più antica testimonianza scritta delbilinguismo greco-romanzo o (latino Volgare) che si stavadiffondendo nella città di San Pietro in Galatina. Queste nor-me proclamate nel cuore della compatta isola greca del Sa-lento portarono alla perdita della prevalenza del greco chesopravvisse sempre più relegato negli altri nove centri del-l’isola linguistica, per cui il dialetto galatinese si riconoscerànelle forme latino – volgare.

25 marzo 1385 - La più an-tica documentazione del-l’ormai bilinguismo grecoromanzo presente in città èil documento papale sacraevestrae Religionis sinceritascon il quale Urbano VI affi-dava ai francescani la mis-sione di officiare la Basilicadi Santa Caterina in rito lati-no, in contrapposizione alrito greco, che era usato nel-la chiesa matrice e che il po-polo non seguiva più perscarsa conoscenza della lin-gua greca. Galatina stava di-ventando città di commerci,specie dopo l’istituzione delmercato del Giovedì, franco da gabelle per i mercanti ed i lo-ro prodotti. Naturalmente più idiomi avevano bisogno diuna lingua capita da tutti, frequente era in città la presenzadi mercanti Toscani (vedi i Baldi per le stoffe), di baresi, senon addirittura mercanti veneziani. Il paese era un ottimoemporio per il commercio e la produzione delle pelli, con-siderando che il cuoio era la plastica dei nostri giorni, e ilconsumo era il vero business.

In questo contesto, diventano storicamente importanti lenorme che regolano il mercato e le attività comerciali dellaGalatina a cavallo tra il XVI e XVII secolo.

Qui riportiamo le più interessanti, intercalando in corsivoalcune espressioni significative nella lingua volgare ma uf-ficiale del feudo di San Pietro in Galatina:

● E’ divieto ai forestieri in Galatina di comprare nel giorno diGiovedì grano, orgio, fave, ciceri, doleca, pasuli, lino, semente eavena se prima non se fornescono i citatini.

● Nullo fornaro ne patrono de pane debia portare lo pane cottoin casa dal furno senza averlo pisato.

● Se omne forestieri anducesse pesce fresco a vendere….è tenu-to a pagare 1 Rotulo per salma di pesce all’esattore della Baglivaed è tenuto a venderlo alla cancellata (sicuramente un edificiochiuso con cancelli dove si svolgeva il mercato del pesce.Per una salma di sarde fresche il venditore è tenuto a dar 30pezzi al gabelliere, non paga alcuna tassa chi porta in spal-la il cesto del pescato della giornata).

● Da lo primo dì de octobro de ciascauno anno/ per tucto lo me-se de marzo,…. Fino a quando gli alberi avranno frutto, nessunapersona estranea deve far entrare pecore, porci, crape in quellospazio. Contravvenendo, dovrà pagare 2 tarì e menczo per cente-naro de pecore e crape e per omne porco/crofa.

● Ogni coppia di buoi deve portare a mino una campana sonan-te pena tarì 1, se per caso le dicte campane cascassero de li dicti bo-vi, lo patrono abia tempo iorno 1 e una nocte a ponee l’altracampana.

● Se gli animali di una persona penetrano in un fondo do-ve sono piantate pastane (vigne giovani) ed alberi da fruttapagherà la pena di 10 grani.

● Nessuna persona, diversa dal proprietario, osi portaregli animali suoi pena grani 10 per ciascun animale grosso,nel terreno seminato a grano, orgio, fave, lino, ferraggena (fo-raggio), avena, zaferana, meloni, bambace (cotone) e altri legumi.

● Allo stesso modo nessuna persona usi gettare o far gettarescopature di casa, romate (im-mondizia) lordure e cose feti-dee putride, carni di animalimorti in vie pubbliche o vicina-li di questa terra. Siano prepa-rate latrine o pozzi (neri?)adeguati per tale misura e a se-condo delle stagioni le nomina-te cose siano trasportate edepositate nel luogo predi-sposto.

● Tutti i lavoratori a gior-nata che hanno promessouna giornata di lavoro perla loro arte, e non l’hannomantenuta, pagheranno un’ammenda di un tarì.

● Qualsiasi cittadino o fo-restiero sia ascoltato be-

stemmiare il nome di Dio o della Vergine Maria, perciascuna volta pagherà la multa di 7 tarì, per tutti gli altrisanti solo 2 tarì.

● In questa terra nessuno può circolare di notte senza l’au-torizzazione del camberlingo (capo delle guardie cittadine),neanche questo può camminare di notte con altre personesalvo che queste siano di buona fama. Vengono però fattisalvi coloro, cittadini/forestieri che fanno ritorno in San Pie-tro dai frantoi, mulini, forni o da altri luoghi dove si atten-de a lavori di prima necessità e quindi sono costretti acircolare nottetempo, devono però essere muniti di lanter-na o di fiaccola o di tizzone per essere riconosciuti.

● Nessuna persona, cittadino o forestiero che sia in que-sta città o nel suo distretto si permetta di iocare ad anzara coni tre dadi o altro ioco de dadi proibito o de carte o a contrici2,excepto i tre giorni di Natale.

● Affinchè la piazza principale di questa città resti pulitasia d’estate che d’inverno , non si buttino acque sporche o la-vature in modo che non scorrino acque in questa piazza. Il limi-te va da la casa di Iacono Minzio, de Raymundo Placì alla casa deSthefano Columbo, tanto de state quanto de inverno.

● Ogni venditore di panni della città o forestiero, misuriil panno in vendita distendendolo sul banco.

● Sono 10 i grani di multa a chi cerca di evadere il paga-mento della colletta dovuta, scappando tramite le fogne opassando sotto le mura da qualche piccolo anfratto, quan-

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Gabelliere intento a riscuotere la gabella

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do i collettori chiudono tutte le porte della città per rescote-re li denari della tassa dovuta.

● Interessante questa disposizione: Si Stabilisce che tanto icittadini quanto i forestieri non possono introdurre o far arrivarevino proveniente da vigneti non pertinenti al feudo di Galatina3.La multa sarebbe di 7 grani, e si ordina inoltre che il bino sia gec-tato per terra … Alla faccia della globalizzazione.

● Nessuno deve far pascolare i propri animali nei fossatiintorno alle mura della città, lamulta può essere di 10 grani perogni animale grosso e 5 per ognianimale più minuto. Ma per favo-rire il commercio (ndr), quandodovessero entrare in città, carri ca-richi di vettovaglie o di mercan-zie, i buoi trainanti questi carri,possono pascolare in ogni luogolargo e aperto senza pagare pena.Mentre il giorno di Giovedì pe ilmercato o altri iorni franchi, glianimali vanno sistemati nei fossa-ti previsti, se pero dovessero reca-re danno agli orti presenti permezzo miglio intorno alla fontanadovesi fa il mercato, si dovrà pagarel’ammenda.

Quindi le mura erano circonda-te da ricchi giardini di ortaggi, uti-li anche quando c’era il mercatodel giovedì.

Da una pergamena del 1449:L’ordinamento della Bagliva fa anche riferimento a que-

sto testo dove i Galatinesi sicuramente come esempio difedeltà alla corona, chiesero ed ottennero il rinnovo deiprivilegi a loro concessi, il primo da Raimondo del Balzonel 1355, il secondo da Niccolò Orsini nel 1375.

Dalla tassazione delle decime sulle produzioni agricole:frumento, ordeo, lino, fabis e iollis ceoarum, venivano esclusi ifrutti degli alberi. Il privilegio cittadino è notevole, perchègli ampi oliveti che cingono il feudo della città possono es-sere coltivati senza tassazione, quindi i guadagni migliora-

no. Questo spinge molte grandi famiglie del circondario aprendere residenza in Galatina e ad investire nella produ-zione e nel commercio dell’olio, creando così lavoro ma an-che grandi fortune personali che troveranno manifesta-zione concreta nei grandi e ricchi palazzi del centro dellacittà, anche nei 2 secoli successivi. ●

Note:1. Anche se nel 1685 Notizie nota-rili dell’Ospedale di Santa Cateri-na. Il Notai Salomi di Soletoincaricato dal Sindaco di Galatinarileva che l’edificio era formatodal piano terra e da uno superio-re. Il piano terra comprendeva ungrande dormitorio e diverse ca-mere adiacenti. In mezzo alla salacentrale dominava l’altare, doveveniva celebrata la messa per i de-genti. Anche il piano superioreera diviso in diversi ambienti. Al-tre modifiche furono fatte nel cor-so dei decenni fino al 1864 quan-do l’istituto ormai cadente fu rico-struito dalle fondamenta dal-l’arch. leccese Vincenzo Sabatoper una spesa di L. 10.250 Attual-mente questo è Palazzo Orsini se-de dell’amministrazione civica diGalatina.

2. Il gioco, che si chiama degli “aliossi”, usa gli ossicini ri-cavati da pecore o montoni o maiali, perché più piccoli emaneggevoli. Alla stessa stregua di dadi a quattro facce,ad ognuna delle quattro facce era attribuito un valore nu-merico (1, 3, 4, 6). La combinazione più ambita era il “col-po di Afrodite” che consisteva nell’ottenere con un sollancio tutte facce diverse3. 1573, La carne di porco si vendeva a Galatina a 7 grani ilrotolo (unità di misura corrispondente a 890.99 gr). La car-ne di bue a 8 grani il rotolo.

Raimondello Orsini del Balzo

Gianfranco Conese

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Passeggiando per le vie del centro storico di Galati-na, mi piace fantasticare e pensare che quei luoghi,in passato, sono stati frequentati dalla gente che ci

ha preceduto ovvero i nostri antenati. E mi domando: chis-sà chi erano i nobili proprietari di questi meravigliosi pa-lazzi? Chissà se questi negozi, che si affacciano sulla piazzae sulle vie principali, corrispondono alle botteghe degli an-tichi artigiani? Come erano vestitigli abitanti di un tempo? Che voltiavevano? Come parlavano e cosa di-cevano? Come vivevano? Cosa face-vano?

Ma Galatina non fu solo l’anticoborgo: avventurandosi in periferia,tra le strade di campagna è ancorapossibile scorgere, tra i campi aper-ti o immerse negli uliveti, spesso de-limitati dai tipici muretti a secco(chiusure), le caratteristiche pagliare1,ma anche vecchie casupole dal-l’aspetto un po’ trascurato, insospet-tabili ruderi di antichi frantoi, torricolombaie e masserie. Come a for-mare dei villaggi diradati in apertacampagna, queste costruzioni dan-no testimonianza di dove abitasseroi contadini, ossia vicino ai fondiagricoli presso cui lavoravano.

Anche il rapporto tra l’uomo e laterra, dunque, è un aspetto interes-sante da indagare, poiché la vita ru-rale ha avuto un ruolo importante nella nostra storia e ciòè testimoniato da tante cose: dai proverbi della cultura con-tadina giunti fino a noi, ai prodotti agroalimentari d’untempo, alle tradizioni gastronomiche e tanto altro ancora.

Ogni argomento, insomma, richiederebbe una ricercastoriografica molto approfondita, perché la storia è in con-tinuo divenire: di generazione in generazione evolve lacultura, cambiano i costumi, cambiano le abitudini e per-sino le necessità, con l’avanzare del progresso.

Ma lasciando allo storico la facoltà di approfondire, di

interpretare i motivi (politici, economici e sociali) che han-no determinato qualsiasi testimonianza scritta, possiamoabbozzare i contorni della comunità di un tempo, parten-do da un aspetto, con il quale coloro che ci hanno precedu-ti erano soliti riconoscersi e distinguersi: i mestieri, le arti,le professioni, le funzioni laiche e religiose, le condizioni...

A metà Settecento, facciamo ancora parte del Regno diNapoli. Il re Carlo (III di Spagna,VII di Napoli) di Borbone (1716-1788) intende riformare il sistematributario, renderlo più trasparentea fronte di una scarsa conoscenzadell’amministrazione feudale inogni provincia del Regno, come an-che delle esenzioni e dell’eventualeevasione fiscale delle classi privile-giate: nobiltà feudale e clero2.

Circa metà della popolazione ga-latinese (in tutto quasi 4500 perso-ne)3, appartenente alle famiglie deibracciali (in genere, contadini), abi-tava o comunque operava nell’agrodi Galatina, che si estendeva fino adincludere antichi casali e feudi disa-bitati, a causa di brutali saccheggiavvenuti in precedenza per manodei Turchi o durante la guerra fran-co-spagnola, tra i quali: il feudo diColomito (Collemeto), quelli di Tabel-le e Tabelluccia, il feudo di Auruca(anche: Aruga), quello di Ausiliano e

quello di «Pisano, seu Pisanello», ma confinava anche con ifeudi abitati di Soleto, Noha e Aradeo.San Pietro in Galatina (così si chiamava allora) è ancora

una università (universitas, da universi cives, cioè “unione ditutti i cittadini”) del Regno. E tuttavia è ancora infeudataal duca di Galatina, un titolo che a quell’epoca appartienealla famiglia Spinola, residente a Genova.

L’aristocrazia civile e religiosa, assieme ai notabili e a unanutrita schiera di possidenti locali, si distingue, oltre cheper gli imponenti ed eleganti palazzi gentilizi, anche per la

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UNA FINESTRA SUL PASSATO

Falegname

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proprietà fondiaria, che richiede lapresenza in Galatina di ben otto no-tai, normalmente impegnati a rogareatti testamentari, donazioni, divisio-ni, compravendite, cessioni, paga-menti e quietanze, ma anche capitolimatrimoniali, atti dotali, ecc..

Persino l’arciprete (parroco di Ga-latina) della chiesa dei SS. Pietro ePaolo, don Agostino Gorgoni, in ca-rica dal 1735 al 1758, è un ricco pro-prietario terriero, possedendo, tra lealtre cose, anche un’antica masseria«con curti, case, capanne, cisterna,aia, e giardino nominata Santo Gorgo-nio» e un’altra masseria «con curti, ca-se, capanne, cisterna, et aia alliParadisi».

Ma la popolazione degli ecclesiasti-ci è molto più numerosa, contandoben 121 individui, tra cittadini e fora-stieri, riconosciuti con diversi titoli o qualifiche: archipre-te, abbate, canonico, sacerdote, archidiacono, diacono,suddiacono. Molti di essi percepiscono rendite dai benefi-ci ecclesiastici e hanno, tra le altre cose, un’abitazione pro-pria, mentre altri (47) vivono insieme al nucleo familiaredel padre, di un fratello o di altri parenti.

Delle monache professe (8 in tutto) si sa ben poco, a par-te il fatto che venissero inviate (tre di loro) presso il «Vene-rabile Monastero delle Monache di Santa Chiara» di S.Pietro in Galatina, o che vivessero (5) in alcuni dei mona-steri di Lecce. Questo perché non erano destinate, a volteper motivi economici, a maritarsi. Le monache bizzoche(10), invece, erano le ragazze nubili che venivano comun-que ascritte a un ordine religioso, ma rimanendo in casa,presso la famiglia di origine. Le restanti donne erano qua-lificate come mogli (826), vedove (48), vergine (una nubile,di 35 anni) o zitelle (dai 50 anni in su; 3).

La popolazione femminile sembrerebbe non costituireuna fonte di reddito, stando ai documenti fiscali, quandoinvece sappiamo benissimo che molte di loro contribuiva-no in modo determinante al sostentamento della famiglia,sopperivano alle numerose necessità domestiche, alleva-vano i figli e, nonostante tutto, partecipavano ai lavori neicampi e alla lavorazione dei prodotti della terra.

Piuttosto variegato appare, invece, il quadro delle atti-vità lavorative, professionali ed economiche della popola-zione maschile di Galatina. Possiamo farci un’idea delledinamiche di vita della comunità e di come fosse struttu-rata la società stessa, attraverso la tipologia delle profes-sioni, delle occupazioni attribuite ai capifamiglia e adalcuni dei figli in età da lavoro (dai 14 anni di età).

L’attività agricola e produttiva, prevalentemente indiriz-zata alla coltura di ulivi, viti e seminativo, riguarda unamanovalanza maschile di 569 bracciali circa4, inclusi i fo-rastieri abitanti (8), che assieme a tutti i componenti dei ri-spettivi nuclei familiari costituiscono quasi la metà

dell’intera popolazione galatinese,cioè in gran parte contadini arruola-ti a giornata o possessori (non pro-prietari, generalmente) di fondi, inbase ai contratti agrari dell’epoca ov-vero ai vincoli sulla proprietà terrie-ra (enfiteusi, livelli, censi, decime,vigesime, ecc.). Accanto ad essi, tro-viamo i massari (16 unità), che am-ministravano le attività produttive el’allevamento del bestiame delle mas-serie (49), e infine i molinari (mu-gnai; 6) e i giardinieri (4).

L’attività artigianale più diffusa, in-vece, è quella del conciatore (102 uni-tà), un lavoratore specializzato nellaconcia di pelli e impiegato presso ap-posite botteghe di conceria. Accantoa questa attività troviamo il bardaroo vardaro (bardaio: artigiano specia-lizzato nella produzione di bardatu-

re per cavalli; 5 unità), il sellaro (sellaio; 2), il tamborrino(produttore di tamburi? 2 unità), il calzolaro o calzolaio(3), lo scarparo (50).

Tra i lavori per l’edilizia troviamo: il mastro fabbricato-re (3 unità), il fabbricatore (12) e il focolaro (fabbricatore difocolari, camini; 1).

Gli addetti al trasporto di merci erano: il bastasi (unaspecie di facchino o scaricatore; 3 unità) e il vaticale5 (mu-

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Calzolaio

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lattiere, vetturale; 8),generalmente dotato disomiero (somaro).

Tra le figure che svol-gono le attività com-merciali, troviamo: ilmercadante o merca-tante (mercante; 5), ilmerceiolo (merciaiòlo,venditore di mercerie;7), il vertolare (vendito-re ambulante di tessuti;1), lo speziale di medi-cina (venditore di spe-zie, di erbe medicinali,farmacista; 3), il nego-ziante (1), l’orefice (1),l’argentiere (1), il botte-garo (10), il beccaro(macellaio; 8) o il macellaro (2), il pescivendolo (2), il ven-ditore di acqua (1), l’acquavitaro (venditore di acquavite;2), il barbiere (11) e il perucchiero (parrucchiere, produtto-re di parrucche6, proveniente da Napoli; 1).

Professioni inerenti l’insegnamento sono: il professore diviolino di musica (1), il maestro di scuola (1).

Viceversa, gli individui indirizzati all’apprendimentoscolastico, classificati secondo tre tipologie o livelli di istru-zione: lo studente (5 giovani, dei quali uno residente a Na-poli), lo scolare (5), il clerico (chierico; 58)7.

Altre arti e attività artigianali sono: il fornaro (1), il sarto-re (14), il mastro fà legname (15) ovvero il fà legname (5) eil legnaiolo (1), il mastro ferraro (1) ovvero il ferraro (5), ilregolatore di botti (1) e, infine, il caldaraio (artigiano specia-lizzato nel costruire caldaie e altri recipienti di rame; 2).

Le attività artistiche: il pittore (2), lo scultore (1), lo stuc-chiatore (2).

Professioni e impieghi pubblici dell’università di SanPietro in Galatina: il notare (notaio; 8), il giudice a contrat-to (3), il dottor fisico (medico; 6), il chirurgo (1), il servien-te (addetto a pubblici servizi; 1); il miliziotto (soldato dellamilizia locale e cittadina; 2). Altre attività dal reddito piut-tosto modesto: il custode di animali (1), il servitore (6).

Alcuni aggettivi esprimono l’impossibilità, da parte di

alcuni abitanti, a produr-re reddito in quanto inca-paci a svolgere qualsiasitipo di attività: impoten-te, inabile, orbo d'occhi,stroppio, incancherito,oppure ancora figlio fa-tuo o figlio lunatico, duemodi che starebbero a in-dicare i deviati. Tra le de-finizioni insolite si trovaquella di fugiasco, riferi-ta a un figlio evidente-mente assente. C’è,infine, il paratore di chie-sa la cui attività è decisa-mente dedicata ad eventireligiosi.

Chi vive del suo (72),non è soggetto al pagamento delle once d’industria, purgodendo eventualmente di proventi derivanti dall’eserci-zio di una professione, o beneficiando di qualche generedi rendita, affittuaria o fondiaria, o di produzione agrico-la propria, talvolta in misura sufficiente all’autoconsumo.

Meno di un quarantennio dopo, la popolazione si saràraddoppiata, e a Galatina sarà concesso, nel 1793, il privi-legio di fregiarsi del titolo di ‘città’ grazie a un rapido pro-gresso economico e sociale che vedrà proliferare nuoveattività commerciali e, naturalmente, nascere nuove arti emestieri... ●

NOTE:1. Il termine pagliara o pagliaro appartiene al lessico galatine-

se del tempo, ma è anche più antico, poiché nel Catasto oncia-rio di Galatina (1754) sono riportati svariati toponimi rustici,evidentemente già consolidati, quali: «Le Pagliare» («in feudodi Aruga» e «in feudo di Ausiliano»), «Lo Pagliaro» («allaGrotta», «alli Galioti» e «alli Gorgoni») e «La Pagliarella» («al-li Chiani»).

2. Nel Catasto onciario di Galatina (1754), sono contenute mol-tissime informazioni riguardanti la popolazione galatinese, conriferimenti impliciti al periodo della rilevazione dei dati, effet-tuata dai deputati dell’Università per la Regia Camera dellaSommaria, sulla base delle dichiarazioni (rivele) fornite daicontribuenti. Questo prezioso documento è custodito pressol’Archivio di Stato di Lecce e fa parte della Serie (III) dei “Ca-tasti onciari”, classificata nel fondo “Scritture delle Universitàe Feudi (poi Comuni) di Terra d’Otranto”.

3. Il dato è molto approssimativo, tenendo conto del fatto cheper la raccolta e la compilazione dei dati del Catasto onciario diGalatina sono occorsi circa tre anni (1751-1753), durante i qua-li il numero degli abitanti cambiava di continuo, per effetto deimatrimoni contratti con gente forestiera, della mobilità socia-le motivata da esigenze di lavoro e, ovviamente, delle nascite(667 nei tre anni) e morti (335), soprattutto i bambini piccoli,pur conservando, comunque, una costante tendenza all’aumen-to demografico.

4. Non si è tenuto conto di 6 individui ai quali è stato attri-buito questo tipo di attività nella propria partita catastale e un

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Lustrascarpe

Raccoglitrici di olive

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genere di mestiere differente in un duplicato della stessa par-tita catastale. Nel Catasto onciario di Galatina ho individuatoben 85 duplicati, 50 dei quali non segnalati ufficialmente dalcompilatore, perciò difficili da individuare, specialmente afronte di ben più numerosi casi di omonimia. Anche questo da-to, oltre a quanto sottolineato alla precedente nota, suggerisceche le informazioni ricavabili dal documento vanno necessa-riamente vagliate, ponderate e, possibilmente, confrontate, me-

diante l’ausilio di altridocumenti (ad esem-pio i libri canonici del-l’Archivio storico par-rocchiale della chiesadei SS. Pietro e Paolodi Galatina, alcuni deiquali, è bene che sisappia, necessitano pe-raltro di un urgente re-stauro), prima di for-mulare eventuali stati-stiche demografiche od’altro genere.

5. Baldassarre Papa-dia affermerà, quasiun quarantennio piùtardi, che «il traffico

con Gallipoli è continuo per l’olio che vi si porta; e molti delpaese esercitano per tale causa il mestiere di vaticale».

6. Secondo la moda del tempo, anche nel Salento gli uominiricorrevano molto all’utilizzo di parrucche, sia i benestanti lai-ci, e i rispettivi domestici, sia gli ecclesiastici.

7. I chierici erano persone istruite o al termine dei propri stu-di. Spesso venivano così chiamati gli studenti poiché in passa-

to l’istruzione si apprendeva in ambito ecclesiale, ma molti so-no destinati a intraprendere la carriera ecclesiastica, tra cui al-cuni novizi.

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Pescivendolo ambulante

Alessandro Massaro

Barbiere di campagna

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Premessa

Èrisaputo che i pescatori sono uomini coraggiosi, chesanno prevedere le condizioni meteorologiche e nonsi arrischiano a sfidare il mare, soprattutto quando

promette poco di buono. Ma, a volte, per provvedere allenecessità della propriafamiglia, mettono a re-pentaglio l’imbarcazio-ne, le reti e la vita.

Il mare invita a piace-voli esercitazioni e diva-gazioni, lava, rinfresca,fa vivere e guadagnareoffrendo sempre pescedi ogni qualità; ma nonsempre il mare è calmo,piacevole, generoso; saessere anche impetuoso,minaccioso e micidiale.

Gli Indios dell’Amaz-zonia si nutrono di pe-sce, abbondante nei fiu-mi, di caccia di animalinella foresta e di varietà di frutta, che cresce spontanea-mente sugli alberi. Di una intelligenza più pratica della no-stra, usano reti a maglie larghe per catturare pesci piùgrossi, dando quindi la possibilità a quelli più piccoli divenirne fuori, in modo che crescano di dimensione ed as-sicurino il futuro nutrimento. Noi, invece, impoveriamo ilmare usando reti a maglia stretta e catturando di conse-guenza pesci molto piccoli.

Oggi, purtroppo, non si usa il buon senso, per via deiforti richiami provenienti dal profitto, dalla speculazionee dall’affare.

Ma l’impoverimento della fauna ittica è dovuto anche aicrescenti disturbi degli elettrodotti, gasdotti e trivelle cheallontanano i pesci dalle acque costiere verso zone moltodistanti dalla terraferma, dove vivono quasi indisturbati.

La disavventuraLa sera del 10 settembre 1969, festa del Patrocinio dei

Santi Martiri di Otranto, Antonio Milo, capobarca della‘Nuova Maris Stella’, lunga 14 metri, parte per la pescadal porto di Otranto. Nell’imbarcazione a motore ci sonoanche altri due pescatori, Vincenzo Previtero e SalvatoreDe Simei.

Il mare è tranquillo e tutto sembra favorevole per la po-sa in mare delle reti e di attrezzature predisposte con amied esche per catturare grossi pesci, in particolar modo pe-sci spada. Si naviga, si naviga, si naviga per raggiungerezone più pescose.

Verso mezzanotte si trovano nelle acque della Grecia. Ilmare inizia ad incresparsi, ma nulla fa presagire che da lìa poco si scatenerà il finimondo. Le reti vengono calate inmare, così come le palamitare.

Verso le tre del mattino il mare comincia ad agitarsi e aminacciare tempesta. Nel volgere di poco tempo succedeil finimondo e non si capisce più nulla. I tre pescatori ta-gliano in fretta le reti e fanno rotta per rientrare a Otranto.

Per tutta la giornata, sino alle sei di sera, la barca si tro-va in mezzo ad un mare impetuoso di forza 9, che rendeimpossibile la navigazione e il mantenimento della rotta.

Tra le onde alte sino a nove-dieci metri non c’è speranzadi resistere e di salvarsi. Si spera che la barca regga ai con-tinui urti delle onde inclementi. Si scatenano i venti, lapioggia batte di continuo, il mare s’infuria sempre più e leonde, simili ad alte muraglie di acqua, sembravano di vo-ler inghiottire l’imbarcazione, che comunque tiene.

Nonostante la bussola continui a funzionare, si perdel’orientamento non potendo neanche contare sulla posizio-ne del sole.

Antonio, però, non si perde di coraggio, non si arrende,anzi rincuora i due compagni atterriti. Invoca l’aiuto del-la Madonna dell’Alto Mare perché intervenga in loro soc-corso e scongiuri il pericolo. Il capobarca ci mette del suo

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UOMINI CORAGGIOSI

C.te Antonio Milo

Un peschereccio in balìa della tempesta

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per affrontare ogni onda peril verso giusto. Grazie allasua perizia, il pescatore spin-ge al massimo il motore inmodo che l’imbarcazionefenda ogni onda frontalmen-te e non lateralmente, perpoi prepararsi ad affrontareallo stesso modo quelle suc-cessive.

Tutto questo per diverseore, senza che i tre si lascinosopraffare dalla fatica e dallapaura.

Sebbene gli uomini indossi-no pantaloni impermeabili,sono continuamente in-naffiati e inzuppati dalla pioggia martellante, che non ac-cenna a diminuire e dall’acqua delle onde, ma non demor-dono, anche perché la barca tiene bene il forte vento e ilmare grosso.

Alle due pomeridiane, anche un traghetto di linea tra laGrecia e l’Italia si trova in mezzo alla burrasca e passa vi-cino alla ‘Stella Maris’, senza però fermarsi e offrire i soc-corsi. Gli otrantini rimangono delusi. Allora Antonioprende la pistola lanciarazzi e spara alcuni colpi per se-gnalare la loro presenza, ma nessuno se ne accorge, sicchéla speranza di essere tratti in salvo si affievolisce.

Nel frattempo anche un elicottero di soccorso sorvola sulcanale d’Otranto per avvistare la barca in difficoltà, masenza alcun risultato. Alle tre di pomeriggio, finalmente,si nota in cielo uno squarcio tra le nubi, il vento rimane for-te ma con tendenza a diminuire d’intensità. Il tempo via

via migliora ma il mare èsempre agitato, ma non comein precedenza. I tre si riani-mano e cercano di guidarel’imbarcazione verso Otran-to, ma il mare ancora non loconsente.

Dalla barca, intanto, si vedeun tratto di terra, ma si trattadella costa brindisina. Che fa-re? Tentare uno sbarco a Brin-disi oppure dirigersi a sudverso Otranto?

Si opta per quest’ultima so-luzione. E così i tre pescatori,dati ormai per dispersi, versole sei pomeridiane, entrano

nel porto di Otranto, dove ci sono forse duemila persone,tra cui la moglie di Antonio, Pezzulla Antonia e i tre figli,in ansia e in attesa di riabbracciarli.

Il Comandante della Capitaneria di Porto rivolge il suoperentorio invito ad Antonio: “Favorisca in Capitaneria!”.

Antonio, che ormai ha superato un grosso ostacolo, glirisponde seccamente: “In Capitaneria vengo domani. Ora hobisogno di andare a casa”.

“Vieni in ufficio, dobbiamo compilare il verbale” – gli ribattel’ufficiale.

“Ma che verbale e verbale. Ora ringrazio Dio e la Madonna chesono ancora vivo…” – conclude Antonio – “…Ora vado a ca-sa per mangiare qualcosa, perché sono digiuno da una giornata”.

All’indomani, Antonio si presenta in Capitaneria e rice-ve dal Capo Febbraro un elogio: “Antonio, complimenti, seistato un bravo comandante”. ●

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La furia del mare ad Otranto (Le)

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Per chi come me conosce Paolo Vincenti da un bel po’ ditempo, per chi come me ha avuto l’onore di collaborare conlui, risulta difficile esprimere un’opinione, sia essa di ap-provazione o di critica, sul suo nuovo lavoro letterario.

L’amicizia e la vicinanza di in-teressi culturali condiziona nonpoco. Come, d’altronde, possonoinfluenzare le numerose e vali-dissime recensioni già pubblica-te.

Tenterò, comunque, di farlo ap-procciandomi con tutte le riservedel caso ma soprattutto cercheròdi dire quello che penso e di nonlasciarmi trascinare molto dal li-bro di Paolo.

E si, perché “Italieni” ha nelsuo DNA la forza trascinante,prorompente e tracimante pro-pria del suo autore. Paolo Vin-centi, da attento osservatore dellasocietà italiana, dopo aver letto,visto e ascoltato, racconta modi,usi, costumi che gli italiani si so-no ritagliati addosso da sempre.

Come in un grande variopintoCirco carnascialesco i “personag-gi” di Vincenti sfilano ad uno aduno in fila indiana e in gruppo, sipresentano al pubblico sorriden-do o lanciando uno sguardo disfida e cercando, inchinandosi, l’applauso finale che spes-so, però, non arriva perché la maggior parte di essi non lomerita.

“Italieni” ha avuto un libro apripista dal titolo emblema-co “L’osceno del villaggio”, un lavoro letterario che ha da-to la stura a questo nuovo progetto di Paolo Vincenti cheperfeziona così il percorso del “carrozzone” carico di per-sonaggi multicolore e offre lo spunto per delle riflessioniche ogni lettore ha diritto di esprimere.

Paolo quando scrive, e lo fa spesso, mette tutto l’impe-gno possibile, non per cercare l’approvazione del lettorema per una sua onestà intellettuale di fondo e si diverte adescrivere, a volte con cinismo, a volte con affetto, a voltecon distacco la società che lo circonda e che lui vive ine-briandosi di essa.

Una domanda provocatoria che potrei rivolgergli è que-sta: “Perché hai scritto “Italieni”? Forse che intendi segnalare

anomalie, problematiche che da sempre attraversano questo no-stro Belpaese? Forse perché ritieni te stesso immune da difettuc-ci?”

In questo ultimo lavoro non mancano, come in tutti isuoi libri, i colti riferimenti e le ci-tazioni letterarie nonché le canzo-ni e le musiche che hannosegnato il suo percorso umano eartistico.

Leggendo “Italieni” mi è venu-to in mente lo scrittore Luigi Bar-zini con il suo “Virtù e vizi di unpopolo”, un libro scritto circa cin-quantacinque anni fa in ingleseper il pubblico americano curio-so di conoscere come fossero gliitaliani.

Da allora sono passati tanti an-ni e sono successe tante cose etanto è cambiato, invece sono re-stati immodi-ficabili i comporta-menti del nostro carattere“italieno” con tutti i pregi e i di-fetti.

Ma mentre Barzini nella suanarrazione asseconda i difetti de-gli italiani, apparentemente an-che compiacendosi, Vincentisembra fare il possibile per scuo-terci da quel torpore tutto italie-no corredando la sua satira in

prosa con una accattivante cornice di vignette molto inci-sive, del bravo disegnatore Paolo Piccione e con una splen-dida postfazione di Maurizio Nocera.

Come insegnano i grandi della letteratura latina, precur-sori di questo genere letterario e artistico, la satira deve es-sere sempre pungente, deve irritare, deve mettere a nudole imperfezioni umane, solo così ti aiuta a conoscere me-glio la specie umana, soprattutto quella che ricopre ruoli dicomando, ma la satira deve anche essere costruttiva, devesmascherare sì ma deve anche dare respiro e invitare alravvedimento, ed in questo mi pare che Paolo Vincenti siastato preciso; pur bacchettando tutti, invita alla riflessioneattraverso un impianto studiato per diventare quasi unammonimento a essere meno ipocriti e più leali. Insomma,voglio dire che questo è uno di quei libri che si deve ave-re, un libro che ci fa divertire e ci fa pensare. Un libro chesi fa leggere bene. ●

FRESCHI DI STAMPA

ITALIENIRIDERE PER RIFLETTERE

di Michele BONINO

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Sono trascorsi circa settant’anni, da quando L’ho cono-sciuta.

Quasi una vita, una immensa eternità.Mitica, impareggiabile, e tuttora indimenticata, è stata la

mia unica, vera “Mescia“ di doposcuola, che mi impartivalezioni private di sostegno durante la frequenza del terzotrimestre della mia quinta elementare.

Dovendo sostenere (e tentare di superare) gli esami diammissione al primo anno della Scuola Media, avevo biso-gno di aiuto.

Si era a ridosso dell’immediato dopoguerra, subito dopol’entrata in vigore della Costituzione Italiana che istituivain modo perentorio il Diritto allo studio, (ma solo sulla car-ta) e ancor prima della RiformaScolastica, con la quale l’obbligodella frequenza scolastica fuspostata dalla Quinta Elementa-re alla Terza Media.

Per questo frequentavo la suacasa, su per le scale di un ampio,maestoso, imponente palazzobaronale posto in via OrazioCongedo, al civico 29, poco di-stante dall’arco bugnato che im-mette nell’Arco Andriani, o sottalla Gilli versu lu Tore Marianu, co-me si diceva una volta e come siusa ancora oggi.

Proprio qualche tempo fa, per-correndo per caso quella strada,dove il Centro Antico coniugamagistralmente, più che altrove,architettura, storia e cultura, misono fermato, assalito dai ricor-di e particolarmente incuriosito,vicino al portone contrassegna-to con quel numero.

Era chiuso da un cancello inferro battuto, abbrunito quanto basta con delicata accor-tezza per non offendere il suo stile architettonico, risalen-te al Seicento.

Un silenzio irreale, intristito dalla penombra profondadella sera imminente, mi avvolgeva all’improvviso e nonriuscivo a distinguere bene i contorni e i profili architetto-

nici dell’atrio, che ricordo sorprendentemente armonioso.Nella sua quiete non s’udiva più il tacchettio frenetico

dei carbonari in fuga precipitosa dalla “Vendita” rivoluzio-naria, ospitata in un locale messo a disposizione da OrazioCongedo nel suo palazzo.

I rivoluzionari, allertati dalla vedetta di guardia, fuggiva-no frettolosamente per sottrarsi alla rappresaglia ferocedelle guardie borboniche.

Così come per incanto si era spento il pianto accorato deibambini, stipati nei locali a piano terra occupati dalla Se-zione del Partito Comunista, con i quali i seguaci di Stalin,secondo una fantasiosa, patetica propaganda faziosa dimatrice fascista e democristiana, usavano rifocillarsi al ter-

mine delle loro estenuanti riunioni politiche. Come è curiosa e strana la storia della vita politica ita-

liana!Allora gli eredi del Pci mangiavano i bambini degli altri …

ora si sbranano fra di loro, senza ritegno e senza pudore.La falce e il martello non erano simboli del riscatto del-

SUL FILO DELLA MEMORIA

Galatina (Le) - Palazzo Orazio Congedo

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la classe operaia, ma strumenti da tavolo da pranzo.La mistificazione sistematica faceva credere che il canni-

balismo era talmente praticato in remote e imprecisate zo-ne dell’Unione Sovietica (secondo la fervida fantasiadistorta e malata degli avversari politici), che molti comi-zi elettorali tenuti in Piazza San Pietro, nell’immediato do-poguerra, erano sempre affollati e trepidamentepartecipati.

In tanti ascoltavano i comizi dei fascisti e dei democri-stiani cu lla vucca ‘perta e con gli occhi inumiditi dall’emo-zione del racconto, stipati sul sagrato della Chiesa Madre.

Il consenso elettorale lo raccoglievano sopratutto con lemenzogne, anche se puerili e fantasiose.

E non è che questo metodo sia cambiato tutt’ora nelle mo-derne Consorterie politiche, dove imperano le bugie grosso-lane, le menzogne sottili e le mistificazioni striscianti.

Un esempio per tutte: il riordino capotico dell’assistenzaospedaliera in Puglia che partorisce un nuovo ospedaleclientelare (inutile e dannoso) nella zona di Melpignano, ol’approdo del metano a San Foca!

In quel silenzio, appena disturbato dal tremolio lieve ediscreto di qualche alito di vento, mi è sembrato per un at-timo di intravedere la Maestra Gina Serra, dietro i vetri del-la porta di un ampio salone che si affaccia sull’ultimarampa di scale, al di là della balaustra.

Era immersa fra le sue carte, fra i suoi libri, fra le sue fo-tografie, fra i suoi ricordi, fra i suoi sogni segreti e le spe-ranze più belle che usano sbocciare durante la giovinezza,quella allegra e spensierata che ti introduce sulla sogliadella vita.

Ma era solo una suggestione, fugace come il frusciantedondolio di una foglia cadente.

Peccato!Avrei voluto ripercorrere la profondità di quell’atrio per

incontrarLa di nuovo, risalendo sveltamente come allora,la spaziosa scalinata su per gli ampi gradoni, lievementeconsunti sul profilo mediano dallo strofinio impietoso ditanti calzari.

Lo avrei fatto con l’illusione di ritrovare il sapore perdu-to di una spensierata allegria, o di inebriarmi del profumodi una giovinezza svanita.

I sogni più belli, anche se semplici, non costano niente, oquasi niente, a parte il prezzo del rimpianto, della delusio-ne e della sconsolata nostalgia.

Vive oggi, in modo riservato, nella periferia della Città,nel suo mondo riempito di nuvole di “alunni“ vocianti, al-

legri, spensierati, vivaci, stemperati in un turbinio ine-briante, ma soffusamente severo e solenne come è statosempre il suo magistero.

Nella sua casa sono andato a salutarLa di recente e respi-ro ancora l’odore della sua calorosa, semplice, simpaticaaccoglienza.

Dice di avere novant’anni.Ma mente senza pudore e senza vergogna.Aveva appena vent’anni quando L’ho conosciuta, appe-

na finita la guerra e vi giuro che tale è rimasta a tutt’oggi.La freschezza dei suoi ricordi, la lucidità del suo pensie-

ro, la calorosa generosità del suo animo, la delicatezza deisuoi sentimenti mi hanno fatto riconoscere, senza esitazio-ne e senza tentennamenti, la mia “Mescia“ ancora giovanea dispetto del’impietoso e ineluttabile scorrere del tempo.

Ho rivisto anche lo stesso sorriso di sempre, esaltato dalluccichio breve e discreto dei suoi occhi, lo stesso pigliodelicatamente severo, ma soprattutto la stessa disincanta-ta umanità.

Non è cambiata davvero!E, a riprova della Sua spontanea generosità, mi ha fat-

to omaggio, alcuni giorni fa, di un suo delicato, brevesaggio fresco di stampa (Edizioni Panico - Soleto 2017) diun’opera poetica giovanile, quasi dimenticata e a me sco-nosciuta, “Cantilena Errante“ del nostro compianto prof.Aldo Vallone, pubblicata a Roma nel lontano 1935 dalla Ca-sa Editrice Ideal.

Un gesto semplice e naturale per Lei, ma denso e signi-ficativo per chi ha avuto la gradita sorpresa di riceverlo. Grazie! ●

Scolari di un tempo

pippi onesimo

Aula scolastica inizio ‘900

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